Wikibooks itwikibooks https://it.wikibooks.org/wiki/Pagina_principale MediaWiki 1.39.0-wmf.21 first-letter Media Speciale Discussione Utente Discussioni utente Wikibooks Discussioni Wikibooks File Discussioni file MediaWiki Discussioni MediaWiki Template Discussioni template Aiuto Discussioni aiuto Categoria Discussioni categoria Progetto Discussioni progetto Ripiano Discussioni ripiano TimedText TimedText talk Modulo Discussioni modulo Accessorio Discussioni accessorio Definizione accessorio Discussioni definizione accessorio Kdenlive/Sistemi video 0 17304 430786 376446 2022-07-21T15:31:08Z 95.236.228.180 Corretto: "costruttori" wikitext text/x-wiki {{kdenlive}} Il video digitale possiede alcune proprietà e terminologie ereditate dai vecchi sistemi analogici usati nella diffusione televisiva e alcune altre proprietà derivate dalle nuove tecnologie. Dare informazioni dettagliate su queste caratteristiche e sistemi è un compito che va oltre lo scopo di questo manuale, ciononostante ecco alcune (brevi) spiegazioni che potrebbero aiutare il profano ad orientarsi nell'uso delle clip e nella generazione video con Kdenlive. ==Quadri (frame) al secondo== L'occhio umano è una macchina meravigliosa ma è limitato e può essere facilmente ingannato. Quest'ultimo fatto è ciò che ha reso possibile l'invenzione del cinema ancora nel 1800 --- se una sequenza di foto leggermente diverse viene mostrata in rapida sequenza, l'occhio non può distinguere una scena dall'altra, e ha l'illusione di un movimento continuo. È lo stesso fatto che accade se si prende una penna tra le dita e la si muove velocemente in alto e in basso tenendo lasca la presa con le dita --- l'effetto ottico fa sembrare che la penna si stia piegando. Nel linguaggio video, ogni fotogramma nella sequenza viene chiamato '''quadro''' o dall'inglese '''frame'''. È necessario mostrare i frame con una certa velocità per ottenere l'illusione del movimento. La misura di questa velocità è data dall'unità '''frame (o quadri) al secondo (fps)'''. L'occhio umano non riesce a distinguere tra un quadro e l'altro se questi vengono mostrati con una velocità di 14fps, anche se un po' a scatti. Velocità di fps leggermente maggiori migliorano notevolmente l'illusione del movimento. Quando fu inventata la televisione, uno dei problemi riscontrati fu che era necessario sincronizzare i quadri trasmessi con quelli ricevuti. La mancanza di circuiti elettronici precisi al tempo portò i costruttori ad avvalersi di un semplice oscillatore presente comunemente in ogni casa: la frequenza della corrente di alimentazione. In alcuni paesi questa è di 50Hz, mentre in altri è di 60Hz. Questo fatto porta a comprendere meglio le differenze tra i due sistemi standard PAL e NTSC. ==Dimensioni dello schermo== ==Rapporto di visualizzazione== Il rapporto di visualizzazione (in inglese '''aspect ratio''') è praticamente la proporzione tra la larghezza e l'altezza dello schermo. I due rapporti più usati sono: * '''4:3''' - questo è il formato standard per la televisione analogica, conosciuto anche come "pan format". * '''16:9''' - questo formato è derivato dal cinema, e viene usato anche dai cosiddetti schermi televisivi ''wide'' cioè ''larghi''. Quando un film in formato 16:9 deve venir proiettato su uno schermo in 4:3, questo deve essere tagliato ai lati, rimuovendo colonne (perciò contenuto), oppure mostrando dei bordi neri in cima e in fondo allo schermo che permettono di proiettare l'intera immagine nello schermo più stretto, a discapito di un po' di risoluzione. Quest'ultimo metodo di visualizzazione è conosciuto anche come '''letterbox'''. ==Video interlacciato== Ecco un'altra caratteristica che deriva dal mondo televisivo. Gli schermi televisivi (o CRT per Tubi a Raggi Catodici) usati fino agli anni 90 non erano sufficientemente veloci per poter disegnare l'intera immagine sullo schermo 50 o 60 volte al secondo. La soluzione fu trovata nel dividere ogni quadro in due '''campi''' o '''semiquadri''' --- il primo formato dalle righe dispari della figura e il secondo formato da quelle pari. L'occhio umano non riesce a distinguere scene molto vicine e il materiale utilizzato per l'emissione di luce dallo schermo ha una piccola inerzia ottica mantenendo la luce per qualche frazione di secondo dopo che il raggio catodico è passato. Con tali velocità la combinazione dei due semiquadri è resa impercettibile. Questo è l''''interlacciamento'''. Seguendo la frequenza scelta dai due standard a 50 o 60 semiquadri al secondo si ottiene una frequenza di quadro effettiva di rispettivamente 25 o 30 quadri al secondo. In seguito, cinescopi più veloci permisero la visualizzazione diretta dei quadri senza bisogno di interlacciamento e quindi il termine '''non interlacciato''' sottintende una qualità migliore specialmente durante i fermi immagine. Alle volte è quindi desiderabile poter convertire un video da formato interlacciato in non-interlacciato o viceversa. ==Timecode== Quando si sta modificando un video, spesso si ha bisogno di un riferimento ad uno specifico istante in un video --- per esempio quando inizia una certa scena. La misura più precisa derivante dalle prime macchine di elaborazione video è il '''timecode''', proveniente dalla tecnologia delle cassette video e rimasta nel video digitale. Il timecode di una registrazione è un segnale inserito all'interno delle informazioni video di un nastro e conta il tempo trascorso dall'inizio della registrazione. Viene normalmente visualizzato nel formato hh:mm:ss:ff, dove ''hh'' è il numero di ore, ''mm'' significa minuti, ''ss'' sono i secondi, e ''ff'' è il numero di frame o quadri trascorsi in quel secondo. ==NTSC== [[:w:NTSC|NTSC]] è un sistema di diffusione (broadcast) televisiva creato dal National Television Standards Comittee negli USA. Anche se uno standard analogico, NTSC viene usato anche come riferimento per i video digitali nel formato e dimensione video e nel numero di frame al secondo. Ha le seguenti caratteristiche: * 352x240 dimensioni dello schermo in pixel (720x480 per i DVD) * 30fps o più precisamente, 30000/1001fps o 29,97fps. La strana frequenza di quadri al secondo nello standard NTSC rende necessario l'uso del comunemente detto '''drop frame''', ovvero letteralmente, '''scarto di quadri''', una tecnica usata dai software di elaborazione video come Kdenlive. Ogni 2 minuti, eccetto ogni decimo minuto, due quadri vengono semplicemente ignorati nel conteggio del tempo, in modo da rendere il flusso video come se scorresse a 30 frame al secondo. Senza questo trucco, l'audio alla velocità "30fps reali" scorrerebbe leggermente fuori sincronizzazione con il video in pochi minuti. ==PAL== Il sistema [[:w:PAL|PAL]] fu creato dal gigante tedesco dell'elettronica AEG-Telefunken, ed è stato adottato in molti altri paesi europei, sudamericani, asiatici ed africani. Il nome è l'acronimo di ''Phase-Alternate Line'', un ingegnoso sistema per la correzione automatica dei colori in televisione --- per questo PAL viene anche definito come l'acronimo di "Pictures Always Loveable" (immagini sempre gradevoli), in scherzosa antitesi a NTSC, che, sempre nello scherzo, viene fatto derivare da "Never Twice the Same Color" (mai due volte lo stesso colore)... Come per NTSC, nel campo del video digitale la sigla PAL è usata per indicare una specifica combinazione di dimensione video e frequenza di immagine: * dimensione video 352x288 pixels (720x576 per il DVD) * 25 frames al secondo Esiste però qualche variante PAL, specifica per paese, che non segue questi standard. Ad esempio il sistema PAL-M, adottato in Brasile ed in Laos, mantiene la brillantezza del colore e la modulazione del PAL, utilizzando però la dimensione video e la frequenza di immagine dell'NTSC ==Crominanza e Luminanza: i colori nel video== Quando si iniziò a progettare la commercializzazione di televisori a colori, un grande numero di persone possedeva già un apparecchio in bianco e nero, e sarebbe stato impensabile costringerle a buttarlo. Inoltre l'ipotesi di trasmettere programmi televisivi a colori utilizzando tre distinti segnali per i tre colori fondamentali (rosso, verde e blu, in inglese Red, Green e Blue, da cui la sigla RGB) era irrealizzabile a causa dell'ampiezza di banda richiesta dalla trasmissione di tipo analogico. Sarebbe stato necessario trasmettere troppe informazioni per la capacita di un canale televisivo standard, dell'ampiezza di 6 MHz. Gli ingegneri quindi, sfruttando ancora una volta una limitazione della vista umana, trovarono una brillante soluzione: inventarono, al posto del sistema additivo RGB, un sistema di definizione dei colori basato sulla '''sottrazione''', chiamato YCC. La maggior parte di informazione del segnale televisivo a colori analogico è formata dalla '''luminanza''', che definisce soltanto il livello di luminosità di un punto spaziando tra il nero puro e il bianco puro. Questo è esattamente quanto serve per realizzare una trasmissione in bianco e nero, perciò i vecchi apparecchi hanno potuto continuare ad essere utilizzati semplicemente ignorando la parte di informazione relativa al colore. Alla luminanza, ma utilizzando rispetto a questa una quantità molto inferiore di banda, sono stati aggiunti i segnali di '''crominanza''' per la definizione dei colori. Questi segnali sono elaborati dall'apparecchio ricevente, sfruttando un po'di semplice logica dei colori. Se miscelando tutti i colori alla massima luminosità si ottiene il bianco puro --- che corrisponde anche al massimo valore di luminanza ---, i valori corrispondenti ai vari colori possono essere ottenuti sottraendo il relativo valore della crominanza da quello della luminanza. Per l'esattezza, il bianco è composto da circa il 30% di rosso, l'11% di blu e il 60% di verde. Quindi, per ottimizzare l'utilizzo di banda trasmissiva, la luminanza (Y) viene combinata con i due segnali di crominanza relativi al rosso (C<sub>r</sub>) e al blu (C<sub>b</sub>). Diventa semplice ottenere il valore della componente verde di un pixel, applicando la formula G = Y - C<sub>r</sub> - C<sub>b</sub>. Il valore delle componenti blu e rossa si ottengono con le formule B = Y + (C<sub>b</sub> - Y), e R = Y + (C<sub>r</sub> - Y). Di conseguenza, un'immagine a televisiva a colori è definita per una parte dal segnale di luminanza e per il resto da quelli di crominanza (in una proporzione 4:2:2). Si può usare una minore ampiezza di banda per la crominanza perché il colore necessita di una minor quantità di informazioni, sfruttando il fatto che l'occhio umano è molto più sensibile alle variazioni di luminosità ed ai contorni di un'immagine che non alle variazioni di colore. È possibile verificare questo fenomeno osservando delle immagini composte solo da colori e prive di contorni neri o comunque scuri. Nonostante questa soluzione sia stata ideata per le trasmissioni analogiche, e il video digitale consenta la trasmissione completa delle informazioni relative al colore utilizzando una ridotta ampiezza di banda, si continua ad utilizzare il sistema YCC, allo scopo di ottenere una compressione ancora maggiore. Lo standard video digitale DV25 utilizza una banda ancora minore per l'informazione relativa al colore, con un rapporto luminanza/crominanza 4:1:1 --- che può generare disturbi di visualizzazione in operazioni come quella di combinare un'immagine, con un'altra di una persona ripresa su uno sfondo blu (la famosa composizione ''cromakey''). Lo standardDV50, orientato ad un utilizzo più professionale, utilizza un rapporto luminanza/crominanza 4:2:2. [[Categoria:Kdenlive|Sistemi video]] [[en:Kdenlive/Video_systems]] [[de:Kdenlive/_Digitales_Video]] {{Avanzamento|100%|29 gennaio 2008}} izldnh8wrz3aw6jxt2ljndqkyufmx6h Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Giappone-3 0 18453 430798 430419 2022-07-22T10:21:29Z Eumolpo 4673 ortografia wikitext text/x-wiki {{Forze armate mondiali}} ==Aviazione== ===Organizzazione al 1992=== La JASDF, nota in patria come Koku Jieitai, avevana attorno al 1992 la forza di 51.000 uomini e oltre 900 apparecchi di ogni genere. Le basi aeree erano, da Nord a Sud: Chitose, Misawa, Akita, Matsushima, NIgata, Hyakuri, Fochu, Iruma, Shizuhama, Hamamatsu, Komaki, Gifu, Komatsu, Miho, Hofu, Tsuiki, Ahiya, Kasuga, Nyotabaru, Naha. L'organizzazione presentava una suddivisione che era la seguente: anzitutto il Koku Sotai, ovvero il comando della difesa Aerea, che aveva sede a Fuchu, con 4 regioni aeree. Anzitutto, il Hokubu Koku Homentai ovvero Forza Aerea di difesa del Nord, basata a Misawa, con 2 Kokutai(stormi) uno dei quali con due Hikotai (squadroni) di F-15, l'altro con 2 Hikotai su F.1 da attacco antinave.Completava la forza di questo settore la squadriglia con 5 T-33A da collegamento, sfruttando le ancora ottime prestazioni velocistiche di queste macchine, e 2 Gruppi SAM (Kosha Gun) con i nuovi missili Patriot. Al centro del Giappone si dedicava il Chubu Koku Homentai, ovvero Forza Aerea di Difesa di Centro, basato ad Iruma, con 22 F-15 per il 303 Hikotai e 25 F-4EJ Kai per il 306, anche se entro il 1993 avrebbe lasciato questi aerei per gli F-15. Al Sud vi erano poi ben 2 settori: la Forza Aerea di Difesa dell'Ovest e e la Divisione Aerea Mista del Sud, rispettivamente la Seibu Koku Homentai e Nansei Koku keitai Kanseitai, -- Naha. La prima aveva due Hikotai con F-15 e F-4, l'altra invece era un'unità particolare, con un solo squadrone di F-4EJ, nemmeno aggiornati allo standard Kai anche se era in programma che lo sarebbero stati. La forza della JASDF era decisamente concentrata al Nord del Paese e un poco meno, al centro. I reparti indipendenti dalle regioni erano quello da ricognizione su RF-4, quello ECM, quello con 7 F15DJ Aggressors, che sostituirono dal 1989 i precedenti T-2, e il gruppo d'avvistamento AEW con i Grumman E-2C, comprati nei primi anni '80 in un primo lotto, per poi essere seguiti da altri 4 con un lotto successivo verso la fine del decennio. Il settore trasporti era compentenza del 'Koku Shien Shudan', ovvero Comando del Quartier Generale, di Cuchu. Esso comandava 5 unità principali: il Koku Kyunandan, ovvero lo Stormo di ricerca e soccorso, con due gruppi basati ad Iruma ma distaccati presso non meno di altre 10 basi, dotati di elicotteri e aerei MU-2S. L'Helicopter Kokutai aveva gli elicotteri Chinook comprati dal 1988. Infine i 3 reparti da trasporto: 1 con C-130H, 1 con C-1 e YS-11, 1 con C-1. L'Hiko Tenkentai, ovvero il Gruppo Radiomisure, aveva YS-11FC, MU-2J, T-33A. Il settore addestrativo, molto nutrito, Koku Kyoiku Shudan o Comando Aereo d'Addestramento. Vi erano 2 stormi su T-3, l'11 e 12, il 13 era sul T-1, il 1° Kokudan ha due squadroni con i T-4 nuovi di zecca, e il 4° Kokudan su 21 e 22 Hikotai con 55 T-2/T-2A. Il 21° era responsabile anche della squadriglia aerea Sengi Kenkyuhan, ovvero i Blue Impulse, con i T-2 e, passato il programma per 11 F-2 specifici era in predicato di avere 200 T-4. L'addestramento sui plurimotori e sugli elicotteri erano invece appannaggio unico di Marina e Esercito rispettivamente, data la cospicua forza aerea di entrambi. Le Jyutsuka Gakko erano le scuole tecniche per l'addestramento degli specialisti. Il Koku Kaihatsu Jikken Shudan era il comando aereo Prove e Sviluppo con l'unità aerea sperimenale di Gifu, la Hiko Kaihatsu Jekkendan. Infine il comando aereo logistico con 4 grandi depostiti (Hokyusho). '''Koku Sotai''' *Hokubu Koku Homentai, ---Misawa ** 2° Kokudan *** 201° Hikotai--22 F-15, T.4 - Chitose, *** 202° Hikotai--22 F-15, T.4 - Chitose ** 3° Kokudan *** 3° Hikotai -- 25 F.1, T-2, T-33A,--Misawa *** 8° Hikotai -- 25 F.1, T-2, T-33A, -- Misawa *** Hokubu Shien Hikodan, T-33A, --Misawa *** 3° Kosha Gun,--MIM-104, -- Chitose *** 8° Kosha Gun,--MIM-104, -- Misawa Hokubu Koku Keitai Kanseitai---Misawa *Chubu Koku Homentai, -Iruma ** 6° Kokudan ***303° Hikotai -- 22 F-15, T-33A, --Komatsu ***306° Hikotai -- 25 F-4EJ Kai, T-33A, --Komatsu **7° Kokudan ***204° Hitokai -- F-15J, T-4, --Hyakuri ***305° Hitokai -- F-4EJ, T-4, --Hyakuri *** 1° Kosha Gun,--MIM-104, -- Iruma *** 4° Kosha Gun,--MIM-14, -- Iruma *Chubu Koku keitai Kanseitai, --Iruma *Seibu Koku Homentai **5° Kokudan, -- Kasuga ***201° Hikotai (OCU), -- F-15J, T-33A, -- Nyutabaru, ***302° Hikotai (OCU), -- 20 F-4EJ Kai, T-33A, -- Nyutabaru **8° Kokudan ***304° Hikotai, -- F-15J, T-33A, --Tsuiki *** 6° Hikotai, -- F-1, T-2, T-33A, --Tsuiki ***Sheiku Shireibu Shien Hikotai, --5 T-33A *** 2° Kosha Gun, --MIM-14, -- Iruma *Seibu Koku keitai Kanseitai, -- Naha ** 83° Kokutai *** 302° Hitokai,----F-4EJ, T-33A, --- Naha **Nansei Koku keitai Kanseitai, -- Naha ***Nansei Shien Hikohan,---T-33A, B-65, ---Naha *** 5° Kosha Gun, --MIM-14, -- Naha ** Koku Sotai Shireibu Hikotai ---- 15 T-33A e 3 B-65 ***Denshi Kunrentai,---- 1EC-1, 4 YS-11E, Iruma **Teisatsu Kokutai *** 501° Hikotai,--RF-4EJ, T-33A,...Hyakuri **Hiko Kyodotai ---7 F-15DJ,---Nyutabaru **Keikai Kokutai ***601° Hikotai,---8 E-2C, ---Misawa '''Koku Shien Shudan''' *Koku Kyunandan ***Kyuan Kyoikutai,----MU-2S, KV-107, UH-60J,----Iruma ***Helicopter Kuyutai,----Ch-47J ***Kyunantai, ,----MU-2S, KV-107, UH-60J *1° Yuso Kokutai **401° Hikotai, ---C-130H, ---Iruma *2° Yuso Kokutai **402° Hikotai, ---C-1, YS-11, ---Iruma *3° Yuso Kokutai **403° Hikotai, ---C-1, ---Miho *Hiko Tenkentai, ---YS-11FC, MU-2J, T-33A,---Iruma '''Koku Kyoiku shudan''' *1° Kokudan **31° Hikotai, ---T-4,---Hamamatsu **32° Hikotai, --_T-4,--Hamamatsu *4° Kokudan **21° Hikotai (Sengi Kenkyuhan, Blue Impulse),-- 27 T-2, T-33A, ---Matsushima **22° Hikotai, ---28 T-2, T-33A, ---Matsushima * 11° Hiko Koikudan,----20 T-3, ----Shizuhama * 11° Hiko Koikudan,----20 T-3,---- Hofu * 11° Hiko Koikudan---- 50 T-1A/B,---Ashiya *1° Jyutsuka Gakko, ---Vari, ---Hamamatsu *2° Jyutsuka Gakko, -----------Hamamatsu *3° Jyutsuka Gakko, ----------Ashiya *4° Jyutsuka Gakko,-----------Kumagaya *5° Jyutsuka Gakko, ----------Komaki '''Koku Kyuiku shudan''', Iruma *Hiko Kaihatsu Jekkendan, ------vari-------Gifu '''Hokyu Honbu''', Ichigaya *1° Hokyusho,-----Kisazaru *2° Hokyusho,-----Gifu *3° Hokyusho,-----Iruma *4° Hokyusho, ----Iruma '''Aerei di tutti i servizi al 1990 (e nel 1989-1992)''': 358 aerei da combattimento: * 132 MDD-Mitsubishi F-15CJ (120 nel 1989, 163 nel '93, tutte le versioni) * 22 MDD-Mitsubishi F-15DJ * 122 MDD-Mitsubishi F-4EJ (125 nel 1989) * 4 MDD-Mitsubishi F-104J * 75 Mitsubishi F.1 (179 nel 1989, oltre 100 nel 1992) 26 da ricognizione: *14 MDD RF-4EJ * 8 Grumman E-2C * 1 Kawasaki C-1A * 4 NAMC YS-11E * 1 Beech Model C90 King Air 367 addestratori: * 90 Mitsubishi T-2 * 41 Kawasaki T-4 *128 Lockheed/Kawasaki T-33A * 57 Mitsubishi T-1A/B 'Hatsutaka' * 50 Beech Model 45/T-34 Mentor * 1 NAMC YS-11NT 160 aerei di vario tipo: * 2 XQF-104 *27 Kawasaki C-1A (27+1 per il reparto sperimentale +1 ECM) *15 Lockheed C-130H * 8 NAMC YS-11P/C *11 Beech A64 Queen Air *27Mitsubishi MU-2E * 4 Mitsubishi MU-2J *14 Boeing CH-47D *51 Boeing KV-107 *1 Sikorsky HH-60 Rescue Hawk Maritime Self Defence Force *50 Kawasaki P-3C Orion *31 Kawasaki P-2H Neptune 'Owashi' *73 Mitsubishi/Sikorsy SH-3A/B Sea King ' Chidori' * 2 Sikorsky SH-60B Seahawk *4 EP-2 Neptune *7 Shinmeiwa US-1 *10 NAMC YS-11T/M * 7 Beech A65 Queen Air *15 Beech/Fuji KM-2 * 4 Learjet 36A *12 Sikorsky MH-53E *13 Sikorsky S-61A * 5 Boeing KV 107 *10 OH-6 Ground Self-Defense Force: *17 Mitsubishi MU-2C * 3 Fuji TL-1 *65 AH-1F *CH-47D *54 KV-107 * 3 AS-332L Super Puma * 25 Fuji/Bell UH-1B *132 Fuji/UH-1H *227 Kawasaki/Hughes OH-6A/D *33 Hughes TH-55 Osage ====F-86==== I caccia che la JDAF ha messo in servizio, per primi, sono stati gli F-86F. Questa macchina ha avuto un impiego vasto e importante, anche perché non essendo le forze aeree giapponesi intese per funzioni offensive, non ricevettero apparecchi come gli F-84 e quindi vennero direzionate totalmente su questo apparecchio. Nel tardo 1953 venne deciso di far rinascere le forze da combattimento giapponesi, con l'eccezione dell'URSS, che aveva interesse al che questo non accadesse, anche perché occupava le Isole Kurili, che a tutt'oggi sono contese. Tra i mezzi scelti vi sono stati gli F-86F ultima versione, selezionati nel 1954. In questo modo la JASDF, o in giapponese, la Nihon Koku Jetai, iniziò ad esistere. Prima i Sabre vennero forniti dagli USA grazie ai surplus disponibili, poi vennero costruiti su licenza a Nagoya, dalla Mitsubishi. È stato un altro caso storico, fino a 10 anni prima il principale produttore di caccia giapponesi, come gli Zero, adesso produceva i principali caccia americani dell'epoca. Nel 1955-56 vennero forniti 29 F-86F-25 e -30 con i snc. 52-7401/10 e 11/30. Il 1 ottobre 1956 entrò in servizio il primo Stormo ad Hammatsu, che comprendeva un gran numero di aerei, ma a dire il vero, ben 68 di questi erano T-33 e solo 20 F-86. In sostanza era l'embrione della JASDF. Molti F-86 erano veterani della guerra di Korea, e d'altra parte questo conflitto ebbe la sua massima importanza per la rinascita del Giappone come forza armata, essendo stato per tutto il tempo letteralmente la retrovia dello sforzo bellico americano, che comprendeva l'uso diretto della base aerea di Misawa, da cui si poteva raggiungere con i cacciabombardieri F-80 (con serbatoi ausiliari maggiorati) direttamente la Corea. Gli F-86F avevano un vantaggio in manovrabilità ad alta quota rispetto ai tipi precedenti, e la sottoversione F-40, a cui vennero aggiornati molti esemplari, permetteva di migliorare molto le prestazioni a bassa velocità, che erano decadute con l'ala precedente, con il prezzo da pagare dato da una velocità leggermente inferiore causa dell'aumento di resistenza aerodinamica. Altri 135 aerei vennero forniti tra il 1956 e il 1957, anche se 45 vennero restituiti, non vi erano infatti sufficienti piloti per usarli. Questo non dev'essere rimasto a lungo vero, tanto che la Mitsubishi ne produsse altri 300 F-40, anzi fu la prima ad avere questa versione, prodotta fino al 1961. 18 aerei vennero modificati nel dicembre 1961 come ricognitori RF-86F per l'501 Hikotai, che li usò fino al 1979 quando arrivarono gli RF-4E. In tutto vennero utilizzati effettivamente 480 apparecchi, che vennero utilizzati dagli Hitokai dal N.1 al 10 e dalla squadriglia acrobatica 'Blue Impulse', fino a quando arrivarono i locali T-2. Si trattava di un quantitativo imponente, maggiore di qualunque altro utente estero di questi apparecchi, anche della RAF che ne ebbe 430, e sicuramente dell'AMI che ne ebbe 180 (-1 caduto durante la consegna). Ma, come detto in precedenza, non v'erano anche aerei della famiglia F-84, che erano pesanti e maggiormente indicati per l'attacco al suolo e persino lo strike nucleare. L'aggiornamento degli aerei vide almeno un elemento di spicco, i missili Sidewinder che già dal novembre 1959 divennero disponibili per la JASDF. D'altro canto già l'anno prima erano stati utilizzati in combattimento dai taiwanesi, e con successo, e quindi non vi era ragione di non fornirli ad un'altra nazione in prima linea come il Giappone. Il servizio finì nel 1980 con l'Hitokai n.6, che poi ricevette gli F-1 e cambiò missione diventando una unità d'attacco. L'ultimo F-86, il 63-7497, volò esattamente il 15 marzo 1982. Visto che questi apparecchi erano stati forniti secondo lo schema MAP, molti ritornarono negli USA, anche se all'epoca del tutto superflui, con le ultime spedizioni sempre entro quel mese. Probabilmente questi vecchi apparecchi vennero utilizzati come bersagli aerei radiocomandati, l'unico impiego 'in combattimento' che videro, a parte qualche incidente con l'URSS. In ogni caso, ancora nel 1991 ve n'erano ancora una trentina di riserva. ====T-33, T-1, T-3==== Un altro aereo americano che servì con l'aviazione giapponese fu il T-33, che venne costruito dalla Mitsubishi in 210 esemplari. Esso venne utilizzato per moltissimo tempo: ancora attorno al 1991 ve n'erano 128, chiamati Wakataka ('Giovane falco'). Ma non era l'unico aereo da addestramento giapponese, solo il primo tipo di una lunga serie. Il suo successore era il T-1 Fuji T-1A e B, che sono stati realizzati come un 'quasi clone' (il primo di molti) dell'F-86. La realizzazione di apparecchi che costituivano una estesa riprogettazione di altri modelli esistenti, con costi notevoli e tempi di realizzazione altrettanto notevoli (il che significava in sostanza, una certa obsolescenza al momento dell'entrata in servizio) è una caratteristica degli aerei giapponesi, fino almeno al recente F-2. Quanto ai T-1, questi erano importanti essendo i primi jet progettati e realizzati in Giappone, e anche se si trattava solo di una macchina addestrativa (notare bene, mentre in URSS, data la mancanza quasi totale di aerei validi di prima generazione, si passò direttamente alla seconda, utilizzando ampiamente il MiG-15UTI, e in Cina addirittura i successivi MiG-17 e 19 biposto, in Occidente non si ritenne di sviluppare versioni biposto dell'F-86 e del Mystere, demandando al vecchi TF-80 la questione dell'addestramento ai jet. L'unica eccezione fu la Gran Bretagna, che non ebbe remore a realizzare l'Hunter in versioni biposto, per giunta con sedili affiancati). Ancora nel 1991 ve n'erano 57 in carico, mentre non mancavano gli aerei basici T-3 o Fuji KM-2B 'Komadori', una interpretazione dei T-34 che all'epoca era presente in circa 50 esemplari. Naturalmente si trattava di macchine superate, ma i giapponesi avevano pensato anche alla loro sostituzione, come si dirà in seguito. ====Arriva il '104==== Ciò detto, arrivò anche l'era del bisonico Starfighter. Fu nel novembre 1960 che il governo annunciò la partecipazione al programma internazionale che tuttavia, assunse (come già nel caso del Canada) un connotato particolare, con alcune modifiche rispetto al tipo G, che diedero origine al modello J, ovviamente significante Japan. Esso era costruito da un cartello di industrie guidate dalla Mitsubishi. Visto che al Giappone non erano concesse armi offensive in base al trattato di pace, mentre molto del senso dello Starfighter era diventato questo, allora nella versione J si tornò al vecchio ruolo per cui l'F-104 venne pensato: la caccia e intercettazione rapida dei bombardieri. Questi F-104 eran motorizzati dal J79-IHI-11A, così chiamato in quanto costruito dalla Ishikawajima-Harima su licenza. Il sistema d'arma NASARR F-15J-31 era una versione ottimizzata per l'intercettazione e l'uso di missili AIM-9 e cannoni Vulcan, con i primi utilizzabili in 4 esemplari di cui due, eventuali, sotto la fusoliera in un aggancio doppio, che era simile a quelli posti sotto le ali dei Phantom (il che aiuta a capire i problemi pratici di carico delle corte ali dell'F-104). Il primo F-104J venne costruito dalla Lockheed, ed era l' 683-07-14, che volò il 30 giugno 1961, poi seguitono 29 macchine assemblate dalla Mitsubishi con kit americani, e dopo questa fase intermedia, durata fino al 1965. Seguirono altri 178 aerei costruiti di sana pianta in Giappone, il che prese poco tempo tanto che le consegne terminarono nel 1967. Vennero costruiti anche 20 DJ, ma erano tutti costruiti dalla Lochkeed e poi assemblati in Giappone. Nonostante la comunanza di impiantistica, non venne ritenuto conveniente costruirli in Giappone, e le consegne durarono dal luglio 1962 al gennaio 1964, circa 1 aereo al mese. Le consegne consentirono di riequipaggiare le unità intercettori dall'ottobre 1966, con l'201 e 202 Hiko-tai (squadroni) a Chitose e Nyutabaru, i primi di sette unità (201-207 Hikotai). Le perdite furono di 34 aerei monoposto e 2 biposto, circa un settimo del totale, ma a parte le cifre elevate, al dunque il numero di aerei distrutti è risultato molto basso rispetto a molte altre forze aeree. Tra le ragioni, oltre al buon addestramento, il fatto che gli F-104 vennero utilizzati in ruoli meno pesanti rispetto al volo a bassa quota e a tutta manetta in missioni di strike e ricognizione. Dal tardo 1981 arrivarono gli F-15J/DJ e gli F-104 superstiti vennero passati in seconda linea. Questo significò conservarne un centinaio, alcuni dei quali convertiti in drones. Almeno 22 andarono invece a Taiwan. Di sicuro l'F-104J soddisfaceva, grazie alla sua velocità, le esigenze dei giapponesi, che fronteggiavano possibili incursioni aeree sovietiche e cinesi, con la flotta del Pacifico che era stanziata lì vicino. L'elenco delle unità e dei tempi di servizio è il seguente: *201st Hikotai, 2nd Kokudan, Chitose Air Base, Ott 1962-Ott 1974 *202nd Hikotai, 5th Kokudan, Nyutabaru Air Base, 1964-1981 *203rd Hikotai, 2nd Kokudan, Komatsu Air Base, 1965-1983 *204th Hikotai, 5th Kokudan, Tsuiki Air Base, 1964-1984 *205th Hikotai, 6th Kokudan, Komatsu Air Base, 1964-1984 *206th Hikotai, 7th Kokudan, Hyakuri Air Base, 1966-1978 *207th Hikotai, 7th Kokudan, Hyakuri Air Base, 1966-1970 E tra i numeri di serie: 16-5001/5009, 26-8501/8503, 26-8504/8507, 36-5010/5020, 36-8508/8563, 46-8564/8658, 56-8659/8680. La preziosa esperienza di questa produzione non venne dispersa. Gli F-104 vennero sostituiti dai Phantom e infine con gli F-15. ====I Phantom con la 'J'==== Quanto all'era dei Phantom, la JASDF la cominciò con un ordine datato 1 novembre 1968. Si trattava di un aereo 'epurato' dai sistemi d'arma offensivi e quindi di sistemi con l'AN/AJSB-7, il sistema di bombardamento normalmente installato nel Phantom E, che come (stranamente) tutte le generazioni di Mirage, corrispondeva ad una macchina multiruolo, particolarmente adattata per il bombardamento. I primi 2 Phantom vennero costruiti a St. Louis ed erano i 17-8301 e 17-8302. I voli di prova cominciarono dal 14 gennaio 1971. Altri 11 vennero costruiti come componenti dalla MDD, e poi spediti in kit alla Mitsubishi che li assemblò. Volarono dal 12 maggio 1972. Questo, al solito, fu lo schema da cui la Mitsubishi estrapolò le tecnologie e l'esperienza per la produzione su licenza, mentre la MDD ebbe un ritorno in termini di linee di montaggio e ore lavorative di un certo valore. Nonostante l'assenza di aerocisterne nella JASDF gli aerei vennero successivamente alla loro costruzione forniti di ricettacolo per il rifornimento in volo dorsale, che rispetto alla sonda non dà problemi di resistenza aerodinamica e di complessità, ma necessita di un apparato di rifornimento più complesso e preciso, con il cosiddetto 'flying boom' e un'unica postazione di rifornimento per ciascuna aerocisterna. In tutto, altri 127 Phantom vennero costruiti fino al 20 maggio '81, per un totale di 140. Poi arrivarono anche 14 RF-4EJ che vennero costruiti dalla MDD, tra il novembre 1974 e il giugno dell'anno successivo. Il servizio iniziò nell'agosto 1972, e 6 gruppi da 15-20 aerei l'uno vennero equipaggiati. Erano gli Hitokai 301-306, mentre gli RF-4EJ andarono al 501. Nel 1989 vi erano ancora 125 Phantom EJ in servizio, oramai in parte sostituiti dagli F-15. Oramai, dai tardi '80 cominciarono le conversioni allo standard Kai, che significa tradizionalmente, per gli aerei giapponesi, migliorato. Da notare che lo standard Kai presupponeva il radar APG-66J, che deriva da quello dell'F-16. Il Phantom poteva utilizzare anche radar medi, per esempio il Phantom ICE tedesco ha il radar APG-65 dell'F-18. Oltre alla capacità Look Down-Shoot down esistono altre migliorie, come la capacità di sferrare attacchi al suolo, che grazie alla maggiore autonomia sono tutto sommato più efficienti con questi aerei che con gli F-1. Tra gli equipaggiamenti sono segnalati 2 missili ASM-1, ma vi sono anche altre armi 'normali' come pod lanciarazzi e bombe. L'allungamento della vita operativa della cellula arrivò a 5.000 ore, computer da bombardamento, HUD, INSE. Il primo aereo volò così modificato nel 1984 In effetti vennero modificati in pochi anni 96 dei 110 pianificati aerei, entrando in servizio dal 1989 con il 306 Hitokai. Nel frattempo vennero migliorati anche 11 RF-4, il che vide la sostituzione del radar AN/APG-99 con il 172, dotato di processatore d'immagine digitale, mentre il sistema RWR, originariamente l'J/APR-2 (i sistemi americani erano stati omessi per la fornitura), rimpiazzato con l'APR-5. Per rinforzare la piccola forza da ricognizione, 17 dei 26-29 Phantom non aggiornati vennero convertiti come RF-4, e gli ultimi 12 radiati dal servizio. I lavori in questo caso non furono molto rapidi e al 2000 solo 9 aerei erano stati modificati a questo standard da ricognizione. Queste macchine non hanno sistemi di ricognizione interna, pur omettendo il cannone Vulcan, ma hanno pod come il TACER, avanzato sistema da ricognizione elettronica con datalink per la trasmissione dati, il TAC, con sistemi da ricognizione su camere KS-135A e 95B, più il sistema D-500UR ad infrarossi (praticamente una sorta di pod Orpheus), e il pod LOROP, con le camere KS-146B a lungo raggio. Al 1994 solo 3 squadroni di Phantom erano ancora operativi, tutti allo standard Kai: 8, 301 e 302 Hitokai basati rispettivamente a Misawa (3 Kokudan, stormo), Nyutabaru (5 Kokudan), Okinawa (83 Kokutai) . I serial dei Phantom hanno 4 cifre, di cui la seconda è il 7, essendo il numero del tipo di aereo nella JASDF, e il primo numero l'anno di consegna (ultima cifra). I serial costruttivi dei Phantom giapponesi sono invece: 27-8303/8306, 37-8307/8310, 37-8311/8313, 37-8314/8323, 47-8324/8352, (RF)47-6901/6905, (RF) 57-6906/6914, 57-8353/8376, 67-8377/8391, 77-8392/8403, 87-8404/8415, 97-8416/8427, 07-8428/8436, 17-8437/8440. Il Giappone, a seguito della lentezza di costruzione dei F-4, ha dato alla luce gli ultimi Phantom costruiti nel mondo, circa 2 anni dopo che negli USA la produzione era cessata. ====Il Giappone in F.1==== [[Immagine:F-1Support fighter02.jpg|250px|left|thumb|Il cacciabombardiere F-1 nel 2005]]I caccia e addestratori F-1 e T-2 furono i primi supersonici 'quasi giapponesi'. Essi erano molto simili ai Jaguar, e come tali, erano sia previsti come addestratori avanzati supersonici, in stile T-38, che aerei d'attacco supersonici a medio-corto raggio. I T-2 arrivarono per primi, con una specifica del 1966 per rimpiazzare i T-33 e i T-2 (cosa che non avvenne mai nei termini previsti) con il T-X. Il 30 marzo 1968 venne accettata la proposta della Mitsubishi e sotto la supervizione dell'Ing Kanji Ikeda venne approntato il mock-up già nel gennaio 1969. Nel 1970 venne firmato il contratto per due prototipi e una cellula per le prove statiche, e il volo del primo di questi apparecchi avvenne il 20 luglio 1971.Il costo salì rapidamente dai 3,5 milioni di dollari a oltre 5, cosicché il programma venne aspramente criticato. Dopo la realizzazione di 4 prototipi e due cellule statiche, nel 1975 venne autorizzato anche il monoposto d'attacco F-1, che ometteva il secondo abitacolo, perché il muso era sufficientemente grande per ospitare il radar previsto fin dall'inizio. Oltre al nuovo radar di navigazione e attacco venne sistemato un INS Ferranti, radio altimetro computer di gestione carichi bellici e altro ancora. I prototipi ordinati già nel 1972 vennero consegnati dal luglio 1975. A quel punto la denominazione T-2 KAI venne sostituita da F-1. Il velivolo venne ordinato in 31 esemplari T.2 'Koki', 29 T-2A 'Zenki' con dotazione d'armamento simile a quella del F-1 (il tipo base è disarmato). I T-2 vennero consegnati al 21 e 22 Kukotai e alla pattuglia 'Blue Impulse', tutti in carico al 4 Kokutai sulla Matsushima AB. I caccia F-1 vennero ordinati in 18 esemplari nel marzo del '76, altri 8 nel '77, 51 nel '80. Consegne finite il 9 marzo 1987. Sostituirono i Sabre nel 3 e 4 Kokutai. Nel 1983 un T-2 venne modificato come prototipo CCV con stabilità rilassata e controlli BFW. Inoltre, vi è stato un programma di aggiornamento per questi appArecchi con 70 esemplari aggiornati in modo da portare missili ASM-2 e bombe guidate XGCS-1. In ogni caso, un gruppo F-1 dovrebbe essere stato sostituito con uno di F-4Kai nel 1999. Tecnicamente, l'F-1 ha una struttura in alluminio e per il 10% in titanio, usato nel settore di coda, che ha in effetti una struttura a trave di coda sovrapposta ai due motori, con due piani di coda con forte diedro negativo di 15 gradi, mentre la freccia alare è composita variando tra 68 e 35 gradi circa. Nell'insieme si tratta di un aereo con una notevole similarità con il Jaguar, di cui riprende i ruoli, i pesi, i motori (due Adour con postbruciatore). È molto più aggraziato con curvatura costante del muso e della parte anteriore della fusoliera al posto della struttura squadrata dei velivoli europei, con un design molto giapponese. La dotazione avionica comprende un radar di ricerca aria-superficie, un sistema RWR sofisticato del tipo APR-1 capace di analizzare emissioni tra 1 e 18 GHz, pod di disturbo, sistemi d'arma vari tra cui in particolare i missili ASM-1, due dei quali trasportabili sotto le ali. Nonostante tutto, il raggio d'azione è relativamente ridotto, 320 km con 1.8 t di bombe e 2 serbatoi ausiliari a bassa quota, e così il carico bellico, 2722 kg totali, mentre il totale del Jaguar arriva a 3.600-4.700 kg e il raggio d'azione massimo a 1400 km, con 3600 di autonomia di trasferimento. Difficile dire perché il F-1 è valutato così poco in termini di raggio d'azione visto che ha gli stessi motori e 3.800 l di carburante, eppure arriva solo, ufficialmente a 2.600 km in raggio d'azione massimo di trasferimento. Non ha mai avuto sonda per il rifornimento in volo e nell'insieme una macchina calibrata per la difesa della isole giapponesi da navi avversarie, e per addestramento avanzato, anche acrobatico con i 'Blue Impulse', sebbene la piccola ala non è certo ottimale per l'acrobazia stretta, anche se giova alla stabilità. In tutto sono stati costruiti 77 F.1 e 96, di cui 2 prototipi, T-2. Il loro compito era principalmente, per i primi, l'attacco antinave e secondariamente, l'intercettazione (per la quale avevano due missili alle estremità alari, differentemente dai Jaguar e similmente agli F-5, nonché il Vulcan e una limitata capacità del radar), mentre i secondi erano responsabili per le ultime 140 ore di volo del programma addestrativo per i piloti giapponesi. I T-2A erano capaci anche di compiere azioni di combattimento, sia pure limitate. ====Plurimotori: il C-1, l'YS-11 e l'ultimo degli idro giapponesi==== Il Giappone non ha mancato di costruire anche apparecchi per la seconda linea e il pattugliamento. Il C-1 è, come intuibile dalla sigla, il primo tipo di aereo militare da trasporto giapponese. Soprannominato non senza ironia 'l'aereo d'oro' per il suo costo unitario elevato, paga in tal modo la produzione in quantità limitate di un progetto sofisticato e complesso, pensato per sostituire i ben più semplici C-46 Commando. Ma mentre questi avevano solo 2 motori a pistoni da 2000 hp, il loro rimpiazzo ne ebbe 2 del tipo JT-8 da 6575 kgs, per un peso al decollo di 45 t du cui circa 10-11 di carico utile. Non molto, come non molta era l'autonomia a pieno carico di circa 1300 km. Volò nel novembre del 1970 e venne costruito, inclusi i prototipi, in soli 31 esemplari. Uno venne convertito in aereo d'addestramento ECM con la designazione C-1Kai, irto delle antenne e radome del sistema TRDI/Mitsubishi X/JALQ-5, con il sistema vero e proprio nella stiva. Il C-1 ha, dimensionalmente parlando, 30,6 x 29 m e come velocità arriva a 816 kmh. Assieme a questo aereo, vi sono altre 3-4 macchine da addestramento ECM, Elint e altri compiti. Questi sono i biturboelica NAMC YS-11, che volarono a partire dall'agosto del '62. Si trattava di un modello da trasporto biturboelica a medio raggio, costruito in una quantità di tutto rispetto -182- di cui la maggior parte ad utenti civili, ma 23 vennero ceduti alle Forze giapponesi di autodifesa. Nel 1982 1-2 di questi aerei ECM vennero trasformati in apparecchi da spionaggio elettronico e disturbi radar. Il sistema è l'ALR-1 per l'analisi delle emissioni, e disturbatori attivi di vario genere. Gli aerei della versione elettronica 'base' sono designati YS-11E. Le prestazioni e dimensioni sono: 469 kmh a 4570 m, autonomia di 3216 km grazie a 2 motori inglesi R.R. Dart Mk 542-10K da 3100 hp l'uno, con un peso massimo al decollo di 24,5 t e dimensioni di 32 x 26,3 m. Lo Shin-Meiwa PS-1 e la sua versione derivata US-1 sono gli ultimi dei tanti idrovolanti sviluppati in Giappone. Nel 1966 questo tipo di aerei per il settore militare potevano sembrare superati, ma in quell'anno, la ditta in parola, a cui fu assegnato lo sviluppo del nuovo idrovolante, elaborò il progetto, molto avanzato, di un apparecchio da oltre 40 t, capace di volare a velocità estremamente basse in quanto, oltre ai 4 motori a turbina ve n'era un quinto nella fusoliera il cui unico compito era quello di fornire aria ai flap, timone di direzione e di quota, in modo da mantenere efficaci i controlli e sufficiente la portanza anche a velocità a cui la macchina avrebbe dovuto semplicemente stallare fuori controllo. Questo ha reso più ridotti anche i decolli e ammaraggi. Il prototipo SS-2, il primo dei 2, volò nell'ottobre del 1967 e dopo seguirono gli apparecchi della piccola produzione di serie, di 23 esemplari, 19 delle quali a metà degli anni '80 erano ancora operative con il 31 squadrone di Iwakumi. Per la sua missione principale il PS-1 ha ricevuto un radar di scoperta, un MAD e altre apparecchiature. Operava con 10 uomini d'equipaggio, di cui 2 piloti seduti nella piccola e caratteristica cabina di pilotaggio, sistemata sopra la fusoliera e il 'naso' del radome di prua. Altri erano un meccanico, un navigatore, due operatori sonar, un operatore MAD, 2 operatori radar e radio e un coordinatore tattico. Quando si posava in mare, l'aereo, dotato di scafo a doppio gradino per facilitare il distacco dal mare in decollo, apriva un portello ventrale con un sensore sonar filabile da sotto la carena, comportandosi come una vera 'nave volante'. In sostanza operava cercando i sottomarini in aria con il radar o il MAD (e presumibilmente con le boe sonore), e sul mare con il sonar filabile. Per attaccarli non gli mancava l'armamento, con un vano portabombe per 4 ordigni da 149 kg e boe sonore, 2 piloni subalari per due siluri ASW Mk 44 o 46, e se il sottomarino era sorpreso o costretto ad emergere, due lanciatori tripli per razzi HVAR da 127 mm, sufficienti per perforarne lo scafo. Quanto alle altre caratteristiche tecniche, si trattava di una macchina da 26,3-45 t, dimensioni 33,14 x 33,5 x 9,71 m e 135,82 m2 di superficie alare. La motorizzazione era esuberante, con 4 GE T64 costruite su licenza dalla IHI, ciascuna da 3060 hp, sufficienti per una velocità di 547 kmh e un raggio d'azione a bassa quota di 2166 km con il suo pieno carico d'armi di 4 bombe A.S., 2 siluri e 6 razzi più tutte le attrezzature e l'equipaggio. Infine, da notare la configurazione della coda a T, che si accompagnava ad un'ala ovviamente in posizione alta sulla robusta fusoliera. Quanto al carrello, l'aereo era in configurazione semi-anfibia, con un telaio ruotato su cui veniva poggiato a terra e su cui poteva se necessario muoversi con i suoi mezzi, grazie anche alle due ruote poste sui 2 galleggianti sotto le ali. Una ulteriore evoluzione è stata in questo senso un carrello totalmente retrattile, che ha dato alla versione derivata US-1 una capacità anfibia a tutti gli effetti, particolarmente importante se si trattava di raggiungere direttamente un aeroporto terrestre per motivi urgenti. Questi erano dati dal fatto che l'US-1 era un idrovolante da soccorso marittimo, con equipaggio di 9 persone e capacità di caricare fino a 20 naufraghi seduti, o 12 barelle o addirittura 69 passeggeri. Di fatto era un aereo capace di raggiungere in fretta una nave in difficoltà, ammarare vicino anche con cattive condizioni di mare e caricare un numero di persone sufficiente per ospitare l'equipaggio completo di una intera nave mercantile medio-piccola. Naturalmente la macchina era alleggerita di tutte le apparecchiature ASW e conservava solo il radar di prua. La produzione fu di sole otto unità. ====Un F-15 per DJ: gli Eagle giapponesi==== Il Giappone è stato anche il primo e unico Paese a prendersi la briga non solo di comprare ma anche di costruire l'F-15, il nuovo e possente caccia da superiorità aerea americano, degno discendente del Phantom. Dopo una valutazione attorno al giugno 1975 ad Edwards, l'aereo divenne ufficialmente materia d'interesse per i militari giapponesi e nel tardo 1977 venne annunciato dal National Defense Council che quest'aereo era stato selezionato come caccia del futuro per la JASDF. Era costoso da produrre e mantenere, e non dev'essere stata una decisione a cuor leggero, ma di fatto il Giappone in pieno boom economico da anni era in grado di sopportare tale impegno. Questo progetto ebbe naturalmente l'ennesimo nome in codice, 'Progetto Peace Eagle', e si articolò sulla fornitura di 2 monoposto e 12 biposto DJ dalla MDD, e il resto sarebbe stato prodotto in Giappone dalla Mitsubishi a Komaki. [[Immagine:Two JASDF F-15J take off in formation.JPEG|350px|left|thumb|Una coppia di F-15CJ in decollo]] I caccia F-15 giapponesi, che vennero prodotti esclusivamente nel tipo monoposto, vennero forniti ad uno standard simile al tipo C e D, ma senza ECM e RWR, ma questi equipaggiamenti fondamentali non potevano restare omessi, e allora i giapponesi provvidero con i loro apparati nazionali: J/APR-4 e XJ/APQ-1 RWR, e J/ALQ-8 ECM suite, radar warning system. lanciatore per AN/ALE-45 chaff/flare dispenser, mentre il sistema di bombardamento per armi nucleari venne omesso, mentre al tempo stesso vennero consegnate le rastrelliere di bombe MER-200P. Gli aerei erano anche dotati di data-link per collegarsi alla difesa aerea (di fatto l'unico compito che ebbero, rastrelliere di bombe o meno), missili AIM-9 e AIM-7, e qualche tipo giapponese equivalente. I primi, di costruzione MDD vennero fatti volare il 4 giugno 1980, erano i 79-0280 e 281, che nella JASDF sarebbero diventati 02-8801/02. Poi arrivarono altri 8 costruiti negli USA e assemblati in Giappone e infine, il 12-8803 fu il primo caccia costruito in Giappone integralmente, il 26 agossto 1981 volò per la prima volta. Dopo i primi 12 F-15DJ, la produzione venne demandata, anche se erano pochi esemplari, in Giappone. Il servizio cominciò con l'unità sperimentale di Gifu, Honshu, dal marzo '81. Il primo hikotai fu il 202 di Nyutabaru, Kyushu, cominciando l'attività nel 1981-82 e rimpiazzando i vecchi F-104. I Phantom, ben più moderni non vennero invece rimpiazzati subito: solo dal 1987 cominciò la loro sostitutizione, con il 303imo. Ecco le unità con gli F-15 giapponesi: * 201 Hikotai ,2 Kokudan, Chitose: dal 1986, al posto degli F-104J * 202 Hikotai, 5 Kokudan, Nyutabaru: dal 1981, al posto degli F-104J. È l'OCU per questi apparecchi. È stata sciolta nel 2000 e rimpiazzata dal 23 imo Hikotai, sempre di stanza a Nytabaru. * 203 Hikotai, 2 Kokudan, Chitose: dal 1983 al posto degli F-104J * 204 Hikotai, Hyakuri : dal 1984, al posto degli F-104J * 303 Hikotai, 6 Kokudan, Komatsu: dal 1987 al posto degli F-4EJ * 304 Hikotai, 8 Kokudan, Tsuiki: dal 1990, al posto degli F-4EJ * 305 Hikotai, 7 Kokudan, Hyakuri : dal 1993, al posto degli F-4EJ * 6 F-15DJ assegnati al Hiko Kyodotai, che è lo Squadron di 'aggressors' di Nyutabaru, al posto dei T-2 che a quanto pare erano poco potenti come motori, e con un tasso d'incidenti eccessivo. Gli F-15 erano inizialment dotati degli F100-PW-100, poi rimpiazzati, dal 1991, con gli F100-PW-220, meno potenti ma più affidabili. Nondimeno, in circa 20 anni di servizio, appena 8 aerei sono andati persi in incidenti fino al 2000 circa. Questo è ancora più significativo se si considera che in totale ne sono stati costruiti un gran numero, sia pure al solito spalmati in decenni: Al 1991 ve n'erano circa 120, ma in tutto sono poi arrivati a ben 180 più 40 biposto ordinati al 2000, di cui 150 monoposto e 37 biposto effettivamente consegnati, con una forza complessiva di circa 180 apparecchi. La loro importanza, per la JASDF è paragonabile a quella dei Tornado per le aviazioni europee; per esempio, la Luftwaffe, l'AMI e la JASDF hano tutte cominciato con i F-104G/J, poi hanno continuato ognuna per proprio conto: Phantom per LW e giapponesi, F-104S per l'AMI che ne era una sorta di equivalente 'economico'. Poi, come macchina supersonica di terza generazione la LW e l'AMI hanno ricevuto il Tornado, i giapponesi l'F-15. La differenza, essenzialmente è di impostazione: mentre i Tornado tedeschi e italiani sono aerei d'attacco, e per giunta tutti comprati in versioni effettivamente d'attacco o ricognizione, gli F-15 sono caccia e i giapponesi ne hanno comprato solo le versioni effettivamente dedite alla caccia. Dal 1997, con i ritardi dell'F-2 vennero aggiornati gli Eagle giapponesi con lo standard MSIP-II, il che includeva un J/ALW-8, e addirittura un sistema FLIR/IRST che non sono mai stati adottati dai caccia di questo tipo, a parte gli apparati tipo LANTIRN per l'attacco, e i missili di tipo AMRAAM o equivalenti giapponesi. Inizialmente si trattava di 123 aerei per 5 gruppi su 18 apparecchi l'uno più riserve, ma già si parlava di 190 apparecchi. Nel 1989 ve n'erano 120, nel 1991 erano 154, la previsione per il 1992 per 140 aerei (?, forse solo conteggiando le macchine monoposto? O il totale di 132 F-15 del 1991 comprendeva anche le 22 biposto?), per il 1993 163. Alla fine della produzione, il 10 dicembre 1999 vide un totale di 165 F-15J e ben 50 DJ costruiti per la JASDF, leggermente meno del totale preventivato ad un certo punto Questi potenti caccia avrebbero potuto esprimere meglio la loro potenzialità se fossero stati prodotti in tempi più rapidi: ancorché il totale sia imponente e di gran lunga maggiore di altri utilizzatori dell'F-15, la produzione ha visto circa un aereo al mese per circa 20 anni. I sistemi snc. hanno 6 numeri: il primo è l'ultima cifra dell'anno di fornitura, il secondo il tipo di aereo (il 2), il terzo per il ruolo (8, caccia ognitempo), e poi altri 3 numeri per l'aereo di per sé. Ecco i numer degli F-15J: 02-8801/8802, 12-8803, 22-8804/8806, 22-8807/8810, 22-8811/8815, 32-8816/8827, 42-8828/8844, 52-8845/8863, 62-8864/8878, 72-8879/8895, 82-8896/8905, 82-8896/8905, 92-8906/8913, 02-8914/8922, 12-8923/8928, 22-8929/8940, 32-8941/8943, 42-8944/8950, 52-8951/8957 , 62-8958/8959, 72-8960. Notare che differentemente dagli F-4EJ e similmente agli F-104J, gli F-15 sono noti come J/DJ, non sono cioè la versione giapponese della versione americana equivalente (originariamente doveva essere la A e B, poi in pratica C e D), ma la giapponesizzazione del progetto del caccia di per sé, senza una diretta corrispondenxa in termini di versioni con quelle USA, il che presuppone che sia stato utilizzata una riprogettazione più profonda e quindi meno definibile. ====L'ultimo Mitsubishi: l'F-2==== L'F-2 era il successore dell'F-1, ma stavolta non si trattava del clone di un aereo d'attacco, ma di un caccia multiruolo: l'F-16. Tutto iniziò nel 1982, con l'annuncio ufficiale del Governo per un nuovo caccia successore dell'F-1, e ne derivò il NFSA, oFS-X. Dopo avere valutato opzioni del tutto nazionali, l'F-16, l'F-18, il Tornado, tutti demandati per utilizzare in ogni caso i missili antinave ASM-1 e i datalink di tipo giapponese. Ufficialmente vennero emessi i requisiti per il nuovo aereo il 22 novembre 1985, con la direttiva di avere 2-4 missili antinave, o altrettanti AAM, raggio d'azione di circa 830 km. Nonostante le tante macchine disponibili, non ne vennero individuate di già esistenti, e venne deciso di realizzare un nuovo aereo di concezione giapponese, suscitando proteste da parte soprattutto degli USA, che premettero per far riconsiderare la decisione, anche perché vi era già un pesante deficit commerciale verso il Giappone. Aprile 1986, venne riconsiderata la questione, e tutti gli offerenti ritornarono alla carica. Eliminato il Tornado, che era stato considerato 'difficile' per via della collaborazione con un programma europeo, che non era nello 'standard' dei giapponesi. Eppure, avevano messo in servizio una sorta di clone del Jaguar, forse non furono soddisfatti della collaborazione all'epoca ottenuta dagli europei? L'F-18 seguì nella serie dei 'cestinati' essendo troppo costoso. Alla fine, l'11 settembre dell'87 venne ridotta la partecipazione tra l'F-15-16 e un aereo 'indigeno', un po' come i taiwanesi con l'IDF stavano all'epoca tentando di dare vita ad un nuovo aereo da combattimento nazionale. Il 21 ottobre venne trovata la soluzione che salvava salomonicamente capra e cavoli: venne scelto un modello che sarebbe stato co-sviluppato con la GD, che avrebbe fornito alla Mitsubishi un grande ammontare di tecnologie, tanto che la cosa venne criticata all'epoca. Ma per 130 caccia FS-X programmati all'epoca, si trattava di un gioco che valeva la candela. Il lavoro sarebbe stato di competenza GD per il 40%, e per il 60 per la Mitsubishi Heavy Industries. Questa ebbe la responsabilità per la fusoliera anteriore e assemblaggio finale, la Kawasaki ebbe responsabilità per la fusoliera centrale, la Fuji per il radome e le prese d'aria, oltre che per parte dell'ala e altre parti ancora. I motori sarebbero stati gli F-110GE-129 prodotti su licenza dalla Ishikawajima-Harima ed erano, gli stessi dell'F-16 Block 50. E non era un caso: l'intero progetto somigliava 'molto' ad un F-16, tanto che se ne faticherebbe a distinguere le differenze. È per molti aspetti la stessa cosa che è accaduta a Taiwan e Corea del Sud con i loro progetti autoctoni. L'FS_X/F-2 avrebbe dovuto essere dotato di alette sotto la presa d'aria tipo quelle dell'F-16CCV o dell'AFTI F-16, ma poi non ha avuto seguito dopo l'11 dicembre 1991, per ridurre resistenza e peso. Detto questo, le differenze tra l'F-2 e l'F-16 erano molte, con una nuova ala più grande, larga circa 1 metro più che quella del Fighting Falcon e con maggiore corda per un totale del 25% di superficie in più, il che aiuta a ridurre il carico alare e ad alloggiare i punti d'aggancio subalari. Anche le superfici di coda sono più grandi, del 20%, e abbastanza naturalmente anche la fusoliera lo è, di circa 15 cm di lunghezza in più (15,3 m totali). Ma è il tettuccio la maggiore differenza: ha struttura rinforzata per resistere all'impatto con i volatili, il che ha significato un parabrezza separato, similmente all'F-18 Hornet: niente sorpresa, visto che entrambi sono considerati macchine multiruolo con importanza notevole per l'attacco al suolo. Il tettuccio dell'F-2 dà l'idea di essere più basso e di disegno più aggressivo rispetto alla 'bolla' dell'F-16. Il peso previsto al massimo è di circa 22.500 kg, ben maggiore di quello di circa 19 t degli ultimi F-16C americani. Nell'insieme, si tratta di un progetto che ha seguito molto della filosofia di 'ingrandimento' che avrebbe poi avuto l'F-18. Naturalmente, la vera differenza è l'avionica, che i giapponesi hanno fornito senza risparmi, del più alto livello possibile: radar phased array attivo come sensore principale, un qualcosa di straordinariamente avanzato per l'epoca, fornito dalla Mitsubishi Electric, display LCD della Yokogawa, un HUD olografico della Shimadzu, sistema ECM integrato della Mitsubishi. Per gli anni '90 si trattava di un qualcosa di straordinario, specie considerando che si tratta di un caccia leggero, e all'epoca anche le nazioni NATO erano più che fortunate ad avere radar APG-66 migliorati e APG-65. Anche i sistemi INS e computer di missione erano giapponesi. Infine vi erano i sistemi di pilotaggio HOTAS. Il carburante interno è di circa 1043 galloni americani per il caccia nella versione biposto, 1225 per il monoposto, molto più che nel caso dell'F-16. Armi come gli ASM-1 e 2 (con guida IR e turbogetto, che permette di raddoppiare il raggio d'azione a oltre 100 km), missili AIM-7F e M, AIM-9L, e nuovi missili giapponesi: l'AAM-3 a corto raggio, e AAM-4 a lungo. Cannoni JM61A1 erano previsti come armi interne. Tutto questo, però, non ha reso possibile un rapido ed economico sviluppo. Al 1992 la spesa arrivava a oltre 250 miliardi di yen, ovvero oltre 2300 miliardi di lire, già prima di portare la produzione al livello di prototipo si era giunti a quasi 20 miliardi di lire per aereo. Il prototipo 63-001 uscì dagli stabilimenti della Mitsubishi il 13 gennaio 1995 ma volò solo il 7 ottobre, per 38 minuti, mentre il secondo prototipo volò il 13 dicembre 1996. Sempre quell'anno arrivò la denominazione ufficiale di F-2 e F-2B per il biposto. Entro il 1998 i test dovevano essere finiti, ma fenomeni di flutter e di rotture nelle ali dei 4 prototipi consegnati alla base sperimentale di Gifu causarono ritardi, e altri problemi continuarono a manifestarsi. In tutto erano previsti fino a 141 aerei, con entrata in servizio nel 2001. Erano previsti anche 11 aerei per i 'blue Impulse', ma poi nel 1997 questo venne omesso dalla pianificazione, così il totale scese a 130, nel tentativo di ridurre i costi astronomici del programma. Nel frattempo, i vecchi F-1 cominciarono ad essere ritirati dal servizio senza aspettare l'arrivo degli F-2, due decadi dopo l'avvio del programma. Chiaramente, se il management non fosse stato così nebuloso, con i giapponesi insoddisfatti di tutte le macchine disponibili che pure erano delle 'signore' macchine, ovvero F-16, F-18 e Tornado, e gli americani non fossero stati tanto duri nel proporre i loro apparecchi facendo 'indigenizzare' quello che in sostanza era l'F-16, con un processo poi tristemente replicato con il Super Hornet. ====T-4==== [[Immagine:Hyakuri biT-4.JPG|250px|left|thumb|Il T-4 con i Blue Impulse]] Nel frattempo è entrato in produzione un nuovo addestratore, il Kawasaki T-4. Questo aereo, originariamente noto come K-850, poi ebbe uno sviluppo che si potrebbe definire pan-nipponico, perché la Fuji e la Mitsubishi entrarono nel programma ciascuna col 30% del programma, senza contare la Hishikawa che costruì il motore. Il velivolo derivatone volò come prototipo nel 1985, a luglio. Ne erano previsti ben 200 esemplari, tutti per il mercato interno, che avrebbero sostituito i Fuji T-1 del 13° Stormo ad Ashiya e i T-33 del 1° Stormo di Hamamatsu. L'aereo ha una struttura moderna, e tanto per cambiare somiglia molto ad un apparecchio europeo, l'Alpha Jet, ma ha struttura, specie per il muso, più massiccia e meno appuntita, simile a quella dell'Hawk britannico. Questo apparecchio, che ha ripreso elementi importanti dai due più eminenti tra i nuovi addestratori intermedi mondiali è nell'insieme un velivolo moderno e assai potente. [[Immagine:Blue_Impulse_T-4.jpg|250px|left|thumb|Il T-4]] È motorizzato da due Hiskikawa F3-IHI-30, da 1665 kgs, con scarichi dietro le ali, ma non quanto nell'Alpha Jet, rispetto a cui il T-4 presenta una potenza maggiore di almeno 600 kgs. Provvisto di ala alta e di due motori di media potenza turbofan, somiglia molto all'Alpha Jet. Il peso è di 7500 kg contro 7250, la superficie alare di 21,6 m² contro 17,5 e quindi l'aereo giapponese ha sia un carico alare minore che un miglior rapporto potenza peso, nondimeno non pare avere prestazioni maggiori, anzi leggermente inferiori. IL carico bellico, su 4 piloni, è di 900 kg, molto meno, ma d'altro canto all'aereo non sono richieste capacità belliche particolarmente rilevanti, giusto un armamento basico per addestramento dei piloti. Le dimensioni sono di 9,9 x 13 m (contro 9,11 e 12,29 m per il leggermente più piccolo A. Jet). [[Categoria:Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo|Giappone]] a2r098eynhpi35pht4oug0nwdfu1jn0 Elettronica pratica/CMOS 0 19172 430784 428129 2022-07-21T15:20:29Z 95.236.228.180 Corretto: "costruzione" wikitext text/x-wiki {{Elettronica pratica}} ==CMOS== La tecnologia [[w:CMOS|CMOS]] sta per '''C'''omplementary '''M'''etal '''O'''xide '''S'''emiconductor. La parte del nome ''Metal Oxide Semiconductor'' fa riferimento al metodo di costruzione del componente con tecnologia FET (Field Effect Transistor - transistore ad effetto campo), e ''Complementary'' significa che il CMOS usa entrambi i transistori cioè sia il tipo "NMOS" che il tipo "PMOS". I progetti più datati fanno ricorso solamente a transistori del tipo "N", e ci si riferisce a loro come [[w:Logica NMOS|Logica NMOS]]. I transistori ad effetto campo del tipo NMOS sono attivi (conducono) quando la loro tensione in entrata è alta, mentre quelli del tipo PMOS sono attivi quando la loro tensione è bassa. Tutte le porte del tipo CMOS sono strutturate in due parti: la rete "pull-up" (PUN), strutturata con transistori del tipo "P" e connessa alla sorgente; e la rete "pull down" (PDN), costruita con transistori del tipo "N" e connessa a terra (pure chiamata scarico). Le due parti sono duali logicamente l'una dell'altra, cosicché se la PUN è attiva, allora la PDN è inattiva, e viceversa. In questo modo non ci può essere mai un collegamento diretto tra la sorgente e la terra (in qualsiasi condizione stazionaria). Il maggiore vantaggio del CMOS sul NMOS è quello che il CMOS ha una variazione rapida sia da "alto-a-basso" sia da "basso-a-alto". Il tipo NMOS invece transita da "basso-a-alto" solo lentamente, (poiché usa un resistore al posto di un PUN), e giacché la velocità totale del circuito deve tenere conto del caso peggiore, i circuiti NMOS risultano molto più lenti. ==Porte logiche== ====NOT==== [[Image:Not-gate-en.png]] Il circuito più semplice CMOS è la porta NOT, o invertitore. Sebbene in maniera semplificata evidenziamo la struttura basica della porta NOT:un ingresso che è collegato a delle reti di due transistori, un transistore tipo-p, sollevante, collegato alla sorgente di alimentazione e un transistore tip-n ,abbassante, collegato a terra, ed una uscita che è alimentata sia dal transistore tipo-p che dal transistore tipo-n. Quando la tensione d'ingresso è "high" (alta), il transistore tipo-b è inattivo, ed il transistore tipo-n è attivo. Ciò crea una connessione fra la terra e l'uscita della porta, che sospinge l'uscita della porta verso il "basso" (low). Per contro, quando la tensione d'ingresso è "bassa", il transistore tipo-b è invece attivo, creando una connessione fra l'uscita e la sorgente di alimentazione, che sospinge l'uscita verso l' "alto". {| border="1" rules="1" |- ! Entrata <th>Uscita |- | 0 || 1 |- | 1 || 0 |} ====NAND==== [[image:NAND ANSI.svg|NAND symbol]] Benché la porta NOT sia importante, e semplice, non ci consente di fare molto. NAND tuttavia, pur essendo molto semplice,ci consente di eseguire qualsiasi operazione Booleana che si possa immaginare. La "rete alzante" per la porta NAND consiste di un paio di transistori tipo-p in parallelo, alimentati uno con l'entrata A e l'altro con l'entrata B. Pertanto la rete sollevante è attiva, e l'uscita della porta è "alta", fino a quando l'una o l'altra di queste entrate è "bassa". La "rete abbassante" per la porta NAND consiste di un paio di transistori tipo-n in serie, pure ciascuno alimentato da una delle due entrate. Perciò la "rete abbassante" è attiva, e l'uscita della porta è "bassa", solo se entrambe le entrate sono "alte". {| border="1" rules="1" |- ! Entrata A <th>Entrata B ! Uscita |- | 0 || 0 || 1 |- | 0 || 1 || 1 |- | 1 || 0 || 1 |- | 1 || 1 || 0 |} ====AND==== [[image:AND ANSI.svg|AND symbol]] Una porta AND del tipo CMOS viene costruita pilotando una porta NOT con l'uscita di una porta NAND. {| border="1" rules="1" |- ! Entrata 1 <th>Uscita 2 ! Uscita |- | 0 || 0 || 0 |- | 0 || 1 || 0 |- | 1 || 0 || 0 |- | 1 || 1 || 1 |} ====NOR==== [[image:NOR ANSI.svg|NOR symbol]] "Capovolta" rispetto alla porta NAND, la porta NOR è ottenuta da una rete sollevante di due transistori tipo-p in serie e una rete abbassante di due transistori tipo-n in parallelo. {| border="1" rules="1" |- ! Entrata 1 <th>Entrata 2 ! Uscita |- | 0 || 0 || 1 |- | 0 || 1 || 0 |- | 1 || 0 || 0 |- | 1 || 1 || 0 |} ====OR==== [[image:OR ANSI.svg|OR symbol]] As AND is to NAND, OR is to NOR. CMOS OR is constructed by feeding the output of NOR to a NOT gate. {| border="1" rules="1" |- ! Entrata 1 <th>Entrata 2 ! Uscita |- | 0 || 0 || 0 |- | 0 || 1 || 1 |- | 1 || 0 || 1 |- | 1 || 1 || 1 |} ====XNOR==== [[image:XNOR ANSI.svg|XNOR symbol]] Una porta logica XNOR può venire costruita con 4 porte NOR realizzando l'espressione "(A NOR N) NOR (B NOR N) where N = A NOR B". {| align=center style="text-align:center" !width=150|porta da realizzare!!width=150| Costruzione |- |[[Image:XNOR ANSI Labelled.svg]]||[[Image:XNOR from NOR.svg]] |- |colspan=2 align=center| {| class='prettytable' style="text-align:center" align=center |+Tavola della verità ! Entrata A !! Entrata B !! !! Uscita Q |- | 0 || 0 || || 1 |- | 0 || 1 || || 0 |- | 1 || 0 || || 0 |- | 1 || 1 || || 1 |} |} ====XOR==== [[image:XOR ANSI.svg|XOR symbol]] Se avete seguito attentamente, potete immaginare che una porta [[w:disgiunzione esclusiva|XOR]] possa essere fatta attaccando una porta NOT alla fine di una porta XNOR; anche se ciò suole produrre un circuito corretto, non è il circuito più efficiente. Invece, si possono usare i medesimi 12 transistori e semplicemente spostare i fili. Vene lasciato ciò come esercizio per il lettore. {| border="1" rules="1" |- ! Entrata1 <th>Entrata 2 ! Uscita |- | 0 || 0 || 0 |- | 0 || 1 || 1 |- | 1 || 0 || 1 |- | 1 || 1 || 0 |} [[Categoria:Elettronica pratica|CMOS]] {{Avanzamento|100%|14 febbraio 2009}} 4nsz708ml0vxe48pv7x06m2tqc7jr5q Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Unione sovietica-9 0 23631 430795 428405 2022-07-21T22:59:24Z 95.236.228.180 Corretto: "dalle sale" wikitext text/x-wiki {{Forze armate mondiali}} ===Navi d'attacco missilistiche<ref>Shlyakthenko A: ''Lampi sui Mari'' RID set 1995 p. 30-33</ref>=== L'URSS si cominciò ad interessare precocemente della guerra missilistica navale, come antidoto alla superiorità occidentale, specie in termini di portaerei e gruppi anfibi. L'era missilistica era allettante e poteva condensare la potenza di fuoco di una salva di corazzata in uno scafo da motosilurante, e con maggiori probabilità di colpire. Questo diede luogo ai nuovi progetti di unità d'attacco, che sostituivano i poco efficienti siluri (però adesso erano disponibili armi autoguidate o filoguidate, un notevolissimo progresso rispetto ai tipi 'bruti', a corsa rettilina o pre-programmata). Così si passò, esattamente sullo stesso scafo delle motosiluranti P6, dall'era silurante a quella missilistica: al posto di 5 siluri da 533, 2 missili Styx. Non fu una cosa semplice, ma A.Y. Berezniak, il Capo progettista, aveva lavorato con Isaiev durante la guerra al cacica a razzo BI-1 e forte di quest'esperienza progettò poi il grosso P-15, un missile antinave da crociera della classe delle 2 tonnellate, comunque più piccolo del precedente sistema noto come SS-N-1 Scrubber. Subito ci si concentrò nello sviluppo della relativa piattaforma, la quale venne curata dal dal TsKB-5 DB, con la guida di Y.I. Yukhin. Il risultato fu il progetto 183R chiamate '''KOMAR''' (zanzara)in ambito NATO, che era ancora la vecchia motosilurante co scafo in legno, ma trasformata in unità missilistica con due hangar di lancio per i grossi missili P-15, ovvero gli SS-N-2 Styx per la NATO, nella loro versione primigenia A. Di queste unità ne vennero costruite moltissime, inclusa la versione cinese 'Hegu', con scafo allungato e raddoppio della postazione contraerei, che adesso era sia a prua che a poppa, dotata in entrambi i casi delle potenti mitragliere da 25 mm rimaste circoscritte alla Marina. Il TsKB-5 sapeva che queste navi erano sì economiche e una buona base di sviluppo per il futuro, ma non era certo questo il massimo a cui si poteva aspirare, soprattutto perché erano vulnerabili agli attacchi aerei, che nell'era dei jet diventavano particolarmente pericolosi. La Marina sovietica ne era a sua volta pienamente al corrente e valutava che le cose, in caso di guerra, andassero così: era necessario lanciare 12 P-15 per colpire con 1-2 missili un caccia NATO, e questo significava mobilitare flottiglie di 6 cannoniere l'una; ma per farle giungere in zona operativa era necessario prevedere anche le reazioni della NATO, così che solo una flottiglia su tre avrebbe potuto ingaggiare combattimento senza essere colpita prima. Questo significava ben 18 navi inviate in azione per affondare un cacciatorpediniere, e con la perdita di parecchie delle attaccanti. Era chiaramente una previsione scoraggiante, ma era anche il meglio che ci si potesse permettere all'epoca. In ogni caso, le flottiglie di siluranti rimasero a lungo in servizio, in genere in azione assieme ai tipi missilistici. Le cose nella realtà andarono diversamente: contro il caccia EILAT, affondato il 21 ottobre 1967, entrarono in azione solo 2 di queste unità,, che spararono senza nemmeno uscire da Port Said contro il caccia, che era a circa 17 km di distanza. Ben 3 missili su 4 tirati fecero centro. [[File:Osa-I_class_Project205_DN-SN-84-01770.jpg|320px|right|]] Per risultati migliori era già stato realizzato un progetto ben più potente, il 205. Questo era il tipo '''Osa''' (vespa). Mentre le 'Komar' erano in termini di dislocamenteo unità modeste, da circa 60 t (in questo si può dire che le uniche altre unità così piccole erano le 'Sparviero', aliscafi missilistici in servizio nella MM e poi anche nella Marina giapponese), le 205 erano navi più marine, con stazza triplicata e lunghezza dello scafo di circa 40 m, sagoma bassa e compatta, 4 missili e 2 torrette di nuovo tipo, radar-guidate, del tipo AK-230, in calibro 30 mm. Erano presumibilmente le prime CIWS del mondo e vennero pensate per un impiego del tutto automatico. Nel 1957-70 Leningrado, Vladivostok e Rybinsk realizzarono oltre 400 navi, esportate in 22 Paesi e prodotte anche dai Cinesi in oltre 100 esemplari, come degni successori delle 'Hegu'. Queste navi dimostrarono la loro validità nella guerra del 1971, quando intercettarono, come vera e propria task force navale e non come batterie galleggianti costiere, varie navi pakistane, tra cui il caccia Kheyber, affondato con due missili a segno; per poi attaccare direttamente Karachi distruggendo varie navi e serbatoi di petrolio. In tutto, ben 11 missili su 12 lanciati in varie notti di attacchi fecero centro. [[File:JSC_Zvezda_M503_l.jpg|250px|left|thumb|Il potente motore diesel delle Osa era di configurazione stellare, similmente ai tipi aeronautici degli anni '30]] Come si vede, la percentuale di colpi a segno era stata sottovalutata: per affondare un caccia di vecchio tipo (ma all'epoca c'era poco da scegliere, anche le nuove navi erano in genere prive di ECM) poteva bastare una 'Komar' e bastava e avanzava una 'Osa'. I Sovietici, del resto, avevano stimato che per ottenere lo stesso successo di tre flottiglie di 'Komar' ne bastavano due di 'Osa', ciascuna costituita da 3 navi. Questo significava solo 6 navi contro ben 18. Ciò comportava una semplificazione della coordinazione delle operazioni in mare, agevolate anche dalla migliore dotazione elettronica e qualità nautiche delle Pr. 205. Ecco perché, al dunque, esse erano così ben considerate: il rapporto costo efficacia e le possibilità di sopravvivenza erano superiori rispetto alle precedenti 'Komar', così come l'utilizzabilità anche con mare grosso. Infatti si trattava di navi dalle migliori doti nautiche, con i lanciamissili meglio protetti dagli effetti delle grandi ondate, pericolose per i missili delle 'Komar'. Tuttavia nel 1971 le 'Osa' denunciarono dei problemi ai motori anche seri, e nel 1973 la cosa era anche peggiore. La Marina israeliana si prese la rivincita, specie in scontri come quelli di Lakatia. Le navi arabe avevano i P-15 con una portata doppia rispetto ai missili Gabriel israeliani, per non parlare dei cannoni da 76 mm, e le particolari condizioni di propagazione radar consentivano di lanciare i missili alla massima distanza, anche 'oltre orizzonte' (più di 40 km). Questo però non bastò di fronte alle navi israeliane, che erano state pensate con alcuni accorgimenti stealth, manovravano veloci e non si lasciavano sorprendere dagli attacchi avendo sistemi ESM e ECM di disturbo attivo, più lanciatori di chaff. Il tutto fece sì che nessuno dei 52 missili tra AS-5 (aviolanciati da Tu-16) e Styx trovasse il suo bersaglio, anche perché qualcuno venne abbattuto dai sistemi di difesa e altri deviati da malfunzionamenti, ma soprattutto dalle tattiche e tecnologie delle piccole e ben equipaggiate navi israeliane. Le 'Osa' erano pensate soprattutto per attaccare grosse navi e le piccole unità d'attacco non erano contemplate come avversari diretti. Peggio che mai, finiti i missili, i battelli arabi si ritrovarono impossibilitati anche a scappare, visto che i loro potenti motori diesel avevano noie meccaniche che impedivano di superare i 24 nodi anziché 38 di progetto. Così non riuscirono a vincere contro le navi israeliane, non riuscirono a scappare e con i loro cannoni da 30 mm tantomeno riuscirono a combattere contro i cannoni da 76 delle 'Saar'. C'era poi da rilevare la minaccia degli elicotteri e aerei dotati di missili aria-superficie e controcarri, che potevano sparare facilmente da oltre i 2,5 km di raggio utile dei cannoni di bordo (anche se talvolta integrati dai lanciatori SA-7 portatili). Le OSA II, successive alle precedenti e dotate di motori più potenti, da 5.000 anziché 4.000 hp, introducevano alcuni miglioramenti e spesso i lanciamissili quadrinati Strela per aumentare la difesa ravvicinata (ed essendo armi a guida IR, non era affatto difficile nemmeno tentare l'ingaggio di altre unità navali, specie se queste cominciavano a sparare con le armi di bordo, diventando notevolmente 'calde'). Il versatile scafo delle 'Osa', almeno tenendo conto delle loro dimensioni e stazza, era suscettibile di ulteriori impieghi. Ne sono state così realizzate diverse 'variazioni sul tema'. Uno di questi fu il poco diffuso Project 206-MR "Vikhr'", ovvero la Classe R-27 ovvero, per la NATO, la MATKA. Si trattava di una semplice variazione sul tema degli aliscafi, aggiungendo due alette laterali allo scafo delle 'OSA'. Gli aliscafi hanno costi di gestione elevati, ma in questo caso non di molto; le loro capacità di carico sono maggiori rispetto a quelle delle navi normali, e così la velocità. Qui si arrivava a circa 42 nodi, ma soprattutto, c'era la possibilità di usare anche i cannoni da 76 mm AK-176, che vedremo poi. I missili erano gli Styx ultima edizione, in genere ridotti a 2 esemplari; erano un po' pochi, ma il cambio con un cannone da 76 mm e un CIWS da 30 mm era piuttosto vantaggioso, mentre la plancia veniva rialzata notevolmente per non essere ostacolata dal grosso cannone di prua. Nell'insieme ne vennero costruite poche (una ventina), in attesa di qualcosa di più potente. Un' ulteriore filiazione fu la motosilurante tipo 'Shersen', dallo scafo simile ma più piccolo. Così si fece il percorso inverso, sia pure piuttosto fuori dall'epoca 'giusta'; si era partiti con le unità missilistiche derivate da quelle silurantei P6, e adesso si prendevano le 'Osa' per farne delle motosiluranti (ma in scala ridotta, con scafo da circa 35 m). La classe 'Shersen' venne anche trasformata in aliscafo, diventando la 'Turya', circa 30 esemplari per l'URSS e 6 per Cuba (modificati per i soli siluri antinave); le Turya, simili alle Matcka ma con armamento diverso (4 TLS, cannone binato da 57 e binato da 25) erano destinate soprattutto all'intervento veloce in azioni ASW, piuttosto che per attacchi siluranti a grandi navi. Infine non mancarono i pattugliatori 'Stenka', sulla base dei Shersen, armati con i cannoni da 30 mm e talvolta siluri e apparecchiature ASW, come il sonar filabile simile a quello dei Ka-25. Visto che era necessario ottenere una nave più versatile di questi piccoli scafi, venne messo mano al Progetto 1241 MOLNIYA (folgore), iniziato nel 1970 e completato a Leningrado su direzione del TsMKB Almaz (e il solito Yukhin). Questa nave era capace di operazioni complesse, avendo un costo maggiore e un dislocamento più che doppio, eppure ancora con lo stesso numero di missili (ma in lanciatori doppi e non più singoli), con motori COGAG su 2 turbine da 4000 hp e altrettanti assi per la crociera e 2 da 12.000 hp per gli spunti di velocità, il tutto di derivazione aeronautica, come del resto lo erano i diesel delle siluranti precedenti, ricavato dai Mikulin AM-34 dei TB-3. La potenza dei motori era sufficiente per 43 nodi con autonomia (invero ridotta) di 1.600 nm a 12-14 nodi o 10 gg di mare. Lo scafo in acciaio è a ponte continuo, le sovrastrutture in lega leggera. Le dimensioni dello scafo erano di 56,1 x 10,2 m, dislocamento di 385-455 t, immersione di 2,2 m ed equipaggio di 38 uomini di cui 5 ufficiali. [[File:Pr.12411T.jpg|380px|right|]] L'apparizione di queste unità era un rebus per la NATO perché non se ne capiva la distribuzione e il senso, infatti erano meno avanzate e più piccole delle precedenti Nanuckha. Ma queste erano corvette concepite con criteri diversi e non dei successori delle 'Osa'. Il loro armamento era la ragione dell'aumento della stazza e delle dimensioni. I missili SS-N-11 (designazione NATO) erano i P-21 e 22, versioni radar e IR del precedente P-15 e 20. Questo missile, noto anche come SS-N 2C, aumentava la massa a 2,5 t e la lunghezza, ottenendo una portata di ben 80 km. Era grossomodo la versione di superficie dell'SS-N-7 lanciato dai sottomarini 'Charlie' (P. 670). La lunghezza di 6,5 m e il diametro di 75 cm, la solita testata da ben 500 kg erano chiaramente diversi dai piccoli missili occidentali, ma come questi, il nuovo sistema aveva dei miglioramenti soprattutto nell'intelligenza artificiale. Ergo, un nuovo sistema di guida consentiva di scendere molto di quota: anziché 120-250 m, difficili da considerare 'a volo radente', il missile era in grado di viaggiare a 25-30 m, il che riduceva anche molto l'evidenza del suo grosso motore a razzo, che era ben visibile all'IR e al visibile (la vampa del motore e la scia); non solo, ma in avvicinamento finale poteva scendere fino a 2,5 m, mettendo in crisi anche molti sistemi d'arma difensivi delle unità NATO, spesso inefficaci sotto i 15-30 m. Il suo sistema di guida era soddisfacente, essendo un tipo radar avanzato resistente alle ECM oppure uno del tipo IR. Ma erano i cannoni la differenza che giustificava l'aumento di stazza: la torretta a prua, in assonanza ai tipi occidentali armati di cannone OTO (o anche di Bofors da 57 mm) era armata con un nuovo cannone, l'AK-176, il primo pezzo super-rapido in questo calibro arrivando ad almeno 120 c.min ed essendo efficace (tirando in media una ventina di colpi per ingaggio) anche contro i missili antinave, anche perché, differentemente dai pezzi sovietici da 57 mm, era capace di sparare anche proiettili con spoletta di prossimità. L'alzo era tra -10 e +85°, il brandeggio di 326° complessivi, limitato solo dalle sovrastrutture e dai lanciamissili ai loro lati. La gittata arrivava a 15,7 km e c'erano 152 colpi disponibili del tipo HE e contraerei. Essi sono meno pesanti dei tipi occidentali, 5,9 vs 6,3 kg, ma sono sparabili a ben 980 m/s anziché circa 900. Vi sono modalità di sparo sia comandate con il radar Vympel MR-123, che con il mirino della torre in controllo locale; per questo essa è più grossa della OTO, avendo conservato il posto di combattimento per un cannoniere (peso totale 10 t circa vs 7,5). Per la difesa CIWS vi sono anche due torrette AK-630 da 30 mm con raffreddamento ad acqua, cadenza di 5.000 c.min e alzo tra -18 e +88°, con riserva di 2.000 colpi e campo di tiro di 180°. Sistemate dietro il fumaiolo, sono dirette dal radar di tiro anteriore (non esiste un radar specifico per loro), il tipo noto come 'Bass Tilt' (il precedente Drum Tilt era invece in un'alta piattaforma poppiera, controllando da lì entrambe le torrette dato che era capace di un arco di visione comunque elevato). Vi sono poi anche SAM, che nell'ambito delle limitate capacità di carico sono costituiti da missili Strela-2M o -3M, figli dell'OKB di Nepobedimy; lo Strela 3M raggiunge distanze tra 500 e 5.000 m, altezza tra 10 e 3.500 m e sensore refrigerato, con capacità ECCM e anche ingaggio contro bersagli in avvicinamento. Vi sono due lanciatori quadrupli a poppa, piuttosto compatti, che sono dotati di 16 missili, metà pronti al lancio e metà in riserva. Dietro, nella poppa a specchio, vi sono gli scarichi delle turbine. I sistemi elettronici sono un radar di scoperta, uno per navigazione, uno per il controllo del tiro, sistemi IFF, EW e comunicazioni. Le 'Osa' erano meno armate e meno equipaggiate, soprattutto però nella guerra del Kippur le navi arabe erano prive dei sistemi di disturbo che avrebbero causato problemi di tecnologie se fossero caduti nelle mani israeliane. Così invece, furono le 'Osa' ad andare a fondo per la loro mancanza. Molto meno diffusi dei precedenti tipi, le 'Tarantul' (nome NATO) ebbero 23 ordini per la Marina sovietica, più quelli del Progetto 1241IRE per l'export, per la DDR, India, Romania, Bulgaria, Yemen e Polonia (nel periodo 983-92). [[File:Pr.12411M2.jpg|380px|right|]] In seguito l'evoluzione vide nella sala macchine prodiera due motori diesel M-510 da 5.000 cv a 2.000 giri/min (sono motori da ben 56 cilindri, radiali: un qualcosa di ben diverso rispetto ai tipi occidentali che al massimo arrivano a 20), quelli usati per le 'Osa'; il motore CODAG consente così una velocità inferiore, 41 nodi, ma l'autonomia aumentava del 50%, a 2.400 miglia. Era vantaggioso, soprattutto alle andature di crociera, inadatte per la resa termodinamica delle turbine. Questa era la 'Tarantul II', mentre la 'Tarantul III' ebbe i missili antinave di nuova generazione. Costruita a Leningrado dal 1981, sostituiva i missili Styx con i nuovi e formidabili ZM-80, ergo gli SS-N 22 in una versione specifica per risultare compatibile con le piccole navi d'attacco. Progettato dal Raduga OKB (capo progettista I. S: Seleznev), è un'arma da 3,950 t con testata bellica di 300 kg e gittata di 120 km, ma soprattutto, grazie al motore a statoreattore, permette di attaccare a velocità di circa mach 2, attaccando a velocità anche maggiori. Vola ad appena 20 m di quota, ma nella fase finale d'attacco arriva ad appena 7, inoltre può anche manovrare ad S per evitare di essere inquadrato troppo facilmente. La sua velocità è tale da renderlo quasi inintercettabile persino da sistemi difensivi come l'AEGIS e può spezzare in due una nave colpita grazie ad un'energia cinetica circa 20 volte maggiore rispetto a quella di un Exocet (2 volte la velocità e 6 la massa, pari a qualcosa come 845 MJ, circa 2 carichi di proiettili di un M1 Abrams). Le dimensioni sono abbondanti, 9,385 m di lunghezza e 1,35 di diametro, per cui non è certo un missile di ridotta 'evidenza' radar e IR, ma essendo dotato di motore a statoreattore (progettato dall'OKB-670 di MM.Bondariuk e poi rifinito dall'Ufficio Soyuz di Turayevo) emette meno calore dei tipi a razzo e non ha tracce di fumo apprezzabili, un grosso vantaggio tattico. Il radar attivo-passivo permette attacchi anche in condizioni difficili e si stima una percentuale di successo che arriva fino al 99%, un po' meno contro convogli e mezzi anfibi (forse per la vicinanza della costa). I missili sono capaci di distruggere un caccia con 1,2 testate oppure una nave da carico da 20.000 t con 1,5 testate, ma questi, al solito, sono numeri buoni per le stime: del resto, bastò un Exocet per distruggere lo Sheffield e con il Moskit non c'è problema nemmeno se la testata resta inesplosa, dati gli effetti disastrosi che causa in ogni occasione in cui centra il bersaglio. Quanto alle navi, le 5 unità della DDR presenti nel 1989 furono attentamente esaminate e due portate negli USA per valutazioni alla fine del 1991. I missili, invece, non erano così facili da reperire; e se ben 190 Styx vennero mandati negli USA come armi-bersaglio, i missili SS-N-22 (in realtà una vera famiglia, tra cui il tipo più recente e leggero era il Moskit), non erano disponibili; gli americani cercarono disperatamente di impossessarsi dei suoi segreti già negli anni '80, e negli anni '90 chiesero ai russi di cedergli pochi missili per i test con il sistema AEGIS, sperando ovviamente di mettere le mani sulle tecnologie di questi missili in versione 'bersaglio'. Più recentemente le navi russe erano state sviluppate in varie versioni evolute: i progetti 12417, 12418 12421. Questi erano meglio armati e capaci rispetto ai tipi della Guerra fredda: la prima aveva il sistema Kasthan CIWS, per portate fino a 8 km; la seconda ha i missili Uran, la terza è la versione export della Tarantul III. La più interessante si è rivelata la 1418. Essa ha un sistema missilistico del tutto diverso, il primo antinave simile a quelli occidentali. È il prodotto dello Zvezda DB ed è noto come Kh-35 Uran, ma soprattutto come 'Harponsky'. Simile all'arma americana a cui si sarebbe ispirato (pare che certe tecnologie sono state rese reperibili dopo la caduta dello Sha di Persia, ma è tutto da dimostrare in concreto), è un missile di piccole dimensioni, dalle capacità e dall'aspetto non particolarmente impressionanti. Ma è un missile 'onesto', pesante poco oltre 600 kg e capace di volare a velocità di 240 m/s, in attacco fino a 300; la portata così è di circa 130 kg, e siccome la velocità è subsonica, il motore è un efficiente turbogetto e la testata è pesante appena 145 kg, è possibile contenerne le dimensioni in 4,4 m di lunghezza. Soprattutto è possibile costruire questi missili a costi ridotti e alla metà degli anni '90 erano in vendita a prezzi pari a circa un terzo di quello degli Harpoon. Magari meno avanzati di questi ultimi, con una testata meno potente (ma ancora sufficiente) e una gittata leggermente maggiore di quella dei primi BGM-84, sono missili poco ingombranti. Possono essere così ospitati in 4 fasci di 4 tubi di lancio l'uno, per un totale di ben 16 armi, ciascuna capace di distruggere una nave di medie dimensioni. Così è molto più economico l'uso di queste armi, che sono più leggere dei Moskit e adatte per la maggior parte delle evenienze, nonché meno costose, presumibilmente, anche in un rapporto di superiorità numerica di 4:1. Essendo così numerose, è possibile lanciarne 4 al posto di ciascun Moskit e sebbene più facili da abbattere, sono abbastanza numerose da avere comunque ottime possibilità di colpire, anche perché nella fase di crociera volano basse e in attacco scendono fino a circa 3 metri di quota, mentre la traccia, sia IR che radar, è grandemente inferiore rispetto a quella dei super-missili della famiglia Moskit/Sunburn, per cui sono sì più lenti, ma ben più difficili da localizzare. I CIWS, poi, sono sì capaci di colpire uno- due missili (talvolta anche supersonici), ma non c'è modo di assicurare la difesa contro ondate di 4-8 ordigni. Tutto questo però, per quanto previsto per la Marina dell'URSS, ha finito per non riguardarla; tantomeno per le marine alleate del Patto di Varsavia (tra cui la DDR, che aveva già una corvetta predisposta per il loro impiego), che terminarono la loro esperienza nella Guerra Fredda ancora senza avere l'equivalente diretto dei missili occidentali, così piccoli, ma raffinati e flessibili nell'impiego. Piuttosto, grande estimatore di quest'ordigno è stata la Marina indiana, che ne ha ordinati centinaia. Quella cinese no, perché differentemente dal rivale asiatico, era già ben servita dai missili di casa, cloni dell'Exocet e presenti sia con sistema a razzo che a turbogetto (in questo anticipando di molti anni l'MM.40 Block 3), che scambiava una parte della velocità per una gittata nettamente maggiore. ===I cacciatorpediniere russi<ref>Informazioni per la maggior parte ricavate dalla wikipedia inglese alle corrispondenti voci</ref>=== I caccia Tipo 30bis, ovvero gli '''Skoryy''' (veloce: i caccia russi, come quelli francesi e italiani, sono caratterizzati da 'appellativi' come nome, mentre nel dopo-1991 portano in genere nomi di ammiragli), sono stati realizzati tra il 1938 e il 1948, ed entrati in servizio tra il 1944 e il 1960. La loro dotazione elettronica, per la prima volta in un caccia sovietico, era notevole: radar Gyus-1, Ryf-1, Redan -2 Vympel-2, sonar Tamir-5h. L'armamento si caratterizzava per la presenza di 2 cannoni da 85 mm in una torre binata, che per le navi sovietiche della categoria era una notevole innovazione (per la difesa antiaerea); questo assieme ai più tradizionali 4 pezzi da 130 mm in torri B-2LM, e a 7 armi da 37 mm. Il tutto era completato da 10 siluri da 533 mm (2 lanciatori quintupli) e 52 cariche di profondità in alternativa a 60 mine (era ovviamente possibile anche un 'mix' di entrambe). Questi caccia postbellici erano l'evoluzione del Progetto 30 'Ognevoy' (da cui il 'Bis' della denominazione), ingranditi per migliorare la tenuta al mare e l'autonomia. Erano prodotte in serie con l'allestimento di 101 moduli prefabbricati, cosa che consentiva di sveltire la loro realizzazione. Ne andarono 16 alla Flotta del Baltico (costruiti dai cantieri Zhdanov), 18 per il Mar Nero (Nikolaev), 18 per la Flotta del Nord (Severodinsk) e 17 per il Pacifico (Komsomolsk). Inoltre 6 vennero ceduti alla Marina egiziana, 7 a quella Indonesiana e 2 ex-Flotta del Baltico per la Polonia. La radiazione nella marina dell'URSS avvenne nel 1965-84. Navi ragionevolmente moderne ed efficaci, vennero ampiamente usate come una sorta di 'Gearing' sovietici, ma senza batteria di cannoni pienamente doppio ruolo come le navi americane. La cosa poteva non andare bene per le esigenze legate alla guerra moderna, e in particolare alla necessità di difendersi al meglio dagli attacchi aerei; ma se non altro erano cannoni più potenti nel tiro anti-superficie, con una lunga gittata (circa 10 km maggiore delle navi americane e occidentali in generale), nonché una granata assai pesante. Questo cannone era il 130/50 mm B13 Mod 1936, nato dal 130/45 del 1929, installato sui sottomarini, che doveva raggiungere le prestazioni del Mod 1913 da 55 calibri. Questo pezzo da 5,1 pollici nacque come progetto della Vickers, modificato per usare sacchetti di cariche anziché bossoli. La Obukhov costruì 147 armi fino al 1917, altri 100 vennero ordinati alla Vickers direttamente. Queste armi erano potenti al punto che la RN pensò di metterne in servizio alcune, ma sarebbe stato un altro calibro da supportare logisticamente e così non se ne fece nulla. Nel 1941 c'erano oltre 100 armi disponibili. Erano armi lunghe 7,15 m e pesanti fino a 5,29 t, con una cadenza di tiro di 5-8 c.min. per proiettili da 33,5 kg tipici, ma c'erano tante versioni: SAP, HE, HE-FRAG, AA, Shrapnel, illuminanti, persino proiettili ASW, che avevano una carica di 6,58 kg anziché 2,7-3,65 kg come gran parte delle altre. La v.iniziale era di 861 m/s (le ASW appna 237,7) e la gittata arrivava a 15-20,3 km (3 per le ASW). I Mod. 1936 erano invece stressati con una potenza tale, che la vita utile calava da 300 a 130 colpi. Nel '41 c'erano 378 armi in servizio, nel frattempo la profondità delle righe era aumentata per dare una più lunga vita utile. La produzione arrivò fino al 1954. La versione B-2U venne progettata come arma a doppio ruolo, anche contraerea. Era una buona arma, ma con dei problemi di funzionamento della culatta, che non pare funzionasse molto bene. Il peso dell'arma era di 5.070 kg e la lunghezza di 6,58 m, cadenza di 6-10 colpi per il tipo singolo, 12 per quello binato (per ciascun cannone). I proiettili erano simili o uguali all'altro, pare vi fosse anche un proiettile 'antiradiazioni' (antiradar?) senza tuttavia carica interna. L'AA avea 2,12 kg di esplosivo, la ASW 6,46 kg, illuminante 30 gr, HE 2,71 kg, HE-FRAG 3,58 kg. V.iniziale 823 m/s (SAP), HE (870 m/s), ARM (750 m/s). Vita utile della canna 130 colpi. Gittata: 20,3 km a 45°, con rigatura media 25,5 km, con quella profonda 25,6 km. Il peso dell'affusto B-2LM era di 49 tonnellate, con un rateo di alzo e direzione di quasi 10°/sec. Questi cannoni vennero usati anche in vari monitori, con peso aumentato a 83-90 t, per una maggiore protezione. Quanto ai siluri, i 53-51, in servizio dal 1951, pesavano 1.875 kg e portavano una carica di 300 kg a 51 nodi/4 km, o 8 km a 39 nodi. Erano solo armi antinave, ad alte prestazioni e con spolette e sistemi di manovra migliorati. Gli 'Skoryy', in altri termini, erano il massimo delle navi cacciatorpediniere di tipo 'classico', ma non ancora adattate al compito di scorta a.a. e ASW. L'armamento, insomma, era piuttosto pesante. Ma non vi furono significativi aggiornamenti e così si passò presto a navi di classi successive, in particolare con cannoni DP e sufficienti capacità di ospitare apparati elettronici e sistemi missilistici. [[File:Skoryy Class destroyer.jpg|330px|left|]] *Dislocamento: 2.353 t standard, 3.115 a pieno carico *Dimensioni 120,5x12 m *Totale realizzati 70. *Motori: 2 turboriduttori da 60.000 hp, per 36,5 nodi, autonomia di 7.550 km a 16 nodi *286 uomini d'equipaggio. *Armi: 4x130 mm, 2x85 mm, 7x37 mm, 60 mine o 52 c.prof; 10 siluri da 533 mm (2x5) Il successivo '''Neutrashimy''' era una nave da 3.100-3.830 t, da 133,83x13,57x 4,42 mm, motori per 66.000 hp, 36 nodi. L'armamento era di 4 pezzi da 130 mm, 8x45, 10 lanciasiluri e armi minori. Era stata costruita dai cantieri Zhdanov di Leningrado e varata nel 1950. Fu radiata nel 1974. Tra le caratteristiche, i cannoni a doppio ruolo in nuove torrette da 130 mm e sistemi per la protezione NBC. In seguito il progetto venne venduto alla Cina e divenne il progenitore dei 'Luda', anche se la cosa è dibattuta perché le navi in parola somigliano effettivamente piuttosto ai '''Kotlin'''. [[File:Destroyer Vozbuzhdenyy.jpg|390px|right|thumb|Un Kotlin-SAM]] Questi vennero completati in 27 esemplari, 2.662-3.560 t, dimensioni 126,1x12,7x4,2 m, due motori per 72.000 hp, e ben 38 nodi. L'armamento era di 4 pezzi da 130 mm, 16 da 45 (impianti quadrinati), 10 da 533 mm, 6 lanciabombe di profondità e 50 mine. Il nome sovietico era Spokinyy e la costruzione fu rapida: 1955-58, rimasti in servizio fino alla fine degli anni '89. E anche oltre, visto che i 'Luda' cinesi, 17 costruiti, sono sia basati sui Neustrashimy, che sui Kotlin. Questi erano una versione ridotta del primo, essendo questo troppo costoso e grosso per le possibilità costruttive sovietiche, nel contempo vennero eliminati dei problemi riscontrati con questa nave. Ne erano preventivate ben 100, ma solo 32 vennero ordinate, 1 cancellata successivamente e 4 completate come 'Kildin'. 11 vennero modificate con lanciarazzi ASW al posto delle vecchi cariche di lancio. Erano i Progetto 56PLO. Ma vi furono presto altre modifiche, come nel '62 con il missile S-125 Neva, ergo SA-3 ergo SA-N 1 Goa. Il missile poteva ingaggiare bersagli fino a 15 km e tra i 100 e i 10.000 m, con radar di tiro 4R90 Yatagan (ma un solo bersaglio alla volta). C'era una rampa binata ZIF-101 e 16 missili a poppavia. In tutto vennero trasformati 7 caccia in Progetto 56A o 'Kotlin SAM' secondo la NATO. In seguito i missili Volna-M, P e N aumentarono nettamente le capacità del sistema. L'ultimo venne radiato nel 1992. [[File:39 Kaldin Class Destroyer Jan 1970.jpg|380px|right|]] Quanto ai '''Kildin''', essi vennero completati in 4 esemplari da 2.660-3.230 t, dimensioni 126x12,7 x 4,2 m. L'armamento era di un lanciamissili SS-N-1 con 8 ricariche, 16 cannoni da 57 mm, 10 tubi lanciasiluri da 533 mm e due RBU-2500 oltre a 2 RBU 6000. Il loro armamento era costituito dal potente missile KSShch o SS-N-1, che però divenne obsoleto già negli anni '70 e sostituito in seguito con 4 SS-N-2 e 2 pezzi binati da 76 mm. Le navi erano ''Bedovyy'', ''Prozorliviy'', ''Neuderszhimmy'' e ''Neulovimmy''. Essi vennero completati dal 1958 e radiati nel 1989-91. [[File:Gremyashchiy_1983.jpg|380px|right|]] I '''Kanin''' erano un'altra classe interessante: costruiti in 7 esemplari, navi da 3.500 t-4.200 t, poi fino a 4.500 t dopo i rimodernamenti, erano navi con dimensioni simili alle altre, con due missili 2 SSN-1, 16 cannoni (impianti quadrinati) da 57 mm, 6 tubi da 533 mm e 2 RBU-2500. In seguito ebbero al posto dei missili antinave, 1 lanciamissili binato SA-N-1, 8 cannoni da 57 mm (rimossi due impianti quadrinati), 4 cannoni da 30 mm e 10 lanciasiluri, più 3 RBU-6000 e per la prima volta nella marina sovietica, piattaforma per elicotteri. Del tutto simili come meccanica ai 'Kotlin', con scafo aumentato leggermente, c'erano due lanciamissili antinave, uno per estremità. dal 1965 questi vennero sostituiti con sistemi ASW ma presto si capì che erano troppo costose come conversioni. Le navi vennero completate entro il 1961, a Leningrado. I nomi delle unità erano: ''Zhguchiy'' (fiammeggiante), ''Zorkiy'' (osservante),'' Derkiy'' (impertinente), ''Gnevnyy'', ''Upornyy'', ''Boykiy'', nati nei cantieri Amur. Vennero radiati entro il 1987-91. ---- Quanto ai Progetto 61 '''Kashin''', questi nuovi caccia missilistici vennero costruiti dai cantieri Kommunara Zadov, Nikolayev in 20 esemplari. Uno venne esportato in Polonia e 5 in India. Navi in servizio dal '64, ne restano ancora 6 in attività. Dislocamento 3.400-4.390 t, dimensioni 144x15,8x4,6 m, 4 M8E da 72.000 hp complessivi per 33 nodi. L'equipaggio era di 266-320 elementi. L'armamento di due cannoni AK-726, 2 lanciatori SA-N-1 con 32 missili in tutto, 1 lanciasiluri a metà nave, quintuplo, da 533 mm, 2 RBU-6000 e due RBU-1000. L'autonomia era di 6.480 km a 18 nodi. [[File:Smetlivyy2003.jpg|420px|right|thumb|Lo Smetlivyy, armato con missili Uran e Shtil, ma privo dei CIWS]] Queste navi sono attualmente in servizio in India e una sola in Russia. Le unità indiane sono la classe 'Rajuput', con il cannone poppiero da 76 rimosso in vantaggio di un hangar per un elicottero Ka-25, più 4 SS-N 2 e altrettanti AK-630. Note come SKR, ovvero semplicemente grandi navi (storozhevoi korabl), poi grandi navi ASW (PK) o grandi navi missilistiche (BRK), non sono mai state ufficializzate per quel che sono in termini tecnici, cacciatorpediniere. I primi multiruolo per la Marina sovietica e gli unici con un armamento prevalentemente SAM. La struttura era bassa e compatta, con un ponte continuo e fortemente arcuato a prua. La sovrastruttura era bassa e la plancia quasi indistinguibile, sovrastata letteralmente dal radar di prua per la guida SAM, mentre dietro v'erano varie alberature alternate a due gruppi di fumaioli inclinati verso l'esterno, il tutto con una zona vuota che era il lanciasiluri quintiplo, installato sull'asse della nave come le vecchie costruizioni, per non dover mettercene due facenti fuoco solo di lato. Il lanciasiluri era unico, e anche per questo ne venne scelto uno di grande capacità: 5 tubi da 533 mm. Soprattutto, va rimarcato che, differentemente dai coevi 'Adams', questi caccia sono state le prime grandi navi da guerra con motori a gas, progettate come tali già nel '57 e impostate dal '59. Le turbine erano in due settori separati dello scafo e potevano essere rimosse semplicemente facendole muovere attraverso i due gruppi di fumaioli,una cosa impensabile con i vecchi tipi di propulsori a vapore. L'armamento era simmetrico tra prua e poppa, una specie di anticipazione di quanto accadrà sui 'Sovremennyy': una torre e un lanciamissili su entrambi i ponti, mentre lo scafo di per sé era basso ma ben pensato anche per operazioni sul mare. Inoltre erano navi con protezione NBC e la sala operazioni era dentro lo scafo e non sul ponte di comando, come del resto accade con le navi moderne. Da qui le forme particolarmente basse della plancia, sormontata piuttosto dalle alte alberatore per i sensori di scoperta. La versione M o MP era armata con 4 SS-N-2 e 4 AK-630, quindi entrò nell'era della lotta con missili antinave (e della loro relativa difesa), con tanto di sonar trainato e una piattaforma per elicotteri in posizione più sollevata. In seguito gli RBU-1000 vennero rimossi. Di queste navi, lo scopo principale era spesso ombreggiare i gruppi navali NATO, specie in caso di crisi, e magari attaccarli con i loro 4 missili. Uno, lo Smetlivy, fu modificato poi con i missili Kh-35, gli SS-N-25 Harponski, e il sonar MNK-300. È l'unico ancora attivo nella Marina russa. Un altro caccia interessante era senz'altro il PROVORNY, modificato nel 1974-77 nel Project 61E, senza lanciatori di missili Volna, ma con uno singolo di Uragan (SA-N-7) di cui fu la nave sperimentale. Tragico invece il destino dell'Otvazhny, che subì una tremenda esplosione a bordo e un incendio durato 5 ore, affondando con 24 morti (si disse in Occidente 2000). L'ORP Warsawa (271) venne trasferito alla Marina polacca come unità ammiraglia della principale potenza convenzionale del Patto di Varsavia. Kashin normale e mod: *Dimensioni: 144 x 15,8 x 4,6 m (Mod: 147 m di lunghezza, idem per il resto) *Dislocamento: 3.400-4.390 t (Mod: 3.950-4.650 t) *Motore: 4 turbine M8E su due assi, 72.000 hp; 33 nodi e 3.500 nm a 18 nodi. *Armamento: 2 impianti AK-726, 2 lanciatori SA-N-1 con 32 armi in tutto, 1 lanciasiluri quintuplo da 533 mm, 2 RBU-1000 da 300 mm e due RBU-6000 da 250 mm; piattaforma per elicotteri (Mod: 4 AK-630 e 4 SS-N-2C ma nessun RBU-1000). *Sensori: 1 radar di scoperta aerea 'Head Net-C' 3D e un altro 3D 'Top Steer', oppure un 'Big Net' 2D e un Head Net C; 2 radar guidamissili 'Peel Group'; 2 nav 'Don Kay', 2 'Owl Schreech' per i 76 mm; 2 ECM Watch Dog e 2 IFF Hig Pole-B; un sonar a scafo ad alta frequenza; I Mod: 1 Big Net, 1 Head Net-C, 2 controllo SAM, 2 navigazione, 2 controllo tiro 76 mm identici ai tipi base, più 2 ECM 'Bell Shroud' e 2 'Bell Squat', 4 lanciachaff a 16 canne, 1 sonar a media frequenza e uno a profondità variabile a bassa frequenza. *Equipaggio: 280 (300) Nomi: *Komsomolets Ukrainy -impostato a Nikolayev 31-12-1960, servizio 31-12-1962, radiato 1991, demolito 1995 * Soobrazitelny - Nikolayev 25.9.1961, 26 dicembre 1963--- 1992--- 1994 * Provorny - Проворный Nikolayev 23 mar 1962--- 25.10.1964--- 1990--- 1993 * Obraztsovy - Zhdanov 23.2.1964--- 29.9.1965--- 1993--- 1995 * Odarenny Zhdanov 11.9.1964--- 30.12.1965--- 1990--- 1991 * Otvazhny - Nikolayev 17.10.1964--- 31-12-1965--- aff 30.8.1974 * Steregushchy-Zhdanov 20-2-1966--- 21-12-1966 --- 1993--- 1994 * Krasny Kavkaz-Nikolayev 9.2.1966--- 25.2.1967--- 1998--- 2000 * Reshitelny - Nikolayev 30.6.1966--- 30.12.1967--- 1989--- 1999 * Strogiy Nikolayev 29.4.1967--- 24.12.1968--- 1993, lo scafo venduto all' India, ma affondato nel tragitto vicino a Singapore, nel 1995 * Smetlivy, Nikolayev 26.8.1967--- 5.9.1969--- modernizzato negli anni '90 e in servizio nel Mar Nero (2008) * Krasny Krym - Nikolayev 28-2-1969--- 15.10.1970--- 1993--- 1996 * Sposobny, Nikolayev 11.4.1970--- 25.9.1971--- 1993--- 1995 * Skory (veloce), Nikolayev 26.2.1971--- 29.9.1972--- 1997--- 1998 [[File:INS Rana (D 52) leads the break away maneuvering from a PASSEX formation with the Ronald Reagan Carrier Strike Group.jpg|460px|right|thumb|la versione indiana dei 'Kashin', armata di CIWS, missili ed elicotteri]] Project 61MP ; *Ognevoy, Zhdanov 31-5-1963, 31-12-1964, 1989,1990 * Slavny, Zhdanov 24-4-1965, 30-9-1966, 1991, 1995 *Stroyny Nikolayev 28-7-1965, 15-12-1966, 1990, 1994 * Smyshleny Nikolayev 22-10-1966, 27.9.1968, 1993, 1994 * Smely Nikolayev 6.9.1968, 27.12.1969, 9.1.1988, affittato alla Polonia come ORP Warszawa (271) (nel 1988, venduto nel 1992-1993, dal 5 dicembre 2003in riserva. * Sderzhanny, Nikolayev 25-21972, 30.12.1973, 2001, 2002 Navi indiane 'Rajput' (Project 61ME): costruite a Nikolayev: *INS Rajput (D51) (1980) *INS Rana (D52) (1982) *Ranjit (1983) *Ranvir (1986) *Ranvijay (1988) ---- [[File:Udaloy1983.jpg|350px|right|]] Quanto agli '''Udaloy''', assieme ai 'Sovremennyy' hanno rappresentato la nuova generazione di navi tipo cacciatorpediniere. Specializzate nella lotta ASW, in servizio dai primi anni '80 (ma inizialmente senza SA-N- 9), ne sono state completate solo 12 più l'Udaloy II. Di queste sono attive ancora 4 navi. Dimensioni 163x19,3x6,2 m, peso 6.200-7.900 t, due eliche con 4 turbine a gas per 120.000 hp e 35 nodi, autonomia ben 10.500 nm a 14 nodi e 300 uomini d'equipaggio. L'armamento era costituito da 2 lanciamissili bivalenti ASW e antinave SS-N-14 oppure nel caso dell'Udaloy II, 2 SS-N-22. V'erano anche 8 lanciamissili verticali, con caricatore da 6 colpi, per gli SA-N-9, 2 cannoni da 100 (poi un impianto binato da 130 per il mod II), 4 AK-630, 2 tls quadrupli da 533 m, missili SS-N 15 per l'Udaloy II, 2 RBU-6000, 2 Ka-27. Il progetto originale era noto come 1155 Fregate, per navi specializzate ASW dato che quelle multiruolo, per quanto possibili, erano sconsigliabili per i costi. Di fatto sono una specie di super-Krivak (fregate). [[File:Armament_of_a_Udaloy_class_destroyer.JPEG|350px|left|thumb|I 2 pezzi AK-100, i lanciamissili 'Sylex' e le rampe di lancio SA-N 9 (Kortik), a prua dei cannoni]] L'armamento principale era costituito dagli '''SS-N-14''' 'Sylex', che in realtà erano chiamati 85-RU del Raduga OKB. Esso è stato visto per la prima volta nel 1970 sulle navi 'Krivak' e poi sui 'Kresta II' e 'Kara', in questi ultimi due casi con lanciatori quadrinati a blocchi sovrapposti anziché lineari come le 'Krivak'. Essi vennero poi usati dai 'Kirov' e per l'appunto, dagli Udaloy (i Kirov con una rampa di lancio apposita, ricaricabile). Questi missili inizialmente erano stati scambiati per armi antinave, e chiamati dalla NATO SS-N-10, anche perché i Sovietici fecero andare per mare le navi per anni senza queste armi a bordo. Così si pensava che le 'Krivak' e le altre navi fossero unità antinave, un po' come i 'Kresta I' e i 'Kynda'. In seguito si pensò che fosse un missile puramente ASW, ma ben presto si cominciò ad ipotizzare l'uso duale, anche come arma antinave. Alla fine esso è stato svelato che si trattava di sicuro di un'arma efficace e perfettamente duale. Essa è armata con un siluro E53, autoguidato attivo-passivo, portata 25 km, testata da 150 kg. Peccato che non sia anche utilizzabile direttamente come arma antinave. L'arma era assieme ad una testata da ben 350 kg, con sensore IR per la guida sul bersaglio. Il missile è la fusoliera, con la testa di guida, dietro il motore a razzo e poi i sistemi di guida; sotto c'è una specie di seconda fusoliera, dove c'è la testata HE e il siluro, sistemato dentro un cilindro di contenimento. Il missile è lanciabile con un preavviso di appena 15 secondi, ed è possibile decidere appena prima del lancio in che modalità usarlo. Le dimensioni sono di 7,2 x0,574 (fusoliera) m, portata 55 km, velocità mach 0,95, quota di crociera 400 m. Vi è il razzo interno e due booster esterni. È come se si fosse usato il missile SS-N-2 per agganciargli sotto un siluro, insomma. Esso è pesante 4.000 kg e molto ingombrante. La sua velocità di crociera non è altissima, mentre la quota non è davvero radente, perché deve ricevere i dati dal radiocomando-radar della nave. L'arma è quindi vulnerabile ai sistemi CIWS e anche alle ECM. Tuttavia ha dimostrato una notevole efficienza in termini di ingaggio. La potenza è anche maggiore di quanto necessario: per esempio, non sarebbe affatto necessaria anche la testata, pesante da sola quasi il 10% del totale, per danneggiare gravemente qualunque nave. Sarebbe stato certo meglio usare un missile più compatto, magari in versioni sia ASW che antinave, tipo insomma l'OTOMAT e il MILAS; sull'Udaloy II sono infatti usati i missili SS-N-15, quindi hanno tubi di lancio che funzionano in realtà come missili ASW. In ogni caso i siluri da 533 sono armi ASW, non antinave, anche se non sono di tipo, in genere, filoguidato. Essi sono senz'altro utilizzabili anche per azioni antinave,modificando i sistemi di guida (non è possibile invece il contrario, usare siluri antinave per compiti ASW), anche se non propriamente doppio ruolo. I siluri sovietici sono di parecchi tipi e in genere di prestazioni elevate, anche se così non è per la quota massima operativa e per l'elettronica di bordo. Alcuni sono anche armabili con testate nucleari da 5 kT. Per il resto vi è una coppia di moderni cannoni AK-100 da 60-80 c.min, utili anche per il tiro antimissile, 4 CIWS, e un largo hangar per gli elicotteri. [[File:AdmiralSpiridonov1986.jpg|350px|left|thumb|La vista di 3/4 a poppa mostra bene l'apprestamento per gli elicotteri. All'epoca il sistema SA-N-9 aveva appena ricevuto i radar di controllo del tiro, visibili sopra l'hangar]] I missili '''SA-N-9''' sono l'equivalente dell'SA-15 dell'esercito e sono anche entrati prima in servizio. Questi missili, successori dei già discreti OSA (SA-N-4 Gecko), sono armi a lancio verticale, sviluppati dalla Altair, un istituto elettronico di Mosca, già responsabile di SA-2, 3, 5, 8 ecc. Il KINSHAL, vero nome dell'SA-N-9, noto anche come KLINOK, ha un missile 9M330, è stato pensato per assicurare la difesa di navi da 800 t in sù, ha tempi di reazione di 8-24 secondi. Inizialmente poteva attaccare bersagli tipo missili antinave a 8 km (1983) poi elevati a 12. Il sistema di direzione del tiro MR-350 o 360 'Cross Sword' secondo la NATO, ha un alto livello di automazione, ma è molto voluminosa. Ma ha un sistema phased-array di controllo del tiro, in banda 20-40GHz, e due antenne a forma di tamburo, e un radar di acquisizione in banda C e 45 km di portata. Esso è autonomo, e rappresenta un sistema assolutamente unico almeno all'epoca, perché sistemi Phased Array navali non esistevano, solo sistemi simili come quelli dell'SA-10 e del Patriot, a terra. Il sistema di lancio ha un'altezza di 4,7 m per i tubi, diametro di 1,96 m è rotante e ha 6 missili, con un lancio ogni 3 secondi. I portelli di lancio si aprono in 2,5 secondi dopo. Ha 4 tamburi di lancio con 32 missili. Il missile è l'9M-330, 2,9 m, diametro 235 mm, peso 167 kg, manovra fino a 30 g, motore a doppia spinta, v.max di 860 m/s e media di 650. Gittata tra 1 e 12 km, quota tra 10 e 6.000 m, testata da 15 kg per ingaggiare bersagli volanti fino a 700 m/s (quindi meno di un SS-N-22). Il missile è espulso fino a circa 20 m con un sistema pneumatico, e poi si accende il motore con la pronta vettorazione verso l'obiettivo come nell'ASTER.Esso è radio-guidato. Il sistema è molto costoso e pesante, ma dalle prestazioni formidabili in termini di ingaggio bersagli 'difficili'. La portata, però, non è molto alta, e così dal 1993 è stato presentato un 'braccio' ben più lungo, quello dell'Amramsky, ovvero l'AA-12 in versione SAM (RVV-ZRK), che ha anche autoguida terminale, ma ovviamente costa molto di più. Il sistema di controllo può ingaggiare con i missili standard fino a 4 bersagli su coordinate di 60 gradi per lato, contro due ingaggiabili entro i 30 gradi nel caso dell'SA-15 terrestre. [[File:RFS_Admiral_Chabanenko.jpg|350px|right|thumb|Ecco come si presenta l'A.Chebanenko, l'ultimo e il migliore degli 'Udaloy']] L'unico caccia veramente multiruolo era il '''1155.1''' Fregat II, il quale era un po' il tentativo di far fronte a navi come i 'Kidd'. I lanciatori di siluri da 533 mm hanno sostituito i grossi Silex, ma in maniera bizzarra: essi infatti sono stati messi nella condizione di tirare i missili SS-N-15, normalmente tirati dai tubi di lancio dei sottomarini. Inoltre vi è il sistema UDAV per la difesa antisiluro e una turbina migliore, così come i sonar e il sistema di difesa aerea integrato e con molti sistemi digitali molto avanzati. Nel 2006 venne annunciato che la Flotta del Nord, principale utente del tipo, ne avrebbe messo uno in riserva per problemi finanziari. *Dimensioni: 163x19,3x6,2 m *Dislocamento: 6.200-7.900 t *Motore: due eliche con 4 turbine a gas per 120.000 hp e 35 nodi, autonomia ben 10.500 nm a 14 nodi; 300 uomini d'equipaggio. *Armamento: 2 impianti da 100 mm, 2 lanciatori SS-N-14 con 8 armi, 48 SA-N-9; 2 tls quadrinati da 533 mm, 2 RBU-6000 da 250 mm; 4 CIWS AK-630; 2 elicotteri *Sensori: 2 radar di scoperta aerea 'Strut Pair'; 2 radar guidamissili SAM; 3 nav 'Palm Frond', 1 'Kite Schreech' per i 100 mm; 2 'Bass Tilt' per i CIWS; 2 ECM 'Bell Shroud', 2 'Bell Squat', 2 lanciachaff a 2 canne; 2 TACAN 'Round House', 2 IFF 'High-Pole B' *Equipaggio: 300 [[File:San_Jacinto_and_Admiral_Chabanenko.jpg|350px|right|thumb|L'A.Chabanenko naviga assieme al S.Jacinto,un incrociatore AEGIS. Le navi sovietiche sono notevolmente basse e stabili (per operare nei mari in tempesta del Nord) se comparate alle unità americane, specie le 'Ticos']] Navi: *Udaloy (1980) - demolito nel 2002 *Vice-Admiral Kulakov (1980) in revisione dal 1990, non è mai rientrato in servizio *Marshal Vasil'yevsky (BPK 499) (1982) *Admiral Zakharov (1982) - incendiato nel 1992 e demolito *Admiral Spiridonov (1983) -radiato *Admiral Tributs (1983)- Flotta del Pacifico, incendiato nel 1991, ritornato in servizio * Marshal Shaposhnikov (BPK 543) (1985) -Flotta Pacifico, incendio nel set.2008, forse gravemente danneggiato * Severomorsk (1985) - Flotta del Nord * Admiral Levchenko (BPK 605) (1987) - idem *Admiral Vinogradov (BPK 405) (1987) - Pacifico *Admiral Kharlamov (1988) - Flotta del Nord, riserva dal 2006 * Admiral Panteleyev (BPK 548) (1990) - Pacifico 'Udaloy II': Admiral Chabanenko (BPK 650) (1995) - Flotta del Nord; Mai completate o impostate: Admiral Basisty e Admiral Kucherov ===Cacciatorpediniere missilistici moderni<ref>Po, Enrico: ''Sovremennyy migliorati alla Cina'', RID ago 2003 p. 44-49 e R.Ferretti, articolo su PD ott 09</ref>=== Dell'attuale generazione no v'é dubbio che i più importanti siano i 'Sovremennyy', noti anche come Sovremennji o Sovremenny, sono considerati Eskhadrennyy Minonosets (cacciatorpediniere di squadra). Nacquero dai tardi anni '60 nell'ambito del potenziamento della marina sovietica e della diversificazione dei ruoli delle sue navi. Sono noti per il loro potente armamento antinave, ma non tutti hanno compreso anche che la loro origine si deve far risalire anche ad un altro problema: infatti, da molti anni non si costruivano più navi ben armate quanto ad artiglierie, data l'importanza per i sistemi missilistici, tra l'altro molto ingombranti, che c'erano all'epoca. Un po' per questo, e un po' per l'avvento dei caccia 'Spruance' americani, c'era bisogno di nuove unità multiruolo, più capaci dei 'Kashin'; in pratica si tentò di fare navi analoghe, anche se in verità, gli 'Spruance', nati soprattutto come 'super fregate ASW', ebbero un vero equivalente con gli 'Udaloy'. Ma per primi arrivarono i Sovremenny, la cui genesi venne affidata ai cantieri Svernaya di S.Pietroburgo (l'allora Leningrado). La loro arma principale, come si è detto, non era tanto orientata alla lotta ASW; i nuovi caccia dovevano non tanto occuparsi di lottare contro i sottomarini americani, ma contro le unità ASW che avrebbero potuto infastidire quelli sovietici, per cui essi divennero sia gli equivalenti che gli antidoti agli 'Spruance'. E al contrario, l'USN ebbe navi in un certo senso confrontabili con i 'Kidd', versione multiruolo degli Spruance, rilevati da una commessa iraniana abortita dopo la rivoluzione; mentre i 'Ticonderoga', sempre su scafo 'Spruance', ottenne capacità superiori e divenne presto il loro peggior nemico. Così il sistema d'arma principale di bordo, anziché essere il missile ASW 'Sylex', diverrà l'SS-N-22 Sunburn antinave. Non solo, ma operazioni locali mostravano l'esigenza di armi ben più potenti dei pezzi da 57 e 76 mm (che invece sono di gran moda su tante classi di unità navali occidentali attuali). Un sostegno di fuoco alla rinata fanteria di marina sovietica avrebbe dovuto comprendere armi di calibro e potenza maggiore di quelli, e i vecchi incrociatori 'Sverdlov' non erano certo una presenza affidabile per una scena di guerra nel futuro, a causa soprattutto della loro vulnerabilità agli attacchi aerei e ASW. Così le armi divennero, principalmente, il missile 3M80 antinave e l'AK-130, artiglieria multiruolo. Ma non bastava questo per garantirne l'utilità, e allora venne anche previsto un nuovo sistema SAM di difesa aerea, degno erede dei vecchi SA-N-1 Goa (P-600); alla fine venne fuori il Project 956 o 'Sovremenny', il cui primo esemplare venne impostato nel '76, per essere poi consegnato nel 1980. La costruzione andò avanti per parecchi anni, tanto che si pensava ad un totale di 28 navi. Nell'agosto del 1995, ben 15 anni dopo l'inizio della loro operatività, venne annunciato che se ne sarebbero realizzati solo 19. Nel gennaio 1996 ne vennero venduti 2 alla Cina, mentre nel 1997, nell'atto di ridurre drasticamente la flotta, vennero radiati 'Otchayannyy', Otlichiny e Orkylennyy, mentre il capoclasse Sovremennyy era stato relegato a fornire parti di ricambio. Come se non bastasse, un atto di sabotaggio nel 1999 capovolse lo 'Stoikiy'. Infine l' Osmotretelnyy venne rottamato qualche tempo dopo, avendo passato gli ultimi anni in riserva. Anche se non hanno avuto alcun successore, solo sei ne restano ancora in servizio nella decadente Marina russa. I caccia 'Sovremennyy' hanno fatto parlare di loro recentemente perché 4 navi sono state comprate dai Cinesi. ====Costruzione e propulsione==== Dopo numerose classi di unità navali del settore, come i 'Kotlin' postbellici, i 'Kanin' e i 'Kildin', la Marina sovietica entrò nel settore delle navi pienamente definibili come moderne con i 20 'Kashin', unità che risultavano molto importanti e per vari aspetti. Anzitutto, perché possedevano una batteria di SAM a medio raggio, teoricamente paragonabili ai Tartar o ai Terrier (ma in pratica molto meno efficaci e relegati alla difesa aerea della nave più che di una intera squadra navale), e poi perché questi missili erano anche dotati di testate nucleari, con una piena capacità a 'doppio ruolo', sia antiaerea che anti-superficie; ma in termini strutturali queste unità non solo dedicavano gran parte del sistema d'arma di bordo all'elettronica e ai missili, ma introducevano, per la prima volta in maniera massiccia, su di una numerosa classe di grandi navi, un nuovo sistema di propulsione: la turbina a gas. Così è piuttosto strano, a prima vista, che negli anni '70-80 sia stata costruita una nuova, grande classe di unità navali con turbine a vapore. Invece, accanto ai cacciatorpediniere 'Udaloy' è apparsa la classe Sovrenemmnyy'. Questo fatto è più facile da spiegare se si considera che lo scafo di questi cacciatorpediniere era un derivato con ponte di castello di quello usato dai 'Kresta I' e Kresta II, incrociatori antinave e ASW rispettivamente. Questi erano dotati di motori a vapore da 110.000 hp che garantivano una grande potenza e velocità, dell'ordine dei 34 nodi. Nella Marina sovietica le definizioni erano molto vaghe, e non è facile fare delle precise comparazioni. Del resto, anche in Occidente le cose sono andate un po' così: per esempio, gli incrociatori missilistici americani vennero considerati inizialmente come fregate, ma poi cambiarono denominazione perché in Europa quella categoria di navi erano del tutto diverse e di dimensioni ridotte, attorno alle 3.000 t, mentre quelle navi americane, da 6.000-10.000 t, erano ben più grandi anche dei cacciatorpediniere. Nel mentre, in Giappone, i cacciatorpediniere erano e sono sia navi definibili come fregate, che dei veri incrociatori portaelicotteri o unità antiaeree AEGIS, quando le fregate sono in realtà una sorta di corvetta per gli standard europei. Nel caso delle navi sovietiche, la confusione è anche maggiore. Spesso non venivano indicate come incrociatori, cacciatorpediniere o fregate, ma come 'grandi unità lanciamissili' (nel caso dei 'Kirov', per esempio, che in Occidente venivano considerati con maggiore precisione come 'incrociatori da battaglia missilistici'), o 'grandi navi antisommergibile', come gli 'Udaloy' e i 'Kara'. Anche il dislocamento era piuttosto intercambiabile: le unità considerate come incrociatori in occidente, i 'Kynda', 'Kresta' e 'Kara', non erano necessariamente più grossi dei cacciatorpediniere come venivano considerati gli 'Udaloy'. Ma solo i 'Sovremenny' vennero considerati, senza problemi, dei cacciatorpediniere anche dalla Marina sovietica. [[Immagine:Destroyer Okrylenny.jpg|430px|left|thumb|]] Quanto alle capacità, i Sovremennyy erano navi con capacità specifica antinave, mentre gli Udaloy erano unità ASW e i vecchi 'Kashin' si potevano definire navi antiaeree. In sostanza, si potevano comparare rispettivamente ai 'Kidd', 'Spruance' e 'Charles F.Adams' americani. Ovviamente le cose erano diverse, e l'elettronica sovietica, assai meno compatta, non consentiva di portare dei sistemi d'arma realmente polivalenti e-o compatti. In ogni caso, i 'Sovremenny' erano certamente le unità più temute e temibili della nuova generazione sovietica di grandi navi di superficie, assieme agli 'Slava' e ai 'Kirov' (nonché alle 'Kiev'). Queste grandi navi sono unità specializzate nella lotta antinave, con buone capacità di difesa (più che altro auto-protezione) antiaerea, e molto marginali qualità ASW; in tutto hanno 25 ufficiali e 271 sottufficiali e comuni, nemmeno molti per una nave di 7.940 t, 8.480 a pieno carico, lunga 156,37 m e larga 17,19. La prua ha linee molto affilate e aggressive, una prua molto inclinata e marina, pensata per le acque dei mari del Nord, spesso scosse da violente tempeste. Le sovrastrutture sono basse e nondimeno complesse, irte di antenne, con due alberi di cui uno dietro la plancia ospita il radar principale, e l'altro è a traliccio vero la parte posteriore. L'hangar per l'elicottero ha un ponte piuttosto piccolo, ed è in una zona quasi centrale, davanti al lanciamissili SAM poppiero e alla torretta da 130 mm n.2; torri e SAM sono pressoché speculari nei ponti di prua e di poppa. Il fumaiolo è basso e largo, davanti all'albero a traliccio che non sostiene alcun radar di bordo. La plancia è sistemata sopra la tuga prodiera, con i lati inclinati verso il basso; sopra c'è il grande bulbo bianco del sistema 'Stand Band' per la guida dei missili, e dietro la parabola del massiccio 'Kite Screech' di controllo del tiro; i 4 cannoni da 130 e altrettanti tubi da 533 mm, fanno somigliare queste possenti navi ad unità navali del periodo classico (II GM), anche se qui vi è anche una notevole capacità elettronica e missilistica A parte il sistema d'arma che hanno, l'altra significativa differenza con gli 'Udaloy', di qualche anno più recenti, è il sistema propulsivo. Infatti, malgrado gli stessi 'Kashin' avessero motori a turbina, i 'Sovremenny' tornavano al vapore, con due turboriduttori TV-12 per complessivi 100.000 hp (altre fonti parlano di 110.000), come sui caccia 'Burke' di alcuni anni successivi (e 20.000 hp più degli 'Spruance'/'Kidd') grazie all'energia raccolta da quattro caldaie ad alta pressione; il tutto era usato per muovere due eliche a passo fisso e 4 caldaie turbopressurizzate KVN-98/64 da 640 kg/cm2 e 500°. La velocità massima era di ben 33,4 nodi e 32,7 continui, autonomia a 32,7 nodi di 1.345 miglia nautiche e a 18 nodi di 3.920. Il carburante era di 1.740 t, forse come valore standard; se si carica un quantitativo di carburante extra, si possono raggiungere le 4.500 nm, sempre a 18 nodi. Però, chiaramente, in caso di guerra i caccia missilistici di questo tipo avrebbero dovuto 'colpire e scappare', a grande velocità: non sembra, ma le navi moderne non hanno poi tutto questo 'fiato', e nell'arco di un paio di giorni di azione potrebbero trovarsi in grave difficoltà, specie in un teatro di guerra ad alta intensità, se non vengono rifornite in mare o ritornano alla base. Per fare un esempio, le 1.300 miglia percorribili alla massima velocità sono circa 40 ore di moto; a 18 nodi, con il massimo di carburante, l'autonomia è di circa 10 giorni. In pratica, poi, c'è da tenere conto del rischio per la stabilità della nave se i serbatoi si apprestano ad esaurirsi, specie in mari tempestosi. Così, in pratica, queste navi avrebbero potuto, diciamo, partire da Kola e raggiungere poi il Baltico, ma non tenendo costantemente la massima velocità continuativa, cosa invece possibile a qualche SSN alle sue calcagna. Inoltre c'eraro due turbogeneratori da 1,25 MW l'uno attivati da 4 diesel da 600 kw, in maniera da attivare i complessi sistemi elettronici ed elettrici di bordo anche senza motori in moto; anzi, fatto davvero notevole, se necessario era anche possibile usare i motori per fornire propulsione ausiliaria, magari per piccoli spostamenti e-o per non fare troppo rumore. ====Armi ed elettronica==== La ragion d'essere di questi caccia era rappresentata dal contrasto alle navi americane e NATO, da farsi con una batteria di armi di maggiori prestazioni possibili. La cosa si poteva fare scegliendo missili a lungo raggio oppure armi ad alte prestazioni velocistiche. Venne scelta la seconda soluzione, ma a dire il vero, non senza prezzo. L'obiettivo del resto era di superare il sistema difensivo AEGIS degli incrociatori americani e si pensava che un missile volante a bassa quota di per sé non fosse sufficiente: occorreva anche una velocità elevatissima, per entrare in pochissimo tempo dentro la difesa garantita dal radar. Volando a non più di 20 metri il MOSKIT era in grado di superare le difese grazie alla velocità elevatissima, oltre mach 2. Un concetto simile all'epoca cominciò ad essere accarezzato anche in Occidente, con programmi come l'OTOMACH e l'ANS. Però questi non giunsero a nulla, se non alla conclusione che il sistema sarebbe stato molto costoso e magari anche pesante. Molto meglio usare 'l' intelligenza' che la forza bruta. Il che significava che, se proprio si voleva ridurre il tempo di reazione del sistema difensivo, si potevano scegliere altre strade. Una era la guerra elettronica con disturbatori ECM. Ma questi potevano interferire con la funzionalità del missile e dei suoi sensori, e allora si cominciò a pensare a missili di minore RCS, delle armi stealth, come l'AGM-129 strategico dell'USAF, o il sistema Ulisse studiato come programma congiunto americano e italiano. Vi sono infatti vari modi per ridurre il tempo d'esposizione di un missile rispetto alle difese. Volare basso è un buon inizio, ma con i radar moderni non basta. Così si può scegliere. Se il sistema della nave vedrà un missile da 0,1 m2 a circa 30 km, vuol dire che la nave avrà circa 2 minuti di tempo per localizzarlo ed abbatterlo. Per ridurre tale tempo, l'arma può essere più discreta, magari con una traccia di 0,01 m2 e così facendo essere avvistata, magari, a 15 km o anche meno. Ma questo comporta dei calcoli molto complessi e sebbene i sovietici avessero cominciato a pensare a strutture stealth per le navi (con alberi tronco-piramidali e altre soluzioni strutturali per ridurre la RCS), per fabbricare un missile o un aereo stealth capace poi anche di volare bene, bisogna disporre di un sistema di elaborazione al computer molto sofisticato, fuori dalla portata della tecnologia sovietica dell'epoca e comunque ben poco diffuso anche all'Ovest (essenzialmente con gli F-117 e B-1B). L'alternativa per ridurre i tempi di reazione a circa 30 secondi o meno (sempre che la nave-bersaglio sia nelle condizioni di difendersi: l'HSM Sheffield avvistò otticamente l'Exocet, appena sei secondi prima dell'impatto) è quella di usare missili altamente supersonici, il che dà anche vantaggi di altro genere: per esempio, quello di essere difficili da ingaggiare cinematicamente per i missili intercettori e persino per gli impianti d'artiglieria antiaerea e antimissile, posti al limite delle loro capacità. Un sistema Phalanx, con una portata di 1,5 km, deve abbattere il missile in appena 2 secondi anziché 5-6 di un'arma normale. E questo con un bersaglio molto più veloce e difficile da inquadrare anche per un FCS sofisticato. Non soltanto, ma le schegge dell'arma supersonica sono estremamente pericolose, persino entro un raggio di 3-4 km dallo scoppio. Specialmente se è un sistema massivo come il Moskit (zanzara, nome ovviamente ironico per un ordigno da 4 t). Infine, la velocità è tale che, anche se la testata non esplodesse, potrebbe spaccare in due lo scafo di una nave colpita di fianco (il problema della corretta detonazione delle testate non è di poco conto, vedi gli Exocet). I missili 3M80 sono così un'arma molto temibile. Secondo i progettisti, essi erano in grado di raggiungere gli incrociatori AEGIS prima che essi potessero lanciare il primo SM-2, lasciando ai deboli Phalanx e alle ECM la difesa. Può essere che questa scommessa avesse ragione d'essere negli anni '80, quando la velocità degli elaboratori era molto minore di adesso. In ogni caso, questo missile avrebbe lasciato nel migliore degli scenari una sola possibilità di sparargli contro, dopo di che si sarebbe potuto quasi certamente introdurre sotto la minima distanza di tiro degli SM-2 (circa 3-4 km), mentre i cannoni Mk 45, nonostante un sistema radar di controllo del tiro, non avrebbero avuto una capacità di fuoco credibile per affrontare queste armi in arrivo. Il missile Moskit, la cui sigla è 3M80, aveva nondimeno dei problemi. La taglia quantomeno, che lo rendeva inizialmente incompatibile con le corvette 'Tarantul' (che ne ebbero poi la versione alleggerita P-270), e il fatto che per raggiungere velocità di oltre mach 2 a pelo d'acqua serve un motore potentissimo, in questo caso uno statoreattore, che pur consumando meno di un razzo consente tuttavia un raggio variamente indicato in 100-120 km, ovvero non più di quanto faccia un Harpoon subsonico, ma pesante appena un settimo. Quindi la gittata è stata sacrificata alla velocità, come anche l'opzione di saturare la difesa nemica di missili subsonici dalle caratteristiche minori, ma meno costosi. Questi ultimi hanno sì lo svantaggio di essere vulnerabili quando avvistati, ma hanno dimensioni e RCS più piccole, il che significa che vengono avvistati solo quando sono più vicini. Inoltre emettono molto meno calore e quindi sono decisamente stealth in termini termici, sia per il motore (a turbogetto) che per l'attrito. Queste armi tuttavia non erano all'inizio disponibili e i missili subsonici già presenti erano grossi quasi quanto il Moskit. Inoltre quest'ultimo ha avuto uno sviluppo soddisfacente, differentemente da altri progetti precedenti. Alla fine, pur con una gittata pari ad un quarto di quella di un SS-N-3, 12 e (soprattutto) 19, quest'arma si è dimostrata una sfida molto seria per le difese delle navi occidentali. L' SS-N-22 è presente in due lanciatori quadrupli KT-190, inclinati verso l'alto di 15 gradi e davanti alla plancia. I missili 3M80 (o 3K80) . Il tutto è collegato con il sistema a 1-4 GHz 'Mineral E' (Band Stand) in cupola, per la designazione dei bersagli ai missili antinave anche oltre-orizzonte. Potrebbe sembrare poco per navi tanto grandi, ma del resto i missili pesano oltre 4 t l'uno. Azionati da potenti booster a propellente solido, poi da uno statoreattore, essi sono velocissimi e concepiti per volare nel minor tempo possibile verso il bersaglio, superandone 'di forza' le difese. La velocità max è di circa mach 2,6, ma pare che vari in funzione della quota e che a pelo d'acqua scenda a 1,5 mach: sempre molto, ma non è quello che si sente usualmente dire di queste armi, che dovrebbero essere capaci di volare a 2,5 mach a bassa quota. Non è chiaro se si tratta di un errore o di precedenti 'sopravvalutazioni', ma stando alle stesse dichiarazioni dei progettisti, la velocità del missile doveva essere enorme visto che si voleva colpire anche le navi AEGIS prima che avessero il tempo di aprire il fuoco. Il che, però, difficilmente si sarebbe potuto fare se il missile volava a mach 2,5 ma solo ad alta quota, dove era più facile da localizzare. Arrivato vicino al bersaglio sotto il controllo dell'INS, il missile attiva poi un sofisticato sistema di ricerca radar sia attivo che passivo (HOJ, capacità anche di autoguidarsi sui disturbi); la velocità è talmente elevata, che in poco più di due minuti il missile è in zona, quindi nemmeno servirebbero delle correzioni di media corsa, del resto l'arma è dotata di una gittata non particolarmente elevata, variamente indicata in 90-120 km, poi incrementati recentemente a 220 grazie ad un quantitativo di carburante pressoché doppio; forse è stato sviluppato con una commissione passata dai Cinesi, le cui pur numerose e interessanti armi antinave, anche supersoniche, a quanto pare non reggevano il confronto con quelle russe (sebbene esse fossero vecchie di 20 anni), tant'è che poi le hanno comprate assieme ai cacciatorpediniere. Ad ogni modo, il sistema di designazione 'Light Bulb' ha anche capacità di correzione in corsa con il data-link di bordo. Il radar si attiva solo a 5-7 km dal bersaglio, davvero all'ultimo visto che significa circa 10-15 sec; la guida terminale sull'obiettivo è svolta con l'arma a pelo d'acqua e nondimeno, capace di manovrare anche a 10-15 g, con traiettorie ad S e quote di volo comprese tra sette e 20 metri a seconda dello stato del mare. Per saturare le difese nemiche, ammesso che possano fermare o ingannare questo sofisticato ordigno bellico, possono essere tirati 4 missili in appena 15 secondi. La testata bellica pesa 300 kg di cui 150 di HE (High-Explosive), ma vi era anche una versione con testata da 200 kT, probabilmente almeno un paio dei quali erano portati a bordo di ciascuna nave (il 25%). E nemmeno erano necessari: un missile di questo tipo, con un'energia cinetica decine di volte superiore a quella di armi tipiche come l'Exocet, può spaccare in due lo scafo di una nave di media grandezza. Una singola testata riesce ad assicurare un'elevata probabilità di distruzione (e la pressoché certezza della messa 'fuori servizio') di navi fino a 20.000 t. Ma spesso le testate dei missili antinave tendono a non esplodere o a non farlo correttamente (vedi Exocet), per cui la devastante capacità di distruzione della sola energia d'impatto (e del carburante residuo, esplosivo-incendiario, anche se non quanto i propellenti a razzo) è già una garanzia extra. Persino se il missile venisse colpito dai CIWS, i suoi veri nemici, questo non impedirebbe a frammenti e schegge anche molto potenti di propagarsi a distanze anche di 4 km, investendo la nave che viene difesa con danni potenzialmente elevati, magari quel tanto che basta per metterla KO mentre un altro missile si avvicina. Certo, sarebbe meglio deviare il missile a distanza di sicurezza o farlo passare vicino alla nave (non è facile dato il poco tempo che concede alle ECM; si pensi che molti tipi di missili antinave subsonici attivano i sensori ad almeno 10 km, per cui c'è quasi un minuto per ingannarli), facendolo esplodere lontano; ma il rischio che questo non funzioni è tale, che nemmeno i missili antinave normali possono essere lasciati avvicinare impunemente, anche se distruggerli in aria potrebbe causare quasi certamente danni alla nave che si difende da essi (e le navi moderne sono quasi sprovviste di corazze difensive, tornate in auge solo di recente). La versione 2M82 ha una portata aumentata a circa 160 (o addirittura 220, secondo i dati più recenti) km e miglioramenti generali, ed è più lunga per ospitare più carburante. Essa è esportata come 3M80E ed imbarcata sui Project 956A e l'unico 473, l'Admiral Chabaneko, un 'Udaloy' che sacrifica i missili SS-N-14 sostituendoli con gli SSN-22, come anche i due pezzi da 100 mm rimpiazzati dalla torre da 130 mm. Il missile Moskit ha, tra le altre limitazioni, una gittata minima di ben 10 km. D'altro canto, almeno i tipi più recenti pare che possano seguire profili di volo diversi: dopo il lancio (non vi sono booster esterni) l'arma potrebbe arrivare a circa mach 3 e a 200 km seguendo profilo d'alta quota. Oltre ai due lanciatori quadrupli, i caccia 'Sovremennyy' hanno anche altre armi importanti. I due AK-130, impianti binati da 130 mm, sono armi raffreddate ad acqua e con una dotazione di ben 180 colpi pronti all'impiego e 2.000 nei depositi. Questi sono stati pensati non solo per il tiro antinave, antiaereo e controcosta, ma anche antimissile (sono le armi di maggior calibro con tale capacità). Questi 4 cannoni sono un complesso unico per un caccia moderno, e sarebbero una valida dotazione teorica per un caccia della II GM. Il cannone AK-130 ha un minore potenziale distruttivo antinave rispetto ai missili, ma non è da meno quanto a complessità, potenza e 'impatto' sulla nave che lo ospita. In origine si voleva un impianto singolo per ovvie ragioni, ma, come nel Compatto OTO da 127 mm, si voleva anche una capacità di tiro efficace nel ruolo contraerei e persino antimissile. Visto che la cadenza di almeno 60 colpi non era praticamente raggiungibile, si è proseguito nei 'desiderata' al punto da accettare, piuttosto che una capacità di difesa inferiore, una torretta binata ben più pesante e costosa. E anche più lenta nel brandeggio, che resta comunque rispettabile, di 25 gradi al secondo in alzo e rotazione; l'alzo è di -12/+83°, il che dà l'idea (specie se si compara con l'Mk-45 americano e l'Mk-8 inglese) di come questa torre, dall'aspetto caratteristico 'quasi emiferico' e molto aggressivo (anche per la presenza di un sistema di tiro optronico locale) sia stata pensata per la lotta antiaerea, persino contro armi (Harpoon?) che attaccano in assetto pressoché verticale. Il peso è di ben 98 t; si confronti con le 34 del Compatto (singolo) e la ventina dell'Mk-45 e Mk-8. A pieno carico, la torre pesa 108 t, il che dà l'idea del perché la velocità a cui si muove non possa essere tanto elevata come si sarebbe voluto (con la torre singola). A bordo vi sono un gran numero di proiettili: ben 180 sono conservati nella giostrina di caricamento rapido (si pensi che il Compatto ne ha 66 e già era ben sopra la media della categoria; anche dividendo per due canne, sono pur sempre 90 proiettili per cannone) e 2.000 nei depositi (per ciascuna torretta?); le munizioni sono sparate a 850 m/s, fino a oltre 24 km; interessanti i tipi impiegati: per il tiro controcosta l'A-3-UZS-44 da 52,8 kg completo, 3,56 di esplosivo, e lunghezza di 1,369 metri. I proiettili A-3-UF-44 hanno funzione antinave e come tali sono SAP; anche se non ce ne sarebbe bisogno contro le navi moderne, più che vulnerabili a proiettili di quasi 35 kg, esse possono perforare fino a 80 mm a 45° di impatto (non è chiaro però a quale distanza). La maggior parte delle navi non ha che uno scafo da un paio di cm di spessore, per cui non c'è scampo da tali proiettili, capaci di perforare la cintura corazzata di un incrociatore leggero classico. Il costo da pagare, ovviamente, è una minore quantità di esplosivo, un sacrificio in nome della capacità di far giungere il proiettile ben dentro la nave. Come detto prima, per le unità navali moderne non è un problema, quindi meglio andare con le munizioni HE, molto più distruttive, 'settate' con la spoletta attivata con leggero ritardo. L'arma è controllata dall'MR-184M LEV, codice NATO 'Kite Screech', banda I/K, frequenza 10-40 GHz e portata massima di 75 km. Si tratta dunque di un radar con una portata ben superiore a quella che necessiterebbe un'artiglieria di questo tipo; la precisione di tiro è considerata tale da consentire un errore di appena 5 metri e, in direzione 0,5 millirad. Un rad è pari a circa 57 gradi, ovvero 360 diviso 2 x pigreco. Quindi, se si punta ad un obiettivo lontano 10 km, allora si dovrà considerare che esso sia colpibile con una precisione (almeno da parte del radar, poi è il proiettile che deve arrivarci, per esempio superando venti laterali di velocità apprezzabile; se non altro si tratta di una munizione pesante e veloce, quindi poco influenzabile dalle perturbazioni atmosferiche) elevatissima, pari a 5 metri: a tale distanza, in pratica, il radar darebbe lo stesso margine d'errore sia in distanza che in direzione. Per colpire una nave in superficie è molto più che sufficiente; per abbattere un aereo anche, perché i proiettili usati per il tiro a.a. hanno spoletta di prossimità con un raggio utile di parecchi metri. A distanza ravvicinata, anche il tiro antimissile è perfettamente possibile, del resto è per questo che il cannone, sebbene la cadenza di tiro sia di 40-45 c.min (molto inferiore rispetto ai desiderata sovietici e anche alle stime occidentali, che negli anni '80 parlavano di circa 130 c.min per tutti e due i cannoni di ciascuna torre), è stato concepito, tra le altre esigenze. Altrimenti sarebbe stato un valido armamento anche il vecchio pezzo da 130 mm a canna più lunga (20 c.min), con portata di circa 27 km, e che è ben noto, più ancora per l'uso con i cacciatorpediniere russi, per l'impiego a terra come M-46, un formidabile pezzo d'artiglieria a lungo raggio rimasto 'al top' delle prestazioni per decenni. Il radar è potente e preciso, ma di sicuro la ricerca di prestazioni così elevate non lo ha reso compatto, specie se lo si compara con sistemi occidentali come l'RTN-30X (quasi 'invisibile' con la sua minuscola antenna, sulle sovrastrutture delle navi che lo portano). Esso ha un'antenna di 2 m di diametro, il che non è notizia di poco conto; ma soprattutto, il sistema ha un peso completo di otto tonnellate (l'antenna parabolica, dietro di essa, ha un po' tutta l'attrezzatura elettronica); così che persino i 'Sovremenny' non hanno che un solo radar di tiro per i cannoni, essenzialmente asservito alla torre di prua; quella di poppa, non avendo la possibilità di esercitare un tiro antimissile efficace, è obiettivamente un peso assai inutile per il caccia. Del resto un eccesso di potenza è utile per contrastare le ECM nemiche. Due cannoni da 130 mm, quelli a prua, sarebbero più che sufficienti per una nave moderna. Per far funzionare l'MR-184 sono anche necessari quattro operatori, anche se in emergenza è probabile che sia possibile attivarlo con minor manodopera. Infine ogni AK-130 ha una camera TV-IR-telemetro laser, in un sistema chiamato Kondensor, e che provvede, per qualunque esigenza, al tiro locale, senza bisogno di dipendere dal radar principale; è anche utile per il tiro contro piccole unità navali o altri bersagli non visibili dal radar di bordo, perché sulla costa o coperti da forti ECM. Infine vi è l'armamento SAM. L'SA-N-7, ovvero il sistema Uragan o Sthil, è l'equivalente dell'SA-11 terrestre; esso è collegato con un radar di scoperta 3D 'Top Steer', banda D/E e con 300 km di portata massima. Il suo successore MR-760 'Top Plate' lavorante in banda E (2-3 GHz), presente sulle ultime navi della serie e i tipi prodotti per la Cina, ha una portata di 50 km contro i missili antinave e 230 km contro aerei di grosse dimensioni. Non vi è invece un radar bidimensionale a lungo raggio, come accade normalmente per i caccia AAW occidentali. poi vi è il missile 9M38 o 9M38M1e il sistema di controllo del tiro MR-90 'Front Dome' con antenna OP-3; I lanciamissili Altair 2R90 Uragan o Sthil hanno un deposito rotante verticale per 24 armi, e la rampa singola, simile a quella dell'Mk-13 ma più massiccia (con delle ringhiere per l'ispezione per ciascun braccio della rampa), con la rotaia di lancio sistemata sotto il braccio mobile, viene ricaricata ogni 10-12 secondi. Si tratta di armi moderne, che potrebbero essere definite una sorta di 'copia' del Tartar-Standard SM-1. Tuttavia la loro portata non è molto alta, forse per problemi con la FCS piuttosto che con missili decisamente prestanti. Infatti la velocità degli ordigni è di almeno mach 3, ben maggiore del mach 1,8 del Tartar e 2,5 dell'SM-1MR; la portata è di 32 km se il bersaglio vola sopra i 1.000 m; sotto ha una gittata di 18 km, e contro missili antinave ha una portata di 12 km. Evidentemente la portata dipende dal 'mode' di funzionamento e la gittata contro missili antinave è dipendente forse dalla RCS di questi. La guida ha un sistema semiattivo radar; sebbene la portata sia limitata, essenzialmente è un apparato nato come arma difensiva della nave e con una portata solo di poco maggiore di quella di un 'Goa' (SA-N-1), il sistema può gestire fino a 75 bersagli di cui 15 in maniera prioritaria. Ma anche più importante, su ciascun lato della nave sono presenti ben tre radar di controllo del tiro 'Front Dome' in banda H/I e con portata di 30 km (tipica? sarebbe questa dunque la vera limitazione della portata dei missili); questo consente di ingaggiare bersagli multipli entro un arco di 360 gradi, e di resistere ad attacchi anti-saturazione. È un'arma a corto raggio, ma efficace per la difesa. I suoi missili, dal caratteristico colore verde con muso bianco, hanno una forma pressoché identica a quella degli Standard, ma con la fusoliera ingrossata leggermente davanti alle 4 alette di stabilizzazione. Le loro capacità di ingaggio non sono solo multiple, ma consentono l'attacco di missili fino a 700 m/s di velocità massima, praticamente uguale alla loro, quindi in teoria sarebbero efficaci anche contro obiettivi quali gli stessi SS-N-22. La quota massima è tra 10 e 14.000 metri. I sistemi SAM delle navi occidentali hanno in genere solo due, talvolta uno, eccezionalmente quattro radar di illuminazione, e tranne che in qualche classe di incrociatori americani (specie i 'Ticonderoga') non c'è una difesa a giro d'orizzonte, specie con un solo lanciamissili. Il Tartar-Standard ha una tipica configurazione di un solo lanciamissili, sebbene capace di 40 armi, e due radar di illuminazione (come nel caso degli 'Adams', 'Audace', 'De la Penne'); in effetti, i sistemi occidentali sono più portati per gli ingaggi a lungo raggio, ma no hanno la stessa reattività per le brevi distanze e attacchi simultanei, potendo attaccare solo due bersagli per volta (vedi le Falklands, per esempio). Gli ultimi tre caccia, uno retrofittato e il secondo lotto di due navi cinesi (aggiuntesi alle altre due) hanno gli equivalenti degli SA-17, che il tipo navale è SA-N-12 'Grizzly'. I nuovi missili 9M317, al posto del 9M38, hanno migliorato di molto le prestazioni, con un motore a doppio stadio; il peso è di 715 kg vs 690, la potenza del motore li spinge fino a mach 4 anziché mach 3; è uno dei valori più elevati per un'arma a medio raggio contraerea; la qualità di manovra, di circa 23 g nel caso degli SA-11, è senz'altro maggiore, tanto che si dichiara la possibilità di ingaggiare bersagli manovranti a 12 g (il che significa che solo questi missili potrebbero ingaggiare gli SS-N-22, almeno una volta che questi iniziano a manovrare per l'approccio finale; la velocità del bersaglio non è l'unico aspetto da considerare, se poi questo si mette anche a manovrare); la gittata massima arriva a 50-60 km, il che significa che i radar dovrebbero essere molto più potenti; in ogni modo, gli Standard SM-2 americani, anche nelle loro prime versioni, arrivavano ad oltre 70 km e quindi a loro confronto l'SA-N-12 resta un sistema molto meno prestante. Stranamente i sovietici non hanno mai sviluppato missili a lancio verticale nel settore del medio raggio, mentre li hanno sviluppati per quelli a lunga gittata (malgrado siano decisamente più impegnativi, gli SA-N-6 pesano circa 1,8 t) e a corto raggio (che non è un'esigenza assoluta, se si hanno lanciatori multipli con armi già pronte al lancio, come gli Sparrow). Naturalmente una capacità di lancio verticale sarebbe la benvenuta per sfruttare appieno le sei stazioni di direzione del tiro radar. Un modulo di questo tipo è stato sviluppato ma per mancanza di denaro, non implementato nella produzione in serie. Infine il 'Sovremenny' può difendersi con i soliti quattro AK-630M a mezza nave, minuscole torrette (decisamente 'miniaturizzate' anche rispetto ai tipi occidentali) da 5 t (con le munizioni) con potenti cannoni da 30 mm a sei canne rotanti, capaci di 5.000 c.min e raggio pratico di 1-3 km antiaerei e antimissili, e fino a 5 k m contro obiettivi di superficie. Gli AK-630M vennero introdotti nel '79, dopo circa 3 anni di servizio e vari inconvenienti dimostrati dal modello base, ciascuna con una torre AO-18 a 6 canne da 30 e 2.000 colpi (1.918 kg). La spoletta ne comanda l'autodistruzione subito dopo. Non pare che vi siano proiettili AP, a differenza delle armi occidentali: apparentemente ci si fida della sola potenza dei proiettili esplosivi, da quasi 400 gr l'uno. I primi 400 colpi sono sparabili liberamente, poi però le armi devono essere messe per 15-30 secondi a riposo per essere raffreddate dall'acqua di mare del circuito a circolazione forzata. Ad ogni modo, per allora (dopo circa 5 secondi di ingaggio) il missile dovrebbe già essere stato abbattuto, deviato o .. andato a segno. Da notare che esistono anche proiettili di distrazione con chaff e flare, ma come essi possano essere usati senza disturbare la centrale di tiro e in che misura rispetto ai colpi 'distruttori' non è chiaro. La direzione di tiro è assicurata da due MR-123 'Bass Tilt', banda X (8-12 GHz), uno per coppia di torrette, e un sistema ottico alternativo con TV e telemetro laser. L'antenna è caratteristicamente inclinata a 45° nel suo radome di forma cilindrica, e ha un diametro di 1,2 metri. La Marina sovietica, la prima a realizzare la potenza offensiva dei missili antinave, è anche la prima che ne ha studiato gli antidoti, con l'applicazione di un gran numero di torrette difensive da 30 mm, le prime erano binate a canna singola, con munizioni di maggiore potenze (30 x 213 mm) e radar 'Drum Tilt'; la generazione successiva ha un solo cannone Gatling e il 'Bass Tilt'. Gli ultimi caccia hanno il KAsthan, o CADS-N-1, con modulo di comando e controllo 3R86E1 per la processazione dei dati e funzioni IFF, e il modulo di combattimento 3R87E, con due cannoni da 30 mm e sei-8 missili 9M311 o SA-N-11, portata di 8 km e quota massima fino a 3,5 km, testata da 9 kg azionata con comando radio e capacità di ingaggiare bersagli fino a 500 m/s, mentre l'arma di per sé arriva a quasi mach 3, o 900 m/s al termine della combustione. È un missile bistadio e come tale, ad alte prestazioni perché il booster lo accelera e poi viene sganciato. Peso complessivo circa 40 km. Il radar di tiro 'Hot flash' ha due radar di scoperta e (il secondo) di guida, più un sistema elettro-ottico con telemetro laser e camera TV; è possibile ingaggiare fino a sei bersagli in contemporanea. Infine vi sono i sistemi per la guerra ASW, limitati all'autodifesa: un sonar attivo a media-alta frequenza MG-335 ('Bull Horn') a prua, due lanciasiluri ASW binati da 533 mm modello DTA-53 TT (i grossi siluri ASW sovietici sono probabilmente anche utili per azioni antinave) e due lanciarazzi RBU-1000 a sei canne, con razzi ASW e antisiluro con testata da 55 kg, essendo armi calibro 300 mm, ferroguide per posare mine e l'elicottero, originariamente un Ka-25, poi un Ka-27 del tipo PL ASW oppure RT per il targeting di bersagli oltre orizzonte. I 'Sovremenny', senza dubbio navi imponenti e impressionanti, hanno una selva di armi e apparati elettronici che costituiscono indubbiamente una delle materie più studiate dagli analisti NATO dal 1980 in poi, spesso senza afferrarne la sostanza e le capacità. I sistemi elettronici difensivi, realmente impressionanti (i sovietici avevano preso molto sul serio la difesa delle loro unità navali, essendo consapevoli di dover combattere per avvicinarsi alle navi della NATO) . Nel caso delle navi NATO, in genere, vi sono solo 1-2 ESM, 1 ECM, 2 lanciarazzi. Qui invece comportano due ESM MP-405M o MR-410; due ECM MRP-11M e 12M ('Bell Shroud'), 2 'Bell Squat', 4 'Foot ball-B' e un MR-407. Oltre a ben 2 ESM e 7 sistemi ECM. Non manca nemmeno una schiera di lanciatori di falsi bersagli: due lanciarazzi PK-2M sono a prua, con impianti binati a tiro rapido da 140 mm ZIF-121. Inoltre vi sono ben 8 lanciarazzi fissi PK-10 da 120 mm, mentre non si hanno informazioni (ma vi sono sicuramente) sui decoy antisiluro trainati; tra 2 e 8 sistemi di allarme laser Spektr-F ('Half Cup'), mentre ad integrazione dei radar vi erano sistemi optronici come quello TV-laser del 'Kite Screech', e un sistema indipendente chiamato 'Squeeze box' in ambito NATO, con sistemi TV, laser e IR, parte del sistema di visione 'Tall View'. Infine vi sono due datalink Princep ('Light Bulb') e tre MR-201 e 212 'Palm Frond' di navigazione completano la schiera dei radar: ben 13. ====Evoluzione e servizio==== [[File:Rastoropnyy&O'Bannon1992.jpg|420px|right|thumb|Un caccia sovietico in compagnia di un potenziale avversario: l'O' Bannon, classe Spruance. Era il 1992. Il destino della nave americana, molti anni dopo, sarebbe stato quello di finire come nave-bersaglio.]] I caccia russi, oramai retaggio della Guerra fredda, hanno senz'altro costi e complessità notevoli, considerando che non sono nemmeno capaci, per esempio, di eseguire lotta ASW e molto limitati anche come capacità di difesa aerea d'area. Tra i miglioramenti,però, vi sono sistemi come il SAM YOZH, ovvero l'SA-17 Grizzly navalizzato, da 50 km di gittata. Ma il cantiere Severnaya 190 di S.Pietroburgo propone anche versioni modificate del progetto: per esempio una da 8.700 t che rimpiazza i missili SS-N 22 con 16 SS-N 25 Uran -oppure i più potenti Uranium da 250 km- che rendono finalmente disponibile anche per la Russia un sistema abbastanza piccolo ed efficace, simile ai missili occidentali e, sebbene meno appariscente dei supersonici Moskit, molto più economico e facile da usare (anche da elicotteri e cacciabombardieri). Siccome la torre da 130 poppiera è poco utile, la sua massa di quasi 100 t (98, circa 10 in più con le munizioni) è stata rimossa in alcune navi. Tra l'altro essa finisce per togliere spazio agli elicotteri, che sono costretti ad usare una piattaforma al centro della nave. Questa è in realtà ideale dal loro punto di vista, data la stabilità rispetto all'asse di beccheggio; ma è abbastanza angusta da richiedere un hangar telescopico per ricoverare l'elicottero. Nel caso dei nuovi progetti, la torre poppiera è stata anche sostituita con una variazione al progetto dotata di 24 missili KLUB o SSN-26, e 4 Kasthan/Kortik per la difesa ravvicinata al posto degli AK-630 e dei relativi radar (due cannoni e un radar a metà della sovrastruttura su ciascun lato). Il dislocamento sale però a 9.000 t. ALtre proposte parlano dei missili 3M55 Oniks. Ma è la piattaforma di per sé che è invecchiata, a meno di non trasformarla radicalmente. Anzitutto i motori sono obsoleti. Essi non garantiscono grande autonomia, e anche se questo valore non è tanto peggiore, per esempio, dei 'Burke' americani (7.200 km a 20 nodi), il problema è il peso, ingombro e scarsa reattività del sistema. Perché, mentre i diesel o le turbine possono avviarsi subito e passare alla massima velocità in pochissimo tempo, i motori a caldaia richiedono il riscaldamento del vapore, il che significa che l'approntamento per il moto richiede molti minuti se non ore. L'alternativa è di tenere costantemente accese al minimo le caldaie, ma la pressione del vapore deve restare comunque entro certi limiti. Infine vi è il rischio di esplosioni delle caldaie in caso di colpi a segno. Altro problema, certamente -e sorprendentemente- non affrontato in sede progettuale, è la mancanza di qualunque accorgimento stealth, anche se molte grandi navi sovietiche dell'epoca avevano almeno dei criteri basici per ridurre segnature radar e anche IR (quando le navi occidentali non avevano nulla di simile, tra l'altro). In altri termini, se negli anni '80 queste navi erano una sfida per i vari 'Kidd', 'Spruance' e anche per i 'Ticonderoga', negli anni '90, di fronte al numero e alle capacità delle navi AEGIS statunitensi hanno senz'altro segnato il passo. NAVI in servizio al 2003: *720 Boyevoy (combattivo), impostato 26-3-82, varato 4-8-84, servizio 28-9-86, flotta del Pacifico. *778 Burnyy ('Fiero'), 4-1-83, 30-12-86, 30-9-88, idem *429 Gremyaschiy (Tonante), 23-11-84, 30-5-87, 11-1-89, Flotta del Nord *715 Bystryy ('Veloce'), 29-10-85, 28-11-87, 30-9-89, Pacifico *420 Rastoropnyy (Pronto), 15-8-86, 4-6-88, 30-12-89, Del Nord *754 Bezboyaznennyy (Intrepido), 8-1-87, 18-2-89, 23-12-90,Pacifico *406 Bezuderzhannyy (Tenace), 24-2-87, 30-9-89, 23-12-90, Pacifico *620 Bespokoynyy (irrequieto), 18-4-87, 22-2-92, 29-12-93, Baltico *610 Bastoychivyy (Persistente), 7-4-88, 15-2-92, 27-3-93, Baltico *434 Besstrashnyy (Impavido), 16-4-88, 31-12-92, 17-4-94, Del Nord Di queste navi due erano inattive. Le ultime tre erano del Progetto 956A. Insomma, i caccia Progetto 956 sono navi potentemente armate, ma superate nell'insieme e non facilmente aggiornabili per la specificità dei loro sistemi di bordo. Hanno rappresentato degnamente la Marina sovietica nel momento cruciale della guerra fredda, con il picco della corsa agli armamenti negli anni '80, ma adesso necessiterebbero di un successore interamente nuovo, magari molto più basato sull'Udaloy (navi molto moderne ma poco armate per le dimensioni). I Cinesi le hanno comprate probabilmente per fare esperienza con sistemi sofisticati, specie i missili, ma poi hanno tirato dritto con progetti del tutto originali e certamente più moderni e attuali, come i Type 51. Da notare come i 'Sovremennyy' erano tra le unità più temibili degli anni '80 anche per la Cina. Difficilmente all'epoca, in una fase di confronto per il dominio del Pacifico e anche dell'Oceano Indiano, ci si poteva figurare che un giorno la Cina avrebbe potuto invece fare shopping e comprare direttamente tali navi da guerra. Ma con il tempo e il crollo dell'URSS, la situazione è cambiata parecchio e Mosca ha bisogno di far cassa: il militare è una dei pochi settori in cui può ambire a conquistarsi fette di mercato importanti e i Cinesi si sono ritrovati con parecchi soldi da spendere, proprio perché hanno tralasciato uno sviluppo forsennato del settore militare e hanno puntato maggiormente su quello economico, il che ha provocato delle ricadute a lungo termine molto più positive. La fase di floridità delle casse cinesi è giunta giusto in tempo per approfittare delle macerie dell'ex-URSS. I 'Sovremenny', a quanto pare felicemente in servizio anche nella marina cinese grazie ad una certa flessibilità d'impiego (erano nati per scenari assai diversi, sebbene l'USN sia sempre uno dei possibili bersagli delle loro azioni), sono pur sempre navi di notevole impegno. Però hanno costi di gestione elevati, e un sistema di propulsione obsoleto, che necessita di notevole tempo per essere attivato se necessario, oppure di tenere le caldaie accese e in pressione, consumando carburante e aumentando la segnatura della nave, sia termica che sonora; questo per non parlare della struttura, pesantemente difesa delle ECM ma del tutto priva di sistemi di riduzione della traccia radar (e questo sebbene molte navi sovietiche avessero già strutture piramidali per ridurre la traccia radar complessiva); inoltre le tante antenne concentrate in spazi ridotti possono influire negativamente sulle capacità di scoperta delle ESM, e a differenza dei sistemi occidentali, il loro apparato di scoperta radar non ha un sensore secondario-complementare a due dimensioni, ma solo il 'Top Plate'. Malgrado questo, i cinesi li hanno ben visti e ne comprarono due incomplete per 600 mln di dollari; poi seguirono due Project 956EM, migliorate rispetto alle altre con gli SS-N-22 a lungo raggio e i Kasthan, consegnate nel 2005 per un costo di un mld di dollari. Altre due navi, inizialmente previste, sono state poi depennate dai cinesi, che hanno preferito continuare con i loro progetti nazionali. Il contratto originale vide comprare gli incompleti 'Yekaterinburg' e 'Vdumchivyy' (rispettivamente al 65 e al 35%), le unità della serie N.18 e 19. Vennero consegnati il 15 agosto e il 25 novembre 2000 come Hang Zhou (136) e Fu Zhou (137), basati a Dinghai. Il contratto che consentì tale acquisto era del gennaio 1998 e riguardava un esborso di 667 mln di dollari. Non molto per la stazza e la forza delle due unità, ma come si è visto, per quanto nuove esse sono di un modello superato. Però sono piaciute, se per circa 1 mld di dolalri ne sono state comprate altre due del tipo migliorato 956EM, consegnate (totalmente di nuova costruzione) dal 2005 e inizialmente con altre due pianificate (poi annullate a vantaggio di costruzioni nazionali). Tutto questo fu molto convincente per la Marina di Taiwan che, senza navi altrettanto moderne, ebbe rapidamente dall'amministrazione Bush l'autorizzazione per comprare i 4 'Kidd' ex-USN, altri eredi della Guerra Fredda, originariamente costruiti per i Persiani. L'unica stranezza di tutto questo è che la piattaforma degli 'Udaloy', meno appariscente forse, ma molto più moderna (pur essendo un progetto simile a quello delle 'Krivak' antecedenti), non è stata considerata. L'Udaloy II, rimasto esemplare unico, ha un impianto da 130 mm binato e missili SS-N-22 al posto dei 'Sylex'. Una piattaforma come questa, con un sistema d'arma come i Sovremenny, con i quali avrebbe potuto cooperare (fornendosi difesa reciproca, un po' come i caccia 'Spruance' e gli incrociatori 'California', o nella RN, i Type 42 e le Type 22) a suo tempo, sarebbe stata senz'altro superiore. Questo perché il sistema di propulsione è a turbina a gas, molto più piccolo, leggero e compatto, nonché capace di accelerare la nave partendo da zero al massimo senza praticamente soluzione di continuità; i motori a turbina o a combustione interna (diesel) hanno tempi di reazione ben inferiori a quelli delle turbine a vapore. Inoltre gli 'Udaloy' hanno una maggiore cura per la riduzione delle tracce, inclusa quella radar. Ma per gli anni '90 la marina russa, erede della marina sovietica (che fu all'avanguardia nella ricerca della riduzione delle tracce, sia con i sistemi di raffreddamento per le turbine e le strutture studiate per ridurre la riflessione radar), aveva adesso la necessità di un progetto nuovo per raggiungere le capacità occidentali che ora erano rappresentate dai 'Burke', LCF, F-100, Horizon ecc. Eppure, a tutt'oggi il confronto continua con diversi attori: i quattro 'Sovremenny' cinesi da una parte, e i quattro 'Kidd' taiwanesi (ex-USN) dall'altra. Tra l'altro, l'acquisto dei caccia taiwanesi fu contestato per il loro costo (del resto, i 'Kidd' sono un po' come la 'Sora Camilla', tutti li volevano ma ce n'é voluta per trovare un acquirente che se li potesse permettere, in fondo sono pur sempre navi tipicamente della Marina americana); peggio ancora, una simulazione al computer (per quel che vale) vide i 'Kidd' essere affondati in rapida sequenza dai missili 'Sunburn' lanciati dai caccia cinesi (A.Leung, RiD Feb 2004); così i vecchi caccia sovietici continuano ad esercitare un deterrente non trascurabile anche in Estremo Oriente, sia pure con un avversario diverso. Ricapitoliamo: *Unità: 18 o 19, di cui 10 in servizio (4 con la marina cinese) *Dislocamento: 7.940 t, 8.480 a pieno carico *Dimensioni: lunghezza 156,37 m e larghezza 17,19 m *Propulsione: due turboriduttori TV-12 per complessivi 100.000-110.000 hp e 4 caldaie turbopressurizzate KVN-98/64 da 640 kg/cm2 e 500°; velocità massima 33,4 nodi e 32,7 continui, autonomia a 32,7 nodi di 1.345 miglia nautiche e a 18 nodi di 3.920 (max combustibile 4.500 nm), carburante 1.740 t; due eliche a passo fisso e due turbogeneratori da 1,25 MW l'uno attivati da 4 diesel da 600 kw, *Equipaggio: 25 ufficiali e 271 sottufficiali e comuni *Elettronica: radar di scoperta 3D 'Top Steer', banda D/E e 300 km di portata massima o il 'Top Plate', presente sulle ultime navi, portata di 50 km contro i missili antinave e 230 km contro aerei di grosse dimensioni; 6 MR-90 'Front Dome'; un MR-184M LEV; 2 MR-123 'Bass Tilt'; un sistema radar 'Mineral' (Band Stand); tre radar di navigazione; un sonar MG-335 ad alta frequenza; 2 ESM, 9 ECM e 10 lancia-chaff; 2-8 sistemi LWR, due datalink, almeno un apparato opronico (ecc. ecc.) e i sensori dell'elicottero. *Armamento: 8 SS-N-22 (Moskit?), 2 lanciamissili Sthil con 48 SAM; 2 AK-130 per quattro cannoni da 130/54 mm; 4 AK-630 da 30 mm, 2 RBU-1000, 4 TLS da 533 mm; un elicottero Ka-25 o 27, spesso dei tipi da scoperta radar, alcune volte del tipo ASW. Quanto alle caratteristiche dei missili antinave sovietico-russi: '''SS-N 22--SS-N- 25--SS-N-26''': *Designazione del sistema: P-100, missile 3M80, servizio dal 1980---Uran, 2M24, servizio dal 1997---P1100 Oniks, 3M55 *Peso: 3.950 (320 kg testata, di cui 150 HE)---603 kg, 503 in volo, 145 kg per la testata di cui 90 HE---2.990 kg di cui 250 testata e 200 HE *Dimensioni: 9,385 x 0,76 x 2,1 m--4,4 x0,67 x 1,24 m *Gittata: minima 10 km, max 120-160 km--115/130 km minima 5-7 km- 120 km, fino a 320 al alta quota *Quota di volo: 20 m, attacco a 5-7 m---10 m, attacco a 3-5 m---15 m, attacco a 10 m. Manovra a 20 g *Velocità: mach 2,3, 2,6 in fase d'attacco---tipica 240 m/s (860 km/h), massima in attacco 300 m/s (1.100 km/h)--750 m/s, crociera a 680 m/s, mach 2 a 15 m di quota, 2,5 a 14.000 *Dimensioni del lanciatore: 10,35 x 3,4 x 3,1 m---4,64x0.79 m, peso 4,5 t----8,75x0,64x1,28 m---8,99 x0,73 m, 3.900 kg (per lanciatore singolo) *N.bersagli ingaggiabili dal sistema: fino a 12, con sei missili in volo simultaneamente *Pk: fino a 0,99--?--- Note: il tipo 3M24M1 Uranium ha una gittata di 250 km e una testata di ricerca da 60 km di portata. La testata standard del 3M24 pesa 40 kg, porata utile 20 km e ricerca su di un orizzonte di 90°, massima forza del mare 6. La portata radar del sistema di designazione Garpon è di 140 km. Il motore è un R95 da 2,7 kN, con 45 kg di carburante e 73 kg di booster a razzo. Il 3M55 ha un motore a statoreattore Plamia da 200 kg, e 39 kN, 500 kg di kerosene e 450 kg del booster d'accelerazione. Il sistema ha designazione ARGS55 con portata di 80 km (passivo) e 50 km (modalità attiva), su bersagli fino a 50 nodi di velocità. Il sistema di designazione Dubrava è capace di una portata di 45-200 km attivo, 500 km passivo. Ingaggia fino a 15 bersagli. ===L'ultimo degli 'hovercraft', lo ZUBR<ref>Schiele, Martin, gli hovercraft ''Zubr'', RiD Ago 2004 p.70-75</ref>=== I sistemi navali non convenzionali sono una specialità dei russi da molto tempo. Nel '34 le SES vennero studiate e realizzate nel '34 da un'università sovietica, il primo esemplare era l'L1, poi diventato TKL 1, raggiungendo nel golfo di Finlandia ben 73 nodi di velocità; non solo, ma prima della II GM vennero addirittura poste in produzione quattro unità in versione motosilurante, ma non usate perché i loro motori (diesel) avevano problemi di raffreddamento. Il primo aliscafo venne progettato nel '61 dal CKN ed era una nave da sbarco Ro-Ro, la Progetto 1232 o 'Dzerjan', simile all'hovercraft Mountbatten inglese. Già entro la fine degli anni '60 vennero realizzati circa 100 ACV per la Marina sovietica, e la loro elevata velocità era vista con favore per la loro capacità di sbarco rapido, anche se erano costosi e vulnerabili. Molte altre unità vennero realizzate per il KGB, la polizia e i civili. In seguito arrivarono molti altri tipi di mezzi e i più grandi erano i 'Gus' da 330 t, ma non per molto. I più grossi di tutti erano i Projetc 1232.2 o classe Zubr, o, per la NATO, 'Pomornik'. Il 24 gennaio 2000 la Marina greca firmò con i russi per quattro unità di questo tipo, e la cosa fece impressione e interesse tra gli addetti ai lavori, che conoscevano questi hovercraft, ma no pensavano che sarebbero diventati parte della NATO. IL costo non era alto: appena 101 mln di dollari per due navi russe e 97 per due ucraine, dato che erano navi ex-sovietiche rimesse a nuovo e non unità di nuova costruzione. Ucraina e Russia ebbero la responsabilità di rimetterle in sesto; e in effetti la Marina Greca si accordò con entrambe le marine slave e le loro aziende di stato per il commercio di armi. I 4 mezzi erano gli MDK (ovvero gli hovercraft nella definizione russa) 104 del '92, l'MDK 107 (mai completato), il primo dei quali, dopo i lavori a S. Pietroburgo entrò in servizio con i greci già i l22 gennaio 2001 come KEFALINIA (L180); consegnato con una solenne cerimonia a Salamina. La ZAKINTHOS era prevista invece per l'agosto 2004; le due navi ucraine sono l'Ivan Bhoun (U 421, anch'essa mai completata), e l'Horlikiwa (U 423) che era la ex sovietica MDK 123. Entrarono in servizio come ITAHKI (L 181) il 7 febbraio 2001 e Kekrira (L 182) nel marzo del 2004. Queste navi vennero progettate a suo tempo dall'OKBB CMKB Almaz, con il capo-progettista Ju.M.Mochow, come sostitute della 1231.1 da 353 t. Ma il prototipo venne completato solo nel 1988 (era il MDK 95), malgrado la progettazione iniziasse nel 1970. Prodotti dai cantieri PO Almaz di S. Pietroburgo e da uno in Crimea, a Feodosia, si volevano 20 navi di cui metà per il Baltico e metà per il Mar Nero, ma solo 11 (6 e 5) erano state completate al 1991, quando l'URSS si dissolse e non ne sono state costruite altre in seguito. Questi grandi hovercraft militari sono navi (o velivoli?) da 550 t a pieno carico. Vi è una struttura portante con compartimento di carico vuoto al centro, i serbatoi di carburante per 57 t, quelli dell'olio, acqua potabile, due gallerie per gli alberi motori delle ventole di sostentamento. I due scafi paralleli della struttura trasversale laterali, hanno gli spazi operativi: da prua a poppa vi sono quelli di ormeggio e ancoraggio, compartimenti per i lanciarazzi e relativi ordigni in deposito, 4 locali per 27 marinai, depositi da 30 mm sotto le torri difensive, locali per i fanti di marina, i pozzi delle ventole di prua per il sostentamento dell'unità, i locali centrali per i fanti di marina, poi i pozzi delle ventole posteriori, i comparti delle TAG e la sala di controllo dei motori. In mezzo a questi due ponti laterali ce n'é uno rinforzato per carri e mezzi vari, con configurazione Ro-Ro. Sopra il tutto v'è un ponte che si permette il lusso d'essere leggermente corazzato (cosa che per un hovercraft non è certo banale), le due torri da 30 mm AK630 e le tre turbine a gas per la propulsione; sopra ancora vi è la sovrastruttura con i locali operativi, tra cui la planciadi comando e le cabine dei quattro ufficiali; per la marina greca è stato anche ingrandita la parte inferiore della sovrastruttura onde ospitare i condizionatori dell'aria supplementari data la temperatura tipica del mar Egeo. La struttura degli Zubr è in lega AMG 61, ovvero alluminio-magnesio, spessa solo 3-4 mm. Nonostante questa struttura aeronautica, le finestre della plancia hanno anche pannelli protettivi mobili per la plancia comando in acciaio balistico, ovviamente comodi per la fase di sbarco sotto il fuoco nemico. Ma è il sistema di propulsione che è impressionante, e non potrebbe essere altrimenti dato che per un ACV è fondamentale disporre di molta potenza. VI sono ben cinque turbine a gas M7' da 12.000 hp l'una, con tre di queste a poppa, su supporti indipendenti e collegate a tre grandi ventole intubate a quattro pale; vi è un sistema di propulsione M 35-1 controllato dalle sale macchine poppiere; ovviamente le altre due M70 sono usate per gonfiare il cuscino d'aria sottostante al mezzo, con altre quattro ventole NO 10 sotto gli scafi laterali. Può essere che due delle navi greche, quelle ex-ucraine, abbiano tuttavia le GT 6002 di nuova concezione, dal minore consumo di carburante anche se da soli 9.100 hp. Inoltre vi è il sistema di generazione d'energia elettrica con quattro GTG 40 da 40 kW l'uno; la velocità massima è di 63 nodi o 117 km/h a vuoto, 55 nodi a pieno carico, ovvero circa 100 km/h; l'autonomia è di 550 km p.c e 1.850 a vuoto, o di 5 giorni consecutivi; possono entrare nella costa e superare ostacoli alti fino a 2 metri e muoversi ovunque vi sia una superficie così libera. Il ponte Ro-Ro per i mezzi è largo 6,9 m e alto 2,6, può ospitare file di due veicoli l'una ed è a tenuta stagna per le sue portiere anteriore e posteriore; la capacità è di 2-3 carri medi o 8-10 mezzi leggeri o altro ancora; per esempio 3 Leopard 1 GR e 80 soldati; o 8 AIFV Leonidas 1 oBMP 1 e 80-90 uomini, o 360 soldati in tutto e 25 t di equipaggiamenti, ma per non più di un giorno di navigazione; è possibile anche usare da 10 a 80 mine al posto dei mezzi, con apposite rotaie di trasporto e scarico. L'armamento è impressionante per un hovercraft: due lanciarazzi MS 227 da 140 mm a 22 canne l'uno (razzi M 14-OF con portata di 300-9.810 m e stabilizzazione ad alette), con 132 razzi HE-FRAG da 39,7 kg l'uno, telecomandati a distanza con un sensore optronico DWU 3 e telemetro laser; il lancio è possibile in appena 4,4 secondi, In tutto il sistema è noto come A 22 OGON (fuoco); non è tuttavia utilizzabile sopra i 30 nodi e il 4o grado della scala Beaufort. Per la difesa a.a. vi sono due AK630 M con le armi AO 18 da 30 mm, sono torrette da 1,629 m (lunghezza delle armi) e 5.000 c.min, ma con l'avvertenza di sparare in maniera tale da non surriscaldare le canne; in pratica i primi 400 colpi sono sparabili liberamente e senza interruzioni (sembrano molti, ma sono solo 5 secondi di fuoco) ma poi bisogna fermare le canne per almeno 30 secondi onde raffreddarle con la circolazione forza di acqua di mare. La gittata max è di 8,1 km e la quota max teorica 6,7 km, anche se hanno spoletta settata per esplodere dopo 5 km di percorso teorico. Vi sono depositi sotto la torretta per 2-3 mila colpi l'una del tipo HOF 84 (HE-FRAG), e OR 84 (FRAG-T), pesanti 830 gr l'uno. Il sistema di tiro è controllato dall'apparato Kolonka 221 optronico e il radar MR 123 Vympel 213 sull'albero, con la sua caratteristica 'padella'. Il tutto forma il complesso AK 630M-MR 123. Poi vi sono due postazioni binate per missili Igla ai lati della sovrastruttura con sistemi 9P516-1 e 32 armi 9M39 (contenitori di lancio 9P39), con portata di 500-5.000 m e quota di 10-3.500 m, mentre vi è un sistema IFF; la Pk contro un bersaglio che usi le ECM IR è dell'ordine del 25-31%; forse i greci useranno gli Stinger. Per il resto vi sono anche un radiogoniometro Rumb; antenne com R 844 UM, R 697 e R 622 con sistema distribuzione dati Buran 6; IFF Parol, radar sorveglianza superficie MR-244-3 Erkarn con banda I; radar tiro MR 123 in band H., I e J con portata di 45 km e possibilità di funzionare continuativamente per 8 ore; ECM MP 411 Sliabing in banda F-K, nel radome cubico; il sensore oprtonico stabilizzato DWU 3 con tlm laser, camera diurna e IR, portata 15-25 km, per il controllo dei razzi; due periscopi optronici WMC 452. Come ECM è possibile usare anche i cannoni, perché i proiettili da 140 mm sono anche disponibili nei tipi TSP 41 con chaff antiradar, che possono essere capaci di creare una segnatura di 600 m2; il TST 41 IR che brucia per 50 secondi e gli stessi cannoni da 30 possono usare proiettili P84 antiradar e IR; vi sono poi sistemi di navigazione DECCA, Glonass (cheè come il GPS ma analogico), misuratore di deriva DISS, girobussola e altro ancora, il tutto coordinato dal ssitema automatico GORIZONT 25. Pare che alcuni sistemi non sono stati però esportati, come l'ECM Sliabing, il Rumb e sistemi per la comunicazione, mentre il radar sarebbe stato sostituito con uno occidentale. Il raggio d'impiego dei grandi hovercraft è di 28o km con 150 t, distanza percorribile in appena 2,67 ore. Il consumo di carburante è alto: 10 t all'ora, la sagoma non è da meno, arrivando a 21,9 m in sostentamento, e non sono certo navi 'stealth'; la resistenza al fuoco nemico è limitata e se arriva a segno qualche colpo rischiano di restare bloccate o di abordire la missione, non è una cosa di poco conto. ZUBR: Peso: progetto 415 t, standard 480-500, pc. 535-550 km; dimensioni: 56,2 x 22,3 x 21,9 m, immersione fino a 2 m; motori 5 M70 da 12.0000 hp, rotazione ventole motrici 750 giri/min, temperatura gas discarico 1.000 hp, consumo 170 g/hp/h, vita utile turbine 20.000 h. Armi: 32 SAM Igla; lanciarazzi da 140 mm; torri AK-630M, con le AO 18 da 30/54 mm, alzo -12+85 gradi, proiettili da 390 gr e colpo completo 830 gr, 10 mine KMR da 1,3 t o mine ormeggiate da 350 kg (fino a 80). AK-630M: tra le altre cose, profondità rigature 0,3 mm, rinculo 13 mm, torre 1,07 m, corazzatura torre 8 mm, brandeggio 180 gr da ogni parte, elevazione 50 gradi sec, brandeggio 70 gr-sec, cadenza di tiro 6 x 833 c.min, durata canne 1.650 colpi. Tempo di reazione da freddo: 4 minuti; con preallarme 10 secondi; v.iniziale 880-905 ms a seconda della cadenza di tiro; lunghezza colpo completo 293 mm; serventi 2-3 ma fuori dalla torretta, peso complessivo 5 t (radar MR-213), 1.850 kg torre, 3.814 kg con 2.000 cp, 205 kg per l'arma. Igla: v.crociera 570-600 msec, v. bersagli 320-360 ms, altezza fase aggancio 2-3 km, max ingaggio 2,5-3,5 km, minima 10 m, v.iniziale 30 m.s circa, pk 0,45-0,63 senza ECM, 0,25-0,31 con ECM. Peso lanciatore e missile 17,9 kg, peso missile 10,6 kg, testata 1,15 kg; lunghezza 1.708 mm, cadenza 2 missili-min, durata batteria 40 sec, portata teorica di ingaggio 12,5 km. Lanciarazzi M 22 Ogon: entrata in servizio 1986, peso lanciatore 1.800 kg, calibro 140,4 mm, lunghezza tubi 1,86 m, altezza 1,5 m, alzo -10 +64 gradi, reazione in 8 sec; peso munizione M 14-OF di 39,68 kg di cui 18,4 kg di testata e 4,04 kg di HE, lunghezza 1,09 m, vmax 400 ms, portata 600-9.800 m; munizione TSP 41, peso 41,12 kg, carico antiradar 7,73 kg, portata 500-8.000 m, altezza 50-500 m, durata effetto 4-5 min, banda 1,7-5 cm. <references/> [[Categoria:Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo|URSS]] h81ezzujxm4c00uov1fb69h4ce05die Pascal/Costruttori e distruttori 0 24130 430787 373893 2022-07-21T15:31:33Z 95.236.228.180 Corretto: "costruttori" wikitext text/x-wiki {{Pascal}} Quando un oggetto viene creato, vale a dire allocato nella memoria [[W:heap|heap]] e avente un puntatore come riferimento, dovrà essere opportunamente inizializzato affinché il programma funzioni come voluto. Un oggetto, dopo essere stato creato, se non servirà più al programma potrà essere distrutto, liberando le risorse occupate dall'oggetto stesso e, se necessario, eseguire le dovute azioni prima della sua eliminazione. La programmazione orientata a gli oggetti fornisce due metodi ad hoc per la costruzione e la distruzione degli oggetti, ovvero i cosiddetti costruttori e distruttori. ==I costruttori== Una macchina quando deve essere accesa e partire deve essere "manovrata" bene affinché tutto funzioni secondo la nostra intenzione. Se non è ingranata la prima marcia e se non viene premuta la frizione la macchina potrebbe non partire o spegnere il motore a causa del numero basso di giri non appena viene rilasciata la frizione. Anche un oggetto, in un programma, se non inizializzato correttamente, potrebbe divenire inutile o malfunzionante ai fini del programma. Il Pascal per riferirsi a un metodo che funge da costruttore, utilizza la parola chiave <code>CONSTRUCTOR</code>. Supponiamo di creare un oggetto che stampa su un ambiente testuale la famosa frase "Hello, world!". Inizializziamo l'oggetto con la posizione dove dovrà essere stampata la frase, e poi utilizziamo il metodo <code>Stampa</code> per stampare la frase. <syntaxhighlight lang=pascal> USES crt; TYPE HelloWorld= Object PRIVATE riga,colonna:byte; PUBLIC Constructor Init(rig,col:byte); Procedure Stampa; End; Constructor HelloWorld.Init; BEGIN riga:=rig; colonna:=col; END; Procedure HelloWorld.Stampa; BEGIN gotoxy(riga,colonna); write('Hello, world!'); END; VAR CiaoMondo:HelloWorld; BEGIN ClrScr; CiaoMondo.Init(30,5); CiaoMondo.Stampa; readln; END. </syntaxhighlight> Il costruttore <code>Init</code> inizializza i campi <code>riga</code> e <code>colonna</code> secondo i parametri passati, <code>Stampa</code> sposta il cursore nel punto indicato dai campi <code>riga</code> e <code>colonna</code>, e stampa finalmente la frase. I costruttori in un oggetto non sono ovviamente obbligatori, ma se ne raccomanda l'uso. ==I distruttori== Analogamente ai costruttori, i distruttori fanno quel che necessita non appena l'oggetto viene distrutto, anche se, la funzione principale di un distruttore è quella di liberare la memoria e renderla disponibile ad altre parti del programma. La parola chiave del Pascal che denota un distruttore è <code>DESTRUCTOR</code> Come esempio possiamo ancora considerare il precedente, definendo un distruttore che oltre a liberare le risorse e a cancellare l'istanza dell'oggetto, cancella la frase che era stata scritta nello schermo. <syntaxhighlight lang=pascal> USES crt; TYPE HelloWorld= Object PRIVATE riga,colonna:byte; PUBLIC Constructor Init(rig,col:byte); Procedure Stampa; Destructor Done; End; Constructor HelloWorld.Init; BEGIN riga:=rig; colonna:=col; END; Procedure HelloWorld.Stampa; BEGIN gotoxy(riga,colonna); write('Hello, world!'); END; Destructor HelloWorld.Done; BEGIN gotoxy(riga,colonna); write(' '); END; VAR CiaoMondo:HelloWorld; BEGIN ClrScr; CiaoMondo.Init(30,5); CiaoMondo.Stampa; ReadLn; {Attende che premiamo INVIO} CiaoMondo.Done; {Distruzione, lo schermo è tutto nero} ReadLn; END. </syntaxhighlight> [[Categoria:Pascal]] {{Avanzamento|100%|23 giugno 2009}} 6hhp3qzx2hci33jg3vcyzvqjyjtw7h8 Gallerie di piazza Scala/VIII 0 30563 430796 386300 2022-07-21T23:17:01Z 95.236.228.180 Corretto: "nelle sale" wikitext text/x-wiki {{Gallerie di piazza Scala}} ==== Sezione VIII ==== '''Il revival del Settecento nel salotto borghese''' ''(Sala 16)'' Sono presenti 7 opere che mostrano come pubblico e collezionisti preferirono l'evasione, il disimpegno in un mondo, come quello del Settecento, dominato dalla grazia, dall’eleganza, dalla spensieratezza, rispetto al modello di una pittura impegnata che faceva riflettere, come era stata quella del Romanticismo. *[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Induno_Gerolamo,_La_pittrice.jpg|thumb|499px|112. Gerolamo Induno, ''La pittrice'', 1871]] '''112. Gerolamo Induno ''La pittrice''''' La pittrice è presentata alla Seconda esposizione nazionale di belle arti di Brera nel 1872 accanto a un’altra opera in Collezione, Mi ama o non mi ama? di Francesco Valaperta. Entrambe entrano nella Collezione Turati per volontà del conte Ercole formando così un perfetto pendant. Mecenate artistico come già il padre Francesco, appartenente ad una delle più importanti famiglie della borghesia imprenditoriale lombarda, Ercole Turati (1829-1881) come altri collezionisti mostrava uno spiccato gusto per la pittura di genere in costume e accostò probabilmente da subito la donna in abiti medievali di Valaperta a questa pittrice del Settecento. L’iconografia della donna che si diletta con l’arte proviene dai repertori d’oltralpe di Ernest Meissonier e si diffonde in Italia attraverso le opere di artisti quali Eleuterio Pagliano e Mosè Bianchi oltre agli stessi Induno. Questi pittori tuttavia si ispirano non solo al gusto decorativo delle scene in costume ma anche alle numerose artiste conosciute direttamente frequentando la società aristocratica e borghese del tempo, donne che nella pittura vedevano un piacevole passatempo oltre che un segno di emancipazione e tra le quali possiamo ricordare le nipoti dello scrittore Cesare Beccaria, Rachele e Antonietta. Gerolamo per la sua Pittrice guarda probabilmente anche a un’opera del fratello Domenico Induno, Giovane pittrice nell’atelier (1870, collezione privata) rispetto alla quale egli si concentra meno sull’ambientazione e più sulla figura femminile dipingendone gli abiti e l’acconciatura con ricercatezza cromatica e con una stesura pittorica abilmente rifinita. *'''113. Francesco Valaperta, ''Mi ama o non mi ama? (La malata d'amore)'', 1871''' [[File:Artgate Fondazione Cariplo - Valaperta_Francesco,_Mi_ama_o_non_mi_ama_o_La_malata_d%27amore.jpg|thumb|499px|113. Francesco Valaperta, ''Mi ama o non mi ama? (La malata d'amore)'', 1871]] Il dipinto è stato originariamente attribuito a Gerolamo Induno con il titolo La malata d’amore per via delle affinità che lo accomunano all’altra opera in Collezione, La pittrice, anch’essa proveniente dalla Collezione Turati; le recenti ricerche ne hanno tuttavia permesso l’identificazione con Mi ama o non mi ama?, dipinto di Francesco Valaperta presentato come quello di Induno alla Seconda esposizione nazionale di belle arti di Brera nel 1872. Le somiglianze di formato e soggetto che caratterizzano le due opere e la medesima cornice, attribuibile all’intagliatore milanese Carlo Colombo, derivano probabilmente dalla stessa committenza, quella del conte Ercole Turati (1829-1881) che appare tuttavia indicata nel catalogo dell’esposizione braidense solo per il dipinto di Valaperta. Figlio di Francesco Turati, titolare di una delle più importanti manifatture nazionali del cotone e grande mecenate artistico, Ercole continuò ad arricchire le collezioni paterne allestendo le sale del nuovo palazzo di via Meravigli 9-11, edificato nel 1880 da Ernesto Pirovano accanto a quello del padre. Al pendant dei dipinti di Induno e Valaperta doveva aggiungersene un secondo, oggi disperso, composto da Suonatrice di liuto di Eleuterio Pagliano e Leggitrice dello stesso Valaperta. Ritorna in tutte le opere la figura femminile secondo le diverse iconografie previste dalla pittura di genere, diffusa in Italia nella prima metà dell’Ottocento e tradotta spesso in opere di derivazione storico-letteraria rispondenti alle istanze della poetica romantica. Valaperta raffigura una giovane donna in abiti medievali, intenta a sfogliare i petali di una margherita; l’attenzione rivolta alla resa di alcuni particolari, come la scarsella legata alla cintura, svela una pittura ispirata a un cauto realismo, lo stesso che troviamo anche nei ritratti eseguiti per la quadreria dei benefattori dell’Ospedale Maggiore di Milano * Gerolamo Induno, ''La lezione di ballo'', 1867''' [[File:Artgate Fondazione Cariplo - Induno_Gerolamo,_La_lezione_di_ballo.jpg|thumb|499px|114. Gerolamo Induno, ''La lezione di ballo'', 1867]] Presentata all’Esposizione di belle arti dell’Accademia di Brera del 1867, l’opera appartiene alla Collezione Turati. Fu infatti eseguita su commissione del conte Francesco Turati (1802-1876), industriale del cotone la cui celebre collezione fu ospitata nelle sale del palazzo neorinascimentale di via Meravigli 7 e successivamente nella nuova dimora a questa adiacente voluta dal figlio Ercole (1829-1881) che allo stesso Induno commissionò un’opera di gusto affine, La pittrice. Il dipinto è poi apparso alle due esposizioni retrospettive dedicate ai fratelli Induno nel 1891 e nel 1933. Il soggetto è tratto dalla pittura di genere in costume settecentesco, allora molto in voga tra i collezionisti dell’alta borghesia e largamente interpretato dagli artisti. In una sala riccamente decorata con stucchi dorati ed arazzi, un maestro di ballo si appresta a condurre la propria lezione a due giovani donne, mentre una terza li osserva seduta e un domestico alle loro spalle prepara il tè; una quarta figura femminile fa capolino oltre il paravento posto contro la finestra. Induno descrive con grande abilità e in modi accattivanti la scena che viene apprezzata dalla critica sia per la vivacità della narrazione, esaltata anche da accesi accostamenti cromatici, sia per la verosimiglianza dei costumi resi fin nei minimi particolari. Il successo dell’opera giustificò le repliche eseguite da Induno negli anni successivi, tra le quali una datata al 1884 giunse nelle collezioni di Javotte Bocconi Manca di Villahermosa. *'''115. Eleuterio Pagliano ''La lezione di geografia''''' [[File:Artgate Fondazione Cariplo - Pagliano_Eleuterio,_La_lezione_di_geografia.jpg|thumb|499px|115. Eleuterio Pagliano, ''La lezione di geografia'', 1880]] Il dipinto fu presentato in occasione dell’Esposizione Nazionale di Torino del 1880 e, in seguito, esposto alla mostra retrospettiva di Eleuterio Pagliano allestita presso la Società Permanente di Milano nel 1903. Le grandi dimensioni e l’inquadratura molto ravvicinata, che presenta i personaggi di tre quarti, distinguono questa versione del soggetto dalle numerose varianti eseguite dall’artista nel corso degli anni Settanta. Ambientata in una loggia monumentale aperta su un paesaggio di campagna, la scena raffigura due dame in costume settecentesco, sedute ad un tavolo, intente ad ascoltare la lezione del maestro che, alzatosi in piedi, indica sul mappamondo luoghi lontani, evocando località esotiche. Il tono disimpegnato e piacevole dell’opera, del tutto estraneo alla produzione di maggior impegno e più popolare dell’artista rivolta a temi storico-letterari o episodi risorgimentali, corrisponde a una pittura di genere di gusto neosettecentesco molto richiesta dal mercato, alla quale l’artista si accostò nella maturità. La critica, nel rilevare le straordinarie qualità tecniche del dipinto e, in particolare, l’armoniosa fusione della tavolozza direttamente ispirata ai modelli del Settecento, evidenziò l’allontanamento di Eleuterio Pagliano, sodale di Domenico Morelli e precoce interprete delle prime istanze naturaliste, dallo studio dal vero. La grande fortuna e l’ampia diffusione negli anni Settanta dei temi neosettecenteschi, spesso ripetuti in varie versioni, sono ben documentate in Collezione da due opere di Gerolamo Induno che ottennero un particolare successo di critica, La lezione di ballo e La pittrice. *[[File:Artgate Fondazione Cariplo - Previati_Gaetano,_Paggetto_suonatore_di_mandolino.jpg|thumb|499px|116. Gaetano Previati, ''Paggetto con mandolino'', 1878-1884]] ''' Gaetano Previati ''Paggetto con mandolino''''' L’opera è riferibile ai primi anni di attività del pittore che nel 1879 ottiene il Premio Canonica all’annuale esposizione dell’Accademia di Brera di Milano con Gli ostaggi di Crema (Milano, Pinacoteca di Brera, in deposito al Museo Civico di Crema). Ai temi storici, nuovamente affrontati l’anno seguente nel Cesare Borgia a Capua (Il Valentino) (Forlì, Cassa dei Risparmi di Forlì), Previati affianca anche soggetti tratti dalla pittura di genere, molto richiesti dai collezionisti del tempo. Figure in costume come questo Paggetto ricorrono con sicuro successo di mercato a partire dagli anni Settanta anche nella produzione di artisti quali Eleuterio Pagliano e Gerolamo Induno, presenti in Collezione con La lezione di geografia, La pittrice e La lezione di ballo. Nella scelta del soggetto Previati mostra di essere ancora legato agli insegnamenti accademici, ma la stesura pittorica pastosa rivela i suoi primi contatti con l’ambiente della Scapigliatura milanese, al quale si avvicina tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta grazie ad amici quali Luigi Conconi. La solida definizione dei volumi attraverso l’uso di intense cromie ricorre in questi anni anche nella ritrattistica, di cui ricordiamo il Ritratto di Erminia Cairati (Milano, Galleria d’Arte Moderna) e Aurora (collezione privata), presentato all’Esposizione generale italiana di Torino nel 1884, anno entro il quale possiamo datare l’opera in Collezione. *'''117. Vela_Vincenzo, ''Ritratto_della_marchesa_Virginia_Busti_Porro_adolescente''''' [[File:Artgate Fondazione Cariplo - Vela_Vincenzo,_Ritratto_della_marchesa_Virginia_Busti_Porro_adolescente.jpg|thumb|499px|117. Vincenzo Vela, ''Ritratto della marchesa Virginia Busti Porro adolescente'', 1871]] L’opera, commissionata dalla famiglia Busti Venegonne ed eseguita da Vincenzo Vela nel 1871, entrò a far parte della raccolta Porro Lambertenghi di Fino Mornasco, nei pressi di Como, nel 1881, a seguito del matrimonio dell’effigiata con Gio­vanni Angelo Porro Lamberten­ghi. Donata nel 1925 alla Società Italiana per la protezione dei Fanciulli di Mi­lano, nello stesso anno fu acquistata dalla Cassa di Risparmio, con un chiaro intento filantropico, per la consistente somma di cinquan­tamila lire. La scultura, in marmo bianco di Carrara, raffigura l’adolescente in abiti contemporanei, in atto di porgere uno dei fiori che trattiene in grembo. Nella copiosa produzione ritrattistica di Vincenzo Vela, l’opera si distingue per l’adozione di un’immagine piuttosto convenzionale caratterizzata da un realismo descrittivo nei tratti del volto, negli abiti e nel bouquet di fiori, del tutto estraneo alla fresca naturalezza dei ritratti di fanciulli eseguiti a partire dagli anni Cinquanta. Nel Museo Vela di Ligornetto, casa-museo dello scultore ticinese, si conservano il gesso originale dell’opera e due modelletti preparatori in terracotta. L’iconografia della scultura in Collezione - come già per molte altre opere di Vela, tra le quali la celebre Preghiera del mattino (Milano, Museo di Milano) - è derivata direttamente dai modelli pittorici di Francesco Hayez del quarto e quinto decennio del secolo, come il celebre Ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini (Milano, Galleria d’arte Moderna). '''118. Odoardo Fantacchiotti, ''Ritratto di fanciulla che si avvolge in un drappo'', 1875''' [[Categoria:Gallerie di piazza Scala]] d44i75nvcbqesj0tk2mql33zj89y2c2 Lombardo/Letteratura 0 32731 430797 411468 2022-07-22T10:13:44Z Eumolpo 4673 ortografia wikitext text/x-wiki {{Lombardo}} Al giorno d'oggi, la mancanza di uno standard e di una coscienza collettiva lombarda, rende assai arduo stilare una storia sistematica e coerente delle esperienze letterarie in lingua lombarda. Sostanzialmente si è sempre sviluppato un dualismo tra Milano da una parte e Bergamo e Brescia dall'altro. Nel corso del XX secolo (ma già alla fine del XIX) sono sorte poi realtà provinciali e locali che hanno ulteriormente complicato il quadro. Possiamo dire che oggigiorno esiste una letteratura municipale per ogni capoluogo provinciale lombardo (più Crema).<br> Qui di seguito proporremo un breve itinerario globale della storia della letteratura in lombardo, corredandolo di alcune citazioni degli autori più rilevanti. L'ortografia utiloizzata è quella [[Lombardo/Ortografie e regole per la pronuncia|milanese classica]] ==Cenni storici sulla letteratura lombarda== ===La fase antica (XIII-XIV secolo)=== I primi scritti in un volgare di area lombarda risalgono al XIII secolo: si tratta soprattutto di opere di carattere didascalico-religioso, come il ''Sermon Divin'' di Pietro da Bascapè. {{quote|No è cosa in sto mundo, tal è lla mia credença,<br> ki se possa fenir, se no la se comença.<br> Petro da Barsegapè si vol acomençare<br> e per raxon ferire, segondo ke l ge pare.<br> Ora omiunca homo intença e stia pur in pax,<br> sed kel ne ge plaxe audire d'un bello sermon verax:<br> cumtare eo se volio e trare per raxon<br> una istoria veraxe de libri e de sermon,<br> in la qual se conten guangii e anche pistore,<br> e del novo e del vedre testamento de Criste. [...]|Pietro da Bascapè, ''Sermon Divin'', vv. 1-10}} Tuttavia all'epoca l'influenza dei trovatori occitani era molto forte, per cui molti poeti preferivano utilizzare la lingua d'oc per i loro componimenti. Uno degli esempi più celebri è Sordello da Goito, ricordato anche da Dante Alighieri.<br> <br> Il poeta più famoso di questo periodo è però il milanese Bonvesin de la Riva, frate terziario dell'ordine degli Umiliati: a lui si deve un gran numero di componimento di tipo morale e didascalico, oltre che il ''Libro delle Tre Scritture'', in cui si descrive l'Inferno, la Passione di Cristo e il Paradiso. {{quote|In nom de Jesu Criste e de sancta Maria<br> Quest’ovra al so honor acomenzadha sia:<br> Ki vol odir cuintar parol de baronia,<br> Sì olza e sì intenda per soa cortesia.<br> <br> Odir e no intende negata zovarave,<br> E ki ben intendesse anc negata farave,<br> Ki no metess in ovra so k’el intenderave:<br> O l’om no mett lo cor e l’ingegn nient vare. [...]|Bonvesin de la Riva, ''De scriptura nigra'', vv. 1-8}} Altri poeti rilevanti sono Gerardo Patecchio, Uguccione da Lodi, Salimbene de Adam. Abbiamo anche alcuni componimenti anonimi, come la lodigiana ''Leggenda di San Bassiano''.<br> La lingua utilizzata da Bonvesin e dai suoi contemporanei, benché sia chiaramente di impronta settentrionale, non può essere considerata però una riproduzione fedele della lingua del tempo: vi sono presenti molti prestiti dall'occitano e dal toscano, e anche la forma grafica risente di alcuni toscanismi (come le terminazioni in ''-o'' per i sostantivi e i nomi maschili).<br> Attorno al 1390 abbiamo una delle prime testimonianze di volgare dell'area bresciana, cioè un'anonima ''Passio Christi'' in versi, da cantare a due voci: {{quote|Cum fo tradith el nos Segnor<br> e vel dirò cum grant dolor:<br> al tempo de quey malvas Zuthé<br> Un grant consey de Christ sì fé.<br> Chel fos tradit e inganath<br> e su la cros crucificath. [...]|Anonimo, ''Passio Christi'', vv. 1-6}} ===Il periodo intermedio (XV-XVII secolo ca.)=== Nei secoli successivi, il prestigio del toscano letterario soppianta l'uso dei volgari settentrionali che, pur con una patina toscaneggiante, erano stati usati anche in ambito cancelleresco e amministrativo. Tra Quattrocento e Cinquecento alcuni letterati toscani (come Luigi Pulci e Benedetto Dei) ci fanno pervenire, sotto forma di parodia, alcuni aspetti linguistici della lingua parlata a Milano, ma non si tratta di composizioni poetiche di rilievo letterario; ciò vale anche per il milanese parodizzato in un'opera dell'astigiano Giangiorgio Allione. L'umanista fiorentino Leonardo Salviati (1540-1589), uno dei fondatori dell'Accademia della Crusca, pubblica una serie di traduzioni in diversi volgari (tra cui bergamasco e milanese) d'una novella boccaccesca, al fine di dimostrare quanto siano brutti e sgraziati al confronto col toscano.<br> {{quote|Perzo av dighi ch'a i tep dol prim Re de Zipri, daspò ol recuperamet che fes Gottfred de Baiò de la Terra Santa, al se imbattè una fomna de sang zentil de Guascogna, ches fes pelegrina, e andet al Sepolcher del Nos Signur per so devotiù: e in dol tornà in drè, e zota in Zipri, al ghe fu fag u'trent'ù da chi se fos homegn de mal affà, e bruttamet inzuriada; tant che qula povreta nos podiva consolà per neguna manera ches fos; pur las pensè de volì andà dinaz a ol Re per fag savì ol tug, perché lu po stramenes quei iottò, che l'avea stramenada lè. [...]|(Versione bergamasca)}} {{quote|A digh donca che al temp del prim Re de Cipr', de poù che Gofred da Bujon piè la Terra Santa, l'accaschè ch'una zentildonna da Guascogna andè in peregrinag' al Sepolchr, e nel torna a cà la passè per Cipr', es la fo svergognava da non so chi forfanton: e le dal gran dorò la pensè d'andagh a da na quarella al Re [...]|(Versione milanese)}} <br> A partire dal Cinquecento cominciano a esserci le prime avvisaglie della letteratura lombarda: in area orientale troviamo le poesie satiriche del bergamasco Giovanni Bressani (1489-1560) e la ''Massera da bé'', una "frottola" (sorta di dialogo teatrale) del bresciano Galeazzo Dagli Orzi (1492-?); in area occidentale abbiamo invece la produzione poetica dei ''Rabisch'' ("arabeschi") a opera della ''Accademiglia dra Val d'Bregn'', sotto la direzione del pittore manierista Giampaolo Lomazzo (1538-1592).<br> {{quote|Su, sù, Borgnign co fett, dùrmet anch mò,<br> o vut morì, o het perdù r'ingsciegn,<br> te se pur anch or spirt dra Val de Bregn,<br> co mandè sciù tra nugn Bacc infrascò.<br> On vit che ognugn aspecchia dar faccht<br> quagl' sonit, ò canzogn cò daghen fegn;<br> che sciertament mert es'te se degn,<br> che'l Parnas di musel'siglia or tò cò.<br> I Specigliagn co glign foss nuv fradigl<br> grand, e gruss cogl sù nas in dor mostacch<br> aspecchen tucch anc lor quagl' tò scrichiur.<br> Da donca fign a sti bagliad, e crigl';<br> e fa avisad or nust compa Vinascch<br> che avina or Gagliogn cò stenta, e mur.|Giampaolo Lomazzo, ''Ar Signòr Bosign Brambiglia penchiò, intagliò, gettò & trovagliò de costa val, e persciò è chiamad or compà Borgnign gran Scanscierè de Bregn''.}} All'inizio del XVII secolo opera il milanese Fabio Varese (che viene spesso indicato dalla critica letteraria come "poeta maledetto" ante litteram), morto nel 1630 di peste. Nel 1610 esce il ''Varon milanes'', sorta di dizionario etimologico di un discreto numero di parole milanesi, a opera dell'ossolano Giovanni Capis, il quale inoltre scrive come introduzione una serie di sonetti in milanese. {{quote|A l'è peù on bel parlà quel da Milan,<br> l'è comed, l'è gentil, e l'è anch nett,<br> a nol scapuscia gnan se gh'j delett<br> a dil com al và dij inscì pian pian.<br> <br> L'è forza a dì che i vegg n'in varù on pan,<br> avè pientaa tanc scheur chilò in Brovett,<br> e no pensà nagot sor al promett<br> a ch'insegnass la lengua di nostran.<br> <br> Orsù avrj i oregg vù che podj,<br> avrj ben i oeugg, ma avrj on pò pù la man,<br> e benesì costor ch'an lavoraa.<br> <br> Cerchee de stò Varon, de stò Prissian,<br> e degh quai cossa d'bon a Denedaa,<br> ma daghen poch ch'al è pù sagorj.|Giovanni Capis, ''Sonett de mi del parlà milanes''}} A questo trattatello viene aggiunto in seguito il ''Prissian'' di Giovanni Ambrogio Biffi: testo completamente in milanese in cui per la prima volta si affronta la questione della pronuncia e della grafia. ===L'età dell'oro (1600-1900 ca.)=== ====1600==== Il Seicento vede poi affermarsi sulla scena il talento di Carlo Maria Maggi (1630-1699), figura di spicco della Milano spagnola. Egli contribuisce a normalizzare la grafia milanese e con le sue commedie e poesie inaugura una tradizione letteraria che dura anche oggi. Il Maggi è anche il creatore e codificatore del personaggio di Meneghino, la maschera di Milano: egli, servitore saggio, laborioso, cordiale e di buon senso, rappresenta tutte le virtù tradizionali del popolo milanese.<br> Amico e corrispondente del Maggi è il librettista lodigiano Francesco De Lemene (1634-1704), autore della commedia ''La sposa Francesca'' (prima opera letteraria in lodigiano moderno) e di una traduzione della ''Gerusalemme liberata''. Tutte le sue opere in lombardo sono uscite postume. {{quote|El gran cas de Sofronia a voui cantà,<br> Quel che za cantè 'l Tass con stil toscan.<br> Ma mi con poca spesa el voui mudà.<br> El Tass l'è un Bergamasch, però che sa<br> Che na ghe bagna el nas on Lodesan?<br> Vu, che sentì, dirì se maggior lod<br> Quei de Bergom avran, o quei de Lod.|Francesco De Lemene, ''Gerusalemme liberata'', vv. 1-6}} Nella Lombardia orientale (allora sotto il dominio veneziano), abbiamo autori come il bresciano Giovanni Gandini (1645-1712/1720) e il bergamasco Carlo Assonica (1626-1676). Quest'ultimo realizza nel 1670 una celebre traduzione integrale della ''Gerusalemme Liberata'' del Tasso, che costituisce la più importante opera letteraria bergamasca del XVII secolo.<br> {{quote|Canti la Guera, e 'l General da bé,<br> che de Christ liberè l'Arca Sagrada,<br> e chi fè (com'ass dis) de Mà, e de Pé,<br> per tùla à quela Razza Renegada.<br> Contra Lu tutt l'Inferen no 'l fu assé<br> gne l'Asia insem, e l'Africa meschiada;<br> che 'l Cel dè all'arma sec. In tat à Chà<br> 'l chiamè i Compagn, ch'era de Zà, e de Là.|Carlo Assonica, ''Goffredo'', vv. 1-8}} Si diffondono anche le prime ''bosinate'', poesie popolari d'occasione scritte su fogli volanti, affisse nelle piazze o lette (o anche cantate) in pubblico, le quali avranno un gran successo e diffusione fino ai primi decenni del Ventesimo secolo.<br> ====1700==== Nel Settecento si succedono alcuni nomi di rilievo, come i milanesi Carlo Antonio Tanzi (1710-1762) e soprattutto Domenico Balestrieri (1714-1780), a cui si associano una serie di figure minori. Tra di essi possiamo annoverare, in area milanese: Giuseppe Bertani, Girolamo Birago (1691-1773) e Francesco Girolamo Corio (1720-1790). Anche il celebre poeta Giuseppe Parini (1729-1799) scrive più di un componimento in lombardo. Fuori Milano, ci troviamo davanti a un tentativo di commedia in bustocco, la ''Mommena bustese'', ad opera del canonico Biagio Bellotti (1714-1789). A Brescia abbiamo il canonico Carlo Girelli (1730-1816), autore di poesie d'occasione. Uno dei più importanti autori del periodo è l'abate bergamasco Giuseppe Rota (1720-1792), autore di un corposo vocabolario (inedito) bergamasco-italiano-latino e diverse opere poetiche in bergamasco, da lui chiamato sempre "lingua".<br> <br> In questo periodo, le caratteristiche linguistiche del lombardo sono ormai ben riconoscibili e assimilabili a quelle odierne, salvo alcune particolarità fonetiche e la presenza del passato remoto. La maggior parte degli autori milanesi fa parte dell'alta società milanese, ricca e colta, che utilizza il lombardo più per divertimento che per una reale necessità espressiva. Tuttavia, in una celebre polemica letteraria con l'abate toscano Branda (che aveva trattato con disprezzo il milanese, a discapito del toscano), emerge l'orgoglio per una lingua considerata schietta e diretta, in qualche modo più sincera ed espressiva dell'italiano letterario e classicista. Posizione d'altronde già espressa da tempo, sia nelle opere del Maggi che addirittura nel ''Varon Milanes'' e nel ''Prissian''.<br> <br> ====1800==== L'inizio dell'Ottocento è dominato dalla figura di Carlo Porta (1775-1821), il più importante autore della letteratura lombarda, inserito tra i grandi anche della letteratura nazionale. Con lui si raggiungono alcune delle più alte vette dell'espressività in lombardo, che emergono chiaramente in capolavori universalmente riconosciuti come ''La Ninetta del Verzee''. Il Porta diventerà uno dei modelli assoluti di tutta la produzione poetica successiva.<br> {{quote|I paroll d’on lenguagg, car sur Gorell,<br> hin ona tavolozza de color,<br> che ponn fà el quader brutt, e el ponn fà bell<br> segond la maestria del pittor.<br> <br> Senza idej, senza gust, senza on cervell<br> che regola i paroll in del descor,<br> tutt i lenguagg del mond hin come quell<br> che parla on sò umilissim servitor:<br> <br> e sti idej, sto bon gust già el savarà<br> che no hin privativa di paes,<br> ma di coo che gh’han flemma de studià:<br> <br> tant l’è vera che in bocca de Usciuria<br> el bellissem lenguagg di Sienes<br> l’è el lenguagg pù cojon che mai ghe sia.|Carlo Porta, ''I paroll d'on lenguagg, car sur Gorell''}} Nell'epoca portiana convivono anche altri autori, come il pittore Giuseppe Bossi (1777-1815), il curato di Solaro Carlo Alfonso Pellizzoni (1734-1818), e soprattutto Tommaso Grossi (1790-1853). Quest'ultimo, amico di Manzoni e grande ammiratore del Porta, scriverà opere di tipo satirico contro il governo austriaco (''La Prineide''), romanzi in versi (''La fuggitiva'') e tentativi di traduzione di opere classiche (''La pioggia d'oro'').<br> La produzione poetica milanese è di tale grandezza 1815 lo studioso Francesco Cherubini può già dare alle stampe una prima antologia in dodici volumi, che partiva dal Seicento sino ai suoi giorni. L'Ottocento è uno dei secoli più floridi per la letteratura lombarda, non solo milanese. Per esempio, a Pavia operano il tipografo Giuseppe Bignami (1799-1873) e il professore di ginnasio Siro Carati (1794-1848); a Como invece abbiamo Giovanni Rezzonico (1789-1875). Accanto alla poesia, si sviluppa anche il teatro (soprattutto nell'epoca postunitaria), e anche qualche tentativo di scrittura in prosa. Ha molto rilievo anche la produzione lessicografica. In questo senso, il capolavoro è il ''Vocabolario Milanese'' di Francesco Cherubini, che costituisce una sorta di enciclopedia sulla lingua e la cultura milanese. Su questa scia è anche il ''Vocabolario dei dialetti bergamaschi'' di Antonio Tiraboschi.<br> Tra i poeti principali del periodo possiamo annoverare il medico milanese Giovanni Rajberti (1805-1861) e il bergamasco Pietro Ruggeri da Stabello (1797-1858; definito dal Tiraboschi ''il Porta bergamasco''). Un altro poeta bergamasco dell'epoca è Luigi Benaglio (1843-1908).<br> Il XIX secolo vede soprattutto il trionfo del teatro in lombardo. Tra gli autori del teatro possiamo annoverare Cletto Arrighi, Luigi Illica (1857-1919), Decio Guicciardi (1870-1918), Gaetano Sbodio (1884-1920), Edoardo Ferravilla (1846-1914) e Carlo Bertolazzi. L'Arrighi, tra i fondatori della Scapigliatura, sarà anche autore di un pratico dizionario milanese-italiano. Tra gli autori in prosa invece troviamo Emilio De Marchi.<br> <br> La produzione letteraria milanese in questo secolo dunque è assai prolifica: nel 1891 il librettista Ferdinando Fontana, pubblica una nuova antologia poetica. Essa è molto preziosa perché spesso è l'unica fonte che documenta la biografia e le opere di alcuni autori minori. ===Al giorno d'oggi (1900-...)=== Nel primo Novecento opera invece l'avvocato milanese Delio Tessa, che si discosta dalla tradizione portiana e imprime alla letteratura milanese una forte impronta espressionista. A Bergamo invece opera Bortolo Belotti (1877-1944), avvocato, storico e ministro in alcuni governi liberali.<br> Altre figure di rilievo sono il varesino Speri Della Chiesa Jemoli (1865-1946), il bresciano Angelo Canossi (1862-1943), il maestro di scuola lodigiano Gian Stefano Cremaschi (1853-1935), i bergamaschi Bortolo Belotti (1877-1944) e Giacinto Gambirasio (1896-1971), il chiavennasco Giovanni Bertacchi (1869-1942), i lecchesi Uberto Pozzoli (1901-1929) e Luigi Manzoni (1892-1979) e i milanesi Giovanni Barrella (1884-1967) e Luigi Medici (1888-1965).<br> Si discosta dalla tradizione letteraria milanese - anche dal punto di vista della grafia - Franco Loi (nato nel 1930), che tuttavia risulta essere uno degli autori più originali del secondo Novecento. In area ticinese abbiamo l'opera di Giovanni Orelli (nato nel 1928), che scrive nella variante della Val Leventina.<br> Nel campo teatrale, a partire dal Secondo Dopoguerra ha un grande successo (anche fuori dai confini regionali, complice forse anche una progressiva italianizzazione della lingua adoperata per i dialoghi) la compagnia dei "Legnanesi" di Felice Musazzi (1921-1989). Attualmente sono presenti molti concorsi di poesia in ogni provincia lombarda (e oltre i confini regionali). Associazioni come il Circolo Filologico Milanese, la Famiglia Bosina, la Famiglia Bustocca e il Ducato di Piazza Pontida garantiscono ogni anno alcune piccole iniziative letterarie. Non mancano nemmeno traduzioni (più o meno fedeli o riadattate) di grandi classici della letteratura: numerose sono le versioni in lombardo di opere quali ''Pinocchio'', ''I Promessi Sposi'', la ''Divina Commedia'' e, nella letteratura religiosa, i Vangeli. Manca però, forse, una grande figura letteraria come quella dei secoli passati. ==Sulla canzone lombarda== Nel corso del Novecento, si sviluppa anche una produzione canora lombarda. Dopo le raccolte di canti popolari (per esempio delle mondine, o i canti delle osterie, che spesso fanno il verso alle più celebri arie dei melodrammi), incontriamo Giovanni D'Anzi, milanese di seconda generazione, che negli Anni Trenta scrive e compone la più famosa canzone lombarda di tutti i tempi: ''La Madonina''.<br> Nel Secondo Dopoguerra è il turno di Enzo Jannacci (1935-2013) e di Nanni Svampa (prima coi Gufi, poi come solista). Nanni Svampa (nato nel 1938) si dedica a traduzioni delle canzoni francesi di Georges Brassens, oltre che a una raccolta sistematica del patrimonio canoro tradizionale milanese e lombardo. Altre figure di rilievo della canzone milanese "classica" sono il cabarettista Walter Valdi e Nino Rossi.<br> I testi di Jannacci e Svampa sono spesso intrisi di messaggi politici e di contestazione alla società del loro tempo. {{quote|Gh'è anmò on quaivun che 'l gh'ha nò la Ses'cent<br> el che 'l dorma per terra cont on mucc de gent.<br> Gh'è anmò on quaivun che 'l finiss de morì<br> intant che 'l gira a cercà on bus in ospedal.<br> Gh'è anmò on quaivun che 'l sa nò 'se voeur dì<br> andà foeura a mangià e stà via duu o trii dì.<br> Gh'è anmò on quaivun che l'è bon de cantà<br> senza mai avè schisciaa el boton d'on juke-box!|Nanni Svampa, ''Gh'è anmò on quaivun''.}} Sulla stessa scia si pone anche Ivan Della Mea (1940-2009), originario di Lucca e convintamente comunista: {{quote|[...] Stasera voo a dormì al riformatori,<br> in quell de Filangieri al numer duu:<br> m'hann daa del "teddy boy", del brutt demoni,<br> mì son convint istess de avèggh reson;<br> 'se gh'hoo de dìvv, ohi brava gent?<br> De la Ninetta me frega nient!<br> A l'è la giustizia che me fa tort,<br> Ninetta è viva, ma el gatt l'è mort!|Ivan Della Mea, ''El mè gatt''.}} Un altro autore originale del periodo è il brianzolo Francesco Magni (nato nel 1949), collaboratore di Svampa. {{quote|Vegni d'on paes, morissi chì, che l'era on quader;<br>l'era inscì bell che ghe piaseva a tucc i lader.<br>A tirà inanz se fa fadiga, ma per viv<br>la ghe bastava la colina coi soeu riv.<br>[...]<br>El mè paes, mè cara gent, a l'era on quader:<br> in facia el sô, dedree i montagn, de part el Lamber;<br> gh'è anmò i montagn, gh'è ancamò el Lamber, gh'è anmò el sô,<br> ma la sostanza de la terra la gh'è pu.|Francesco Magni, ''El mè paes''.}} Altri autori rilevanti sono il milanese Walter Di Gemma (con le sue traduzioni del cantante belga Jacques Brel) e il bergamasco Luciano Ravasio (attento conoscitore della tradizione canora e poetica della sua città). Entrambi gli artisti inoltre dispongono di una produzione originale.<br> A partire dagli Anni Novanta si assiste a una riviviscenza della canzone lombarda, perlopiù fuori da Milano: più che rifarsi ai modelli tradizionali, questa nuova generazione di artisti cerca di coniugare la lingua del territorio alla musica contemporanea (folk, country, rock, ma non solo). Il principale esponente di questo "movimento" è il comasco Davide Van de Sfroos (nato nel 1965), che riesce a diventare celebre in tutto il Paese, oltre che nel Canton Ticino.<br> {{quote|E semm partii, e semm partii,<br> per quest'America sognada in pressa,<br> la facia dobbia come 'na moneda,<br> e 'na valisa che gh'è dent negott;<br> semm partii, e semm partii,<br> come tocch de vedro de 'n bucer a tocch,<br> ona vita noeuva quand finiss el mar<br> mentre quella veggia... la te picca ai spall!|Davide Van de Sfroos, ''E semm partii''}} La musica in lombardo conta oggigiorno numerosi artisti in ogni provincia, tra cui varrà forse la pena citare il rapper bresciano Dellino Farmer (nato nel 1983), che ha raggiunto anche una discreta popolarità al di fuori dei confini della sua regione. {{quote|Sé, come la gira de ché?<br> Adès che g'hó capìt che róba g'hó de tiràm dré!<br> Al sanch andèle vène al momènt al mànca mìga,<br> al mè südùr l'è dat da la pasiù e da la fadìga!|Dellino Farmer, ''Sanc e sidur''}} [[Categoria:Moduli 100%]][[Categoria:Lombardo]] 7ltwij8f1a578j0tpfgsljntzm3zf43 LibreOffice Writer/Elenchi numerati e puntati 0 39207 430791 389153 2022-07-21T18:04:34Z Eumolpo 4673 ortografia wikitext text/x-wiki {{LibreOffice Writer}} [[File:Addomesticare Writer - fig 26.jpg|thumb|left|Figura 26: Elenchi numerati e puntati serviti nella barra laterale]] Ci sono tre modi diversi di generare elenchi numerati o puntati: attivando il bottone corrispondente nel pannello Proprietà della barra laterale, usando i bottoni della barra degli strumenti {{small caps|Formattazione}} o associando uno stile di elenco a un dato paragrafo, sia tramite formattazione diretta sia modificando lo stile di paragrafo nella scheda {{small caps|Struttura e numerazione}}. I due primi hanno il vantaggio di essere veloci: infatti, come si vede nella Figura 26, dalla barra laterale si ha un menù a tendina che permette di scegliere tra diversi tipi di numerazione predefiniti. Il terzo modo ci permette, grazie all'uso degli stili, di tenere sotto controllo ogni aspetto di tutti gli elenchi numerati e puntati e perciò diventa molto importante quando, per qualche motivo, nessuno degli elenchi predefiniti ci sono utili. Su come vengono applicati i due primi metodi non c'è tanto da dire: con il cursore sul paragrafo o dopo aver selezionato un gruppo di paragrafi si fa clic sull'opzione desiderata. Per applicare il terzo metodo è sufficiente selezionare, sia per lo stile di paragrafo sia per la formattazione diretta del singolo paragrafo da modificare, nella scheda Struttura e numerazione uno stile di elenco convenientemente formattato. Per più dettagli sugli stili di paragrafo e il modo di modificarli, consultate il capitolo B.3 a pagina 49. In tutti i casi, quando il cursore si trova su di un elenco ci troveremo con la barra degli strumenti contestuale di elenchi numerati e puntati mostrata nella Figura 27. Da questa barra è possibile controllare diversi aspetti degli elenchi. [[File:Addomesticare Writer - fig 27.jpg|thumb|center|600px|Figura 27: Barra de elenchi numerati e puntati. 1: Scendere un livello. 2: Salire un livello. 3: Scendere un livello con tutti i sotolivelli. 4: Salire di un livello con tutti i sotolivelli. 5: Spostare in basso. 6: Spostare in alto. 7: Spostare in basso con tutti i sotolivelli. 8: Spostare in alto con tutti i sotolivelli. 9: Inserire una voce senza numero. 10: Ricominciare la numerazione. 11: Apre il menù per configurare l'elenco numerato o puntato.]] Risulta importante notare che gli elenchi possono avere dei «livelli» come nel seguente esempio # Primo livello ## Primo sottolivello # Altro primo livello ## Sottolivello ### Sotto sottolivello ### Secondo sotto sottolivello Per cambiare il livello di una voce si possono utilizzare i bottoni della barra degli strumenti oppure, all'inizio della linea, premere {{tasto|TAB}} o {{tasto|Shift|TAB}} per scendere o salire di un livello, rispettivamente. La configurazione degli elenchi ha un punto che merita una discussione più approfondita: l'allineamento dei numeri e il testo degli elenchi. == Configurare un elenco == Se la lista numerata (o puntata) è stata inserita manualmente, si potrà configurare facendo clic sul bottone che si trova a destra della barra degli strumenti mostrata nella Figura 27, mentre se sono stati utilizzati degli stili, modificando lo stile di lista corrispondente: in entrambi i casi si presentano le stesse opzioni, alcune delle quali saranno dettagliate in seguito. Quello offerto dalle schede {{small caps|Punti, Tipo di numerazione, Struttura}} e {{small caps|Immagine}} è in sostanza una collezione di diversi tipi di liste numerate e puntate preconfigurate, perciò il loro utilizzo risulta chiaro. Nella scheda {{small caps|Opzioni}} si può selezionare il tipo di numerazione per ogni «livello» della lista numerata (o i simboli di quella puntata), se i livelli più bassi devono ereditare la numerazione di quelli più alti, il numero con il quale iniziare, eccetera. Quando si configura uno stile di lista, la scheda Gestione offre le stesse opzioni degli altri tipi di stili tranne per una: non è possibile che uno stile di lista erediti le caratteristiche di un altro. Parlerò adesso della più «oscura» delle opzioni: l'allineamento, controllato nella scheda {{small caps|Posizione}}. [[File:Addomesticare Writer - fig 28.jpg|thumb|Figura 28: L'allineamento nelle liste]] Come si vede nell'immagine della Figura 28, il primo numero indica la distanza dal bordo dell'area del testo all'inizio del paragrafo, mentre il secondo ci permette di scegliere la distanza di riferimento per allineare la numerazione. La prima lista è numerata «a sinistra», perciò i numeri cominciano lì, la seconda lista è «al centro» e perciò la distanza configurata cade proprio al centro della numerazione (separatore compreso) mentre l'ultima lista e «a destra» e perciò la numerazione finisca lì. Ho configurato le tre liste della schermata così cominciano in 9, mostrando più chiaramente l'effetto delle opzioni di allineamento. {{riquadro|NOTA IMPORTANTE Se sul paragrafo sul quale viene applicata la numerazione c'è (sia tramite lo stile, sia per formattazione diretta) un rientro questo potrebbe essere «in confito» con quello della numerazione. I risultati di questo confito sono alquanto imprevedibili e perciò si raccomanda di costruire le liste su stili di paragrafo che non abbiano rientri propri, lasciando questa caratteristica alle liste. Un'altra cosa da tener presente è che i tabulatori definiti come separatore tra il numero e il testo non hanno relazione con i tabulatori definiti nello stile di paragrafo.}} == Disattivare una lista == Se a un gruppo di paragrafi viene applicato in forma diretta una lista numerata o puntata, l'opzione «Cancella formattazione diretta» non toglierà la lista. Per togliere la lista creata dobbiamo fare clic sul bottone «Elenco numerato/puntato si/no» nella barra degli strumenti di formattazione o nella barra laterale oppure fare {{small caps|clic destro sul paragrafo → Paragrafo → scheda Struttura e numerazione}} per scegliere «Nessuno» nel menù a tendina di «Stile di numerazione». == Usare stili di elenco per numerare capitoli o appendici == Abbiamo detto che, se possibile, è conveniente evitare l'utilizzo di stili di lista per numerare capitoli. Il problema è che non sempre risulta possibile. Esempi ci sono: la numerazione delle appendici o se si vuole avere una numerazione «continua». Immaginiamo però di voler utilizzare delle liste numerate non solo per le appendici ma anche per le «subappendici». Ci sarà dunque uno stile di paragrafo chiamato «Appendice» e un altro chiamato «Subappendice», il primo con il «livello 1» e il secondo con il «livello 2» configurato nella scheda {{small caps|Struttura e numerazione}} corrispondente. Si configura dunque uno stile di lista per avere la numerazione che si vuole sia nel primo che nel secondo livello e, ancora nella scheda {{small caps|Struttura e numerazione}} degli stili Appendice e Subappendice assegniamo il nostro stile di numerazione… il tutto per vedere che la numerazione che si applica a entrambi gli stili è sempre quella del primo livello! Nessun problema: con il primo bottone della barra degli strumenti delle liste numerate e puntate ({{small caps|Un livello inferiore}}, vedere la Figura 27) si corregge il livello della numerazione della Subappendice. [[Categoria:LibreOffice Writer|Elenchi numerati e puntati]] {{Avanzamento|100%|27 dicembre 2016}} 4ffa8yfno37fqxv2kr2ljttq7pjipnq Torah per sempre/Nascita della critica storica 0 43523 430788 376345 2022-07-21T15:35:31Z 95.236.228.180 Corretto: "decostruire" wikitext text/x-wiki {{Torah per sempre}} [[File:Targum.jpg|270px|left|Targum: MS in ebraico e aramaico su vellum, Iraq, prima metà dell'XI sec. Il testo riporta Esodo 12:25-31, iniziando in ebraico con la seconda parola. La prima parola è la fine del Targum aramaico al v.24; Il Targum del v.31 non è completo, presumibilmente continuando nella pagina seguente.]] </br> {{q|''L'uomo deve dedicarsi sempre alla Torah e ai Comandamenti, anche se non lo fa perché li ama; poiché anche se lo fa senza amore, riuscirà poi a farlo perché li ama.''|[[Guida maimonidea|Maimonide]], da ''[[Antologia ebraica]]''}} </br> La [[w:Metodo storico-critico|critica storica]] applica alla Bibbia le stesse tecniche investigative che applica a qualsiasi altro testo antico; con l'ascesa dell'archeologia ed il recupero delle lingue e letterature antiche, tale [[w:esegesi biblica|critica biblica]] si basa sempre di più su fonti di informazione esterne alla Bibbia stessa. L'ebreo o cristiano tradizionali, tuttavia, assegnano alla Bibbia uno stato alquanto diverso da altra letteratura. Lo storico legge il testo in un modo, secondo il suo contesto storico; il sacerdote o il rabbino lo legge in un altro modo, nell'ambito del contesto della propria tradizione. Solo nel mondo moderno è diventato chiaro che i due modi di leggere non sono compatibili e che lo studio storico del testo biblico va oltre il reame della teologia. In questo capitolo investigheremo come i due approcci siano divergenti. Problematiche di interpretazione sono sempre state divisive, poiché ogni comunità di fedeli è convinta dell'assoluta correttezza della propria tradizione interpretativa. I cristiani, sin dai primi tempi, accusavano gli ebrei di travisare la Scrittura (come facevano anche gli ebrei), ma di regola non li accusarono mai di falsificare il testo, dato che anche loro stessi sottoscrivevano l'integrità e l'autenticità di un testo considerato sacro. Sia ebrei sia cristiani cercarono in ogni modo di assicurare che i propri testi e traduzioni fossero accurati. Accuse di falsificazione testuale furono però fatte dai mussulmani, a seguito di calunnie precedenti da parte di pagani, di alcuni cristiani e di Samaritani contro l'opera di Esdra.<ref>Lazarus-Yaffe, ''Intertwined Worlds'', 50-74.</ref> Sebbene dichiarassero che Mosè era un vero profeta e anche la Torah fosse vera, i mussulmani accusavano sia ebrei che cristiani di aver fatto cambiamenti (''tabdil'') e contraffazioni (''taḥrif'') al testo, poiché in numerosi casi era in conflitto con [[w:Corano|Qur`an]] e [[w:Ḥadīth|Ḥadīth]]. "La" Torah, cioè quella ricevuta da Dio tramite Mosè, era certamente vera, ma le attuali scritture possedute da ebrei e cristiani non erano la ''vera'' Torah. Non tutti i mussulmani, in verità, presero, o prendono, questa posizione; alcuni affermano semplicemente che ebrei e cristiani ''travisano'' la Torah ed i Vangeli. Uno studioso ebreo spagnolo dell'undicesimo secolo, forse Samuel Hanagid, si presume abbia pubblicato delle critiche sul Qur`an.<ref>Gli studiosi sono in disaccordo su questo. Abbas sostiene che le critiche fossero opera del figlio di Samuel, Joseph; Stroumsa che fosse un'invenzione di Ibn Hazm e le argomentazioni confutate fossero quelle dell'eresiarca mussulmano Ibn al-Rawandi; Fierro che fossero opera di uno scettico ebreo sconosciuto; Brann che Ibn Hazm costruì una figura tipologica che personificasse una gamma di credenze offensive per i mussulmani. Per i riferimenti si veda Adang, ''Muslim Writers on Judaism'', 59-69.</ref> Se in risposta o in ritorsione, o semplicemente per ripicca verso la preminenza di Simon, lo studioso e polemista mussulmano Ibn Hazm di Cordoba (994-1064), che aveva conosciuto Samuel sin da ragazzo, compose un attacco vetriolico contro l'ebraismo. In questo e in altri trattati Ibn Hazm menziona gli ebrei e l'ebraismo, sviluppando l'accusa che ebrei e cristiani hanno corrotto il testo della Bibbia; identifica il corruttore principale con Esdra.<ref>Il testo ènstato analizzato da Perlmann, "Eleventh-century Andalusian Authors". Adang, ''Muslim Writers on Judaism'', 237-48, esamina nei particolari le asserzioni di Ibn Hazm.</ref> Poche delle sue imputazioni al testo impressionerebbero il lettore moderno; inoltre Ibn Hazm non è sempre ben informato. Tuttavia, il libro deve aver colpito durevolmente non solo i mussulmani ma anche gli ebrei, poiché Solomon ben Adret reputò necessario rispondergli più di due secoli dopo nella Spagna cristiana,<ref>Solomon ben Adret, ''Ma`amar al yishma`el'' ("Trattato contro un Ismaelita"), in Perles, ''R. Salomo b. Abraham b. Adereth''.</ref> e Simon ben Tsemah Duran (detto ''Tashbats'', 1361-1444) rispose ancor più tardi.<ref>Martin Jacobs ha esaminato il manoscritto ''Kashet umagen'' di Duran (MS Oxford, Bodleiana 151), ma a tutt'oggi non ho riscontrato ancora la relativa pubblicazione.</ref> Chiaramente, allora, gli ebrei in occidente nel tardo Medioevo non erano ignari degli attacchi sull'integrità del testo biblico. A volte loro stessi mettevano in discussione le tradizioni dei presupposti autori, secondo le linee d'opinione discusse nel Talmud che gli ultimi otto versetti del Pentateuco, che registravano la morte di Mosè, fossero stati aggiunti (sotto dettatura divina) da [[w:Giosuè (condottiero biblico)|Yehoshuʿa]].<ref>Vedi [[Torah per sempre/Due Torah? Scritture e rabbini|PARTE I.2.]]</ref> [[:en:w:Moses ibn Gikatilla|Moses ben Samuel Hakohen Gikatilla]], un contemporaneo di Rashi (tardo undicesimo secolo) nella Spagna mussulmana, viene citato affermare che la parte finale di Isaia fosse scaturita da un profeta successivo e che l'autore del Salmo {{passo biblico|Salmi|106,47}} vivesse a Babilonia.<ref>I suoi commentari sono andati perduti. Citazioni della sua opera da parte di altri autori sono raccolte in Poznański, ''Mose b. Samuel hakohen Ibn Chiquitilla''.</ref> Abraham Ibn Ezra confermò la tarda composizione di Isaia 40-66 e alluse alla paternità non mosaica di vari versetti pentateucali,<ref>Ibn Ezra su Gen. 12:6; Deut. 1:2 e 34:6. [[Baruch Spinoza|Spinoza]], ''Tractatus Theologico-Politicus'' VIII, appoggia fortemente Ibn Ezra.</ref> sebbene castigasse esplicitamente il grammatico Isaac ibn Yashush di Toledo (m. 1056) per aver osato sostenere che la lista dei re di Edom in Genesi {{passo biblico|Genesi|36,31-39}} fosse stata composta nel periodo di [[w:Giosafat|Re Jehoshaphat]], alcuni secoli dopo Mosè.<ref>Ibn Ezra su Gen. 36:31 dice che il libro di Ibn Yashush dovesse essere bruciato. Vedi Fishman, ''Shaking the Pillars of Exile'', 204 n. 63 e i suoi riferimenti a "certi studiosi ebrei bizantini registrati nelle fonti del nono secolo".</ref> Ibn Ezra era comprensibilmente reticente in materia, ma le sue allusioni furono decifrate; il suo commentario influenzò direttamente [[Baruch Spinoza]]<ref>[[Baruch Spinoza|Spinoza]], ''Tractatus Theologico-Politicus'' VII e VIII.</ref> e la prima critica testuale e storica moderna di [[w:Isaac La Peyrère|Isaac de la Peyrère]], [[w:Uriel da Costa|Uriel da Costa]], [[w:Thomas Hobbes|Thomas Hobbes]], [[w:Jean Astruc|Jean Astruc]] e altri. Meno conosciute sono le speculazioni storiche di alcuni commentatori ebrei della [[w:Renania|Renania]] nel dodicesimo e tredicesimo secolo. Israel Ta-Shma ha fatto notare un commentario anonimo dei Salmi inserito in un manoscritto di Rashi che porta un [[w:Colophon|colophon]] datato 1285; l'autore, ignorando le sovrascrizioni sui Salmi, dà la datazione storica dei salmi individuali, ponendone molti dopo il tempo di Re Davide. Ta-Shma conclude che in un periodo susseguente tale approccio fu respinto dagli aschenaziti.<ref>Ta-Shma, ''An Anonymous Critical Commentary'' (in ebr.) e "Note on Biblical Criticism" (in ebr.).</ref> ==Gli Inizi della Critica Biblica== La messa in discussione di ipotesi tradizionali da parte di un piccolo numero di studiosi ebrei medievali fu un fenomeno marginale, opposto vigorosamente dai principali capi religiosi tradizionali. Solo in tempi moderni, con la secolarizzazione della conoscenza e l'indebolimento del controllo clericale, è stato possibile che tali nozioni radicali venissero prese sul serio. Tra coloro che misero in discussione le interpretazioni tradizionali della Scrittura e degli autori nel diciassettesimo secolo, ce ne furono numerosi che provenivano da famiglie che erano state costrette a convertirsi dall'ebraismo al cristianesimo in Spagna e Portogallo; tra questi, Uriel da Costa, Isaac de la Peyrère (1596-1676) e Baruch Spinosa. Se, come membro di una famiglia di [[w:Converso|Conversi]], sei cresciuto in una religione che ti hanno insegnato a dubitare e poi ritorni a quella che tu pensi sia la religione "giusta", ma non ti risulta poi essere quella che veramente ti aspettavi, l'abitudine di dubitare persiste. Tuttavia, le radici della critica storica nell'Europa cristiana si trovano altrove, nella cultura [[w:Rinascimento|rinascimentale]] e [[w:Umanesimo rinascimentale|umanista]], nella riscoperta di un mondo di saggezza e vitalità che risiede fuori della tradizione cristiana dominante. L'indipendenza di pensiero porta a interrogare l'insegnamento convenzionale ed il fascino dei testi antichi affina le abilità critiche dello studioso. Se la conoscenza del greco appena acquisita e la disponibilità di manoscritti autentici delle opere di Platone e di Aristotele ti obbligano a mettere in dubbio le interpretazioni della scolastica medievale, è naturale mettere in dubbio sia la traduzione biblica della [[w:Vulgata|Vulgata]] ed la maniera in cui la chiesa la interpreta. Gli studiosi rinascimentali inizialmente si preoccuparono del greco e del Nuovo Testamento, ma poco dopo si rivolsero agli studiosi ebrei come [[w:Elia Levita|Elijah Levita]] e [[w:Obadja Sforno|Obadiah Sforno]] (ca.1470-1550) per assisterli con la lingua ebraica e presto cominciarono a sottoporre il testo ebraico della Bibbia ad analisi storiche e letterarie nello stesso modo in cui l'avevano già fatto con i classici greci e latini e col Nuovo Testamento. L'"ebraismo" cristiano fu parte di tale processo; la nuova comprensione indipendente delle Scritture ebraiche era indipendente dalla tradizione della chiesa, ma fortemente dipendente sulle opere di grammatici ebrei medievali e di commentatori come Rashi, Abraham Ibn Ezra e David Kimhi. Douglas Knight ha descritto come il [[w:Concilio di Trento|Concilio di Trento]] (1545-8) formulò il concetto di una tradizione orale, una ''traditio oralis'', nel contesto dell'insegnamento della chiesa. Il rifiuto di questa nozione fu fondamentale per il programma ''sola scriptura'' della [[w:Riforma protestante|Riforma]]; ''sola scriptura'' significava che soltanto la Scrittura era autorevole, cioè la parola della Bibbia e non la "tradizione orale" della chiesa. Ma ''sola scriptura'' richiede un esame attento del testo e questo produce sorprese. Knight descrive [[w:Richard Simon|Richard Simon]] (1638-1712) quale "pioniere della ricerca biblica storico-critica e... il precursore dell'indagine storico-tradizionale dell'Antico Testamento".<ref>Simon scrisse una ''Historie critique du Vieux Testament''.</ref> "Il libro di Genesi, per esempio, può essere Sacra Scrittura senza essere il prodotto letterario di Mosè... Con Simon l'idea basilare di tradizione e trasmissione ottiene un'importanza centrale... Cosa spinse Simon a proporre tale idea?... la percezione che la ''traditio oralis'' tridentina fosse pertinente anche al periodo biblico... la ricerca biblica si deve interessare della storia dell'Antico Testamento come letteratura."<ref>Knight, ''Rediscovering the Traditions of Israel'', 44-50.</ref> Simon aveva familiarità con l'idea ebraica della Torah Orale; aveva di sicuro studiato con ebrei e si dice avesse considerato insieme al suo amico Jonah Salvador, ebreo italiano, un progetto per tradurre il Talmud. Guy G. Stroumsa, dopo aver sottolineato l'ascendente di [[w:Leone Modena|Judah Arieh da Modena]] e del suo ''Historia de' riti ebraici'' su Simon, osserva: {{q|L'opinione di Simon riguardo ai Caraiti è ambivalente. Da una parte, il loro rifiuto del Talmud sembra avvicinarsi al rifiuto da parte di Gesù della maggior parte delle tradizioni rabbiniche... In tal senso, si sente più vicino ai Caraiti che ai Rabbaniti. Dall'altra, Cattolici e Rabbaniti hanno in comune il rispetto della tradizione (dei rabbini o dei [[w:Padri della Chiesa|padri]]. Per entrambi il testo della Bibbia non è autoesplicativo e può essere compreso appropritamente solo con l'aiuto della tradizione... indirizza lettere ad un amico protestante, Frémond d'Ablancourt: "Mon cher Caraïte" e le firma "Le Rabbaniste".<ref>Stroumsa, "Jewish Mythe and Ritual", 28.</ref>}} Una volta che hai cominciato a leggere la Bibbia indipendentemente dalla tradizione, che sia la tradizione dei rabbini o la tradizione della chiesa, puoi facilmente derivarne una teologia in contrasto con quella della tradizione. Teologia diventa quindi una disciplina indipendente, potenzialmente in conflitto coi rabbini o con la chiesa. Come nota Henning Graf Reventlow, la teologia biblica come disciplina indipendente era una conseguenza naturale dell'affermazione protestante di ''sola scriptura'' e del suo abbandono della tradizione ecclesiastica. [[w:Johann Philipp Gabler|Johann Philipp Gabler]] articolò i requisiti di una teologia biblica indipendente dalla tradizione della chiesa durante la sua lezione inaugurale ad Altdorf nel 1787: {{q|La vera teologia biblica tratta in maniera storica di quello che le sacre scritture percepiscono delle cose divine; la teologia dogmatica, invece, tratta in maniera didattica di quello che un dato teologo... filosofizza razionalmente delle materie divine.<ref>J.P. Gabler, citato da Reventlow, ''Problems of Old Testament Theology'' 3-4. Il titolo della lezione di Gabler era una lezione di per se stessa: ''Oratio de justo discrimine theologiae biblicae et dogmaticae regundisque recte utrius finibus'' "Sulla corretta distinzione tra teologia dogmatica e biblica e la giusta definizione dei loro fini".</ref>}} Per i cristiani, una "teologia dell'Antico Testamento" indipendente necessitava di una "teologia del Nuovo Testamento" indipendente e iniziarono i problemi del rapporto tra teologie dell'Antico e del Nuovo Testamento, nonché del rapporto di entrambi con una teologia sistematica, o dogmatica. Lo sviluppo di studi biblici indipendenti fece capire agli ebrei quanto fosse differente la prospettiva del mondo secondo la Bibbia da quella dei rabbini. Sintomatico della dissonanza tra tradizione biblica e tradizione rabbinica era il basso rango assegnato agli studi biblici nelle [[w:Yeshivah|yeshivah]] tradizionali; il Talmud, piuttosto che la Bibbia, rifletteva le realtà della vita ebraica nell'Europa centrale ed orientale. Rabbini tradizionali come Elijah di Vilna (il [[w:Gaon di Vilna|Gaon di Vilna]], 1720-97) che incoraggiavano gli studi biblici, non li consideravano una disciplina indipendente dalla tradizione rabbinica; al contrario, la loro interpretazione della Bibbia si basava su salde fondamenta di fonti rabbiniche. Tuttavia molto presto, nell'occidente, apparvero nuove teologie ebraiche, sostenute da filosofie contemporanee piuttosto che da testi rabbinici ed erano in alcuni casi ostili alla tradizione rabbinica; ne incontreremo alcune nella PARTE IV.1. ==Deisti e Scettici== Per "[[w:Scetticismo filosofico|scetticismo]]" oggigiorno si intende una filosofia del dubbio, principalmente diretta ''contro'' la religione. Il termine deriva dal verbo greco ''skeptomai'', parola neutra che significa semplicemente "esaminare" e dovrebbe essere opposta a "dogmatismo" piuttosto che a "religione". Solo dall'Illuminismo "scetticismo" viene a significare primariamente incredulità religiosa.<ref>Sul primo scetticismo moderno si veda Popkin, ''History of Scepticism''.</ref> Lo scetticismo quale movimento formale risale a [[w:Pirrone|Pyrrhо̄n]] dell'Elide (ca.360-272 p.e.v.). Pyrrhо̄n viaggiò con Alessandro Magno e vide nei [[w:Fachiro|fachiri]] dell'India un esempio di felicità che scaturiva dall'indifferenza per le condizioni di vita. Concluse che l'uomo deve sospendere giudizio (deve esercitare ''epochē'' — termine notoriamente risuscitato dal [[w:Fenomenologia|fenomenologo]] [[w:Edmund Husserl|Edmund Husserl]]) sull'affidabilità delle percezioni sensoriali e semplicemente vivere secondo le apparenze. L'analogia biblica più pertinente è l'[[w:Qoelet|Ecclesiaste]], forse composto sotto l'influenza pirroniana. [[w:Sesto Empirico|Sesto Empirico]] (terzo secolo e.v.) fu uno degli ultimi scettici antichi; lasciò due opere, ''Lineamenti (o Schizzi) pirroniani (Hypotyposeis)'' e ''Adversus mathematicos'', che furono riscoperti nel Rinascimento e fortemente influenzarono lo sviluppo dello scetticismo moderno. Argomentava che la gente che pensava di poter conoscere la realtà erano costantemente disturbati e frustrati; se avessero sospeso il giudizio e vissuto secondo le apparenze, usanze e inclinazioni naturali, avrebbero trovato pace interiore (''ataraxia'' "imperturbabilità"). Tale comportamento attirava molto gli studiosi che penavano nelle controversie teologiche stancanti e insolvibili della Riforma; si poteva sospendere il giudizio su tutto, tranne le questioni più chiare, e adattarsi alla vita sotto la chiesa dominante, anche quando non imponeva un assenso intellettuale. Se dubiti dell'affidabilità della ragione umana, puoi sospendere giudizio in merito alla verità, come raccomandavano i pirroniani, adattandoti ad una vita con dubbi, oppure puoi dichiarare inadeguata la ragione e fare atto di fede. Agostino, nel suo ''Contra academicos'', ed in seguito il filosofo mussulmano [[w:Al-Ghazali|al-Ghazali]] (1058-1111) e l'ebreo [[w:Yehuda Ha-Levi|Judah Halevi]], furono "scettici" in quest'ultimo senso; la ragione, sebbene facoltà data da Dio, era inadeguata sia a stabilire o a confutare la verità religiosa, che poteve assere acquisita solo mediante il "mistero" della fede. Il comportamento di ricerca stimolato dal revival dello Scetticismo incoraggiò la gente a mettere in dubbio gli assunti sull'origine e natura del testo biblico. Più specificatamente, preparò la strada per la crescita del [[w:Deismo|Deismo]], cioè, la credenza nell'esistenza di un Creatore e in canoni morali, ma il rifiuto dell'idea che Dio ha rivelato la sua precisa volontà. Reventlow ha sottolineato il significato della critica biblica per gli sviluppi teologici in Inghilterra tra la Riforma e l'Illuminismo, specialmente l'impatto del Deismo;<ref>Reventlow, ''Authority of the Bible''.</ref> in un interessante capitolo su Thomas Hobbes (1588-1679) dimostra il rapporto intricato e peculiare in Inghilterra tra autorità politica, teologia e interpretazione biblica. [[w:Edward Herbert|Edward Herbert, Lord Cherbury]] (1582-1648), fu un pioniere del Deismo inglese; teologicamente si posizionò tra i platonici di Cambridge e i [[w:Latitudinarismo|Latitudinari]]. Nel suo trattato ''De veritate'' si propone di respingere le argomentazioni degli Scettici. "La verità esiste", afferma con audacia.<ref>Herbert, ''De veritate'', 75; Popkin, ''History of Scepticism'', 154segg.</ref> Sebbene abbia poco a che fare con la critica testuale, la sua formulazione di quello che egli chiama (usando la terminologia [[w:Stoicismo|stoica]]) ''notitiae communes circa religionem'', o idee comuni sulla religione, indica una via nuova per comprendere l'autorità della Scrittura, non per i suoi dogmi o regole, bensì come conferma dei fondamenti religiosi su cui si può ragionevolmente essere d'accordo. Herbert riconosce cinque ''notitiae'': che esiste un essere supremo; che tale essere debba essere venerato; che l'essenza della religione è la morale; che gli atti malvagi debbano essere espiati mediante pentimento; esistono in questo mondo ricompensa e punizione. Questa "religione naturale", o razionalismo etico, per Herbert, come lo sarà per Spinoza, il criterio con cui si dovrebbe giudicare ciò che nella Scrittura viene considerata la Parola di Dio.<ref>Sull'opinione di [[Baruch Spinoza]] si veda PARTE IV.1.</ref> Nell'[[w:Illuminismo|Illuminismo]] del diciottesimo secolo il deismo più aggressivo e lo scetticismo antireligioso di [[w:Voltaire|Voltaire]] e di altri ''philosophes'' condussero ad attacchi caustici contro la moralità della Scrittura e contro anche le sue inconsistenze interne. ==La Bibbia come Letteratura== Esiste una linea di collegamento da Azariah de' Rossi (cfr. [[Torah per sempre/Contraddizioni, problemi morali, errori|PARTE II.3]]) a [[w:Johann Gottfried Herder|Johann Gottfried Herder]] (1744-1803). De' Rossi intitolò l'ultimo capitolo del suo ''Imrei binah'' "Sui poemi composti nella lingua sacra".<ref>De' Rossi, ''Light of the Eyes'', 710-21.</ref> Divaga da riferimenti alla ''[[w:Poetica (Aristotele)|Poetica]]'' di Aristotele a Girolamo, ad una gamma di autorità ebraiche da Filone ad Abravanel, a sue conversazioni personali con i fratelli provenzali di Mantova e ci mette dentro anche una poesia composta per il proprio epitaffio. Tuttavia, de' Rossi getta anche nuova luce sulla natura della poesia biblica, in particolare sulla caratteristica della clausole bilanciate (parallelismo). L'opera di Azariah fu notata da studiosi cristiani. [[:en:w:Johannes Buxtorf II|Johannes Buxtorf II]] (1599-1664) tradusse il capitolo in latino, [[w:Robert Lowth|Robert Lowth]] (1710-87), che dal 1741 fu professore di Poetica a Oxford e successivamente vescovo prima di Oxford e poi di Londra, sviluppò ulteriormente le idee di de' Rossi in ''De Sacra Poesi Hebraeorum (Lectures on the Sacred Poetry of the Hebrews'', 1753), recensito da [[w:Moses Mendelssohn|Moses Mendelssohn]] nel 1757 e 1761.<ref>Altmann, ''Moses Mendelssohn'', 410-12. Mendelssohn inviò a Lowth una copia della sua recensione e in seguito il suo commentario ''Be`ur'' su Esodo; cita Lowth in ''Be`ur'' su Gen. 4:23.</ref> Tuttavia, tali argomenti erano la riserva di pochi studiosi che forse pensavano di evadere la critica storica e testuale della Scrittura o raffronti sfavorevoli con le letterature dei greci e romani riscoperte da poco, attirando l'attenzione alle grandi qualità letterarie della Bibbia. Toccò al poeta Johann Gottfried Herder, uno degli architetti del movimento romantico tedesco, diffondere la nozione che la Bibbia poteva essere ammirata di per sé come letteratura. Era un età in cui la critica storica da un lato stava minando la fede nella Bibbia, mentre dall'altro un'ortodossia incondizionata rifiutava di confrontare le conseguenze della nuova cultura. Herder, in ''Vom Geist der ebräischen Poesie (Lo spirito della poesia ebraica'', 1782/3), offrì un nuovo approccio, deliziandosi in un pieno apprezzamento intuitivo dell'umanità della Scrittura ebraica e della ricchezza delle sue qualità letterarie; la Bibbia ebraica fu requisita dal movimento romantico e a sua volta ottenne prestigio per essere in armonia con lo spirito del tempo. ==Da Storia a Mito== [[w:David Friedrich Strauß|David Friedrich Strauß]] (1808-74) venne espulso dall'[[w:Università di Tubinga|Università di Tubinga]] a seguito della pubblicazione, nel 1835, del suo ''Leben Jesu kritisch bearbeitet'' ("La vita di Gesù o Esame critico della sua storia"), nel quale cercava di provare che le storie del Vangelo costituivano una raccolta di miti che custodivano una verità storica non-supernaturale; la sua analisi dogmatica della dottrina cristiana, ''Die christliche Glaubenslehre'', apparve nel 1840/1. In ''Der alte und der neue Glaube'' ("La vecchia e la nuova fede", 1872) tentò di provare che il cristianesimo come sistema di credenze religiose era morto e che una nuova fede doveva essere costruita sulla base dell'arte e della scienza contemporanee. La frase d'apertura della prefazione di Strauß nella prima edizione di ''Leben Jesu'' è istruttiva: {{q|È apparso all'autore di questa opera... che fosse giunto il tempo di sostituire un nuovo modo di considerare la vita di Gesù, al posto dei sistemi antiquati di supernaturalismo e naturalismo...</br> Il nuovo punto di vista... è quello mitico...</br> I teologi più eruditi e acuti d'oggi non riescono nel requisito principale per tale lavoro... la liberazione interiore dei sentimenti e dell'intelletto da certe presupposizioni religiose e dogmatiche...</br> La nascita supernaturale di Cristo, la sua risurrezione e ascensione, rimangono verità eterne, quale che siano i dubbi espressi sulla loro realtà come fatti storici.<ref>D.F. Strauß, ''Life of Jesus'', pp. li, lii (mia trad. dall'ingl.)</ref>}} Quegli ebrei che erano preoccupati per la precisione storica delle Scritture ebraiche n on tardarono ad applicare la lezione. [[w:Abraham Geiger|Abraham Geiger]] (1810-74), che fu di certo influenzato da Strauß,<ref>S. Heschel, ''Abraham Geiger''.</ref> dichiarò che "la Bibbia, quella collezione di libri umani nella maggior parte così bella e glorificata – forse la più glorificata – deve essere scartata come opera divina".<ref>Geiger fece tale dichiarzione nel testo di una lettera che scrisse a J. Derenbourg; la parte specifica della lettera è stata tradotta in D.H. Frank, Leaman e Manekin (curr.), ''Jewish Philosophy Reader'', 376. Meyer, ''Response to Modernity'', 416 n.16, nota alcuni dei riferimenti di Geiger a Strauss, ma osserva che "un incontro tra i due uomini nella fase tarda della loro vita (1868) produsse una mutua insoddisfazione".</ref> Geiger stesso diede immensi contributi nello sbrogliare la storia del testo biblico e la sua ricezione da parte della tradizione ebraica. Le parole che usa nella sua introduzione alla sua opera principale in materia – "Die Bibel ist das Buch der Welt" ("La Bibbia è il libro del mondo") – ci dice immediatamente che, per quanto meraviglioso e autorevole sia il libro, esso è una compilazione umana;<ref>Geiger, ''Urschrift und Übersetzungen der Bibel'', 1.</ref> leggendo oltre, scopriamo che non solo il suo testo è stato modificato durante la trasmissione, spesso per soddisfare scopi settari, ma che la sua interpretazione è stata mediata per gli ebrei tramite la tradizione rabbinica. [[w:Kaufmann Kohler|Kaufmann Kohler]] (1843-1926), precedente ammiratore di [[w:Samson Raphael Hirsch|Samson Raphael Hirsch]] ma successivamente uno dei primi membri dell'[[w:Ebraismo riformato|Ebraismo Riformato]] e dal 1930 Presidente dell'[[w:Hebrew Union College-Jewish Institute of Religion|Hebrew Union College]], promosse idee simili in America. Il ''[[w:Rav Maskil|maskil]]'' galiziano Joshua Heschel Schorr (1818-85) fu il primo a propagare la critica biblica in lingua ebraica, nel suo bollettino ''Heḥaluts'' che uscì a partire dal 1852. Ma gli ortodossi rimasero fedeli alla dottrina letterale della ''Torah min hashamayim'', sostenendo sia l'infallibilità della Scrittura e sia l'autenticità dell'interpretazione tradizionale. ==Teoria delle Fonti== [[File:Modern document hypothesis.svg|thumb|270px|left|Possibile schema dell'"[[w:Ipotesi documentale|ipotesi documentaria]]":<br />'J': tradizione jahvista<br />'E': tradizione ''Elohista''<br />'D': tradizione ''Deuteronomista''<br />'P': tradizione ''Sacerdotale''<br />'R': "Redattore" che ha compilato le fonti<br />'DH': Storia deuteronomistica<br />* include la maggior parte del Levitico<br />† include la maggior parte del Deuteronomio<br />‡ include Giosuè, Giudici, Samuele 1&2, Re 1&2]] La Bibbia saltuariamente cita fonti. [[w:Libro dei Numeri|Numeri]] {{passo biblico|Numeri|21,14}} fa riferimento ad un "libro delle guerre del Signore". Il [[w:Libri dei Re|Libro dei Re]] fa riferimento diverse volte al "libro delle cronache dei [[w:Regno di Giuda|re di Giuda]]" e al "libro delle cronache dei [[w:Regno di Israele|re di Israele]]". [[w:Libri delle Cronache|Cronache]] fa lo stesso. In tutto, nella Bibbia vengono citate ventiquattro fonti extra-bibliche.<ref>Leiman, ''Canonization of Hebrew Scripture'', 17-18. "Il libro delle cronache dei re di Giuda" è citato in 1 Re 14:29; 15:7, 23; 22:46; 2 Re 8:23; 12:20; 14:18; 15:6, 36; 16:19; 20:20; 21:17, 25; 23:28; 24:5 e "il libro delle cronache dei re di Israele" è citato in 1 Re 14:19; 15:31; 16:5, 14; 20-27; 22:39; 2 Re 1:18; 10:34; 13:8, 12; 14:15, 28; 15:11, 15, 21, 26, 31.</ref> Questo non sarebbe un problema se non fosse per la dottrina di ''Torah min hashamayim'', se ciò non significasse che la Scrittura fu dettata da Dio, al quale sicuramente non necessita di citare fonti umane. Tuttavia, le citazioni, o riferimenti, potrebbero essere considerati alla pari coi rapporti di discorsi: Abramo, Mosè e altri personaggi biblici erano senza dubbio liberi di parlare come volevano, non secondo un copione preordinato; l'inclusione delle loro parole nella Torah potrebbe essere considerata, per così dire, il sigillo d'approvazione divino e autorevole per l'inserimento di tali parole nella Sacra Scrittura. Similmente, quando il Talmud citava l'opinione di Rabbi Joshua che gli ultimi otto versetti della Torah erano stati aggiunti da [[w:Giosuè (condottiero biblico)|Yehoshùa]], non stava affermando che Yehoshùa si fosse inventato i versetti, ma che Dio li avesse dettati a lui piuttosto che a Mosè. Ibn Yashush e Ibn Ezra, tuttavia, sembrano implicare qualcosa d'altro, cioè che qualcuno (non specificano chi) in una fase successiva avesse aggiunto versetti al testo ricevuto. Ibn Ezra è evasivo su questo punto e sfortunatamente solo parti delle opere grammaticali di Ibn Yashush sono disponibili e non il suo commentario originale. Quando i cristiani cominciarono a partecipare seriamente alla discussione, avevano già stabilito che i testi classici di Grecia e Roma erano stati contaminati e avevano iniziato ad ammettere la possibilità che fossero avvenute interpolazioni nel Nuovo Testamento. Di conseguenza, furono in grado di spostarsi dalla nozione di un'interpolazione occasionale all'idea che il testo della Bibbia ebraica avesse una storia e che sue parti potessero essere state estratte da [[w:Ipotesi documentale|fonti documentarie]] precedenti. In tal modo divenne possibile formulare una teoria riguardo a quelle fonti e speculare su quali fossero. A Henning Bernhard Witter (1683-1715) è attribuito lo sviluppo della prima '''[[w:Ipotesi documentale|ipotesi documentaria]]'''. Nel 1711 pubblicò una nuova traduzione latina di Genesi {{passo biblico|Genesi|1-18}} con un tittolo a tre righe che cominciava con le parole ''Jura Israelitarum in Palaestinam terram Chananeam commentatione in Genesin''. Fa un abile uso delle fonti ebraiche, da Filone a Flavio Giuseppe a Talmud e midrash, come anche a Rashi, Ibn Ezra, Maimonide e [[w:Obadiah di Bertinoro|Obadiah di Bertinoro]]; ben informato sul [[w:Ebraismo rabbinico|rabbinismo]], aveva pubblicato nel 1703 una traduzione latina di una sezione della ''[[Mishneh Torah]]'' maimonidea che aveva a che fare con le festività ebraiche. Non c'è molta "ipotesi documentaria" in ''Jura Israelitarum'' salvo la discussione, esposta nella sezione 22 dei Prolegomeni, che numerose parti del Pentateuco erano chiaramente non scritte da Mosè, poiché (come aveva osservato [[w:Nahmanide|Nahmanide]]),<ref>Si veda ''supra'', [[Torah per sempre/Mistici e cabalisti#Nachmanide (Ramban) il Mistico|PARTE I.3]].</ref> si parla di Mosè in terza persona affermando che aveva scritto alcune sezioni. Adduce circa quindi riferimenti a supporto,<ref>Esodo 17:14; 24:4, 7; 33:1, 2; 34:27; Num. 33:2; Deut. 31:9, 22; Gios. 1:8, 31; 10:13; 2 Cron. 35:14; 2 Re 22:2.</ref> ma soltanto i versetti pentateuci sembrano pertinenti. L'argomentazione non va di molto oltre la linea di ragionamento di Spinoza nel ''Tractatus Theologico-Politicus'' VIII ed è in numerosi rispetti meno sviluppato. Sir [[w:Isaac Newton|Isaac Newton]] (1642-1726) non è generalmente citato in storie di critica biblica, tuttavia il capitolo iniziale del suo ''Observations upon the Prophecies of Daniel, and the Apocalypse of St. John'',<ref>Cfr. Isaac Newton, ''Trattato sull'Apocalisse'', Bollati Boringhieri, 1994, 2011, trad. e cura Maurizio Mamiani.</ref> pubblicato postumo nel 1733, è un resoconto sistematico di quelli che egli chiama "Compilatori dei Libri dell'Antico Testamento" in cui espone i documenti da cui venne formata la Bibbia e conclude ''inter alia'' che Genesi non poteva essere stata scritta prima del regno di Saul.<ref>Questo era il "segreto dei dodici" di Abraham Ibn Ezra, il punto preciso su cui egli criticò Ibn Yashush.</ref> [[w:Jean Astruc|Jean Astruc]] (1684-1766)fu un medico francese famoso per i suoi trattati relativi all'[[w:ostetricia|ostetricia]] e alle [[w:Malattia sessualmente trasmissibile|malattie veneree]], come anche per un'opera sulla [[w:fistola|fistola]] dell'[[w:ano|ano]]. Astruc non conosceva l'opera di Witter ma, come quest'ultimo, aveva formulato un lungo titolo per le sue ricerche; il suo ''Conjectures sur les mémoires originaux dont il paroit que Moyse s'est servi pour composer le livre de la Genese'' fu pubblicato per la prima volta a Brussels nel 1753, con molte edizioni successive. Il nome Astruc divenne comune tra gli ebrei della Francia meridionale e, sebbene il padre di Jean fosse un predicatore [[w:Ugonotti|Ugonotto]], era possibile che fosse di estrazione ebraica. A differenza di Witter, Astruc dimostra poca dimestichezza col commentario biblico ebraico, né sembra dubitare della paternità mosaica riguardo al Pentateuco. Sostiene che Mosè compose la Genesi ed i primi due capitoli di Esodo sulla base di documenti più antichi, sezioni dei quali egli incorporò senza nessun cambiamento, ecco perché numerose narrazioni sono duplicate in parte o in tutto e perché in queste appaiano nomi di Dio differenti. Astruc pensa che Mosé suddivise una dozzina di documenti in quattro gruppi, che Astruc chiama A, B, C e D. Nella seconda parte del libro Astruc riporta una traduzione francese da Genesi a Esodo 2 in colonne, cosicché sezioni appartenenti ad A iniziano sulla sinistra della pagina, quelle che appartengono a B un po' più a destra e così via. Parte 3 è un commentario che spiega perché ciascun passo sia allineato nel sua specifica colonna. Non c'è probabilmente alcun nesso tra il progetto di Astruc di "décomposer la Genese"<ref>Astruc, ''Conjectures'', 17.</ref> e il programma del suo connazionale [[w:Jacques Derrida|Jacques Derrida]], alcuni secoli dopo, di "decostruire" ogni cosa. [[:en:w:Johann Gottfried Eichhorn|Johann Gottfried Eichhorn]] (1752-1827) si dice sia stato il primo a scrivere un'introduzione generale alla Bibbia, forse perché preferiva un titolo corto o perché, a differenza di Astruc, aveva condotto la propria ricerca andando oltre Genesi. La sua popolare opera in tre volumi, ''Einleitung in das Alte Testament'' (1780-3) influenzò molto gli studi biblici di Moses Mendelssohn e del suo circolo, specialmente il grammatico e lessicografo galiziano Judah Leib Ben-Ze`ev (1764-1811). Nel 1805, Wilhelm M. L. de Wette (da non confondersi con Witter) sostenne l'ipotesi moderna dominante che il Deuteronomio, o perlomeno il suo nucleo, fosse stato composto solo poco tempo dopo la sua "scoperta" al tempo di Josiah ({{passo biblico|2Re|22,8}}). Tra i suoi studenti all'Università di Berlino ci fu [[:en:w:Leopold Zunz|Leopold Zunz]] (1794-1886), fondatore della ''[[w:Wissenschaft des Judentums|Wissenschaft des Judentums]]'' (Scienza del Giudaismo). Nella sua opera fondamentale sull'oratoria ebraica Zunz assegnò date posteriori a numerosi Salmi e ad Ezechiele, suggerendo che il canone ebraico non fosse stato completato fino a poco prima del 70 e.v.;<ref>Zunz, ''Die gottesdientlichen Vorträge''.</ref> successivamente confermò l'ipotesi di de Wette sul Deuteronomio. [[:en:w:Marcus Kalisch|Marcus Moritz Kalisch]] (1828-1885), laureato sia dell'Università di Berlino sia del Seminario rabbinico, fu segretario del Rabbino Capo di Londra Nathan Adler dal 1848 al 1853. Successivamente fu impiegato come tutore presso i [[w:Rothschild|Rothschild]] e si sentì quindi libero di mettere per iscritto le sue opinioni alquanto radicali sugli studi biblici, anticipanbdo la teoria delle fonti (formulazione definitiva dell'ipotesi documentale) di [[w:Julius Wellhausen|Wellhausen]] nel suo commentario al Levitico. La teoria delle fonti "classica" emerse dall'opera di [[:en:w:Karl Heinrich Graf|Karl Heinrich Graf]] (1815-69) e di Julius Wellhausen (1844-1918). Graf sosteneva che il [[:en:w:Priestly Code|Codice Sacerdotale]], cioè la fonte che include Levitico, che fino allora era stata considerata la fonte principale del Pentateuco, era in realtà l'ultima delle fonti pentateucali. Wellhausen proponeva quattro fonti: Jahvista (J), Elohista (E), Deuteronomista (D), Sacerdotale ("Priestly" = P); datò il Codice Sacerdotale nel periodo dopo l'esilio babilonese e il Deuteronomio col suo codice legale nel periodo appena prima dell'esilio.<ref>Per le opere principali di questi autori si veda Kalisch, ''Historical and Critical Commentary''; Graf, ''Die geschichtlichen Buecher'' e Wellhausen, ''Die Composition des Hexateuchs''.</ref> Dal tempo di Wellhausen sono state apportate importanti modifiche a questa teoria; non c'è oggi un'unica accettabile ipotesi documentaria, sebbene i principi basilari siano stati accettati dagli studiosi biblici. ==Archeologia== L'archeologia scientifica emerse nel diciannovesimo secolo. [[w:Jean-François Champollion|Jean-François Champollion]] (1790-1832), fondatore dell'[[w:Egittologia|egittologia]] scientifica moderna, decifrò la [[w:Stele di Rosetta|Stele di Rosetta]] verso il 1824. [[w:Friedrich Delitzsch|Friedrich]], figlio del teologo tedesco [[w:Franz Delitzsch|Franz Delitzsch]], sviluppò l'[[w:Assiriologia|assiriologia]] verso la fine dello stesso secolo e il contesto storico e culturale della Bibbia diventò sempre più chiaro. L'aumento della conoscenza delle lingue del Vicino Oriente Antico condusse ad una migliore conoscenza del vocabolario, della grammatica e degli stili delle Scritture ebraiche; la critica letteraria e storica gettò nuova luce sulle date di composizione, paternità e funzione originale dei vari tipi di scrittura che costituiscono la Bibbia. Più speculativi sono la critica della tradizione, che tenta di tracciare lo sviluppo delle tradizioni orali che precedettero i testi scritti; la critica redazionale, che studia come furono radunati i documenti dai loro autori ed editori ultimi; la [[w:critica delle forme|critica delle forme]], iniziata nel ventesimo secolo da [[w:Rudolf Bultmann|Rudolf Bultmann]] e [[w:Martin Dibelius|Martin Dibelius]], che classifica il materiale scritto secondo le forme preletterarie, come la parabola o l'inno. Altre mode di critica vanno e vengono con la reputazione dei professori che le escogitano. ==Metodo Critico = Metodo Antisemitico?== Gli ebrei ortodossi spesso giustificano il loro rifiuto di venire a patti con la critica storica, con l'equazione, promossa dal [[w:Ebraismo conservatore|Conservatore]] [[w:Solomon Schechter|Solomon Schechter]], "L'Alto Metodo Critico è uguale all'Alto Metodo Antisemitico". Questa non è una buona scusa per ignorare l'evidenza, ma non è nemmeno pura fantasia. La critica biblica, specialmente in Germania, si prestava spesso all'[[w:antisemitismo|antisemitismo]]. Ciò accadeva perché una prospettiva storica sulla Bibbia portava i cristiani a separare non solo Bibbia e teologia, ma anche la teologia dell'Antico Testamento e quella del Nuovo Testamento, una posizione che divenne chiara nell'opera di Georg Lorenz Bauer, ''Biblische Theologie des Alten und Neuen Testaments''.<ref>(Lipsia, 1796-1802). Questa sezione si basa su Reventlow, ''Problems of Old Testament Theology'', 28-43.</ref> Quale era il rapporto tra i due "Testamenti"? I teologi protestanti cercavano disperatamente di dimostrare la superiorità del Nuovo rispetto al "Vecchio Testamento"; era come se si chiedessero: se il Nuovo non era superiore al Vecchio, quale era il punto del cristianesimo? Tra le opere peggiori dedicate a questo problema ci fu ''Die Religion der Zukunft'' di P. de Lagarde (1878). Il nazionalismo romantico tedesco si combinava con l'apologetica protestante portandolo a invocare una "nuova religione tedesca composta da autentico cristianesimo e dagli elementi nobili dello spirito germanico, ma purificato da tutti i vizi non-tedeschi, come l'Antico Testamento". Le cose peggiorarono ancora. [[w:Houston Stewart Chamberlain|Houston Stewart Chamberlain]] (1855-1927), un filosofo politico germanofilo nato in Gran Bretagna che aveva passato la maggior parte della vita in Germania, era un devoto ammiratore di Richard Wagner e aveva sposato l'unica figlia del musicista; Chamberlain difendeva gli sforzi ed i fini militari della Germania durante la Prima Guerra Mondiale, ricevette la Croce Militare Tedesca nel 1915 e venne naturalizzato l'anno successivo. Nel 1899 pubblicò un'opera,<ref>Chamberlain, ''Grundlagen des XIX. Jahrhunderts''</ref> che si basava sulle teorie razziste del conte [[w:Joseph Arthur de Gobineau|Gobineau]], nel quale sosteneva la superiorità della razza nordica e della religione "Indo-Europea", cioè il Nuovo Testamento, sulla "religione degli ebrei", cioè l'Antico Testamento. Il cristianesimo, afferma Chamberlain, sorse da due radici: la fede storico-cronistica ebraica e la mitologia metafisica e simbolica indo-europea. Detto ciò, Chamberlain non svaluta l'ebraismo totalmente; riconosce, a differenza dei suoi seguaci, che Gesù era un ebreo, sebbene abbia dei dubbi riguardo a Paolo, il cui misticismo e l'idea di redenzione sono così indo-europee da poter essere anche tacciato di anti-ebraismo. I nazisti amarono Chamberlain, ma non deve essere accusato di tutte le loro perversioni.<ref>Sulla nuova "immagine" di Gesù durante il nazismo, si veda S. Heschel, ''The Aryan Jesus''.</ref> Argomentazioni di questo tipo e la continua sviolinatura in merito alla superiorità del "vangelo dell'amore" sulla "religione della legge" furono caratteristiche della teologia protestante, specialmente in Germania, ben oltre la Seconda Guerra Mondiale e non sono affatto scomparse, sebbene ci siano stati notevoli sforzi di sviluppare forme di teologia cristiana che siano prive di antisemitismo; in Budapest nell'agosto del 1984 la Chiesa Luterana ha formalmente ripudiato le diatribe antisemitiche composte in maturità da Martin Lutero (1483-1546). Purtuttavia, le vessazioni da parte di alcuni teologi cristiani qui non ci riguarda. Ci sono sicuramente stati "critici del metodo" che furono "antisemiti con metodo", ma la disciplina della critica non può essere abbandonata in base a questo. Se Friedrich Delitzsch,<ref>Delitzsch, ''Die Grosse Täuschung''.</ref> per esempio, abusò delle sue grandi scoperte in Mesopotamia per degradare le Scritture ebraiche sottolineandone la loro inattendibilità storica e il basso carattere del loro "Dio nazionale", ciò è spiacevole e diminuisce la sua reputazione accademica. Ma l'archeologia della Mesopotamia rimane valida e l'opera di Delitzsch sulle lingue antiche rimane fondamentale; le questioni che solleva non possono essere messe da parte facendo rimproveri personali ad un singolo studioso. ==''Conclusione''== All'alba del ventesimo secolo lo studio biblico era progredito al punto che l'antica [[w:Ermeneutica|ermeneutica]] riconciliatrice non era più plausibile; gli ebrei ed i cristiani tradizionali erano agitati non tanto dalle loro opposte ideologie, o da ideologie straniere come l'Islam, quanto dalle scoperte di una ricerca apparentemente obiettiva che potevano liberamente verificare da se stessi. Si trovavano davanti a tre possibilità di scelta: potevano abbandonare le affermazioni specifiche delle reciproche fedi e diventare deisti, agnostici, o finanche ateisti; potevano adottare un approccio fideista e asserire semplicemente che le certezze della fede erano maggiori di quelle della ragione; oppure potevano, come il protestante D. F. Strauss o l'ebreo Avraham Geiger, costruire nuove teologie che non dipendevano dall'accuratezza dell'attestazione dei fatti biblici. == Note == <div style="height: 300px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" > <references/> </div> {{Avanzamento|100%|25 aprile 2019}} [[Categoria:Torah per sempre|Nascita della critica storica]] 71kjsd68u7x2ec241gbr0fafqstblzx Torah per sempre/L'influenza di Mendelssohn 0 43544 430789 413976 2022-07-21T16:19:29Z Eumolpo 4673 ortografia wikitext text/x-wiki {{Torah per sempre}} L'influenza di Mendelssohn sui successivi commentari biblici ebraici fu profonda, sia per coloro che cercarono di emulare la sua impresa esegetica sia per coloro che la opposero. Qui considereremo l'opera di alcuni suoi dichiarati seguaci. ==Isaac Samuel Reggio (1784-1855)== [[File:Brockhaus and Efron Jewish Encyclopedia e13 355-0.jpg|left|190px|Isaac Samuel Reggio]] Tra i suoi più ardenti ammiratori ci fu [[w:Isacco Samuele Reggio|Isaac Samuel Reggio]] di Gorizia,<ref>Vedi Malkiel, "New Light".</ref> città del Nord Italia (a quel tempo sotto l'[[w:Impero austro-ungarico|Impero austro-ungarico]]) al confine con quella che ora è la Slovenia. Reggio è a volte noto come ''Yashar'', l'acronimo ebraico del suo nome e che significa "retto"; la sua opera principale in ebraico, ''Hatorah vehafilosofiyah'' ("Torah e Filosofia"), pubblicata a Vienna nel 1827, segue il percorso di Mendelssohn nel riconciliare fede e ragione. Nel 1818 l'editore Holzinger di Vienna pubblicò un "manifesto" che annunciava la futura traduzione italiana del Pentateuco da parte di Reggio; comprendeva materiale introduttivo ed alcune pagine campione. Il titolo completo, usato quando l'opera completa apparve nel 1821, rivela il suo programma: ''"La Legge di Dio tradotta in lingua Italiana, illustrata con un nuovo commento tendente a dilucidare il senso litterale del sacro testo e preceduta da una prefazione che dimostra ragionatamente la divinità della Santa Legge di Moise"''. Nella pagina iniziale Reggio rende omaggio all'esempio di Mendelssohn e nell'introduzione in ebraico sottolinea che l'italiano è una lingua adatta quanto il tedesco ad esprimere la profondità e la bellezza della Scrittura, pertanto è giusto che lettori italiani abbiano la loro propria traduzione. Reggio mantiene la promessa di "dimostrare ragionatamente la divinità della Santa Legge di Moise" in un lungo saggio che segue, intitolato "Torah min hashamayim"; difende vigorosamente la teoria che ogni lettera, anche le lettere "grandi e piccole",<ref>Lettere che la tradizione masoretica vuole scritte più in grande o in piccolo del normale. Vedi ''supra'' in merito alle variazioni ortografiche testuali.</ref> del Pentateuco sia stata rivelata al Sinai. Tale difesa è necessaria, dice Reggio, perché "col passare del tempo la gente si confonde... l'inclinazione al male prevale... la piaga dell'incredulità [''apikorsut''] si sparge tra tutti gli abitanti della terra." Difende l'autenticità del testo ricevuto con sei argomentazioni, basate su: * Il tempo in cui la Torah fu data * La lingua in cui fu composta * Il suo carattere * La catena della tradizione * La devozione di coloro che la seguono * L'esattezza dei suoi contenuti. Il primo argomento dà semplicemente per scontato che la Torah fu data nell'anno 2448 della Creazione (approssimativamente 1312 p.e.v.). La scrittura vera e propria non era stata ancora inventata, Reggio afferma, anche se gli Egizi avevano i geroglifici che nella maggior parte "non siamo in grado di decifrare"; anche i cinesi non avevano un alfabeto. Reggio fu sfortunato nel suo tempismo, poiché [[w:Jean-François Champollion|Champollion]] pubblicò la sua decifrazione dei geroglifici egizi negli anni 1820 e divenne chiaro che la lingua egizia ''includeva'' segni alfabetici.<ref>G. F. Grotefend aveva vinto una scommessa coi suoi compagni di bevute decifrando alcuni nomi propri scritti nell'alfabeto cuneiforme e ciò venne registrato per la prima volta il 2 settembre 1802; tuttavia, l'alfabeto cuneiforme appartiene al periodo [[w:Dinastia achemenide|achemenide]], molto più tardi di Mosè.</ref> Ma anche se diamo per scontata la premessa di Reggio, che la Torah fu la prima opera scritta in caratteri alfabetici, uno avrebbe necessitato di un grande atto di fede per concludere che ''(a)'' la Torah doveva venire dal Cielo e ''(b)'' il testo preciso come attualmente scritto, incluse le lettere "grandi e piccole", era stato trasmesso perfettamente. S. D. Luzzatto (vedi sotto), un precoce diciannovenne a quell'epoca, fu più perspicace. Scrisse un a lettera a Reggio il 19 maggio 1819 citando una vasta gamma di autori classici come testimonianza che la scrittura alfabetica esisteva prima del tempo di Mosè e in particolare che gli Egizi possedevano uno scritto alfabetico insieme ai geroglifici. Inoltre afferma che ''(a)'' la nostra mancanza di conoscenza non prova che la scrittura non esistesse, ''(b)'' le fonti tradizionali ebraiche non sostengono che la scrittura ebbe origine da Mosè, ''(c)'' anche se Reggio avesse ragione che la scrittura non esisteva prima di Mosè, sarebbe meglio non insistere in materia, poiché i critici potrebbero prendere ciò come prova che (come aveva affermato Spinoza) la Torah era stata scritta più tardi.<ref>La lettera appare in ''Igerot shadal'', 31-5. La corrispondenza è discussa in Vargon, "Controversy". Il titolo di Vargon è ingannevole; la controversia riguarda l'origine della scrittura, non quando fu scritto il Pentateuco.</ref> La corrispondenza epistolare si traformò in amicizia e Reggio, che aveva fondato l'accademia rabbinica di Padova, offrì al giovane amico un posto nella stessa. I "ragionamenti" di Reggio non sono molto convincenti, ma dimostrano comunque di cosa ci si preoccupasse in quel tempo. Il sospetto rimane però che anche dopo aver letto Reggio, la gente continuasse a preoccuparsi. Dopo alcuni anni Reggio stesso si trovò in difficoltà con l'ambiente ortodosso, tra cui suo padre e alla fine accettò la necessità degli emendamenti testuali, se non proprio del Pentateuco, di altri libri biblici.<ref>Lettera V di ''Igerot yashar'', la sua raccolta di trattati esegetici, filosofici e storici in forma di lettere ad un amico.</ref> ==Samuele Davide Luzzatto (1800-1865)== [[File:Luzzatto2.jpg|left|190px|Samuele Davide Luzzatto]] [[w:Samuel David Luzzatto|Samuele Davide Luzzatto]] è noto col suo acronimo ebraico ''Shadal'' che, a differenza di ''Yashar'', non significa niente di particolare. Come il suo mentore Reggio, Luzzatto combattè contro coloro che "negano" la Torah, cioè coloro che negano che il testo esistente del Pentateuco sia esattamente quello ricevuto da Mosè; come Reggio, occasionalmente propose modifiche minori di altri libri biblici. L'opera innovativa di Luzzatto nell'ambito di grammatica e filologia ebraiche, basata sulle fondamenta gettate da una vasta gamma di grammatici ebrei tra cui Levita, rimane di valore duraturo e le sue osservazioni sulla storia dei sistemi di accentuazione e punteggiatura sono importanti, sebbene a volte sia sviato dalla convinzione che l'ebraico derivi dall'aramaico.<ref>Luzzatto, ''Prolegomena'' e ''Grammatica''.</ref> L'opera su cui sembra abbia passato la maggior parte del tempo è il suo commentario di [[w:Libro di Isaia|Isaia]].<ref>Luzzatto, ''Il profeta Isaia''. Una nota introduttiva spiega che lo stesso Luzzatto aveva pubblicato (cioè, aveva diretto la pubblicazione) dell'opera fino a p. 432 ed il resto era stato supervisionato dai suoi figli. Ci sono in tutto 648 pagine; il cap. 38 inizia a p. 432.</ref> Sostiene di averlo completato il 13 Adar I nel 5592 (1832), ma la traduzione completa non fu pubblicata fino al 1867, qualche tempo dopo la sua morte. I requisiti dell'aspirante commentatore biblico sono esposti nell'introduzione, composta nel 1845: # Fede nel Creatore, distinto dal mondo, che creò con un atto di volontà, contrariamente alla falsa filosofia di Spinoza, che travisò le fonti. # Fede in ricompensa e punizione. # Fede nel soprannaturale, per esempio nel miracolo della manna, e che Dio può trasmettere informazioni agli esseri umani. Se unio non crede nel soprannaturale, viene poi portato a concludere che la Torah fu composta molto più tardi degli eventi che registra e che le storie che contiene siano confusi nella trasmissione. # Amore della verità. Il commentatore deve voler sapere cosa significhi veramente la Scrittura, a differenza di coloro che la usano per giustificare la propria filosofia o anche per giustificare le credenze accettate nella Torah; Rashi e Rashbam non esitarono a stabilire il significato corretto anche quando non coincideva con l'Halakhah. # Il commentatore deve essere in grado di distanziarsi dal proprio tempo e immettersi/immaginarsi nel tempo e nei posti della Scrittura. # Si deve immergere nella lingua ebraica poiché, se altre lingue dominano i suoi pensieri, la sua comprensione dell'ebraico sarà confusa. # Deve prestare attenzione ai segni musicali, poiché furono inseriti quale ausilio alla comprensione dai saggi del periodo del Secondo Tempio. # Deve essere sensibile alle sfumature della poesia ebraica, piuttosto che a quelle del greco o del latino. "Mio padre era un falegname e non aveva mai letto Omero o Virgilio, ma leggeva la Bibbia ogni giorno. Comprese il pensiero di nostro padre Giacobbe, che disse " Io aspetto la tua salvezza, o Signore!" (Gen. {{passo biblico|Genesi|49,18}}). Ma Mendelssohn, che studiò in profondità la poesia delle nazioni, mancò di capire che la poesia ebraica è completamente priva di metrica; venne sviato da Rabbi Azariah, autore di ''Me`or einayim'', e andò anche oltre la sua opinione che le poesie dei nostri avi avessero armonia, sebbene non di quantità metrica come i poemi di Grecia e Roma, ma almeno di numero di parole. Ciò è totalmente sbagliato, come ho dimostrato in ''Orient'' nel 1840." # Deve tener conto che i Targumim (traduzioni aramaiche) e le interpretazioni dei rabbini non devono sempre intendersi come traduzione letterale. # Il testo del Pentateuco è stato trasmesso in completa accuratezza. Tuttavia, ci potrebbero essere mancanze occasionali nella trasmissione di altri libri, poiché questi non furono copiati così diligentemente. Luzzatto chiede al lettore di non sorprendersi se cita commentatori non-ebrei, poiché "Circa 80 anni fa l'incredulità si sparse nei circoli protestanti in Germania... il "razionalismo" li spinse a comporre commentari menzogneri e contestatori... Io devo salvare i miei studenti dal commettere i loro errori e dimostrare che le cose buone [che si trovano in questi commentari] sono prese dalle nostre fonti, ma i loro commentari sono ciarpame." Quest'ultimo paragrafo potrebbe quasi trovar posto nel famoso ''Syllabus'' che elenca ottanta "errori principali dei nostri tempi" allegato all'enciclica ''[[w:Quanta cura|Quanta Cura]]'' promulgata l'8 dicembre 1864 da [[w:Papa Pio IX|Papa Pio IX]]. Gli ebrei reazionari erano tanto impauriti dal [[w:Liberalismo|liberalismo]] [[w:Risorgimento|risorgimentale]] quanto lo erano i cattolici e gli ebrei ortodossi reagirono alla Riforma Ebraica tedesca come i [[w:Chiesa cattolica|cattolici romani]] reagirono ai teologi protestanti. Nonostante il suo debito verso Mendelssohn, Luzzatto non pensava che l'ebraismo fosse una "religione della ragione"; inveisce infatti contro quello che chiama "[[w:Atticismo|atticismo]]" mendelssohniano. Tuttavia non chiuse gli occhi davanti alla nuova cultura biblica. Fa un uso liberale della Septuaginta, Vulgata e Peshitta e non è affatto indifferente alle innovazioni "protestanti". Su Isaia {{passo biblico|Isaia|40,7}} per esempio, cita con approvazione l'osservazione (alquanto discutibile) del [[w:Robert Lowth|vescovo anglicano Lowth]] che nei tempi antichi alle donne veniva affidato il compito di portare buone notizie, da cui il femminile ''mevaseret'' ("araldo", "annunciatore"). Tuttavia, su Isiaia {{passo biblico|Isaia|33,7}} respinge la proposta di Lowth di inserire una lettera ''yod'' a rendere la parola ''er`elam'' un plurale regolare e propone invece che ''er`el'' sia un nome collettivo di "eroe", da cui il verbo plurale.<ref>La differenza di traduzione è minima; dove Lowth voleva avere "i potenti piangono di fuori", Luzzatto voleva "I loro potenti (eroi) piangono di fuori". La Bibbia Ebraica Kittel-Kahle indica testimonianze manoscritte che sostengono l'interpretazione di Lowth.</ref> Forse preferisce i protestanti inglesi a quelli tedeschi; erano meno apetamente antisemiti. In ogni modo, il suo rifiuto di tali proposte da parte di Lowth e altri non è più forte o meno cortese del suo rifiuto dell'affermazione di Ibn Ezra che i capitoli di Isaia da 40 in poi sono di altra mano, o delle numerose volte che dissente dai commentatori tradizionali. È molto più caustico nella sua condanna della Kabbalah. Nell'introduzione francese del suo vivace ''Dialogues sur la kabbale'' pubblicato nel 1852 ma scritto un quarto di secolo prima, Luzzatto scrive degli "effetti pericolosi che il fanatismo cabbalistico, sotto il nome di chassidismo, nemico di tutta la cultura, ancor oggi produce tra i nostri fratelli nordici", e dell'ingiuria fatta dai "testi cabbalistici attribuendo ai Dottori della Mishnah e del talmud dottrine opposte ai loro insegnamenti, sull'identità del Creatore e del creato e sulla pluralità di Dio". Pensa che "gli studiosi ebrei contemporanei più famosi e ortodossi saranno d'accordo con la sua tesi principale, relativa all'età dello Zohar e crede di avere un dovere religioso e scientifico di pubblicare.<ref>Luzzatto, ''Dialogues sur la kabbale et le Zohar et sur l'antiquité de la ponctuation et de l'accentuation dans la langue hébraique, par S. D. Luzzatto de Trieste, ouvrage dédié a M.r G.I. Ascoli de Gorice'', Gorizia, I. B. Seitz, 1852. I dialoghi stessi sono in ebraico. Esiste un'eccellente analisi del dibattito in merito a questa opera in Guetta, "The Last Debate".</ref> La sua ira più forte è riservata a Spinoza, in particolare al ''Tractatus Theologico-Politicus'': "Per Luzzatto, che credeva nella paternità mosaica del Pentateuco, nell'autenticità della Bibbia, nella storicità della rivelazione, nell'realtà dei miracoli e nella veracità dei profeti quali fondamenta della fede ebraica, la posizione di Spinoza in queste materie era assolutamente insostenibile."<ref>Rosenbloom, ''Luzzatto's Ethico-Psychological Interpretation'', 38.</ref> Tuttavia è pronto a fare concessioni ai progressi scientifici e, a differenza di Elijah di Vilna, non si aspetta che la Torah fornisca informazioni sulle scienze naturali: {{q|La cosmogonia di Mosè non è e non deve essere un trattato di fisica, geologia, o scienze naturali dato che sarebbe stata incomprensibile al genere umano per molte generazioni e sarebbe stata più dannosa che benefica per la loro istruzione religiosa e morale. Tuttavia, proprio questa narrazione cosmogonica, descrivendo il sole, la luna e le stelle in cielo che illuminano la terra, ci insegna l'unità della macchina universale.<ref>Rosenbloom, ''Luzzatto's Ethico-Psychological Interpretation'', 71, da ''Discorsi morali agli studenti Israeliti'', 103; cfr. il suo commentario su Genesi, p. 2.</ref>}} Sia Reggio che Luzzatto nei rispettivi commentari fanno libero uso di fonti storiche non-ebree. Sebbene consapevoli degli sviluppi nella critica testuale e storica, rifiutano la critica delle fonti e rimangono riluttanti di effettuare correzioni testuali, specialmente sui cinque libri della Torah; tale cautela permette loro di riscontrarsi nel "campo" ortodosso, anche se il loro utilizzo di fonti estranee e il loro rigetto della Kabbalah si dimostrasse sconcertante per i "fratelli nordici". Luzzatto era acutamente consapevole delle accuse di carenza morale contro la Bibbia e la tradizione rabbinica,. In un saggio presentato a suo suocero, Raphael Baruch Segre, nel 1842 e pubblicato circa vent'anni dopo, sostiene che la Torah si basa su tre fondamenta: compassione, provvidenza divina (ricompensa e punizione) e l'elezione di Israele.<ref>Il saggio, ''Yasodei hatorah'' ("Fondamenti della Torah") è stato tradotto in ingl. da Rosenbloom, ''Luzzatto's Ethico-Psychological Interpretation'', 147-204.</ref> Cita numerosi esempi di leggi della Torah che instillano compassione; alcuni sono ovvi, come "Non metterai la museruola al bue, mentre sta trebbiando" (Deut. {{passo biblico|Deut|25,4}}), altri meno, come l'aprire il codice di Esodo ({{passo biblico|Esodo|21}}) con leggi sulla schiavitù, che Luzzatto interpreta come un esempio di compassione, dato che le leggi ebraiche sulla schiavitù mitigano la pratica di questa istituzione dell'antichità di per sé crudele. Poi deve adattare nel suo schema i comandi di sterminare i Cananei e trafugare dagli Egizi, mettendo dubbiosmente i due sullo stesso piano morale. Dopo aver citato [[w:Francis Bacon|Francis Bacon]] sulla Provvidenza e notato che i terremoti e i flagelli sono certamente camandati da Dio, conclude: {{q|Non son qui a difendere Dio. È sufficiente che io abbia provato chiaramente che il comando di Dio agli Israeliti, sia in merito al prendere in prestito gli oggetti preziosi degli Egizi, sia in merito allo sterminio degli abitanti di Canaan, non lasciò su di loro una cattiva impressione ma, al contrario, fu utile a rafforzare la loro fede nella Provvidenza e nella ricompensa e punizione.<ref>Rosenbloom, ''Luzzatto's Ethico-Psychological Interpretation'', 175.</ref>}} Né siamo ora qui a difendere Luzzatto. Ma ci piace la sua prontezza nel riconoscere e affrontare i problemi, già sollevati in tempi antichi, che altri commentatori di Bibbia e tradizione preferiscono nascondere o negare. ==Heinrich Graetz (1817-1891)== [[File:Heinrich Graetz.jpg|left|190px|Heinrich Graetz]] [[w:Abraham Geiger|Abraham Geiger]], che si identificò totalmente con il movimeto di Riforma Ebraica, fu certo tra quelli influenzati dal circolo di Mendelssohn e forse ancor di più dall'esegete e grammatico [[:en:w:Wolf Heidenheim|Wolf Heidenheim]] (1757-1832). Illustra come l'approccio mendelssohniano portò, nei circoli riformati ebraici, una disponibilità ad accettare i risultati della ricerca critica storica; nella PARTE II.4 abbiamo citato la sua asserzione che "la Bibbia, quella collezione di libri umani nella maggior parte così bella e glorificata – forse la più glorificata – deve essere... scartata". In contrasto Heinrich Graetz, il "padre della storiografia ebraica", rimase cauto, specialmente in merito alla paternità del Pentateuco, sebbene ciò non lo salvò dall'ira del suo già mentore, S. R. Hirsch. Graetz scrisse commentari sul Cantico dei cantici (Lipsia, 1871), Ecclesiaste (Vienna, 1871) e Salmi (Breslau, 1881-3), pubblicando inoltre numerosi studi biblici in cui il suo approccio critico-storico, che lo portava spesso lontano dall'esegesi tradizionale, è chiaro; per esempio, argomentava che ci fossero due [[w:Libro di Osea|Osea]] e tre [[w:Libro di Zaccaria|Zaccaria]] e interpretava [[w:Qoelet|Ecclesiaste]] come satira politica diretta contro Erode. Le sue opinioni di storia biblica possono essere intuite dai primi due volumi della sua monumentale ''Storia degli Ebrei'', il primo che copre il periodo fino alla morte di Salomone e il secondo fino alla morte di Giuda Maccabeo; furono pubblicati nel 1874-6, diversi anni dopo i volumi 3-10, poiché pensava di non poter produrre una storia di Israele soddisfacente senza visitare la Palestina, cosa che fece nel 1872.<ref>La visita ebbe scopi ideologici quanto scientifici (Michael, ''Heinrich Graetz'', 124-9).</ref> La visita gli permise di comprenderne la geografia abbastanza bene ma, come [[:en:w:Zecharias Frankel|Zacharias Frankel]] e altri associati alla scuola ebraica "storico-positiva" nella Germania del diciannovesimo secolo, Graetz era troppo tradizionale nel suo approccio al Pentateuco da riscrivere la prima storia di Israele; il punto in cui si separò dagli Ortodossi fu nel suo rifiuto della revisione rabbinica di quella storia, ma in ciò c'erano già vasti precedenti negli scritti di Azariah de' Rossi e altri.<ref>Cfr. PARTE II.3 e PARTE III.1.</ref> ==Umberto Cassuto (1883-1951)== [[File:Cassuto2.jpg|left|190px|Umberto Cassuto]] [[w:Umberto Cassuto|Umberto (Moses David) Cassuto]] venne ordinato rabbino a Firenze presso il [[w:Semikhah#In Italia|Collegio Rabbinico Italiano]], fondato da Reggio e Luzzatto, e succedette a [[:en:w:Samuel Hirsch Margulies|Samuel Hirsch Margulies]] quale direttore e rabbino di Firenze nel 1922. Tre anni dopo si dimise per diventare professore di lingua e letteratura ebraica all'Università di Firenze e nel 1933 ricevette una pari posizione all'Università di Roma, dove catalogò i manoscritti ebraici presso la Biblioteca Vaticana. Nel 1939, a seguito delle [[w:Leggi razziali fasciste|Leggi razziali fasciste]] in Italia, accettò un invito di prendere la cattedra di Studi Biblici all'[[w:Università Ebraica di Gerusalemme|Università Ebraica di Gerusalemme]], posto che tenne fino alla morte. Come [[:en:w:David Zvi Hoffmann|David Hoffman]], del quale parleremo in seguito, Cassuto apprezzò la base erudita dell'[[w:Metodo storico-critico|Alta Critica]] ma respinse l'ipotesi documentale di Graf-Wellhausen.<ref>La sua critica dell'ipotesi documentale su Genesi venne pubblicata per la prima volta nel 1934 in italiano col titolo ''La questione della Genesi''; la traduzione inglse fu fatta dalla versione ebraica del 1944/9. Si veda la [[Torah per sempre/Bibliografia|Bibliografia]] per i particolari delle traduzioni inglesi delle sue opere. Fu anche redattore capo dell'enciclopedia biblica ebraica, ''Entsiklopediyah mikra`it'' ed ebbe un ruolo attivo nella sua progettazione e preparazione dei primi volumi.</ref> A differenza di Hoffman, propose una teoria critica alternativa, che una tradizione orale di poesia epica, qualcosa come la tradizione omerica, fornisse il materiale grezzo che fu poi intrecciato in testi unitari e artistici del Pentateuco. La sua esposizione, fortemente orientata a rivelare il senso comune nel contesto storico, fa pieno uso di materiale comparativo letterario e linguistico, come anche di studi ugaritici (la biblioteca scribale a Ras Samara fu scoperta solo nel 1929), che utilizzò per far luce sulla struttura letteraria e sul vocabolario della Bibbia. Cassuto si basò sia sulla sua tradizione nativa ebraica italiana, tramite Reggio e Luzzatto, sia sulla tradizione degli studi ebraici tedeschi importati da Margulies. Purtuttavia, fu costretto dall'evidenza ad adottare una posizione sulle origini scritturali molto distante dalla tradizione ingenua di un testo letteralmente dettato da Dio con allegato commentario. Se fosse rimasto nel rabbinato, avrebbe avuto pressioni che lo avrebbero costretto ad abbandonare tale posizione, ma come studioso evidentemente si sentì libero di cercare la verità ovunque si trovasse. == Note == <div style="height: 300px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" > <references/> </div> {{Avanzamento|100%|3 maggio 2019}} [[Categoria:Torah per sempre|L'influenza di Mendelssohn]] cjmoqsqqtbr9i7j5zr7hyvm9ruosxu1 Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Emilia-Romagna/Provincia di Ferrara/Mesola/Mesola - Chiesa della Natività di Maria Santissima 0 50821 430782 429164 2022-07-21T12:39:24Z 109.118.119.29 wikitext text/x-wiki {{Disposizioni foniche di organi a canne}} * '''Costruttore''': Filippo e Francesco Fedeli * '''Anno''': 1795 * '''Restauri''': Giuseppe Roverella (1826), Gianni Ferraresi (anni '80 del Novecento) * '''Registri''': 19<ref>Comandi dei registri «a tiro» costituiti da pomelli lignei torniti</ref> * '''Canne''': non rilevato * '''Trasmissione''': meccanica * '''Consolle''': a finestra, al centro della parete anteriore della cassa * '''Tastiere''': 1 di 45 note con prima ottava scavezza (''Do1-Do5'', Bassi/Soprani ''Do3/Do#3'') * '''Pedaliera''': a leggio di 14 note con prima ottava scavezza (''Do1-Fa2''), costantemente unita al manuale; il pedale del ''Fa2'' ha funzione di ''Rollante'' (corrispondente alle note ''La1-Si♭1-Si1'') * '''Collocazione''': in corpo unico, sulla cantoria al centro dell'abside * '''Accessori''': ''Tiratutti'' del Ripieno<ref>Primo pomello della colonna di destra</ref> {| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;" | style="vertical-align:top" | {| border="0" | colspan=2 | '''Colonna di sinistra - ''Pedale''' ---- |- |Contrabassi||16' |- |Ottava e quinta||8' + 5.1/3' |- |} | style="vertical-align:top" | {| border="0" | colspan=2 | '''Colonna di destra - ''Manuale''' ---- |- |Principale||8' Bassi |- |Principale||8' Soprani |- |Ottava||4' Bassi |- |Ottava||4' Soprani |- |Decimaquinta||2' |- |Decimanona||1.1/3' |- |Vigesimaseconda||1'<ref>Ritornella da ''Re4''</ref> |- |Vigesimasesta||2/3'<ref>Ritornella da ''Sol3''</ref> |- |Vigesimanona||1/2'<ref>Ritornella da ''Re3''</ref> |- |Trigesimaterza||1/3'<ref>Ritornella da ''Sol2''</ref> |- |Flauto reale||8' Soprani |- |Flauto in XII||2.2/3' |- |Cornetto I°||Soprani |- |Cornetto II°||Soprani |- |Tromboncini||8' Bassi |- |Tromboncini||8' Soprani |- |Voce umana||8' Soprani |- |} |} ==Note== <references /> ==Altri progetti== {{ip|w=Chiesa della Natività di Maria Santissima (Mesola)|w_preposizione=sulla|w_etichetta=Chiesa della Natività di Maria Santissima (Mesola)}} [[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne|Mesola - Chiesa della Natività di Maria Santissima]] h3vadv8p2i874hvduvh6c9z9m1079lx Nahmanide teologo/Introduzione 0 51662 430783 430774 2022-07-21T12:44:22Z Monozigote 19063 img wikitext text/x-wiki {{Nahmanide teologo}} [[File:Nahmanides Commentary - Adler n° 662.JPG|thumb|540px|center|Commentario di Nahmanide, (XV secolo)]] == INTRODUZIONE == === Rabbi Moshe ben Nahman Girondi === Rabbi [[w:Nahmanide|Moshe ben Nahman Girondi]] è conosciuto nella letteratura ebraica con il suo acronimo '''Ramban''' (רמב״ן‎). Ma per i lettori moderni delle lingue europee è '''Nahmanide''', e per i suoi contemporanei spagnoli era ''Bonastruc ça Porta''. Ognuno dei suoi nomi racconta qualcosa della sua carriera. In quanto [[w:rabbino|rabbino]] Moshe ben Nahman Girondi, era il leader rabbinico più influente degli ebrei di Spagna del suo tempo. Come Ramban è stato un pilastro del pensiero ebraico nel corso dei secoli dalla sua morte. Come Nahmanide sta ottenendo sempre più riconoscimenti tra gli studiosi del pensiero religioso occidentale. E come Bonastruc ça Porta svolse un ruolo centrale nei complessi rapporti tra gli ebrei spagnoli e la società cristiana in cui vivevano. Nahmanides nacque nel 1194 a [[w:Gerona|Gerona]], una piccola ma culturalmente vitale comunità ebraica vicino a [[w:Barcellona|Barcellona]], ​​capitale dell'allora [[w:Principato di Catalogna|Principato di Catalogna]]. Discendeva da una famiglia aristocratica rabbinica e fu educato nel [[w:Talmud|Talmud]] e nella [[w:Cabala ebraica|Cabala]] da eminenti studiosi. Raggiungendo la reputazione di brillante studioso rabbinico in giovane età, fu ampiamente consultato su questioni [[w:Halakhah|halakhiche]] e teologiche e la sua introduzione alle opere dei tosafisti della Francia settentrionale nel curriculum della sua accademia rivoluzionò la cultura talmudica sintetizzando tradizioni [[w:sefarditi|sefardite]] e [[w:aschenaziti|aschenazite]]. La sua approvazione della Cabala, che stava appena emergendo in Spagna ai suoi tempi, ne accresceva la rispettabilità e ampliava il suo pubblico. Nella controversia sulle opere teologiche di [[Maimonide]] nel primo terzo del XIII secolo, i suoi sforzi verso un compromesso aiutarono a preservare l'accesso degli ebrei tradizionali a queste opere e favorirono l'integrazione che oggi diamo per scontata del pensiero di Maimonide nel canone generalmente conservatore della [[w:letteratura rabbinica|letteratura rabbinica]]. Dopo aver iniziato la sua carriera a Gerona, Nahmanide servì come la principale autorità rabbinica della Catalogna. Sebbene si guadagnasse da vivere come medico (alla pari di Maimonide), era un rabbino molto efficace, insegnando a studenti avanzati, decidendo questioni di Halakhah e politica sociale, predicando e pubblicando un ampio ''corpus'' di opere. In qualità di principale studioso ebreo nel nord della Spagna, fu convocato nel 1263 dal re [[w:Giacomo I d'Aragona|Giacomo d'Aragona]] per disputare pubblicamente con [[:en:w:Pablo Christiani|Pablo Christiani]], un apostata ebreo che era diventato frate domenicano. Il tema era pericoloso: la messianicità di Gesù. La disputa, tenuta alla presenza del re e della sua corte davanti a un'udienza piena di dignitari, si svolse in luglio a Barcellona. Il suo esito era atteso con ansia sia da ebrei che da cristiani. Sorprendentemente, il re ritenne la difesa presentata da Nahmanide del rifiuto ebraico di accettare Gesù come il Messia più convincente delle argomentazioni di Christiani. Ma la vittoria fu pirrica. Le forti pressioni dei domenicani costrinsero Nahmanide a lasciare l'Aragona e infine nel 1267 emigrò in [[w:Terra d'Israele|Terra d'Israele]]. Sbarcò ad [[w:Acri (Israele)|Acri]] e presto si stabilì a [[w:Gerusalemme|Gerusalemme]]. Come in Spagna, attirò presto molti studenti e la sua influenza si diffuse ancora una volta. Dedicò gli ultimi anni della sua vita a ricostruire la minuscola e demoralizzata comunità ebraica della Terra in un centro superiore di istruzione ebraica. Prima della sua morte nel 1270, completò la grande opera della sua vita, il ''Commentario alla Torah'', legando insieme i molti filoni di pensiero iniziati nei suoi primi lavori. Sebbene questo ''[[w:magnum opus|magnum opus]]'' contenga una ricchezza di materiale letterario, esegetico, halakhico, storico e filologico, la sua teologia gli conferisce la grande profondità e il suo più duraturo interesse per il pensiero ebraico e per il mondo culturale.<ref>Sono state usate le seguenti edizioni delle opere di Nahmanide: {{en}}''Commentary on the Torah'' (CT) 2 voll., cur. C. B. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1959-63); ''Kitvei Ramban'' (KR) 2 voll., cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1963); ''Hidushei ha-Ramban'', 2 voll., cur. I. Z. Meltzer (B'nai B'rak, 1959); ''Hidushei ha-Ramban ha-Shalem'', 4 voll., cur. M. Hershler ''et al.'' (Gerusalemme: Makhon ha-Talmud ha-Yisraeli, 1970-87); ''Notes on Maimonides' Sefer ha-Mitsvot'', cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1981); ''Teshuvot ha-Ramban'', cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1975). Per gli effetti della ricostruzione dei testi originali in un nuovo contesto, cfr. B. Pesahim 105b e Rashbam, ''s.v.'' ''"ve-sadrana ’ana"'' Per un eccellente esempio contemporaneo di ricostruzione accademica e filosofica del pensiero di un teologo ebreo medievale, cfr. Lenn E. Goodman, cur., ''The Book of Theodicy: Translation and Commentary on the Book of Job by Saadiah ben Joseph Al-Fayyumi''.</ref> === Le ragioni dei Comandamenti === [[File:Ramban's Torah commentary - on an ancient Hebrew coin.png|240px|thumb|right|''Commentario alla Torah'': descrizione e commento del Ramban su un'antica moneta ebraica]] Scopriamo il centro della teologia di Nahmanide nella sua teoria dei comandamenti.<ref>Si veda il saggio classico di J. Perles, "Über den Geist des Commentar der Rabbi Moses ben Nachman zum Pentateuch", ''Monatschrift für Geschichte und Wissenschaft des Judenthums'' 8 (1858) 81.</ref> La necessità che il testo della Torah sia il più normativo possibile è il principale incentivo al ''[[w:Pardes|derash]]'', il metodo sviluppato dai rabbini per sbloccare il significato più profondo e più ampio del testo della Scrittura. Questo metodo è stato utilizzato per scoprire sia le norme più precise che regolano l'azione ([[w:Halakhah|Halakhah]]) sia le norme meno precise che guidano il pensiero ([[w:Haggadah|Aggadah]]).<ref>A differenza della Halakhah, le cui prescrizioni sono trasmesse o legiferate dalle autorità rabbiniche della comunità per la comunità (cfr. [[Maimonide]], ''Hilkhot Mamrim'', cap. 1), l'Aggadah è il suggerimento di un saggio individuale di ciò che secondo lui dovrebbe essere fatto al di là della Halakhah, specialmente nell'area della dottrina, dove ci sono poche regole halakhiche. L'Aggadah è normativa, non solo descrittiva (cfr. Y. Megillah 4.1/74d), ma non è legalmente vincolante (cfr. Y. Peah 2.6/10a; Y. Horayot 3.5/48c rif. {{passo biblico2|Ecclesiaste|6:2}}). Così si esorta: "Quando desideri conoscere Dio, studia l'Aggadah" (''Sifre: Devarim'', cur. Finkelstein, n. 49). La ricerca di Dio è obbligatoria, come risulta dal versetto su cui questo testo commenta: "...che io vi ordino di mettere in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le Sue vie e tenendovi stretti a Lui" ({{passo biblico2|Dt|11:22}}). Si veda [[Maimonide]], ''Shemonah Peraqim'', 5, ''ad init.''</ref> Inevitabilmente, la ricerca di norme più profonde e più ampie implica la ricerca degli scopi soggiacenti alla Torah, ''ta’amei ha-mitsvot'', le "ragioni dei comandamenti". Perché, se si vogliono ampliare i comandamenti, un'elaborazione ordinata richiede un certo senso delle finalità che il divino Legislatore intendeva da essi.<ref>La relazione tra ''[[w:Pardes|peshat]]'' (significato apparente) e ''[[w:Pardes|derash]]'' (significato esplicato) è sottile. Quindi il principio "La Scrittura parla del proprio tempo presente (''be-hoveh'')" è usato per spiegare perché certe cose sono menzionate in una legge particolare. Ma la legge non si limita a questi casi; piuttosto, gli elementi in questione sono visti come esempi di una classe generale che include un'infinità potenziale di altri casi. Quindi, quella che può sembrare un'affermazione dell'autosufficienza della ''peshat'' è in realtà una base per la ''derash'', una ricerca del principio alla base degli esempi. Si veda, ad esempio, M. Baba Kama 5.7; cfr. ''Enciclopedia Talmudit'' 6.553-55. Il principio rabbinico, "La Scrittura non si discosta dal suo significato apparente (''middei peshuto'')" non era inteso a precludere ''derash'' ma per darle una base. Cfr. B. Yevamot 24a e paralleli; ''Midrash Leqah Tov''. Vayetse, cur. S. Buber, 72b-73a; e David Weiss Halivni, ''Peshat and Derash: Plain and Applied Meaning in Rabbinic Exegesis'' (New York: Oxford University Press, 1991) 3 segg., 79 segg. Sul ruolo di ''ta‘amei ha-mitsvot'' nell'interpretazione normativa, cfr. I. Heinemann, ''Ta‘amei ha-Mitsvot be-Sifrut Yisrael'' (Gerusalemme: World Sionist Organization, 1949) 1.11 ss.</ref> In effetti, la ricerca delle ragioni dei comandamenti è una contropartita oggettiva dell'esigenza soggettiva che chi esegue un comandamento lo faccia con la giusta intenzione (''[[:en:w:kavanah|kavvanah]]''). ''Kavvanah'' opera su due livelli. La prima è l'intenzione di adempiere un comandamento divino; questo è chiamato ''kavvanah le-mitsvah''.<ref>Cfr. R. Israel Meir Ha-Kohen, ''Mishnah Berurah'' su ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4, n. 11.</ref> È perché l'intenzione a questo livello è generale che la stessa formula viene usata nella benedizione richiesta per l'adempimento dei comandamenti più positivi: "che ci ha santificato con i Suoi comandamenti e ci ha comandato di —." Ciò che si intende è obbedire alla volontà di Dio, indipendentemente dal comandamento specifico. Un livello più profondo di ''kavvanah'' fa riferimento allo scopo specifico di questo comandamento e si concentra su come ci si avvicina a Dio compiendo tale atto specifico. Questo è chiamato "l'intenzione del cuore", ''kavvanat ha-lev''.<ref>''Kavvanat ha-lev'' in questo senso si applicava originariamente solo al comandamento di recitare il primo versetto dello ''[[w:Shemà|Shemà]]'' e ''Shemonah Esreh''. Cfr. M. Berakhot 2.1; ''Sifre Devarim'', no. 41; cfr. David Weiss Halivni, ''Meqorot u-Mesorot'': Mo‘ed (Yoma - Hagigah) (Gerusalemme: Jewish Theological Seminary of America, 1975) 404-05. Ma col tempo ''kavvanat ha-lev'' divenne un ''desideratum'' per tutte le ''mitsvot''. Si veda specialmente Nahmanide, ''Notes on Maimonides’ Sefer ha-Mitsvot'', pos. no. 5.</ref> Richiede la nostra comprensione, per quanto limitata, della sapienza di Dio. È nel perseguire questa ''kavvanah'' più profonda che la ricerca delle ragioni dei comandamenti trova una motivazione più spirituale della pura curiosità intellettuale. È l'intenzione propria del cuore che distingue le autentiche azioni religiose da ciò che [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], proseguendo su un tema centrale di [[w:Bahya ibn Paquda|Bahya Ibn Paquda]], ha chiamato "religious behaviorism".<ref>Cfr. ''God in Search of Man'', 320ss. Cfr. Bahya ibn Pakuda, ''Hovot ha-Levavot'': Sha’ar ha-Ma’aseh, cap. 1ss.</ref> Così, quando mi chiedo perché la Torah abbia bisogno di un comandamento generale "Siate santi" ({{passo biblico2|Lev|19:2}}), in quanto tutti i comandamenti sono destinati a renderci santi, Nahmanide fa la sorprendente osservazione che uno può "essere un miserabile entro i parametri di ciò che la Torah permette" (''naval bi-rshut ha-Torah'').<ref>CT: Lev. 19:2/11, 115; cfr. CT: Deut. 27:26.</ref> La mera osservanza delle legalità non assicura di diventare una persona santa, che è lo scopo ultimo dei comandamenti. Nahmanide non sta sostenendo, naturalmente, che la santità può essere raggiunta senza osservare la Torah.<ref>Cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.387. Martin Buber, in ''Two Types of Faith'', 57, sostiene che la Halakhah è antitetica alla vera relazione Io-Tu tra uomo e Dio.</ref> Gli obblighi specifici della Legge sono indispensabili per l'adempimento umano che essa intende.<ref>Come precedente dell'opinione che la ricerca delle ragioni dei comandamenti dovrebbe condurre solo a una migliore osservanza degli stessi, non alla loro negligenza, cfr. Filone, ''De abrahamo'', 89-93.</ref> Tuttavia il requisito della ''kavvanah'' indica che la Torah riguarda molto di più rispetto all'osservazione comportamentale. Infatti, in questo particolare passo, Nahmanide mostra come l'intenzione della santità debba indurre a fare più di quanto la lettera della legge richieda. La teologia razionalista ebraica del Medioevo, soprattutto quando influenzata dalla teleologia aristotelica, fornì uno stimolo e un metodo alla ricerca delle ragioni dei comandamenti. Si presumeva che ci fossero sempre scopi sia in natura che nelle attività umane. Così [[Maimonide]] vedeva tutti i comandamenti come miranti al miglioramento del corpo e della società (''tiqqun ha-guf'') o al miglioramento dell'anima (''tiqqun ha-nefesh'').<ref>''Moreh Nevukhim'', 3.27.</ref> Nella terza sezione della sua ''[[Guida dei perplessi]]'', sostenne che le ragioni di tutti i comandamenti specifici potrebbero trovarsi sotto queste rubriche generali. Per quanto impressionante possa essere intellettualmente questo metodo di indagine, porta con sé alcuni pericoli religiosi. Ad esempio, nella ''Guida'' [[Maimonide]] sottolinea le condizioni sporche in cui vivono i maiali, rendendo il maiale un alimento non salutare per l'organismo.<ref>''Moreh'', 3.48.</ref> Ma lo stesso motivo potrebbe essere utilizzato per evitare il divieto, se si potesse dimostrare che è possibile allevare i maiali in modo igienico. Se il divieto risponde a un semplice bisogno naturale, quel bisogno potrebbe essere soddisfatto senza, per esempio, evitare la carne di maiale. Parimenti, quando la ragione di un comandamento è considerata il miglioramento dell'anima. Se, ad esempio, lo scopo del comandamento di studiare la Torah è quello di apprendere verità metafisiche che possono essere comprese, in linea di principio, da chiunque abbia probità morale e capacità intellettuale, cosa impedisce alla metafisica generale di sostituire lo studio della Torah quale più alta attività umana?<ref>Cfr. Maimonide, ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 4.13; ''Moreh'', 2.33; cfr. Menachem Kellner, ''Maimonides on Human Perfection'' (Atlanta: Scholars Press, 1990) per un resoconto della concezione tenuta da Maimonide sui tipi più elevati di attività umana che non si presta a un tale riduzionismo – o appropriazione indebita degli obiettivi di Maimonide.</ref> Maimonide chiaramente enfatizzava l'autorità dei comandamenti indipendentemente dall'apprensione delle loro ragioni.<ref>Cfr. ''Hilkhot Teshuvah'', 3.4: "Anche se suonare lo shofar a Rosh Hashanah è un decreto scritturale (''gezerat ha-katuv''), contiene un accenno (''remez'') della sua intenzione, vale a dire (''kelomar''): ‘Svegliatevi dormienti dal vostro sonno... esaminate le vostre azioni, ritornate in penitenza, e ricordate il vostro Creatore!’"</ref> Tuttavia, c'erano preoccupazioni religiose circa la trascuratezza pratica dei comandamenti a cui il suo approccio filosofico poteva prestarsi. Tali preoccupazioni in effetti portarono i rabbini della Francia settentrionale a vietare lo studio degli scritti teologici di Maimonide. La "Controversia maimonidea" che ne seguì giunse al culmine nel 1232, il mondo rabbinico apparentemente polarizzato tra pro e anti-maimonisti.<ref>Cfr. J. Sarachek, ''Faith and Reason: The Conflict Over the Rationalism of Maimonides'' (New York: Hermon, 1970) 75ss., 84-85, 116ss.</ref> Il trentottenne Nahmanide, già un'autorità halakhica rispettata in tutti i quartieri del mondo ebraico, tentò un compromesso. Sebbene egli stesso fosse preoccupato per i pericoli di un approccio filosofico ai comandamenti, Nahmanide difese Maimonide, sostenendo che la sua teologia razionalista non era destinata alle masse di ebrei fedeli, ma solo a coloro che erano stati esposti alla filosofia e quindi richiedevano giustificazioni filosofiche come condizione della propria stabilità religiosa.<ref>Cfr. C. B. Chavel, ''Rabbenu Mosheh ben Nahman'' (Gersualemme: Mosad Harav Kook, 1967) 120ss.</ref> Nahmanide era chiaramente d'accordo con Maimonide che ci sono ragioni per tutti i comandamenti. Differiva da lui, e da tutti gli altri teologi ebrei razionalisti, nella sua insistenza sul fatto che le ragioni dei comandamenti non sono fondate sulla metafisica ma su fatti unicamente ebraici.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}}. Per la classificazione delle ''mitsvot'' da parte di Nahmanide, cfr. C. Henoch, ''Ha-Ramban ke-Hoqer u-Mequbbal'' (Gerusalemme: Harry Fischel Institute, 1978) 337ss.</ref> Il progetto di suscitare questi fondamenti è portato avanti in tutti i suoi scritti e diventa il tema principale del suo coronamento, il ''Commenarito alla Torah'', che iniziò in Spagna prima del suo esilio e completò non molto tempo prima della sua morte in [[w:Terra di Israele|Terra d'Israele]] nel 1270. === Comandamenti basati sulla natura e sulla ragione === [[File:Ramban1.jpg|240px|thumb|right|Il [[w:Talmud|Talmud]] di Nahmanide]] Alcuni studiosi hanno ipotizzato che l'opposizione di Nahmanide alla metafisica greca, in particolare a quella di Aristotele, significhi che non poteva accettare la realtà di alcun ordine naturale. Poiché le idee di ordine naturale e ragione umana universalmente valida sono correlative, sembrerebbe che il rifiuto della natura porti immediatamente al rifiuto della ragione. Quindi si conclude che Nahmanide fosse un "anti-razionalista".<ref>Cfr. per es., Solomon Schechter, "Nachmanides", ''Studies in Judaism'' (New York: Macmillan, 1896) 1.119-20.</ref> Ma Nahmanide non rifiutò un ordine naturale o una ragione umana universale.<ref>Cfr. David Berger, "Miracles and the Natural Order in Nahmanides" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 101ss.</ref> Ciò che rifiutò fu l'assunto di alcuni teologi che la natura/ragione debba essere costituita secondo le categorie di Aristotele. La sua principale obiezione ad Aristotele e ai suoi seguaci ebrei era che presumevano che l'ordine naturale fosse onnicomprensivo e che la ragione universale fosse sufficiente per la nostra conoscenza di tutte le cose, incluso Dio. Aristotele e gli aristotelici ebrei sembravano non lasciare spazio alla creazione o alla rivelazione, almeno per come Nahmanide intendeva queste dottrine. Per Nahmanide, il rifiuto della metafisica aristotelica non portava al rifiuto della natura o all'antirazionalismo, ma a una concezione più circoscritta della portata della natura e della portata della ragione. In qualche modo Nahmanide era più razionalista di Maimonide. Operando entro un raggio più limitato, poteva dimostrare più facilmente la verità delle affermazioni della ragione. Questa differenza è notevole per quanto riguarda i comandamenti che regolano le relazioni interumane (''bayn adam le-havero''). I vantaggi dell'approccio di Nahmanide sono evidenti, ad esempio, se confrontiamo il suo trattamento dei [[w:Noachismo|Sette Comandamenti di Noè]] con quello di Maimonide. I comandamenti noachici sono quelle leggi che i rabbini consideravano vincolanti per tutta l'umanità, i "figli di Noè".<ref>T. Avodah Zarah 8.4; B. Sanhedrin 56a-b.</ref> Queste leggi, che proibiscono l'omicidio, l'incesto e la rapina, tra gli altri crimini, sono riconosciute praticamente in tutte le società e sono prontamente viste come requisiti della ragione. Molti teologi ebrei li chiamano comandamenti razionali (''mitsvot sikhliyot'').<ref>Cfr. Saadiah Gaon, ''ED'', 9.2 rif. {{passo biblico2|Genesi|2:16}}.</ref> Appartengono a ciò che i pensatori ebrei successivi (seguendo i filosofi [[w:stoicismo|stoici]] e [[w:cristianesimo|cristiani]]) identificarono come legge naturale.<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer ha-'Iqqarim'', 1.1.</ref> In un famoso brano della ''[[Mishneh Torah]]'', Maimonide afferma che chiunque accetti queste leggi solo a forza della ragione ordinaria (''hekhrea ha-da‘at'') non è ritenuto degno della beatitudine del mondo a venire, in cui "ai pii delle nazioni del mondo" è assicurata una porzione.<ref>''Hilkhot Melakhim'', 8.11.</ref> Nel suo precedente ''Commentario alla Mishnah'', Maimonide sembra respingere il concetto stesso di "comandamenti razionali".<ref>''Shemonah Peraqim'', 6; cfr. ''Commentario alla Mishnah'', Berakhot 5.3.</ref> Alcuni studiosi vedono in questi due passi un rifiuto di qualsiasi moralità da legge naturale. Ma si può argomentare meglio che Maimonide stava in realtà rifiutando solo una moralità da legge naturale non fondata su un'adeguata comprensione della vera costituzione metafisica della natura. Stava rifiutando la solidità religiosa (sebbene non, forse, l'utilità politica) delle norme scoperte o inventate dalla prudenza piuttosto che dall'intuizione di Dio e dell'universo. Secondo questo approccio, l'unica moralità veramente adeguata è quella i cui fondamenti metafisici sono sani e propriamente compresi, e l'unica metafisica veramente efficace è quella le cui conseguenze morali sono sane e propriamente comprese. Per Maimonide esiste una forte connessione razionale tra metafisica e morale.<ref>Per la necessità della metafisica nella morale, cfr. ''Moreh'', 2.40, 3.27; per la necessità della metafisica da parte della morale, 3.54.</ref> La metafisica è il fondamento più profondo della moralità. È ciò che rende la moralità naturale piuttosto che una mera legislazione umana. E la moralità è il frutto più utile della metafisica. Senza moralità, la metafisica non ha alcuna influenza pratica o politica. Senza metafisica, la morale non ha fondamento universale. Quindi, secondo Maimonide, la metafisica è più che solo teorica; e la moralità è più che pratica. I due sono legati dalla ragione, e quindi scopribili l'uno dall'altro mediante un uso corretto della ragione. Nahmanide non vedeva alcuna connessione razionale tra metafisica e moralità. In effetti, la sua teologia non lascia quasi spazio alla metafisica. Le verità più profonde sull'universo si raggiungono solo attraverso la rivelazione. Le norme morali evidenti alla ragione sono quelle richieste da qualsiasi società per soddisfare i bisogni fondamentali dei suoi membri per un ordine giusto e stabile. In definitiva, naturalmente, una tale moralità deve essere inclusa nella legge rivelata. Ma la rivelazione arriva in momenti storici unici, non attraverso processi naturali costanti, quindi non può funzionare come base razionale per la moralità. La rivelazione non è, come la ragione, la scoperta dell'ordine costante dell'universo. Quindi la ragione, per Nahmanide, non può colmare il divario tra rivelazione e moralità, come può colmare il divario tra metafisica e moralità secondo [[Maimonide]]. Tuttavia, come risultato di questa scissione della metafisica dalla moralità, la razionalità della moralità naturale è accresciuta, non diminuita nella teologia di Nahmanide. Maimonide sembra richiedere una profonda intuizione metafisica prima che le verità morali più elementari acquisiscano il loro pieno significato. Per Nahmanide, qualunque moralità gli esseri umani possano imparare da soli è nota molto più direttamente. Per cui Nahmanide commenta, abbastanza tipicamente: {{citazione|La violenza è rapina e oppressione... perché la violenza è un peccato, come è noto e universalmente accettato (''ve-ha-mefursam'')... il motivo è che il suo divieto è un obbligo razionale (''mitsvah muskelet''), per il quale non c'è bisogno che un profeta dia un comandamento.<ref>CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - 1, 52. Cfr. CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}}. Per l'uso da parte di Nahmanides del termine ''mitsvot sikhliyot'', si veda KR: Commentario su Giobbe, 1:1, I, 26; ''Torat ha-Shem Temimah'', KR I, 173.</ref>}} Nahmanide accetta la legittimità del diritto naturale a livello interumano. Ma tale moralità e rivelazione non si trovano sullo stesso piano. La moralità viene ''dagli'' umani (almeno nelle sue manifestazioni più elementari). La rivelazione arriva ''a'' loro. Prima del Sinai, sostiene Nahmanide: {{citazione|Troverete che i patriarchi e i profeti si sono comportati in maniera evidentemente morale (''derekh ‘erets'')... e con inferenza ''a fortiori'', se i patriarchi e i profeti venuti a fare la volontà di Dio si sono comportati in modo evidentemente morale, quanto tanto più dovrebbe fare la gente comune!<ref>CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} 1.334.28. Maimonide sembra avere un'opinione simile in ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7.5.</ref>}} La moralità stessa non conduce alla rivelazione, sebbene ne sia una precondizione. La morale non anticipa in alcun dettaglio né l'evento della rivelazione né il suo ricco contenuto. === Commandmenti basati sulla Storia === {{Doppia immagine verticale|right|Commentary on Pentateuch Pesaro-Soncino 1513.jpg|Sefer Torat Ha-Adam Costantinople 1518.jpg|240|''Commentario al Pentateuco'' del Ramban – Soncino (Pesaro 1513)|''Sefer Torat Ha-Adam '' del Ramban – Costantinopoli (1518)}} Quei comandamenti le cui ragioni sembrano evidenti sono chiamati ''mishpatim'', "giudizi". Il loro ''locus'' è il rapporto tra gli esseri umani nella vita quotidiana. Ma per Nahmanide il regno della natura (compresa la nostra natura politica) non è dove si trova la vera relazione tra Dio e gli esseri umani. La natura, come concepita filosoficamente o scientificamente, è un ordine costante; non ammette innovazione. Ma il fatto più elementare su Dio che deve essere riconosciuto dalle Sue creature è che Dio è il Creatore; l'universo è il risultato del Suo atto assolutamente libero. Dio può intervenire nel Suo universo in qualsiasi momento, indipendentemente dall'ordine familiare della natura. Quell'ordine è solo ''usuale''. Non ha alcuna necessità intrinseca o inerente. Questo punto antimetafisico, fatto da Nahmanide nel XIII secolo, fu fatto da [[w:David Hume|David Hume]] con un intento diverso nel diciottesimo.<ref>"The custom operates before we have time for reflexion... much more without forming any principle concerning it, or reasoning upon that principle." David Hume, ''A Treatise of Human Nature'', 1.3.8, cur. L. A. Selby-Bigge (Oxford: Clarendon Press, 1888) 104. Per il contesto islamico, cfr. L. E. Goodman, "Did al-Ghazali Deny Causality", ''Studia Islamica'' 47 (1978) 83-120.</ref> È per insegnarci che l'ordine naturale non ha alcuna necessità ultima che la Torah ponga tale accento sui miracoli. Perché è attraverso i miracoli, specialmente quelli di tipo spettacolare (''nissim mefursamim''), che Dio dimostra la Sua potenza sull'universo che ha creato.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|13:2}}.</ref> Tuttavia, questi miracoli spettacolari sono avvenuti secoli fa, e anche allora sono stati eseguiti raramente. Che legame ha l'ebreo ordinario con eventi così grandiosi? In che modo diventano un'esperienza personale e quindi impartiscono un apprezzamento del potere creativo e della provvidenza di Dio? Nahmanide vede la soluzione della Torah a questo problema in quei comandamenti chiamati ''‘edot'', "testimonianze", comandamenti basati sulla storia. Glossando il comandamento che l'Esodo "sarà un segno sulla tua mano, sarà un ornamento fra i tuoi occhi, per ricordare che con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto" ({{passo biblico2|Esodo|13:16}}), che la tradizione rabbinica vedeva come un obbligo di indossare regolarmente i [[w:tefillin|tefillin]], Nahmanide scrive: {{citazione|Ciò è perché Dio non compie un segno (''‘ot'') e una dimostrazione (''mofet'') in ogni generazione, per essere visto da ogni malfattore e negatore (''kofer''). Piuttosto, ci comanda continuamente di compiere un memoriale (''zikaron'') e un segno di ciò che i nostri occhi hanno visto.<ref>CT: {{passo biblico2|Esodo|13:16}} - 1 , 346.</ref>}} Nahmanide qui esprime una visione partecipativa della storia. Questa prospettiva, che spesso ribadisce, contrasta nettamente con la visione più familiare e illustrativa della storia. Le nostre scienze sociali, modellandosi sulle scienze naturali, in genere cercano regolarità nel comportamento umano e tentano di vedere tutti gli eventi come esempi di processi costanti. La storia diventa così una raccolta di dati del passato per ampliare il numero di esempi che illustrano vari principi specifici. L'interesse per il passato è governato dagli interessi del presente e dalla loro proiezione nel futuro.<ref>Cfr. W. H. Walsh, ''An Introduction to Philosophy of History'' (Londra: Hutchinson, 1967) 63ss.</ref> La visione della storia concepita da Nahmanide riflette un presupposto molto più antico. La vita umana nel presente, compresi tutti i normali processi del comportamento umano, trae il suo significato dai grandi eventi del passato. Il compito della storia non è incorporare gli eventi del passato in schemi perenni discernibili nel presente e proiettati nel futuro, ma vedere i processi del presente come segni e simboli dei grandi eventi del passato.<ref>Cfr. Mircea Eliade, ''The Sacred and the Profane: The Nature of Religion'' (New York: Harper and Row, 1961) 106-07.</ref> Per gli ebrei, questa incorporazione del presente nel passato è funzione di quei comandamenti che simbolicamente rievocano i grandi (e rari) eventi passati. Sottolineando la nostra partecipazione simbolica ai grandi eventi in cui Dio si è manifestato in modo così potente al popolo di Israele, Nahmanide indica che questa partecipazione non è solo vissuta passivamente. Richiede la determinazione ad agire con apertura alla presenza divina quando e dove si è rivelata. Dio non compie i suoi potenti atti di routine, per timore che diventiamo spettatori passivi piuttosto che partecipanti attivi. Per coloro che negano la potenza provvidenziale di Dio, anche l'esecuzione regolare di miracoli e segni sarebbe sprecata. L'ostinazione bloccherebbe il loro messaggio.<ref>Cfr. CT: {{passo biblico2|Genesi|14:10}}; e l'eccellente trattamento da parte di Y. Silman delle opinioni di Halevi sulla rivelazione e sulla storia, ''Bayn Filosof le-Navi'' (Ramat-Gan: Bar-Ilan University Press, 1985) 161ss., 216ss.</ref> Ma, per coloro che hanno una sottostante propensione alla fede, l'attivazione di tale propensione richiede una partecipazione simbolica. È con tali temi in mente che Nahmanide scrive del "processo" di Abramo, sottolineando l'importanza dell'azione piuttosto che della mera buona volontà passiva: {{citazione|Un processo (''nisayon'') è chiamato con questo nome a causa di colui che è stato processato. Ma colui che lo processa, che Egli sia esaltato, lo comanda per portare la materia dalla potenzialità all'attualità, affinché colui che è processato possa ricevere la ricompensa che l'azione merita, non soltanto la ricompensa perché ha un buon cuore... e così in effetti accade con tutte le prove nella Torah. Sono per il bene di colui che è processato.|CT: {{passo biblico2|Genesi|22:1}}, I - 125-26}} Come i comandamenti basati sulla natura (''mishpatim''), i comandamenti basati sulla storia (''‘edot'') soddisfano i bisogni umani. I ''mishpatim'' soddisfano i bisogni degli esseri umani nelle loro relazioni reciproche nella società; gli ''‘edot'' soddisfano i bisogni degli umani nel loro rapporto con Dio nella storia.<ref>Per questa duplice teleologia delle ''mitsvot'', cfr. CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|22:6}}.</ref> La gente comune ha bisogno di partecipare all'esperienza degli spettacolari miracoli pubblici della storia, sia direttamente che simbolicamente, per apprezzare la trascendenza di Dio dall'ordine naturale e la loro propria capacità di trascenderla, anche se solo parzialmente. Tra i predecessori di Nahmanide, la sua visione piuttosto empirica della natura si avvicina di più a quella di [[w:Saadya Gaon|Saadya Gaon]] (m. 942). La sua visione della storia e del suo significato si avvicina di più a quella di [[w:Yehuda Ha-Levi|Yehuda Ha-Levi]] (m. 1141), di cui riconobbe l'influenza.<ref>Cfr. CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|11:22}}.</ref> === Comandamenti metasociali/metastorici e la Cabala === {{Doppia immagine verticale|right|Nahmanides Commentary - herly 5504.JPG|Nahmanides Commentary -.JPG|240|''Commentario alla Torah'' del Ramban – Manoscritto Harley 5504, [[w:British Museum|British Museum]] (XV sec.)|''Commentario alla Torah'' del Ramban – Manoscritto Harley 5703 (Margaliot Manuscript 208), [[w:British Museum|British Museum]]}} I comandamenti della Torah designati come ''[[w:Chuqqim|huqqim]]'', "statuti", hanno sempre posto una sfida speciale a coloro che si impegnano a ritenere che tutti i comandamenti della Torah abbiano ragioni. Poiché questi comandamenti sembrano essere espressioni arbitrarie della volontà di Dio. Come ha affermato un ''[[w:midrash|midrash]]'' seminale, Dio in effetti dice al popolo d'Israele: "Ho emanato uno statuto (''huqqah haqqaqti''), ho decretato un decreto (''gezerah gazarti''), e non ti è permesso trasgredire i miei decreti!"<ref>''Bemidbar Rabbah'' 19.1; cfr. ''Midrash Leqah Tov: Huqqat'', 119b.</ref> Ciò è affermato nel contesto di una discussione sull'istituzione nella Torah generalmente riconosciuta come la più enigmatica, il [[:en:w:Red heifer|rito della giovenca rossa]] ({{passo biblico2|Numeri|19:1-22}}).<ref>La '''giovenca rossa''' o '''vacca rossa''' (פרה אדומה - ''parah adumah'') era un sacrificio citato nella Bibbia ebraica, le cui ceneri erano usate per un rituale di purificazione di antichi israeliti che erano venuti in contatto con un cadavere. L'esistenza di una giovenca rossa che sia conforme a tutte le rigide regole e requisiti imposti dalla Halakhah, è un'anomalia biologica: l'animale deve essere interamente di un solo colore ed i rabbini eseguivano una serie di test per assicurarsi, tra l'altro, che il pelo della vacca fosse completamente liscio (per accertarsi con non fosse stata sottoposta al giogo, il che l'avrebbe squalificata). Mosè, il maggiore dei profeti, conobbe il mistero del significato della giovenca rossa. Secondo una tradizione ebraica, solo nove giovenche furono macellate dal periodo che inizia da Mosè e finisce alla distruzione del Secondo Tempio. L'assoluta rarità dell'animale, insieme al rispettivo rituale, attribuisce alla giovenca rossa un'importanza particolare nella tradizione ebraica: è infatti citata come esempio basilare di un ''[[w:Chuqqim|khok]]'', o come già definito supra, una legge biblica per la quale non esiste logica apparente e quindi è considerata di assoluta origine divina. Poiché lo stato di purezza rituale ottenuto attraverso la cenere di una giovenca rossa è un prerequisito necessario per la partecipazione al servizio del Tempio, in tempi moderni sono stati compiuti sforzi da parte di ebrei, che desiderano una purezza rituale biblica e in previsione della costruzione del futuro Terzo Tempio, per individuare una giovenca rossa e ricreare il citato rituale.</ref> Tuttavia, il ''midrash'' qui sembra considerare il rituale come paradigmatico di tutti i comandamenti della Torah. Un altro ''midrash'' sembra similmente generalizzare dal modello degli ''huqqim'' e annunciare che tutti i comandamenti furono dati solo per testare l'accettazione umana della volontà di Dio:<ref>''Bereshit Rabbah'' 44.1 e paralleli; cfr. il trattamento da parte di [[Maimonide]] di questo testo rabbinico in ''Moreh'', 3.26.</ref> I rabbini raffigurano Satana e le nazioni del mondo che insultano il popolo ebraico per la loro tenace fedeltà a questi comandamenti misteriosi.<ref>''Sifra: Aharei Mot'', cur. Weiss, 86a; ''B. Yoma'' 67b. Per ulteriori elaborazioni di questo tema ''"facio quia absurdum"'' nella teologia medievale aschenazita, cfr. D. Berger, ''Jewish-Christian Debate'' (Philadelphia: JPS, 1979) 356-57.</ref> Tali brani pongono chiaramente l'onere della prova su coloro che affermano che tutti i comandamenti della Torah hanno ragioni, per quanto oscure. I razionalisti sono sfidati a suggerire almeno alcune ragioni plausibili per gli ''huqqim'' più problematici, altrimenti riconoscano che tutti i comandamenti sono essenzialmente decreti divini e che anche quando sembrano esserci ragioni, queste sono nella migliore delle ipotesi supposizioni o principi, piuttosto che fondamenti primari del vero intento di Dio. Ma Maimonide e Nahmanide, entrambi impegnati nella tesi che ci sono ragioni per tutti i comandamenti, svilupparono i propri mezzi distintivi per spiegare i comandamenti più difficili della Torah. È a questo livello di sfida esegetica che le loro differenze teologiche fondamentali diventano più evidenti. In effetti, è sullo sfondo del trattamento di Maimonide di questi comandamenti che la posizione di Nahmanide emerge più chiaramente dal contrasto. Per [[Maimonide]], la verità e la bontà si scoprono attraverso le scienze politiche, le scienze fisiche o la metafisica.<ref>Cfr. ''Hilkhot Talmud Torah'', 1.11-12; ''Moreh'', Introduzione.</ref> La sua teologia attribuisce il primato a quei comandamenti i cui scopi sono più evidenti alla ragione umana: quelli che ordinano la società al bene (''mishpatim'') o la mente al vero (''de‘ot''). I comandamenti storici (''‘edot'') sono inseriti in questo contesto basilare. Così l'osservanza dello [[w:Shabbat|Shabbat]] e delle [[w:festività ebraiche|festività]] serve allo scopo politico di promuovere la comunione attraverso il tempo libero e la celebrazione comuni, e lo scopo intellettuale di segnalare le verità sulla creazione del cosmo.<ref>''Moreh'', 3.43.</ref> La storia, in quanto ''locus'' della rivelazione di Dio attraverso eventi unici, non è un considerazione immediata. Così, ad esempio, lo Shabbat è istituito per ricordare che "sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso" ({{passo biblico2|Dt|5:15}}). Ma Maimonide sottolinea il significato universale dello Shabbat: praticamente nel soddisfare il bisogno fisico di riposo; intellettualmente, nel soddisfare il bisogno spirituale di affermare la creazione dell'universo da parte di Dio.<ref>Cfr. specialmenrte ''Moreh'' 2.31. I rabbini talmudici, al contrario, sottolineavano il significato unicamente ebraico dello Shabbat. Cfr. ''B. Sanhedrin'' 58b rif. {{passo biblico2|Genesi|8:22}}; ''Devarim Kabbah'' 1.18 rif. {{passo biblico2|Esodo|31:17}}.</ref> Maimonide invoca la storia quando spiega alcuni degli ''huqqim''. Li vede come reazioni all'idolatria nei tempi antichi.<ref>''Moreh'', 3.37.</ref> Pertanto, adduce due ragioni per il divieto di mangiare carne cotta nel latte. In primo luogo, sostiene che l'alto contenuto di grassi di tali alimenti non è salutare. In secondo luogo, ipotizza che cucinare un capretto nel latte materno possa essere stato un rito pagano che la Torah non voleva che gli israeliti imitassero in alcun modo.<ref>''Moreh'', 3.48. Cfr. ''Hilkhot Ma’akhalot Assurot'', 17.29-31; anche, ''Hilkhot De’ot'', 3.3 rif. ''Mishnah Avot'' 2.2.</ref> Quanto alla domanda sul perché una reazione a un rito pagano scomparso dovesse rimanere normativa, va ricordato che Maimonide considerava perenne la propensione all'idolatria. Così anche i divieti di particolari manifestazioni temporali dell'idolatria servono ancora a sottolineare l'importanza della diligenza perpetua contro questa malattia spirituale sempre virulenta.<ref>Cfr. per es., ''Moreh'', 1.36; 3.29.</ref> Per Maimonide, quindi, i comandamenti razionalmente evidenti sono primari; i comandamenti esplicitamente storici sono, in effetti, deistorizzati; e i misteriosi ''huqqim'' sono visti come reazioni a circostanze storiche. Nel suo ordinamento dei comandamenti, sembrerebbe che i ''mishpatim'' (politici e intellettuali) siano i primi, gli ''‘edot'' secondi e gli ''huqqim'' terzi per importanza. Per Nahmanide, l'ordine sembra essere diametralmente invertito. I ''mishpatim'' sono meno importanti, proprio perché sono i più universali. Gli ''‘edot'' sono importanti, perché sono distintivi. E gli ''huqqim'' sono i più importanti, poiché sono i più distintivi di tutti e santificati dal loro stesso mistero. Pertanto, nello spiegare gli ''huqqim'', Nahmanide invoca ciò che ritiene il vero, più profondo insegnamento della Torah: la ''[[w:Cabala ebraica|Cabala]]''. La sua dipendenza dalla Cabala è stata a lungo oggetto di dibattito. Alcuni studiosi di un cast altamente tradizionale credono che lo ''[[Zohar]]'' sia letteralmente l'opera del [[w:Tannaim|Tanna]] [[w:Shimon bar Yohai|Shimon bar Yohai]] del II secolo. Sostengono che il testo fosse conosciuto immemorabilmente e tramandato ermeticamente da una piccola élite per mille anni prima della sua pubblicazione alla fine del XIII secolo. Tali studiosi pensano che l'invocazione della Cabala da parte di Nahmanide sia altamente selettiva. Sostengono che nella sua teologia cabalistica ci sia molto di più di quanto egli abbia rivelato nei suoi scritti.<ref>Cfr. per es., J. Even-Chen, ''Ha-Ramban'' (Gerusalemme: Ginzekha Rishonim Le-Tsiyon, 1976) 61ss. L'idea che Nahmanide avesse un sistema cabalistico completo e in gran parte segreto era apparentemente sostenuta anche dai suoi contemporanei che trovavano il suo cabalismo eccessivo. Si veda R. Isaac bar Sheshet Parfat, ''Teshuvot ha-Ribash'', no. 157. Per una discussione critica moderna sel cabalismo di Nahmanide, cfr. Gershom Scholem, ''Ha-Kabbalah be-Gerona'', 73ss., e ''Origins of the Kabbalah'', 384; M. Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 254.</ref> I cabalisti spesso affermano che la natura esoterica della Cabala richiede tale moderazione. Ma anche questo punto di vista non spiega perché Nahmanide invochi dottrine cabalistiche quando e dove lo fa — perché ciò che è stato rivelato ai cabalisti sia più frequentemente usato per spiegare le ragioni degli ''huqqim''. La maggior parte degli studiosi moderni accetta il punto di vista di [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]] secondo cui lo ''[[Zohar]]'' è in gran parte opera del rabbino [[w:Moses de León|Moses de León]], che scrisse dopo Nahmanide e fu influenzato da lui.<ref>Cfr. ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 173.</ref> Essi attribuiscono le sporadiche invocazioni della Cabala da parte di Nahmanide alla natura ancora non sistematica della tradizione e considerano de Leon e i suoi successori i veri sistematizzatori.<ref>Cfr. M. Idel, "We Have No Kabbalistic Tradition on This" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 63ss.</ref> Non ci sono prove che il cabalismo di Nahmanide fosse sistematico.<ref>Cfr. Scholem, ''Ha-Kabbalah be-Gerona'', 66; Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 215.</ref> A differenza dei cabalisti successivi, da de Leon in poi, Nahmanide non tentò mai di spiegare tutto nella Torah alla luce della Cabala. A differenza della maggior parte di loro, assumeva regolarmente la realtà della natura e della storia nello spiegare i comandamenti e gli eventi nella Torah. In effetti, come abbiamo visto, il suo uso della natura nello spiegare il ''mishpatim'' si avvicina alla teoria dei comandamenti razionali di Saadyah Gaon, e nel suo uso della storia nello spiegare gli ''‘edot'' segue la concezione di eventi unici di Yehuda Ha-Levi. Lo ''Zohar'', al contrario, non ammette effettivamente un reame della natura o un reame della storia. Ci vogliono tutte le relazioni che siano interne alla vita di Dio.<ref>Cfr. per es., ''Zohar: Aharei-Mot''3:73a.</ref> Lo spazio e il tempo sono irreali. Non c'è storia, non c'è natura, nel senso di un ordine creato duraturo, risultante da un atto divino unico.<ref>Cfr. Saadyah Gaon, ''ED'', 1.2, 4.</ref> La creazione di Dio non è più transitiva, il suo oggetto non è chiaramente distinto dal suo soggetto. Per i cabalisti post-nahmanideani, l'unica realtà separata da Dio è demoniaca (letteralmente, ''sitra ahra'', "l'altra parte"). La relazione con questo equivale all'annientamento.<ref>Cfr. Gershom Scholem, ''On the Kabbalah and Its Symbolism'', 145; ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 177-78.</ref> Così lo ''Zohar'' tratta i [[w:Noachismo|Sette comandamenti noachici]] non come requisiti razionali delle relazioni interumane, ma come proibizioni finali della separazione dalla vita divina.<ref>''Zohar: Bereshit'', 1:36a. Cfr. Menahem Recanti, ''Commentary on the Torah: Gen. 2:16 and 8:21''. Approcci razionalisti e cabalistici alle Leggi noachiche sono congiunte in Judah Loewe (Maharal), ''Gevurot ha-Shem'' (Cracow, 1582) cap. 66.</ref> Le loro specifiche dimensioni interumane diventano accessorie, incidentali. Il cabalismo zoharico non lascia spazio al razionalismo saadiano che Nahmanide usò per costituire la legge naturale delle relazioni interumane. Infatti tale razionalismo presuppone lo spazio creato al di fuori di Dio, risultato della creazione generata da Dio come atto transitivo.<ref>Cfr. Gershom Scholem, "Schopfung aus Nichts und Selbstverschrankung Gottes", ''Eranos Jahrbuch'' 25 (1956) 108ss.</ref> Anche la storia presuppone una distinzione essenziale tra spazio e tempo.<ref>Seguendo la visione haleviaan/nahmanideana della storia secondo, Judah Loewe (Maharal) distingue tra tempo fisico (''zeman'') e tempo storico (''sha‘ah, rega‘''). Cfr. ''Gevurot ha-Shem'', sez. 2. Cfr. L. E. Goodman, "Time, Creation and the Mirror of Narcissus", ''Philosophy East and West'' 42 (1992).</ref> Nell'idea di natura, spazio e tempo sono legati. Ma l'idea di libertà esige la loro separazione, perché tutto non sia determinato. Quando il tempo è visto come distinto dallo spazio, si apre al futuro quale orizzonte di azioni non determinate da ciò che già è. Questa apertura è cruciale per l'emergere della responsabilità personale. Nella visione della storia da parte di Nahmanide, come in quella di Halevi, la storia è un incontro tra Dio e le Sue creature.<ref>Cfr. ''Kuzari'', 1.67; 5.20.</ref> La relazione è libera da parte di Dio perché non è determinata dall'ordine naturale. I miracoli di Dio ricapitolano il libero atto originario della creazione e riaffermano la trascendenza di Dio. E la relazione è libera da parte degli esseri umani, perché la nostra risposta alla presenza di Dio non è determinata dalla natura. Rispondendo alle azioni sante di Dio, possiamo scegliere di compiere opere sante. La santità trascende ciò che è già stato fatto. Quindi la storia è una storia di eventi piuttosto che la registrazione di processi inevitabili. La sua traiettoria è verso il culmine in un Mondo a venire trascendente. Questo reame non è una realtà eterna già presente parallelamente alla natura per Nahmanide, come lo è per Maimonide. Piuttosto si trova nel futuro. Sarà completamente nuovo.<ref>Cfr. ''Torat ha-Adam: Sha'ar ha-Gemul''/''KR'' II, 302. Cfr. Maimonide, ''Hilkhot Teshuvah'', 8.8 e nota del Rabad ''ad loc.''</ref> La libertà storicamente costituita, quindi, è un potere transitivo, indeterminato, condiviso da Dio e dall'umanità, sebbene la libertà del Creatore non sia vincolata come quella delle creature. La nostra osservanza dei comandamenti è quasi sempre delimitata entro limiti naturali, a differenza del compimento di miracoli da parte di Dio.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Numeri|1:45}} rif. ''B. Pesahim'' 64b.</ref> Quindi la libertà divina e umana interagiscono nel rapporto di alleanza, ma non in modo simmetrico. Dio conserva sempre la sua illimitatezza. L'uomo è sempre limitato. Senza una qualche struttura, tuttavia, la libertà divina sarebbe mero capriccio; a maggior ragione la libertà umana. Il capriccio è libertà che non intende relazione. Le alternative a questa terrificante possibilità sono di costituire un reame della storia [[w:Alleanza (Bibbia)|pattizia]] tra Dio e l'uomo, o di costituire una natura in Dio, in cui gli esseri umani possono essere incorporati. I cabalisti successivi scelsero la seconda opzione. Ma di conseguenza, la spontaneità e la libertà andarono rapidamente perse. Il determinismo della natura era ora proiettato nella stessa divinità. I miracoli divennero eventi determinati da questa natura superiore e implicita.<ref>Cfr., ad esempio, Menahem Recanti, ''Commentary on the Torah'': {{passo biblico2|Esodo|29:1}} e {{passo biblico2|Levitico|26:3}} (Venezia, 1523), dove parla della causalità "naturale" (= necessaria) dei comandamenti (''teva kol mitsvah u-mitsvah''), cioè, nel vero reame divino, non nel reame fisico illusorio e separato. Inoltre, si veda il suo commento su {{passo biblico2|Esodo|34:6}}, dove gli atti divini transitivi diventano proprietà divine interiori (cfr. ''B. Shabbat'' 133b). Per la stessa idea di natura divina nel pensiero di un mistico ebreo moderno profondamente indebitato con la Cabala, si veda Abraham Isaac Kook, ''‘Orot Ha-Qodesh'', cur. D. Cohen (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1963) I, 143-44. Inoltre, cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 453; anche, Berger, "Miracles and the Natural Order in Nahmanides", 121. Cfr. Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 102.</ref> Il bene umano divenne sempre più un prodotto del potere causale divino,<ref>Cfr. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'' 1.3ss.</ref> e il male umano sempre più frutto del potere generalizzato del demoniaco piuttosto che di specifiche scelte umane.<ref>Cfr. Tishby, 1.287ss.</ref> Nahmanide non si accontenta di un simile risultato. Il suo metodo eclettico gli permette di cambiare ripetutamente il suo terreno teologico. A volte individua il rapporto divino-umano tra Dio e l'uomo. Altre volte, soprattutto quando spiega gli ''huqqim'', individua la relazione all'interno della divinità. Questo spostamento ci impedisce di ricostruire una teologia coerente e sistematica per Nahmanide, come si può fare per Saadyah, Maimonide o lo ''[[Zohar]]''. Tuttavia l'uso della Cabala da parte di Nahmanide è coerente con il profondo conservatorismo dei suoi scritti halakhici e teologici.<ref>Si veda il suo "Introduzione alle Note sull'Enumerazione dei Comandamenti", ''KR'' I, 420; anche, Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 389.</ref> Perché le verità più elevate della Cabala, invocate come spiegazioni degli ''huqqim'', non rappresentano una vera minaccia per la natura o la storia e non pretendono di sostituire l'ampia verità della Torah. La Cabala in Nahmanide non rivoluzionerà la teologia ebraica in tutto e per tutto. Ma gli permetterà di spiegare in profondità ciò che le teologie precedenti non avevano spiegato o avevano spiegato in modo inadeguato. Nel processo, gli ''huqqim'' vengono trasformati da ostacoli della fede a accenni simbolici dei profondi misteri di Dio. Aprendo i suoi commenti sul Levitico, dove la Torah tratta in modo più completo del sistema sacrificale – contesto di tanti ''huqqim'' – Nahmanide rifiuta la storicizzazione del culto biblico del sacrificio fatta da Maimonide. È convinto che Maimonide abbia letto nei testi scritturali una tematica che non c'è veramente. Maimonide aveva detto che la ragione dei sacrifici è che gli egizi e i caldei, nella cui terra Israele aveva abitato, "avevano sempre adorato bovini e pecore [e capre]... per questo comandò loro di macellare queste tre specie per amore di Dio, affinché si sappia che ciò che avevano creduto essere l'epitome del peccato è ciò che ora dovrebbero offrire al Creatore... E così saranno sanate le credenze corrotte, che sono malattie dell'anima, poiché ogni malattia e ogni morbo si cura solo con il suo contrario. — Queste sono le sue parole con cui ha parlato a lungo, ma sono parole vuote (''divrei hav’ai'')".<ref>CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11 rif. ''Moreh Nevukhim'' 3.46. Cfr. ''Targum Onkelos'', {{passo biblico2|Genesi|43:32}}; Ibn Ezra, ''Commentario alla Torah'', {{passo biblico2|Esodo|8:22}}.</ref> Nahmanide offre due spiegazioni alternative del significato che la Torah attribuisce al sistema sacrificale. La prima è psicologica e spirituale: i sacrifici soddisfano il profondo bisogno umano di riconciliarsi con Dio nei pensieri, nelle parole e nei fatti. Questa interpretazione attira immediatamente l'immaginazione, "attira il cuore".<ref>Rif. ''B. Shabbat'' 87a e ''B. Hagigah'' 14a. Cfr. ''Zohar: Vayiqra'', 3:9b.</ref> Tuttavia, Nahmanide la segue alludendo alla ''vera'' visione cabalistica, che nasce dalla consapevolezza che il nome unico di Dio (YHWH) e non i suoi nomi minori, è invariabilmente quello usato in collegamento con i sacrifici. L'invocazione di Nahmanide della Cabala qui come fornitrice della verità (''ha-‘emet'') non significa che considerasse false tutte le altre interpretazioni. C'è una gerarchia di verità, con la Cabala in cima. Il suo insegnamento è che l'azione umana quaggiù, se eseguita correttamente e con la giusta intenzione (''kavvanah''), influenza positivamente la vita divina nell'Alto. Discutendo in questo senso, Nahmanide elevò quella che sembrava una contingenza storica in Maimonide a un livello vitale nella vita stessa di Dio. Le ragioni assegnate da Nahmanides per ''mishpatim'' e ''‘edot'' sono generalmente radicate nel bisogno umano: gli esseri umani hanno bisogno di leggi per governare le loro relazioni. Gli ebrei hanno bisogno di commemorare i grandi eventi quando la potenza e la provvidenza di Dio sono così inequivocabilmente manifeste. Ma con gli ''huqqim'', specialmente i precetti positivi del culto del Tempio, il bisogno umano non è la teleologia essenziale all'opera. Commentando il versetto: "E sapranno che io sono il Signore, il loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese d'Egitto, per abitare (''le-shokhni'') in mezzo a loro" ({{passo biblico2|Esodo|29:46}}), Nahmanide scrive: {{citazione|C'è in questo passaggio un grande insegnamento mistico (''sod gadol''). Perché secondo il significato apparente del testo (''ke-fi peshat'') la presenza della ''Shekhinah'' è un bisogno mortale (''tsorekh hedyot''), non un bisogno del Superno (''tsorekh Gavoah''). Ma il tema è analogo a quello del versetto: "O Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria" (Isaia 49:3).|CT: {{passo biblico2|Esodo|29:46}} - I, 486-87}} Le persone comuni, che vivono fondamentalmente all'interno dei reami della natura e della storia — reami separati dall'essere di Dio, anche se non dalla potenza di Dio — hanno bisogno di vedere i comandamenti come adempimento dei loro bisogni umani ordinari. Le anime straordinarie, invece, vivono essenzialmente nella vita divina, come il Tempio è nella vita divina. Hanno solo bisogno di vedere i comandamenti come adempimento dei bisogni divini, con i quali sono così intimamente coinvolti. [[File:Emanation.gif|thumb|''[[w:Ein Sof|Ayn Sof]]'', emanazione delle ''[[w:Sefirot|Sefirot]]'' e [[w:Gerarchia degli angeli|gerarchie angeliche]] secondo la [[w:Cabala lurianica|Cabala lurianica]], molto posteriore a Nahmanide]] L'argomento dei bisogni divini assorbì i cabalisti dopo Nahmanide.<ref>Cfr. per es., Meir ibn Gabbai, ''Avodat ha-Qodesh'', 2.2ss. Per la visione opposta da parte della maggioranza dei rabbini talmudici, cfr. ''Y. Nedarim'' 9.1/41b rif. {{passo biblico2|Giobbe|35:7}}; e Saadyah Gaon, ''Emunot ve-De’ot'', 3.10. Ma, cfr. ''B. Berakhot'' 7a; ''B. Baba Metsia'' 114a rif. {{passo biblico2|Dt|8:10}}.</ref> Alcuni addirittura vedevano l'emanazione del mondo multiforme dall'unità divina come risultato del bisogno di Dio per un "altro".<ref>Cfr. per es., Hayyim Vital, ''‘Ets Hayyim'', 1:11a.</ref> Nahmanide non sembra intendere un concetto così radicale, che la creazione non sia un atto del tutto gratuito. Ciò che la sua invocazione alla dottrina cabalistica sembra significare è che, ''poiché'' Dio ha scelto di estendersi nella molteplicità, ''in tal modo'' si è reso dipendente da essa, ''in quanto'' vi è presente. Ma, come l'Infinito totalmente trascendente (''[[w:Ein Sof|Ayn Sof]]''), Dio non è mai del tutto dipendente da ciò che partecipa alla Sua vita. Poiché Egli non vi è mai del tutto presente. Nella sua introduzione al ''Commentario alla Torah'', Nahmanide afferma con forza il detto cabalistico secondo cui la santità della Torah riflette il fatto che le sue parole sono tutte permutazioni dei nomi di Dio.<ref>Chavel, seguendo la visione tradizionalista che lo ''Zohar'' sia una fonte per Nahmanide, vede la fonte (''meqoro'') di questa dottrina nello ''Zohar: Yitro'', 2:87a (cfr. CT, introduzione, cur. Chavel, 6, nota). Più plausibilmente, Nahmanide era la fonte dello ''Zohar'' per questa dottrina cabalistica di base. Un'applicazione del punto teologico sta nel fondare la norma halakhica secondo cui un ''Sefer Torah'' difettoso in qualsiasi modo è ritualmente non valido per la lettura pubblica nella sinagoga (Maimonide, ''Hilkhot Sefer Torah'', 10.1, nn. 12 e 13), cfr. Abraham ben Yom Tov Ishbili, ''Teshuvot ha-Ritba'', cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1959), n. 142, pp. 167-70. Il Ritba cita Nahmanide, non lo ''Zohar'', come ''locus classicus'' per questo punto. Per dubbi sull'antichità dello ''Zohar'' da parte di uno studioso tradizionalista premoderno, vedere Jacob Emden, ''Mitpahat Sefarim'' (Altona, 1769); cfr. Scholem, ''Major Trends'', 181.</ref> Quindi Dio è presente nella Torah e in questo senso ne ha bisogno come una persona ha bisogno di qualsiasi organo vitale. Ma Dio è sempre più dei Suoi nomi; infatti ''Ayn Sof'' (l'"In-finito") è un termine negativo: essenzialmente Dio è senza nome. A questo livello, ciò che Nahmanide sembra voler significare per ''bisogno divino'' è che mediante l'esecuzione dei comandamenti, in particolare gli ''huqqim'', almeno alcuni ebrei non sono solo destinatari passivi della grazia di Dio, ma partecipanti attivi della vita divina. Questo aspetto della teologia cabalistica di Nahmanide ha probabilmente avuto un'influenza maggiore sulla Cabala successiva di qualsiasi altra.<ref>Una profonda riaffermazione della dottrina cabalistica dell'interazione dei bisogni divini e umani fu fatta da Abraham Joshua Heschel in ''Man Is Not Alone'', 241ss.</ref> Si può sempre discutere dell'adeguatezza delle interpretazioni cabalistiche di Nahmanide riguardo agli ''huqqim'' positivi, ma spesso offrono una vena interpretativa più ricca di quella che il razionalismo ebraico aveva da offrire. Quindi non è difficile capire perché siano stati seguiti molto più a fondo dalle generazioni successive rispetto alle interpretazioni razionaliste. Ma Nahmanide non si è limitato agli ''huqqim'' positivi. Anche gli ''huqqim'' negativi richiedono interpretazione. Maimonide li vedeva come proscrizioni di antiche pratiche idolatriche. La stessa idolatria fu la prima violazione umana della legge naturale, negando la realtà manifesta del Dio trascendente. Ogni atto idolatrico era in sostanza una violazione dell'ordine naturale, un ordine non inventato dalla ragione umana ma da essa scoperto. Come i ''mishpatim'' e gli ''‘edot'', quindi, anche gli ''huqqim'', per Maimonide, erano in definitiva intelligibili in termini di natura. Anche per Nahmanide questi divieti proibiscono la violazione di un ordine che non è stato inventato dalla ragione umana. Ma non è nemmeno un ordine scoperto dalla ragione umana. Piuttosto, gli ''huqqim'' spesso proscrivono la violazione dell'ordine creato da Dio ma rilevabile solo per rivelazione. Tali leggi sono fondamentalmente diverse dai ''mishpatim'' o dagli ''‘edot''. I loro scopi si vedono solo quando ci viene rivelato qualcosa dell'ordine creato che è al di là sia della ragione umana ordinaria che anche dell'esperienza umana straordinaria. Commentando il versetto: "Osserverete i miei statuti (''et huqqotay''): non accoppierai bestie di specie differenti" ({{passo biblico2|Levitico|19:19}}), Nahmanide scrive: {{citazione|Gli ''huqqim'' sono il decreto del Re (''gezerat ha-melekh''), che ha decretato (''yihoq'') nel suo regno senza rivelare la loro utilità (''to‘eletam'') al popolo... La persona che incrocia specie cambia e falsifica l'opera stessa della creazione, come se pensasse che Dio non soddisfi adeguatamente ogni bisogno (''she-lo-hishleem kol tsorekh'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:19}}/II, 120. Cfr. anche, CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}}}} L'incrocio è, in effetti, una negazione dell'adeguatezza della creazione. È manomettere l'ordine creato, come se Dio non avesse terminato in modo soddisfacente la Sua opera e l'uomo potesse migliorarla. La proibizione, quindi, ha lo scopo di affermare che la creazione di Dio è perfetta, sebbene la ragione umana spesso non comprenda come la provvidenza di Dio operi nella creazione e anzi assicuri i bisogni di ogni creatura. Una comprensione più completa delle vie della provvidenza deve attendere una rivelazione del tipo che Giobbe alla fine ricevette da Dio.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario a Giobbe'', 42:5 - KR I, 126.</ref> Il divieto di modificare l'ordine creato, anche per migliorarlo, è in sostanza un divieto di magia. Maimonide giustifica il divieto della magia non perché sia ​​oggettivamente efficace nel perturbare l'ordine naturale, ma perché è soggettivamente pericoloso.<ref>Cfr. ''Hilkhot Avodah Zarah'', 11.16; ''Commentario alla Mishnah: Pesahim'' 4.10.</ref> Distorce la nostra comprensione delle vere operazioni della natura, che si esprimono attraverso l'indagine scientifica, non l'opinione superstiziosa. L'azione umana non può alterare l'ordine naturale stabilito, per non parlare della vita trascendente di Dio. Ma per Nahmanide, la magia è oggettivamente efficace. È proibita non perché credervi sia falso, ma perché è un tentativo malvagio di manipolare Dio a vantaggio dell'uomo.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Esodo|8:14}}.</ref> Tale male può davvero sconvolgere l'ordine della creazione, forse anche ostacolare temporaneamente il compimento dei piani divini. Non potrà mai rovesciare la sovranità di Dio. Ma a noi mortali è proibito agire come se avessimo il controllo su Dio. Come dice [[:en:w:Lenn E. Goodman|Lenn Goodman]], la magia è proibita da Nahmanide nello stesso modo in cui ai bambini è proibito deridere l'autorità dei loro genitori. Il potere umano è giustificato (ed efficace) in definitiva solo quando è una partecipazione fedele alla vita di Dio e al suo governo dell'universo. === Il primato dell'esegesi === Gli scritti di Nahmanide, in particolare il suo ''Commentario alla Torah'', danno voce a temi ricorrenti che possono essere sistematicamente correlati. Ma molti lettori non sono riusciti ad afferrare il suo sistema perché si aspettano un sistema di teologia cabalistico ''totale''. Non trovandolo, spesso presumono che non ci sia alcun sistema. Prendendo alla lettera il trattamento della Cabala da parte di Nahmanide come la più alta verità della Torah, essi presumono che debba averla considerata come l'unica verità della Torah. Ma, come abbiamo visto, trova nella Torah anche un impegno con la realtà della natura e della storia, anche se quel livello di verità è trasceso dalla Cabala. La Cabala, verità più alta, non sposta tutte le altre verità, ma le mette in prospettiva. La Cabala da sola non è sufficiente per spiegare la Torah. Ma è necessaria, secondo Nahmanide, ad ogni adeguata teologia dell'ebraismo. Non si può essere sicuri del motivo per cui Nahmanide non sviluppò una teologia più omogenea, come quella dello ''[[Zohar]]'' e di alcuni cabalisti successivi.<ref>Cfr. Scholem, ''Origins of Kabbalah'', 384; Bernard Septimus, "Nahmanides and the Andalusian Tradition" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 19ss.; E. R. Wolfson, "By Way of Truth," 125-29, 163-76.</ref> Certamente aveva le doti intellettuali per un pensiero sistematico. Ma se avesse presentato una teologia rigorosamente cabalistica, la ricchezza del suo approccio sarebbe stata molto ridotta. Il suo eclettismo permette una diversità dei tipi e dei metodi di interpretazione; ed è soprattutto come [[w:esegesi ebraica|esegeta]] che è meglio compreso. Un sistema completo avrebbe ristretto le sue opzioni esegetiche.<ref>Per la tesi di Nahmanide che un comandamento può avere più di una ragione, cfr. CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}}; cfr. ''B. Sanhedrin'' 34a rif. {{passo biblico2|Geremia|23:29}}; ''Bemidbar Rabbah'' 13.15.</ref> Come esegeta poteva trovare livelli di significato nella Scrittura che possono sembrare contraddittori quando disposti fianco a fianco. Ma per lui, evidentemente, il testo si rivolge a persone diverse in modi diversi simultaneamente. Alla fine, la ricchezza del testo ha la precedenza sull'eleganza astratta di un sistema globale. Quindi la teologia di Nahmanide è più euristica che costruttiva. Il suo scopo sembra sempre essere quello di spiegare il testo piuttosto che semplicemente di usarlo per illustrare i temi che l'autore gli porta. I frutti del suo metodo forniscono a tutti i pensatori ebrei una ricchezza di intuizioni sostanziali sulla Torah e sul modello di quel metodo stesso, una potente [[w:ermeneutica talmudica|ermeneutica]] teologica. Laddove Nahmanide è sistematico, il suo sistema è più ermeneutico che filosofico. Nella ben nota divisione dei pensatori fatta da [[w:Isaiah Berlin|Isaiah Berlin]] in ricci e volpi – coloro che mettono in relazione tutto con un'unica visione centrale e coloro che perseguono molti fini, spesso estranei o addirittura contraddittori84 – Nahmanide è più il riccio che la volpe, un pensatore più centrifugo, mentre invece, diciamo, Maimonide è più centripeto. La precedenza del ''datum'' sulla teoria, dell'esegesi sul sistema è, dopo tutto, ciò che rende uno un teologo scritturale, rispetto a un teologo sistematico. == Note == {{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}} <div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" ><references/></div> {{Avanzamento|100%|20 luglio 2022}} [[Categoria:Nahmanide teologo|Introduzione]] 32ab6e9svxc8dcgxzgs58wbqyyqk9we 430785 430783 2022-07-21T15:22:23Z Monozigote 19063 /* Comandamenti metasociali/metastorici e la Cabala */ img wikitext text/x-wiki {{Nahmanide teologo}} [[File:Nahmanides Commentary - Adler n° 662.JPG|thumb|540px|center|Commentario di Nahmanide, (XV secolo)]] == INTRODUZIONE == === Rabbi Moshe ben Nahman Girondi === Rabbi [[w:Nahmanide|Moshe ben Nahman Girondi]] è conosciuto nella letteratura ebraica con il suo acronimo '''Ramban''' (רמב״ן‎). Ma per i lettori moderni delle lingue europee è '''Nahmanide''', e per i suoi contemporanei spagnoli era ''Bonastruc ça Porta''. Ognuno dei suoi nomi racconta qualcosa della sua carriera. In quanto [[w:rabbino|rabbino]] Moshe ben Nahman Girondi, era il leader rabbinico più influente degli ebrei di Spagna del suo tempo. Come Ramban è stato un pilastro del pensiero ebraico nel corso dei secoli dalla sua morte. Come Nahmanide sta ottenendo sempre più riconoscimenti tra gli studiosi del pensiero religioso occidentale. E come Bonastruc ça Porta svolse un ruolo centrale nei complessi rapporti tra gli ebrei spagnoli e la società cristiana in cui vivevano. Nahmanides nacque nel 1194 a [[w:Gerona|Gerona]], una piccola ma culturalmente vitale comunità ebraica vicino a [[w:Barcellona|Barcellona]], ​​capitale dell'allora [[w:Principato di Catalogna|Principato di Catalogna]]. Discendeva da una famiglia aristocratica rabbinica e fu educato nel [[w:Talmud|Talmud]] e nella [[w:Cabala ebraica|Cabala]] da eminenti studiosi. Raggiungendo la reputazione di brillante studioso rabbinico in giovane età, fu ampiamente consultato su questioni [[w:Halakhah|halakhiche]] e teologiche e la sua introduzione alle opere dei tosafisti della Francia settentrionale nel curriculum della sua accademia rivoluzionò la cultura talmudica sintetizzando tradizioni [[w:sefarditi|sefardite]] e [[w:aschenaziti|aschenazite]]. La sua approvazione della Cabala, che stava appena emergendo in Spagna ai suoi tempi, ne accresceva la rispettabilità e ampliava il suo pubblico. Nella controversia sulle opere teologiche di [[Maimonide]] nel primo terzo del XIII secolo, i suoi sforzi verso un compromesso aiutarono a preservare l'accesso degli ebrei tradizionali a queste opere e favorirono l'integrazione che oggi diamo per scontata del pensiero di Maimonide nel canone generalmente conservatore della [[w:letteratura rabbinica|letteratura rabbinica]]. Dopo aver iniziato la sua carriera a Gerona, Nahmanide servì come la principale autorità rabbinica della Catalogna. Sebbene si guadagnasse da vivere come medico (alla pari di Maimonide), era un rabbino molto efficace, insegnando a studenti avanzati, decidendo questioni di Halakhah e politica sociale, predicando e pubblicando un ampio ''corpus'' di opere. In qualità di principale studioso ebreo nel nord della Spagna, fu convocato nel 1263 dal re [[w:Giacomo I d'Aragona|Giacomo d'Aragona]] per disputare pubblicamente con [[:en:w:Pablo Christiani|Pablo Christiani]], un apostata ebreo che era diventato frate domenicano. Il tema era pericoloso: la messianicità di Gesù. La disputa, tenuta alla presenza del re e della sua corte davanti a un'udienza piena di dignitari, si svolse in luglio a Barcellona. Il suo esito era atteso con ansia sia da ebrei che da cristiani. Sorprendentemente, il re ritenne la difesa presentata da Nahmanide del rifiuto ebraico di accettare Gesù come il Messia più convincente delle argomentazioni di Christiani. Ma la vittoria fu pirrica. Le forti pressioni dei domenicani costrinsero Nahmanide a lasciare l'Aragona e infine nel 1267 emigrò in [[w:Terra d'Israele|Terra d'Israele]]. Sbarcò ad [[w:Acri (Israele)|Acri]] e presto si stabilì a [[w:Gerusalemme|Gerusalemme]]. Come in Spagna, attirò presto molti studenti e la sua influenza si diffuse ancora una volta. Dedicò gli ultimi anni della sua vita a ricostruire la minuscola e demoralizzata comunità ebraica della Terra in un centro superiore di istruzione ebraica. Prima della sua morte nel 1270, completò la grande opera della sua vita, il ''Commentario alla Torah'', legando insieme i molti filoni di pensiero iniziati nei suoi primi lavori. Sebbene questo ''[[w:magnum opus|magnum opus]]'' contenga una ricchezza di materiale letterario, esegetico, halakhico, storico e filologico, la sua teologia gli conferisce la grande profondità e il suo più duraturo interesse per il pensiero ebraico e per il mondo culturale.<ref>Sono state usate le seguenti edizioni delle opere di Nahmanide: {{en}}''Commentary on the Torah'' (CT) 2 voll., cur. C. B. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1959-63); ''Kitvei Ramban'' (KR) 2 voll., cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1963); ''Hidushei ha-Ramban'', 2 voll., cur. I. Z. Meltzer (B'nai B'rak, 1959); ''Hidushei ha-Ramban ha-Shalem'', 4 voll., cur. M. Hershler ''et al.'' (Gerusalemme: Makhon ha-Talmud ha-Yisraeli, 1970-87); ''Notes on Maimonides' Sefer ha-Mitsvot'', cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1981); ''Teshuvot ha-Ramban'', cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1975). Per gli effetti della ricostruzione dei testi originali in un nuovo contesto, cfr. B. Pesahim 105b e Rashbam, ''s.v.'' ''"ve-sadrana ’ana"'' Per un eccellente esempio contemporaneo di ricostruzione accademica e filosofica del pensiero di un teologo ebreo medievale, cfr. Lenn E. Goodman, cur., ''The Book of Theodicy: Translation and Commentary on the Book of Job by Saadiah ben Joseph Al-Fayyumi''.</ref> === Le ragioni dei Comandamenti === [[File:Ramban's Torah commentary - on an ancient Hebrew coin.png|240px|thumb|right|''Commentario alla Torah'': descrizione e commento del Ramban su un'antica moneta ebraica]] Scopriamo il centro della teologia di Nahmanide nella sua teoria dei comandamenti.<ref>Si veda il saggio classico di J. Perles, "Über den Geist des Commentar der Rabbi Moses ben Nachman zum Pentateuch", ''Monatschrift für Geschichte und Wissenschaft des Judenthums'' 8 (1858) 81.</ref> La necessità che il testo della Torah sia il più normativo possibile è il principale incentivo al ''[[w:Pardes|derash]]'', il metodo sviluppato dai rabbini per sbloccare il significato più profondo e più ampio del testo della Scrittura. Questo metodo è stato utilizzato per scoprire sia le norme più precise che regolano l'azione ([[w:Halakhah|Halakhah]]) sia le norme meno precise che guidano il pensiero ([[w:Haggadah|Aggadah]]).<ref>A differenza della Halakhah, le cui prescrizioni sono trasmesse o legiferate dalle autorità rabbiniche della comunità per la comunità (cfr. [[Maimonide]], ''Hilkhot Mamrim'', cap. 1), l'Aggadah è il suggerimento di un saggio individuale di ciò che secondo lui dovrebbe essere fatto al di là della Halakhah, specialmente nell'area della dottrina, dove ci sono poche regole halakhiche. L'Aggadah è normativa, non solo descrittiva (cfr. Y. Megillah 4.1/74d), ma non è legalmente vincolante (cfr. Y. Peah 2.6/10a; Y. Horayot 3.5/48c rif. {{passo biblico2|Ecclesiaste|6:2}}). Così si esorta: "Quando desideri conoscere Dio, studia l'Aggadah" (''Sifre: Devarim'', cur. Finkelstein, n. 49). La ricerca di Dio è obbligatoria, come risulta dal versetto su cui questo testo commenta: "...che io vi ordino di mettere in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le Sue vie e tenendovi stretti a Lui" ({{passo biblico2|Dt|11:22}}). Si veda [[Maimonide]], ''Shemonah Peraqim'', 5, ''ad init.''</ref> Inevitabilmente, la ricerca di norme più profonde e più ampie implica la ricerca degli scopi soggiacenti alla Torah, ''ta’amei ha-mitsvot'', le "ragioni dei comandamenti". Perché, se si vogliono ampliare i comandamenti, un'elaborazione ordinata richiede un certo senso delle finalità che il divino Legislatore intendeva da essi.<ref>La relazione tra ''[[w:Pardes|peshat]]'' (significato apparente) e ''[[w:Pardes|derash]]'' (significato esplicato) è sottile. Quindi il principio "La Scrittura parla del proprio tempo presente (''be-hoveh'')" è usato per spiegare perché certe cose sono menzionate in una legge particolare. Ma la legge non si limita a questi casi; piuttosto, gli elementi in questione sono visti come esempi di una classe generale che include un'infinità potenziale di altri casi. Quindi, quella che può sembrare un'affermazione dell'autosufficienza della ''peshat'' è in realtà una base per la ''derash'', una ricerca del principio alla base degli esempi. Si veda, ad esempio, M. Baba Kama 5.7; cfr. ''Enciclopedia Talmudit'' 6.553-55. Il principio rabbinico, "La Scrittura non si discosta dal suo significato apparente (''middei peshuto'')" non era inteso a precludere ''derash'' ma per darle una base. Cfr. B. Yevamot 24a e paralleli; ''Midrash Leqah Tov''. Vayetse, cur. S. Buber, 72b-73a; e David Weiss Halivni, ''Peshat and Derash: Plain and Applied Meaning in Rabbinic Exegesis'' (New York: Oxford University Press, 1991) 3 segg., 79 segg. Sul ruolo di ''ta‘amei ha-mitsvot'' nell'interpretazione normativa, cfr. I. Heinemann, ''Ta‘amei ha-Mitsvot be-Sifrut Yisrael'' (Gerusalemme: World Sionist Organization, 1949) 1.11 ss.</ref> In effetti, la ricerca delle ragioni dei comandamenti è una contropartita oggettiva dell'esigenza soggettiva che chi esegue un comandamento lo faccia con la giusta intenzione (''[[:en:w:kavanah|kavvanah]]''). ''Kavvanah'' opera su due livelli. La prima è l'intenzione di adempiere un comandamento divino; questo è chiamato ''kavvanah le-mitsvah''.<ref>Cfr. R. Israel Meir Ha-Kohen, ''Mishnah Berurah'' su ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4, n. 11.</ref> È perché l'intenzione a questo livello è generale che la stessa formula viene usata nella benedizione richiesta per l'adempimento dei comandamenti più positivi: "che ci ha santificato con i Suoi comandamenti e ci ha comandato di —." Ciò che si intende è obbedire alla volontà di Dio, indipendentemente dal comandamento specifico. Un livello più profondo di ''kavvanah'' fa riferimento allo scopo specifico di questo comandamento e si concentra su come ci si avvicina a Dio compiendo tale atto specifico. Questo è chiamato "l'intenzione del cuore", ''kavvanat ha-lev''.<ref>''Kavvanat ha-lev'' in questo senso si applicava originariamente solo al comandamento di recitare il primo versetto dello ''[[w:Shemà|Shemà]]'' e ''Shemonah Esreh''. Cfr. M. Berakhot 2.1; ''Sifre Devarim'', no. 41; cfr. David Weiss Halivni, ''Meqorot u-Mesorot'': Mo‘ed (Yoma - Hagigah) (Gerusalemme: Jewish Theological Seminary of America, 1975) 404-05. Ma col tempo ''kavvanat ha-lev'' divenne un ''desideratum'' per tutte le ''mitsvot''. Si veda specialmente Nahmanide, ''Notes on Maimonides’ Sefer ha-Mitsvot'', pos. no. 5.</ref> Richiede la nostra comprensione, per quanto limitata, della sapienza di Dio. È nel perseguire questa ''kavvanah'' più profonda che la ricerca delle ragioni dei comandamenti trova una motivazione più spirituale della pura curiosità intellettuale. È l'intenzione propria del cuore che distingue le autentiche azioni religiose da ciò che [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], proseguendo su un tema centrale di [[w:Bahya ibn Paquda|Bahya Ibn Paquda]], ha chiamato "religious behaviorism".<ref>Cfr. ''God in Search of Man'', 320ss. Cfr. Bahya ibn Pakuda, ''Hovot ha-Levavot'': Sha’ar ha-Ma’aseh, cap. 1ss.</ref> Così, quando mi chiedo perché la Torah abbia bisogno di un comandamento generale "Siate santi" ({{passo biblico2|Lev|19:2}}), in quanto tutti i comandamenti sono destinati a renderci santi, Nahmanide fa la sorprendente osservazione che uno può "essere un miserabile entro i parametri di ciò che la Torah permette" (''naval bi-rshut ha-Torah'').<ref>CT: Lev. 19:2/11, 115; cfr. CT: Deut. 27:26.</ref> La mera osservanza delle legalità non assicura di diventare una persona santa, che è lo scopo ultimo dei comandamenti. Nahmanide non sta sostenendo, naturalmente, che la santità può essere raggiunta senza osservare la Torah.<ref>Cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.387. Martin Buber, in ''Two Types of Faith'', 57, sostiene che la Halakhah è antitetica alla vera relazione Io-Tu tra uomo e Dio.</ref> Gli obblighi specifici della Legge sono indispensabili per l'adempimento umano che essa intende.<ref>Come precedente dell'opinione che la ricerca delle ragioni dei comandamenti dovrebbe condurre solo a una migliore osservanza degli stessi, non alla loro negligenza, cfr. Filone, ''De abrahamo'', 89-93.</ref> Tuttavia il requisito della ''kavvanah'' indica che la Torah riguarda molto di più rispetto all'osservazione comportamentale. Infatti, in questo particolare passo, Nahmanide mostra come l'intenzione della santità debba indurre a fare più di quanto la lettera della legge richieda. La teologia razionalista ebraica del Medioevo, soprattutto quando influenzata dalla teleologia aristotelica, fornì uno stimolo e un metodo alla ricerca delle ragioni dei comandamenti. Si presumeva che ci fossero sempre scopi sia in natura che nelle attività umane. Così [[Maimonide]] vedeva tutti i comandamenti come miranti al miglioramento del corpo e della società (''tiqqun ha-guf'') o al miglioramento dell'anima (''tiqqun ha-nefesh'').<ref>''Moreh Nevukhim'', 3.27.</ref> Nella terza sezione della sua ''[[Guida dei perplessi]]'', sostenne che le ragioni di tutti i comandamenti specifici potrebbero trovarsi sotto queste rubriche generali. Per quanto impressionante possa essere intellettualmente questo metodo di indagine, porta con sé alcuni pericoli religiosi. Ad esempio, nella ''Guida'' [[Maimonide]] sottolinea le condizioni sporche in cui vivono i maiali, rendendo il maiale un alimento non salutare per l'organismo.<ref>''Moreh'', 3.48.</ref> Ma lo stesso motivo potrebbe essere utilizzato per evitare il divieto, se si potesse dimostrare che è possibile allevare i maiali in modo igienico. Se il divieto risponde a un semplice bisogno naturale, quel bisogno potrebbe essere soddisfatto senza, per esempio, evitare la carne di maiale. Parimenti, quando la ragione di un comandamento è considerata il miglioramento dell'anima. Se, ad esempio, lo scopo del comandamento di studiare la Torah è quello di apprendere verità metafisiche che possono essere comprese, in linea di principio, da chiunque abbia probità morale e capacità intellettuale, cosa impedisce alla metafisica generale di sostituire lo studio della Torah quale più alta attività umana?<ref>Cfr. Maimonide, ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 4.13; ''Moreh'', 2.33; cfr. Menachem Kellner, ''Maimonides on Human Perfection'' (Atlanta: Scholars Press, 1990) per un resoconto della concezione tenuta da Maimonide sui tipi più elevati di attività umana che non si presta a un tale riduzionismo – o appropriazione indebita degli obiettivi di Maimonide.</ref> Maimonide chiaramente enfatizzava l'autorità dei comandamenti indipendentemente dall'apprensione delle loro ragioni.<ref>Cfr. ''Hilkhot Teshuvah'', 3.4: "Anche se suonare lo shofar a Rosh Hashanah è un decreto scritturale (''gezerat ha-katuv''), contiene un accenno (''remez'') della sua intenzione, vale a dire (''kelomar''): ‘Svegliatevi dormienti dal vostro sonno... esaminate le vostre azioni, ritornate in penitenza, e ricordate il vostro Creatore!’"</ref> Tuttavia, c'erano preoccupazioni religiose circa la trascuratezza pratica dei comandamenti a cui il suo approccio filosofico poteva prestarsi. Tali preoccupazioni in effetti portarono i rabbini della Francia settentrionale a vietare lo studio degli scritti teologici di Maimonide. La "Controversia maimonidea" che ne seguì giunse al culmine nel 1232, il mondo rabbinico apparentemente polarizzato tra pro e anti-maimonisti.<ref>Cfr. J. Sarachek, ''Faith and Reason: The Conflict Over the Rationalism of Maimonides'' (New York: Hermon, 1970) 75ss., 84-85, 116ss.</ref> Il trentottenne Nahmanide, già un'autorità halakhica rispettata in tutti i quartieri del mondo ebraico, tentò un compromesso. Sebbene egli stesso fosse preoccupato per i pericoli di un approccio filosofico ai comandamenti, Nahmanide difese Maimonide, sostenendo che la sua teologia razionalista non era destinata alle masse di ebrei fedeli, ma solo a coloro che erano stati esposti alla filosofia e quindi richiedevano giustificazioni filosofiche come condizione della propria stabilità religiosa.<ref>Cfr. C. B. Chavel, ''Rabbenu Mosheh ben Nahman'' (Gersualemme: Mosad Harav Kook, 1967) 120ss.</ref> Nahmanide era chiaramente d'accordo con Maimonide che ci sono ragioni per tutti i comandamenti. Differiva da lui, e da tutti gli altri teologi ebrei razionalisti, nella sua insistenza sul fatto che le ragioni dei comandamenti non sono fondate sulla metafisica ma su fatti unicamente ebraici.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}}. Per la classificazione delle ''mitsvot'' da parte di Nahmanide, cfr. C. Henoch, ''Ha-Ramban ke-Hoqer u-Mequbbal'' (Gerusalemme: Harry Fischel Institute, 1978) 337ss.</ref> Il progetto di suscitare questi fondamenti è portato avanti in tutti i suoi scritti e diventa il tema principale del suo coronamento, il ''Commenarito alla Torah'', che iniziò in Spagna prima del suo esilio e completò non molto tempo prima della sua morte in [[w:Terra di Israele|Terra d'Israele]] nel 1270. === Comandamenti basati sulla natura e sulla ragione === [[File:Ramban1.jpg|240px|thumb|right|Il [[w:Talmud|Talmud]] di Nahmanide]] Alcuni studiosi hanno ipotizzato che l'opposizione di Nahmanide alla metafisica greca, in particolare a quella di Aristotele, significhi che non poteva accettare la realtà di alcun ordine naturale. Poiché le idee di ordine naturale e ragione umana universalmente valida sono correlative, sembrerebbe che il rifiuto della natura porti immediatamente al rifiuto della ragione. Quindi si conclude che Nahmanide fosse un "anti-razionalista".<ref>Cfr. per es., Solomon Schechter, "Nachmanides", ''Studies in Judaism'' (New York: Macmillan, 1896) 1.119-20.</ref> Ma Nahmanide non rifiutò un ordine naturale o una ragione umana universale.<ref>Cfr. David Berger, "Miracles and the Natural Order in Nahmanides" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 101ss.</ref> Ciò che rifiutò fu l'assunto di alcuni teologi che la natura/ragione debba essere costituita secondo le categorie di Aristotele. La sua principale obiezione ad Aristotele e ai suoi seguaci ebrei era che presumevano che l'ordine naturale fosse onnicomprensivo e che la ragione universale fosse sufficiente per la nostra conoscenza di tutte le cose, incluso Dio. Aristotele e gli aristotelici ebrei sembravano non lasciare spazio alla creazione o alla rivelazione, almeno per come Nahmanide intendeva queste dottrine. Per Nahmanide, il rifiuto della metafisica aristotelica non portava al rifiuto della natura o all'antirazionalismo, ma a una concezione più circoscritta della portata della natura e della portata della ragione. In qualche modo Nahmanide era più razionalista di Maimonide. Operando entro un raggio più limitato, poteva dimostrare più facilmente la verità delle affermazioni della ragione. Questa differenza è notevole per quanto riguarda i comandamenti che regolano le relazioni interumane (''bayn adam le-havero''). I vantaggi dell'approccio di Nahmanide sono evidenti, ad esempio, se confrontiamo il suo trattamento dei [[w:Noachismo|Sette Comandamenti di Noè]] con quello di Maimonide. I comandamenti noachici sono quelle leggi che i rabbini consideravano vincolanti per tutta l'umanità, i "figli di Noè".<ref>T. Avodah Zarah 8.4; B. Sanhedrin 56a-b.</ref> Queste leggi, che proibiscono l'omicidio, l'incesto e la rapina, tra gli altri crimini, sono riconosciute praticamente in tutte le società e sono prontamente viste come requisiti della ragione. Molti teologi ebrei li chiamano comandamenti razionali (''mitsvot sikhliyot'').<ref>Cfr. Saadiah Gaon, ''ED'', 9.2 rif. {{passo biblico2|Genesi|2:16}}.</ref> Appartengono a ciò che i pensatori ebrei successivi (seguendo i filosofi [[w:stoicismo|stoici]] e [[w:cristianesimo|cristiani]]) identificarono come legge naturale.<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer ha-'Iqqarim'', 1.1.</ref> In un famoso brano della ''[[Mishneh Torah]]'', Maimonide afferma che chiunque accetti queste leggi solo a forza della ragione ordinaria (''hekhrea ha-da‘at'') non è ritenuto degno della beatitudine del mondo a venire, in cui "ai pii delle nazioni del mondo" è assicurata una porzione.<ref>''Hilkhot Melakhim'', 8.11.</ref> Nel suo precedente ''Commentario alla Mishnah'', Maimonide sembra respingere il concetto stesso di "comandamenti razionali".<ref>''Shemonah Peraqim'', 6; cfr. ''Commentario alla Mishnah'', Berakhot 5.3.</ref> Alcuni studiosi vedono in questi due passi un rifiuto di qualsiasi moralità da legge naturale. Ma si può argomentare meglio che Maimonide stava in realtà rifiutando solo una moralità da legge naturale non fondata su un'adeguata comprensione della vera costituzione metafisica della natura. Stava rifiutando la solidità religiosa (sebbene non, forse, l'utilità politica) delle norme scoperte o inventate dalla prudenza piuttosto che dall'intuizione di Dio e dell'universo. Secondo questo approccio, l'unica moralità veramente adeguata è quella i cui fondamenti metafisici sono sani e propriamente compresi, e l'unica metafisica veramente efficace è quella le cui conseguenze morali sono sane e propriamente comprese. Per Maimonide esiste una forte connessione razionale tra metafisica e morale.<ref>Per la necessità della metafisica nella morale, cfr. ''Moreh'', 2.40, 3.27; per la necessità della metafisica da parte della morale, 3.54.</ref> La metafisica è il fondamento più profondo della moralità. È ciò che rende la moralità naturale piuttosto che una mera legislazione umana. E la moralità è il frutto più utile della metafisica. Senza moralità, la metafisica non ha alcuna influenza pratica o politica. Senza metafisica, la morale non ha fondamento universale. Quindi, secondo Maimonide, la metafisica è più che solo teorica; e la moralità è più che pratica. I due sono legati dalla ragione, e quindi scopribili l'uno dall'altro mediante un uso corretto della ragione. Nahmanide non vedeva alcuna connessione razionale tra metafisica e moralità. In effetti, la sua teologia non lascia quasi spazio alla metafisica. Le verità più profonde sull'universo si raggiungono solo attraverso la rivelazione. Le norme morali evidenti alla ragione sono quelle richieste da qualsiasi società per soddisfare i bisogni fondamentali dei suoi membri per un ordine giusto e stabile. In definitiva, naturalmente, una tale moralità deve essere inclusa nella legge rivelata. Ma la rivelazione arriva in momenti storici unici, non attraverso processi naturali costanti, quindi non può funzionare come base razionale per la moralità. La rivelazione non è, come la ragione, la scoperta dell'ordine costante dell'universo. Quindi la ragione, per Nahmanide, non può colmare il divario tra rivelazione e moralità, come può colmare il divario tra metafisica e moralità secondo [[Maimonide]]. Tuttavia, come risultato di questa scissione della metafisica dalla moralità, la razionalità della moralità naturale è accresciuta, non diminuita nella teologia di Nahmanide. Maimonide sembra richiedere una profonda intuizione metafisica prima che le verità morali più elementari acquisiscano il loro pieno significato. Per Nahmanide, qualunque moralità gli esseri umani possano imparare da soli è nota molto più direttamente. Per cui Nahmanide commenta, abbastanza tipicamente: {{citazione|La violenza è rapina e oppressione... perché la violenza è un peccato, come è noto e universalmente accettato (''ve-ha-mefursam'')... il motivo è che il suo divieto è un obbligo razionale (''mitsvah muskelet''), per il quale non c'è bisogno che un profeta dia un comandamento.<ref>CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - 1, 52. Cfr. CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}}. Per l'uso da parte di Nahmanides del termine ''mitsvot sikhliyot'', si veda KR: Commentario su Giobbe, 1:1, I, 26; ''Torat ha-Shem Temimah'', KR I, 173.</ref>}} Nahmanide accetta la legittimità del diritto naturale a livello interumano. Ma tale moralità e rivelazione non si trovano sullo stesso piano. La moralità viene ''dagli'' umani (almeno nelle sue manifestazioni più elementari). La rivelazione arriva ''a'' loro. Prima del Sinai, sostiene Nahmanide: {{citazione|Troverete che i patriarchi e i profeti si sono comportati in maniera evidentemente morale (''derekh ‘erets'')... e con inferenza ''a fortiori'', se i patriarchi e i profeti venuti a fare la volontà di Dio si sono comportati in modo evidentemente morale, quanto tanto più dovrebbe fare la gente comune!<ref>CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} 1.334.28. Maimonide sembra avere un'opinione simile in ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7.5.</ref>}} La moralità stessa non conduce alla rivelazione, sebbene ne sia una precondizione. La morale non anticipa in alcun dettaglio né l'evento della rivelazione né il suo ricco contenuto. === Commandmenti basati sulla Storia === {{Doppia immagine verticale|right|Commentary on Pentateuch Pesaro-Soncino 1513.jpg|Sefer Torat Ha-Adam Costantinople 1518.jpg|240|''Commentario al Pentateuco'' del Ramban – Soncino (Pesaro 1513)|''Sefer Torat Ha-Adam '' del Ramban – Costantinopoli (1518)}} Quei comandamenti le cui ragioni sembrano evidenti sono chiamati ''mishpatim'', "giudizi". Il loro ''locus'' è il rapporto tra gli esseri umani nella vita quotidiana. Ma per Nahmanide il regno della natura (compresa la nostra natura politica) non è dove si trova la vera relazione tra Dio e gli esseri umani. La natura, come concepita filosoficamente o scientificamente, è un ordine costante; non ammette innovazione. Ma il fatto più elementare su Dio che deve essere riconosciuto dalle Sue creature è che Dio è il Creatore; l'universo è il risultato del Suo atto assolutamente libero. Dio può intervenire nel Suo universo in qualsiasi momento, indipendentemente dall'ordine familiare della natura. Quell'ordine è solo ''usuale''. Non ha alcuna necessità intrinseca o inerente. Questo punto antimetafisico, fatto da Nahmanide nel XIII secolo, fu fatto da [[w:David Hume|David Hume]] con un intento diverso nel diciottesimo.<ref>"The custom operates before we have time for reflexion... much more without forming any principle concerning it, or reasoning upon that principle." David Hume, ''A Treatise of Human Nature'', 1.3.8, cur. L. A. Selby-Bigge (Oxford: Clarendon Press, 1888) 104. Per il contesto islamico, cfr. L. E. Goodman, "Did al-Ghazali Deny Causality", ''Studia Islamica'' 47 (1978) 83-120.</ref> È per insegnarci che l'ordine naturale non ha alcuna necessità ultima che la Torah ponga tale accento sui miracoli. Perché è attraverso i miracoli, specialmente quelli di tipo spettacolare (''nissim mefursamim''), che Dio dimostra la Sua potenza sull'universo che ha creato.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|13:2}}.</ref> Tuttavia, questi miracoli spettacolari sono avvenuti secoli fa, e anche allora sono stati eseguiti raramente. Che legame ha l'ebreo ordinario con eventi così grandiosi? In che modo diventano un'esperienza personale e quindi impartiscono un apprezzamento del potere creativo e della provvidenza di Dio? Nahmanide vede la soluzione della Torah a questo problema in quei comandamenti chiamati ''‘edot'', "testimonianze", comandamenti basati sulla storia. Glossando il comandamento che l'Esodo "sarà un segno sulla tua mano, sarà un ornamento fra i tuoi occhi, per ricordare che con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto" ({{passo biblico2|Esodo|13:16}}), che la tradizione rabbinica vedeva come un obbligo di indossare regolarmente i [[w:tefillin|tefillin]], Nahmanide scrive: {{citazione|Ciò è perché Dio non compie un segno (''‘ot'') e una dimostrazione (''mofet'') in ogni generazione, per essere visto da ogni malfattore e negatore (''kofer''). Piuttosto, ci comanda continuamente di compiere un memoriale (''zikaron'') e un segno di ciò che i nostri occhi hanno visto.<ref>CT: {{passo biblico2|Esodo|13:16}} - 1 , 346.</ref>}} Nahmanide qui esprime una visione partecipativa della storia. Questa prospettiva, che spesso ribadisce, contrasta nettamente con la visione più familiare e illustrativa della storia. Le nostre scienze sociali, modellandosi sulle scienze naturali, in genere cercano regolarità nel comportamento umano e tentano di vedere tutti gli eventi come esempi di processi costanti. La storia diventa così una raccolta di dati del passato per ampliare il numero di esempi che illustrano vari principi specifici. L'interesse per il passato è governato dagli interessi del presente e dalla loro proiezione nel futuro.<ref>Cfr. W. H. Walsh, ''An Introduction to Philosophy of History'' (Londra: Hutchinson, 1967) 63ss.</ref> La visione della storia concepita da Nahmanide riflette un presupposto molto più antico. La vita umana nel presente, compresi tutti i normali processi del comportamento umano, trae il suo significato dai grandi eventi del passato. Il compito della storia non è incorporare gli eventi del passato in schemi perenni discernibili nel presente e proiettati nel futuro, ma vedere i processi del presente come segni e simboli dei grandi eventi del passato.<ref>Cfr. Mircea Eliade, ''The Sacred and the Profane: The Nature of Religion'' (New York: Harper and Row, 1961) 106-07.</ref> Per gli ebrei, questa incorporazione del presente nel passato è funzione di quei comandamenti che simbolicamente rievocano i grandi (e rari) eventi passati. Sottolineando la nostra partecipazione simbolica ai grandi eventi in cui Dio si è manifestato in modo così potente al popolo di Israele, Nahmanide indica che questa partecipazione non è solo vissuta passivamente. Richiede la determinazione ad agire con apertura alla presenza divina quando e dove si è rivelata. Dio non compie i suoi potenti atti di routine, per timore che diventiamo spettatori passivi piuttosto che partecipanti attivi. Per coloro che negano la potenza provvidenziale di Dio, anche l'esecuzione regolare di miracoli e segni sarebbe sprecata. L'ostinazione bloccherebbe il loro messaggio.<ref>Cfr. CT: {{passo biblico2|Genesi|14:10}}; e l'eccellente trattamento da parte di Y. Silman delle opinioni di Halevi sulla rivelazione e sulla storia, ''Bayn Filosof le-Navi'' (Ramat-Gan: Bar-Ilan University Press, 1985) 161ss., 216ss.</ref> Ma, per coloro che hanno una sottostante propensione alla fede, l'attivazione di tale propensione richiede una partecipazione simbolica. È con tali temi in mente che Nahmanide scrive del "processo" di Abramo, sottolineando l'importanza dell'azione piuttosto che della mera buona volontà passiva: {{citazione|Un processo (''nisayon'') è chiamato con questo nome a causa di colui che è stato processato. Ma colui che lo processa, che Egli sia esaltato, lo comanda per portare la materia dalla potenzialità all'attualità, affinché colui che è processato possa ricevere la ricompensa che l'azione merita, non soltanto la ricompensa perché ha un buon cuore... e così in effetti accade con tutte le prove nella Torah. Sono per il bene di colui che è processato.|CT: {{passo biblico2|Genesi|22:1}}, I - 125-26}} Come i comandamenti basati sulla natura (''mishpatim''), i comandamenti basati sulla storia (''‘edot'') soddisfano i bisogni umani. I ''mishpatim'' soddisfano i bisogni degli esseri umani nelle loro relazioni reciproche nella società; gli ''‘edot'' soddisfano i bisogni degli umani nel loro rapporto con Dio nella storia.<ref>Per questa duplice teleologia delle ''mitsvot'', cfr. CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|22:6}}.</ref> La gente comune ha bisogno di partecipare all'esperienza degli spettacolari miracoli pubblici della storia, sia direttamente che simbolicamente, per apprezzare la trascendenza di Dio dall'ordine naturale e la loro propria capacità di trascenderla, anche se solo parzialmente. Tra i predecessori di Nahmanide, la sua visione piuttosto empirica della natura si avvicina di più a quella di [[w:Saadya Gaon|Saadya Gaon]] (m. 942). La sua visione della storia e del suo significato si avvicina di più a quella di [[w:Yehuda Ha-Levi|Yehuda Ha-Levi]] (m. 1141), di cui riconobbe l'influenza.<ref>Cfr. CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|11:22}}.</ref> === Comandamenti metasociali/metastorici e la Cabala === {{Doppia immagine verticale|right|Nahmanides Commentary - herly 5504.JPG|Nahmanides Commentary -.JPG|240|''Commentario alla Torah'' del Ramban – Manoscritto Harley 5504, [[w:British Museum|British Museum]] (XV sec.)|''Commentario alla Torah'' del Ramban – Manoscritto Harley 5703 (Margaliot Manuscript 208), [[w:British Museum|British Museum]]}} I comandamenti della Torah designati come ''[[w:Chuqqim|huqqim]]'', "statuti", hanno sempre posto una sfida speciale a coloro che si impegnano a ritenere che tutti i comandamenti della Torah abbiano ragioni. Poiché questi comandamenti sembrano essere espressioni arbitrarie della volontà di Dio. Come ha affermato un ''[[w:midrash|midrash]]'' seminale, Dio in effetti dice al popolo d'Israele: "Ho emanato uno statuto (''huqqah haqqaqti''), ho decretato un decreto (''gezerah gazarti''), e non ti è permesso trasgredire i miei decreti!"<ref>''Bemidbar Rabbah'' 19.1; cfr. ''Midrash Leqah Tov: Huqqat'', 119b.</ref> Ciò è affermato nel contesto di una discussione sull'istituzione nella Torah generalmente riconosciuta come la più enigmatica, il [[:en:w:Red heifer|rito della giovenca rossa]] ({{passo biblico2|Numeri|19:1-22}}).<ref>La '''giovenca rossa''' o '''vacca rossa''' (פרה אדומה - ''parah adumah'') era un sacrificio citato nella Bibbia ebraica, le cui ceneri erano usate per un rituale di purificazione di antichi israeliti che erano venuti in contatto con un cadavere. L'esistenza di una giovenca rossa che sia conforme a tutte le rigide regole e requisiti imposti dalla Halakhah, è un'anomalia biologica: l'animale deve essere interamente di un solo colore ed i rabbini eseguivano una serie di test per assicurarsi, tra l'altro, che il pelo della vacca fosse completamente liscio (per accertarsi con non fosse stata sottoposta al giogo, il che l'avrebbe squalificata). Mosè, il maggiore dei profeti, conobbe il mistero del significato della giovenca rossa. Secondo una tradizione ebraica, solo nove giovenche furono macellate dal periodo che inizia da Mosè e finisce alla distruzione del Secondo Tempio. L'assoluta rarità dell'animale, insieme al rispettivo rituale, attribuisce alla giovenca rossa un'importanza particolare nella tradizione ebraica: è infatti citata come esempio basilare di un ''[[w:Chuqqim|khok]]'', o come già definito supra, una legge biblica per la quale non esiste logica apparente e quindi è considerata di assoluta origine divina. Poiché lo stato di purezza rituale ottenuto attraverso la cenere di una giovenca rossa è un prerequisito necessario per la partecipazione al servizio del Tempio, in tempi moderni sono stati compiuti sforzi da parte di ebrei, che desiderano una purezza rituale biblica e in previsione della costruzione del futuro Terzo Tempio, per individuare una giovenca rossa e ricreare il citato rituale.</ref> Tuttavia, il ''midrash'' qui sembra considerare il rituale come paradigmatico di tutti i comandamenti della Torah. Un altro ''midrash'' sembra similmente generalizzare dal modello degli ''huqqim'' e annunciare che tutti i comandamenti furono dati solo per testare l'accettazione umana della volontà di Dio:<ref>''Bereshit Rabbah'' 44.1 e paralleli; cfr. il trattamento da parte di [[Maimonide]] di questo testo rabbinico in ''Moreh'', 3.26.</ref> I rabbini raffigurano Satana e le nazioni del mondo che insultano il popolo ebraico per la loro tenace fedeltà a questi comandamenti misteriosi.<ref>''Sifra: Aharei Mot'', cur. Weiss, 86a; ''B. Yoma'' 67b. Per ulteriori elaborazioni di questo tema ''"facio quia absurdum"'' nella teologia medievale aschenazita, cfr. D. Berger, ''Jewish-Christian Debate'' (Philadelphia: JPS, 1979) 356-57.</ref> Tali brani pongono chiaramente l'onere della prova su coloro che affermano che tutti i comandamenti della Torah hanno ragioni, per quanto oscure. I razionalisti sono sfidati a suggerire almeno alcune ragioni plausibili per gli ''huqqim'' più problematici, altrimenti riconoscano che tutti i comandamenti sono essenzialmente decreti divini e che anche quando sembrano esserci ragioni, queste sono nella migliore delle ipotesi supposizioni o principi, piuttosto che fondamenti primari del vero intento di Dio. Ma Maimonide e Nahmanide, entrambi impegnati nella tesi che ci sono ragioni per tutti i comandamenti, svilupparono i propri mezzi distintivi per spiegare i comandamenti più difficili della Torah. È a questo livello di sfida esegetica che le loro differenze teologiche fondamentali diventano più evidenti. In effetti, è sullo sfondo del trattamento di Maimonide di questi comandamenti che la posizione di Nahmanide emerge più chiaramente dal contrasto. Per [[Maimonide]], la verità e la bontà si scoprono attraverso le scienze politiche, le scienze fisiche o la metafisica.<ref>Cfr. ''Hilkhot Talmud Torah'', 1.11-12; ''Moreh'', Introduzione.</ref> La sua teologia attribuisce il primato a quei comandamenti i cui scopi sono più evidenti alla ragione umana: quelli che ordinano la società al bene (''mishpatim'') o la mente al vero (''de‘ot''). I comandamenti storici (''‘edot'') sono inseriti in questo contesto basilare. Così l'osservanza dello [[w:Shabbat|Shabbat]] e delle [[w:festività ebraiche|festività]] serve allo scopo politico di promuovere la comunione attraverso il tempo libero e la celebrazione comuni, e lo scopo intellettuale di segnalare le verità sulla creazione del cosmo.<ref>''Moreh'', 3.43.</ref> La storia, in quanto ''locus'' della rivelazione di Dio attraverso eventi unici, non è un considerazione immediata. Così, ad esempio, lo Shabbat è istituito per ricordare che "sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso" ({{passo biblico2|Dt|5:15}}). Ma Maimonide sottolinea il significato universale dello Shabbat: praticamente nel soddisfare il bisogno fisico di riposo; intellettualmente, nel soddisfare il bisogno spirituale di affermare la creazione dell'universo da parte di Dio.<ref>Cfr. specialmenrte ''Moreh'' 2.31. I rabbini talmudici, al contrario, sottolineavano il significato unicamente ebraico dello Shabbat. Cfr. ''B. Sanhedrin'' 58b rif. {{passo biblico2|Genesi|8:22}}; ''Devarim Kabbah'' 1.18 rif. {{passo biblico2|Esodo|31:17}}.</ref> Maimonide invoca la storia quando spiega alcuni degli ''huqqim''. Li vede come reazioni all'idolatria nei tempi antichi.<ref>''Moreh'', 3.37.</ref> Pertanto, adduce due ragioni per il divieto di mangiare carne cotta nel latte. In primo luogo, sostiene che l'alto contenuto di grassi di tali alimenti non è salutare. In secondo luogo, ipotizza che cucinare un capretto nel latte materno possa essere stato un rito pagano che la Torah non voleva che gli israeliti imitassero in alcun modo.<ref>''Moreh'', 3.48. Cfr. ''Hilkhot Ma’akhalot Assurot'', 17.29-31; anche, ''Hilkhot De’ot'', 3.3 rif. ''Mishnah Avot'' 2.2.</ref> Quanto alla domanda sul perché una reazione a un rito pagano scomparso dovesse rimanere normativa, va ricordato che Maimonide considerava perenne la propensione all'idolatria. Così anche i divieti di particolari manifestazioni temporali dell'idolatria servono ancora a sottolineare l'importanza della diligenza perpetua contro questa malattia spirituale sempre virulenta.<ref>Cfr. per es., ''Moreh'', 1.36; 3.29.</ref> Per Maimonide, quindi, i comandamenti razionalmente evidenti sono primari; i comandamenti esplicitamente storici sono, in effetti, deistorizzati; e i misteriosi ''huqqim'' sono visti come reazioni a circostanze storiche. Nel suo ordinamento dei comandamenti, sembrerebbe che i ''mishpatim'' (politici e intellettuali) siano i primi, gli ''‘edot'' secondi e gli ''huqqim'' terzi per importanza. Per Nahmanide, l'ordine sembra essere diametralmente invertito. I ''mishpatim'' sono meno importanti, proprio perché sono i più universali. Gli ''‘edot'' sono importanti, perché sono distintivi. E gli ''huqqim'' sono i più importanti, poiché sono i più distintivi di tutti e santificati dal loro stesso mistero. Pertanto, nello spiegare gli ''huqqim'', Nahmanide invoca ciò che ritiene il vero, più profondo insegnamento della Torah: la ''[[w:Cabala ebraica|Cabala]]''. La sua dipendenza dalla Cabala è stata a lungo oggetto di dibattito. Alcuni studiosi di un cast altamente tradizionale credono che lo ''[[Zohar]]'' sia letteralmente l'opera del [[w:Tannaim|Tanna]] [[w:Shimon bar Yohai|Shimon bar Yohai]] del II secolo. Sostengono che il testo fosse conosciuto immemorabilmente e tramandato ermeticamente da una piccola élite per mille anni prima della sua pubblicazione alla fine del XIII secolo. Tali studiosi pensano che l'invocazione della Cabala da parte di Nahmanide sia altamente selettiva. Sostengono che nella sua teologia cabalistica ci sia molto di più di quanto egli abbia rivelato nei suoi scritti.<ref>Cfr. per es., J. Even-Chen, ''Ha-Ramban'' (Gerusalemme: Ginzekha Rishonim Le-Tsiyon, 1976) 61ss. L'idea che Nahmanide avesse un sistema cabalistico completo e in gran parte segreto era apparentemente sostenuta anche dai suoi contemporanei che trovavano il suo cabalismo eccessivo. Si veda R. Isaac bar Sheshet Parfat, ''Teshuvot ha-Ribash'', no. 157. Per una discussione critica moderna sel cabalismo di Nahmanide, cfr. Gershom Scholem, ''Ha-Kabbalah be-Gerona'', 73ss., e ''Origins of the Kabbalah'', 384; M. Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 254.</ref> I cabalisti spesso affermano che la natura esoterica della Cabala richiede tale moderazione. Ma anche questo punto di vista non spiega perché Nahmanide invochi dottrine cabalistiche quando e dove lo fa — perché ciò che è stato rivelato ai cabalisti sia più frequentemente usato per spiegare le ragioni degli ''huqqim''. La maggior parte degli studiosi moderni accetta il punto di vista di [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]] secondo cui lo ''[[Zohar]]'' è in gran parte opera del rabbino [[w:Moses de León|Moses de León]], che scrisse dopo Nahmanide e fu influenzato da lui.<ref>Cfr. ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 173.</ref> Essi attribuiscono le sporadiche invocazioni della Cabala da parte di Nahmanide alla natura ancora non sistematica della tradizione e considerano de Leon e i suoi successori i veri sistematizzatori.<ref>Cfr. M. Idel, "We Have No Kabbalistic Tradition on This" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 63ss.</ref> Non ci sono prove che il cabalismo di Nahmanide fosse sistematico.<ref>Cfr. Scholem, ''Ha-Kabbalah be-Gerona'', 66; Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 215.</ref> A differenza dei cabalisti successivi, da de Leon in poi, Nahmanide non tentò mai di spiegare tutto nella Torah alla luce della Cabala. A differenza della maggior parte di loro, assumeva regolarmente la realtà della natura e della storia nello spiegare i comandamenti e gli eventi nella Torah. In effetti, come abbiamo visto, il suo uso della natura nello spiegare il ''mishpatim'' si avvicina alla teoria dei comandamenti razionali di Saadyah Gaon, e nel suo uso della storia nello spiegare gli ''‘edot'' segue la concezione di eventi unici di Yehuda Ha-Levi. Lo ''Zohar'', al contrario, non ammette effettivamente un reame della natura o un reame della storia. Ci vogliono tutte le relazioni che siano interne alla vita di Dio.<ref>Cfr. per es., ''Zohar: Aharei-Mot''3:73a.</ref> Lo spazio e il tempo sono irreali. Non c'è storia, non c'è natura, nel senso di un ordine creato duraturo, risultante da un atto divino unico.<ref>Cfr. Saadyah Gaon, ''ED'', 1.2, 4.</ref> La creazione di Dio non è più transitiva, il suo oggetto non è chiaramente distinto dal suo soggetto. Per i cabalisti post-nahmanideani, l'unica realtà separata da Dio è demoniaca (letteralmente, ''sitra ahra'', "l'altra parte"). La relazione con questo equivale all'annientamento.<ref>Cfr. Gershom Scholem, ''On the Kabbalah and Its Symbolism'', 145; ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 177-78.</ref> Così lo ''Zohar'' tratta i [[w:Noachismo|Sette comandamenti noachici]] non come requisiti razionali delle relazioni interumane, ma come proibizioni finali della separazione dalla vita divina.<ref>''Zohar: Bereshit'', 1:36a. Cfr. Menahem Recanti, ''Commentary on the Torah: Gen. 2:16 and 8:21''. Approcci razionalisti e cabalistici alle Leggi noachiche sono congiunte in Judah Loewe (Maharal), ''Gevurot ha-Shem'' (Cracow, 1582) cap. 66.</ref> Le loro specifiche dimensioni interumane diventano accessorie, incidentali. Il cabalismo zoharico non lascia spazio al razionalismo saadiano che Nahmanide usò per costituire la legge naturale delle relazioni interumane. Infatti tale razionalismo presuppone lo spazio creato al di fuori di Dio, risultato della creazione generata da Dio come atto transitivo.<ref>Cfr. Gershom Scholem, "Schopfung aus Nichts und Selbstverschrankung Gottes", ''Eranos Jahrbuch'' 25 (1956) 108ss.</ref> Anche la storia presuppone una distinzione essenziale tra spazio e tempo.<ref>Seguendo la visione haleviaan/nahmanideana della storia secondo, Judah Loewe (Maharal) distingue tra tempo fisico (''zeman'') e tempo storico (''sha‘ah, rega‘''). Cfr. ''Gevurot ha-Shem'', sez. 2. Cfr. L. E. Goodman, "Time, Creation and the Mirror of Narcissus", ''Philosophy East and West'' 42 (1992).</ref> Nell'idea di natura, spazio e tempo sono legati. Ma l'idea di libertà esige la loro separazione, perché tutto non sia determinato. Quando il tempo è visto come distinto dallo spazio, si apre al futuro quale orizzonte di azioni non determinate da ciò che già è. Questa apertura è cruciale per l'emergere della responsabilità personale. Nella visione della storia da parte di Nahmanide, come in quella di Halevi, la storia è un incontro tra Dio e le Sue creature.<ref>Cfr. ''Kuzari'', 1.67; 5.20.</ref> La relazione è libera da parte di Dio perché non è determinata dall'ordine naturale. I miracoli di Dio ricapitolano il libero atto originario della creazione e riaffermano la trascendenza di Dio. E la relazione è libera da parte degli esseri umani, perché la nostra risposta alla presenza di Dio non è determinata dalla natura. Rispondendo alle azioni sante di Dio, possiamo scegliere di compiere opere sante. La santità trascende ciò che è già stato fatto. Quindi la storia è una storia di eventi piuttosto che la registrazione di processi inevitabili. La sua traiettoria è verso il culmine in un Mondo a venire trascendente. Questo reame non è una realtà eterna già presente parallelamente alla natura per Nahmanide, come lo è per Maimonide. Piuttosto si trova nel futuro. Sarà completamente nuovo.<ref>Cfr. ''Torat ha-Adam: Sha'ar ha-Gemul''/''KR'' II, 302. Cfr. Maimonide, ''Hilkhot Teshuvah'', 8.8 e nota del Rabad ''ad loc.''</ref> La libertà storicamente costituita, quindi, è un potere transitivo, indeterminato, condiviso da Dio e dall'umanità, sebbene la libertà del Creatore non sia vincolata come quella delle creature. La nostra osservanza dei comandamenti è quasi sempre delimitata entro limiti naturali, a differenza del compimento di miracoli da parte di Dio.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Numeri|1:45}} rif. ''B. Pesahim'' 64b.</ref> Quindi la libertà divina e umana interagiscono nel rapporto di alleanza, ma non in modo simmetrico. Dio conserva sempre la sua illimitatezza. L'uomo è sempre limitato. Senza una qualche struttura, tuttavia, la libertà divina sarebbe mero capriccio; a maggior ragione la libertà umana. Il capriccio è libertà che non intende relazione. [[File:Hiddushei ha-Torah Lisbon 1489.jpg|240px|right|thumb|Pagina dello ''Hiddushei ha-Torah'' di Nahmanide, stampato a Lisbona da Eliezer Toledano nel 1489]] Le alternative a questa terrificante possibilità sono di costituire un reame della storia [[w:Alleanza (Bibbia)|pattizia]] tra Dio e l'uomo, o di costituire una natura in Dio, in cui gli esseri umani possono essere incorporati. I cabalisti successivi scelsero la seconda opzione. Ma di conseguenza, la spontaneità e la libertà andarono rapidamente perse. Il determinismo della natura era ora proiettato nella stessa divinità. I miracoli divennero eventi determinati da questa natura superiore e implicita.<ref>Cfr., ad esempio, Menahem Recanti, ''Commentary on the Torah'': {{passo biblico2|Esodo|29:1}} e {{passo biblico2|Levitico|26:3}} (Venezia, 1523), dove parla della causalità "naturale" (= necessaria) dei comandamenti (''teva kol mitsvah u-mitsvah''), cioè, nel vero reame divino, non nel reame fisico illusorio e separato. Inoltre, si veda il suo commento su {{passo biblico2|Esodo|34:6}}, dove gli atti divini transitivi diventano proprietà divine interiori (cfr. ''B. Shabbat'' 133b). Per la stessa idea di natura divina nel pensiero di un mistico ebreo moderno profondamente indebitato con la Cabala, si veda Abraham Isaac Kook, ''‘Orot Ha-Qodesh'', cur. D. Cohen (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1963) I, 143-44. Inoltre, cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 453; anche, Berger, "Miracles and the Natural Order in Nahmanides", 121. Cfr. Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 102.</ref> Il bene umano divenne sempre più un prodotto del potere causale divino,<ref>Cfr. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'' 1.3ss.</ref> e il male umano sempre più frutto del potere generalizzato del demoniaco piuttosto che di specifiche scelte umane.<ref>Cfr. Tishby, 1.287ss.</ref> Nahmanide non si accontenta di un simile risultato. Il suo metodo eclettico gli permette di cambiare ripetutamente il suo terreno teologico. A volte individua il rapporto divino-umano tra Dio e l'uomo. Altre volte, soprattutto quando spiega gli ''huqqim'', individua la relazione all'interno della divinità. Questo spostamento ci impedisce di ricostruire una teologia coerente e sistematica per Nahmanide, come si può fare per Saadyah, Maimonide o lo ''[[Zohar]]''. Tuttavia l'uso della Cabala da parte di Nahmanide è coerente con il profondo conservatorismo dei suoi scritti halakhici e teologici.<ref>Si veda il suo "Introduzione alle Note sull'Enumerazione dei Comandamenti", ''KR'' I, 420; anche, Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 389.</ref> Perché le verità più elevate della Cabala, invocate come spiegazioni degli ''huqqim'', non rappresentano una vera minaccia per la natura o la storia e non pretendono di sostituire l'ampia verità della Torah. La Cabala in Nahmanide non rivoluzionerà la teologia ebraica in tutto e per tutto. Ma gli permetterà di spiegare in profondità ciò che le teologie precedenti non avevano spiegato o avevano spiegato in modo inadeguato. Nel processo, gli ''huqqim'' vengono trasformati da ostacoli della fede a accenni simbolici dei profondi misteri di Dio. Aprendo i suoi commenti sul Levitico, dove la Torah tratta in modo più completo del sistema sacrificale – contesto di tanti ''huqqim'' – Nahmanide rifiuta la storicizzazione del culto biblico del sacrificio fatta da Maimonide. È convinto che Maimonide abbia letto nei testi scritturali una tematica che non c'è veramente. Maimonide aveva detto che la ragione dei sacrifici è che gli egizi e i caldei, nella cui terra Israele aveva abitato, "avevano sempre adorato bovini e pecore [e capre]... per questo comandò loro di macellare queste tre specie per amore di Dio, affinché si sappia che ciò che avevano creduto essere l'epitome del peccato è ciò che ora dovrebbero offrire al Creatore... E così saranno sanate le credenze corrotte, che sono malattie dell'anima, poiché ogni malattia e ogni morbo si cura solo con il suo contrario. — Queste sono le sue parole con cui ha parlato a lungo, ma sono parole vuote (''divrei hav’ai'')".<ref>CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11 rif. ''Moreh Nevukhim'' 3.46. Cfr. ''Targum Onkelos'', {{passo biblico2|Genesi|43:32}}; Ibn Ezra, ''Commentario alla Torah'', {{passo biblico2|Esodo|8:22}}.</ref> Nahmanide offre due spiegazioni alternative del significato che la Torah attribuisce al sistema sacrificale. La prima è psicologica e spirituale: i sacrifici soddisfano il profondo bisogno umano di riconciliarsi con Dio nei pensieri, nelle parole e nei fatti. Questa interpretazione attira immediatamente l'immaginazione, "attira il cuore".<ref>Rif. ''B. Shabbat'' 87a e ''B. Hagigah'' 14a. Cfr. ''Zohar: Vayiqra'', 3:9b.</ref> Tuttavia, Nahmanide la segue alludendo alla ''vera'' visione cabalistica, che nasce dalla consapevolezza che il nome unico di Dio (YHWH) e non i suoi nomi minori, è invariabilmente quello usato in collegamento con i sacrifici. L'invocazione di Nahmanide della Cabala qui come fornitrice della verità (''ha-‘emet'') non significa che considerasse false tutte le altre interpretazioni. C'è una gerarchia di verità, con la Cabala in cima. Il suo insegnamento è che l'azione umana quaggiù, se eseguita correttamente e con la giusta intenzione (''kavvanah''), influenza positivamente la vita divina nell'Alto. Discutendo in questo senso, Nahmanide elevò quella che sembrava una contingenza storica in Maimonide a un livello vitale nella vita stessa di Dio. Le ragioni assegnate da Nahmanides per ''mishpatim'' e ''‘edot'' sono generalmente radicate nel bisogno umano: gli esseri umani hanno bisogno di leggi per governare le loro relazioni. Gli ebrei hanno bisogno di commemorare i grandi eventi quando la potenza e la provvidenza di Dio sono così inequivocabilmente manifeste. Ma con gli ''huqqim'', specialmente i precetti positivi del culto del Tempio, il bisogno umano non è la teleologia essenziale all'opera. Commentando il versetto: "E sapranno che io sono il Signore, il loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese d'Egitto, per abitare (''le-shokhni'') in mezzo a loro" ({{passo biblico2|Esodo|29:46}}), Nahmanide scrive: {{citazione|C'è in questo passaggio un grande insegnamento mistico (''sod gadol''). Perché secondo il significato apparente del testo (''ke-fi peshat'') la presenza della ''Shekhinah'' è un bisogno mortale (''tsorekh hedyot''), non un bisogno del Superno (''tsorekh Gavoah''). Ma il tema è analogo a quello del versetto: "O Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria" (Isaia 49:3).|CT: {{passo biblico2|Esodo|29:46}} - I, 486-87}} Le persone comuni, che vivono fondamentalmente all'interno dei reami della natura e della storia — reami separati dall'essere di Dio, anche se non dalla potenza di Dio — hanno bisogno di vedere i comandamenti come adempimento dei loro bisogni umani ordinari. Le anime straordinarie, invece, vivono essenzialmente nella vita divina, come il Tempio è nella vita divina. Hanno solo bisogno di vedere i comandamenti come adempimento dei bisogni divini, con i quali sono così intimamente coinvolti. [[File:Emanation.gif|thumb|''[[w:Ein Sof|Ayn Sof]]'', emanazione delle ''[[w:Sefirot|Sefirot]]'' e [[w:Gerarchia degli angeli|gerarchie angeliche]] secondo la [[w:Cabala lurianica|Cabala lurianica]], molto posteriore a Nahmanide]] L'argomento dei bisogni divini assorbì i cabalisti dopo Nahmanide.<ref>Cfr. per es., Meir ibn Gabbai, ''Avodat ha-Qodesh'', 2.2ss. Per la visione opposta da parte della maggioranza dei rabbini talmudici, cfr. ''Y. Nedarim'' 9.1/41b rif. {{passo biblico2|Giobbe|35:7}}; e Saadyah Gaon, ''Emunot ve-De’ot'', 3.10. Ma, cfr. ''B. Berakhot'' 7a; ''B. Baba Metsia'' 114a rif. {{passo biblico2|Dt|8:10}}.</ref> Alcuni addirittura vedevano l'emanazione del mondo multiforme dall'unità divina come risultato del bisogno di Dio per un "altro".<ref>Cfr. per es., Hayyim Vital, ''‘Ets Hayyim'', 1:11a.</ref> Nahmanide non sembra intendere un concetto così radicale, che la creazione non sia un atto del tutto gratuito. Ciò che la sua invocazione alla dottrina cabalistica sembra significare è che, ''poiché'' Dio ha scelto di estendersi nella molteplicità, ''in tal modo'' si è reso dipendente da essa, ''in quanto'' vi è presente. Ma, come l'Infinito totalmente trascendente (''[[w:Ein Sof|Ayn Sof]]''), Dio non è mai del tutto dipendente da ciò che partecipa alla Sua vita. Poiché Egli non vi è mai del tutto presente. Nella sua introduzione al ''Commentario alla Torah'', Nahmanide afferma con forza il detto cabalistico secondo cui la santità della Torah riflette il fatto che le sue parole sono tutte permutazioni dei nomi di Dio.<ref>Chavel, seguendo la visione tradizionalista che lo ''Zohar'' sia una fonte per Nahmanide, vede la fonte (''meqoro'') di questa dottrina nello ''Zohar: Yitro'', 2:87a (cfr. CT, introduzione, cur. Chavel, 6, nota). Più plausibilmente, Nahmanide era la fonte dello ''Zohar'' per questa dottrina cabalistica di base. Un'applicazione del punto teologico sta nel fondare la norma halakhica secondo cui un ''Sefer Torah'' difettoso in qualsiasi modo è ritualmente non valido per la lettura pubblica nella sinagoga (Maimonide, ''Hilkhot Sefer Torah'', 10.1, nn. 12 e 13), cfr. Abraham ben Yom Tov Ishbili, ''Teshuvot ha-Ritba'', cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1959), n. 142, pp. 167-70. Il Ritba cita Nahmanide, non lo ''Zohar'', come ''locus classicus'' per questo punto. Per dubbi sull'antichità dello ''Zohar'' da parte di uno studioso tradizionalista premoderno, vedere Jacob Emden, ''Mitpahat Sefarim'' (Altona, 1769); cfr. Scholem, ''Major Trends'', 181.</ref> Quindi Dio è presente nella Torah e in questo senso ne ha bisogno come una persona ha bisogno di qualsiasi organo vitale. Ma Dio è sempre più dei Suoi nomi; infatti ''Ayn Sof'' (l'"In-finito") è un termine negativo: essenzialmente Dio è senza nome. A questo livello, ciò che Nahmanide sembra voler significare per ''bisogno divino'' è che mediante l'esecuzione dei comandamenti, in particolare gli ''huqqim'', almeno alcuni ebrei non sono solo destinatari passivi della grazia di Dio, ma partecipanti attivi della vita divina. Questo aspetto della teologia cabalistica di Nahmanide ha probabilmente avuto un'influenza maggiore sulla Cabala successiva di qualsiasi altra.<ref>Una profonda riaffermazione della dottrina cabalistica dell'interazione dei bisogni divini e umani fu fatta da Abraham Joshua Heschel in ''Man Is Not Alone'', 241ss.</ref> Si può sempre discutere dell'adeguatezza delle interpretazioni cabalistiche di Nahmanide riguardo agli ''huqqim'' positivi, ma spesso offrono una vena interpretativa più ricca di quella che il razionalismo ebraico aveva da offrire. Quindi non è difficile capire perché siano stati seguiti molto più a fondo dalle generazioni successive rispetto alle interpretazioni razionaliste. Ma Nahmanide non si è limitato agli ''huqqim'' positivi. Anche gli ''huqqim'' negativi richiedono interpretazione. Maimonide li vedeva come proscrizioni di antiche pratiche idolatriche. La stessa idolatria fu la prima violazione umana della legge naturale, negando la realtà manifesta del Dio trascendente. Ogni atto idolatrico era in sostanza una violazione dell'ordine naturale, un ordine non inventato dalla ragione umana ma da essa scoperto. Come i ''mishpatim'' e gli ''‘edot'', quindi, anche gli ''huqqim'', per Maimonide, erano in definitiva intelligibili in termini di natura. Anche per Nahmanide questi divieti proibiscono la violazione di un ordine che non è stato inventato dalla ragione umana. Ma non è nemmeno un ordine scoperto dalla ragione umana. Piuttosto, gli ''huqqim'' spesso proscrivono la violazione dell'ordine creato da Dio ma rilevabile solo per rivelazione. Tali leggi sono fondamentalmente diverse dai ''mishpatim'' o dagli ''‘edot''. I loro scopi si vedono solo quando ci viene rivelato qualcosa dell'ordine creato che è al di là sia della ragione umana ordinaria che anche dell'esperienza umana straordinaria. Commentando il versetto: "Osserverete i miei statuti (''et huqqotay''): non accoppierai bestie di specie differenti" ({{passo biblico2|Levitico|19:19}}), Nahmanide scrive: {{citazione|Gli ''huqqim'' sono il decreto del Re (''gezerat ha-melekh''), che ha decretato (''yihoq'') nel suo regno senza rivelare la loro utilità (''to‘eletam'') al popolo... La persona che incrocia specie cambia e falsifica l'opera stessa della creazione, come se pensasse che Dio non soddisfi adeguatamente ogni bisogno (''she-lo-hishleem kol tsorekh'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:19}}/II, 120. Cfr. anche, CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}}}} L'incrocio è, in effetti, una negazione dell'adeguatezza della creazione. È manomettere l'ordine creato, come se Dio non avesse terminato in modo soddisfacente la Sua opera e l'uomo potesse migliorarla. La proibizione, quindi, ha lo scopo di affermare che la creazione di Dio è perfetta, sebbene la ragione umana spesso non comprenda come la provvidenza di Dio operi nella creazione e anzi assicuri i bisogni di ogni creatura. Una comprensione più completa delle vie della provvidenza deve attendere una rivelazione del tipo che Giobbe alla fine ricevette da Dio.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario a Giobbe'', 42:5 - KR I, 126.</ref> Il divieto di modificare l'ordine creato, anche per migliorarlo, è in sostanza un divieto di magia. Maimonide giustifica il divieto della magia non perché sia ​​oggettivamente efficace nel perturbare l'ordine naturale, ma perché è soggettivamente pericoloso.<ref>Cfr. ''Hilkhot Avodah Zarah'', 11.16; ''Commentario alla Mishnah: Pesahim'' 4.10.</ref> Distorce la nostra comprensione delle vere operazioni della natura, che si esprimono attraverso l'indagine scientifica, non l'opinione superstiziosa. L'azione umana non può alterare l'ordine naturale stabilito, per non parlare della vita trascendente di Dio. Ma per Nahmanide, la magia è oggettivamente efficace. È proibita non perché credervi sia falso, ma perché è un tentativo malvagio di manipolare Dio a vantaggio dell'uomo.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Esodo|8:14}}.</ref> Tale male può davvero sconvolgere l'ordine della creazione, forse anche ostacolare temporaneamente il compimento dei piani divini. Non potrà mai rovesciare la sovranità di Dio. Ma a noi mortali è proibito agire come se avessimo il controllo su Dio. Come dice [[:en:w:Lenn E. Goodman|Lenn Goodman]], la magia è proibita da Nahmanide nello stesso modo in cui ai bambini è proibito deridere l'autorità dei loro genitori. Il potere umano è giustificato (ed efficace) in definitiva solo quando è una partecipazione fedele alla vita di Dio e al suo governo dell'universo. === Il primato dell'esegesi === Gli scritti di Nahmanide, in particolare il suo ''Commentario alla Torah'', danno voce a temi ricorrenti che possono essere sistematicamente correlati. Ma molti lettori non sono riusciti ad afferrare il suo sistema perché si aspettano un sistema di teologia cabalistico ''totale''. Non trovandolo, spesso presumono che non ci sia alcun sistema. Prendendo alla lettera il trattamento della Cabala da parte di Nahmanide come la più alta verità della Torah, essi presumono che debba averla considerata come l'unica verità della Torah. Ma, come abbiamo visto, trova nella Torah anche un impegno con la realtà della natura e della storia, anche se quel livello di verità è trasceso dalla Cabala. La Cabala, verità più alta, non sposta tutte le altre verità, ma le mette in prospettiva. La Cabala da sola non è sufficiente per spiegare la Torah. Ma è necessaria, secondo Nahmanide, ad ogni adeguata teologia dell'ebraismo. Non si può essere sicuri del motivo per cui Nahmanide non sviluppò una teologia più omogenea, come quella dello ''[[Zohar]]'' e di alcuni cabalisti successivi.<ref>Cfr. Scholem, ''Origins of Kabbalah'', 384; Bernard Septimus, "Nahmanides and the Andalusian Tradition" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 19ss.; E. R. Wolfson, "By Way of Truth," 125-29, 163-76.</ref> Certamente aveva le doti intellettuali per un pensiero sistematico. Ma se avesse presentato una teologia rigorosamente cabalistica, la ricchezza del suo approccio sarebbe stata molto ridotta. Il suo eclettismo permette una diversità dei tipi e dei metodi di interpretazione; ed è soprattutto come [[w:esegesi ebraica|esegeta]] che è meglio compreso. Un sistema completo avrebbe ristretto le sue opzioni esegetiche.<ref>Per la tesi di Nahmanide che un comandamento può avere più di una ragione, cfr. CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}}; cfr. ''B. Sanhedrin'' 34a rif. {{passo biblico2|Geremia|23:29}}; ''Bemidbar Rabbah'' 13.15.</ref> Come esegeta poteva trovare livelli di significato nella Scrittura che possono sembrare contraddittori quando disposti fianco a fianco. Ma per lui, evidentemente, il testo si rivolge a persone diverse in modi diversi simultaneamente. Alla fine, la ricchezza del testo ha la precedenza sull'eleganza astratta di un sistema globale. Quindi la teologia di Nahmanide è più euristica che costruttiva. Il suo scopo sembra sempre essere quello di spiegare il testo piuttosto che semplicemente di usarlo per illustrare i temi che l'autore gli porta. I frutti del suo metodo forniscono a tutti i pensatori ebrei una ricchezza di intuizioni sostanziali sulla Torah e sul modello di quel metodo stesso, una potente [[w:ermeneutica talmudica|ermeneutica]] teologica. Laddove Nahmanide è sistematico, il suo sistema è più ermeneutico che filosofico. Nella ben nota divisione dei pensatori fatta da [[w:Isaiah Berlin|Isaiah Berlin]] in ricci e volpi – coloro che mettono in relazione tutto con un'unica visione centrale e coloro che perseguono molti fini, spesso estranei o addirittura contraddittori84 – Nahmanide è più il riccio che la volpe, un pensatore più centrifugo, mentre invece, diciamo, Maimonide è più centripeto. La precedenza del ''datum'' sulla teoria, dell'esegesi sul sistema è, dopo tutto, ciò che rende uno un teologo scritturale, rispetto a un teologo sistematico. == Note == {{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}} <div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" ><references/></div> {{Avanzamento|100%|20 luglio 2022}} [[Categoria:Nahmanide teologo|Introduzione]] im66g5nh6pmnq6fy21wfrku90tt230a 430793 430785 2022-07-21T21:17:56Z Monozigote 19063 wikitext text/x-wiki {{Nahmanide teologo}} [[File:Nahmanides Commentary - Adler n° 662.JPG|thumb|540px|center|Commentario di Nahmanide, (XV secolo)]] == INTRODUZIONE == === Rabbi Moshe ben Nahman Girondi === Rabbi [[w:Nahmanide|Moshe ben Nahman Girondi]] è conosciuto nella letteratura ebraica con il suo acronimo '''Ramban''' (רמב״ן‎). Ma per i lettori moderni delle lingue europee è '''Nahmanide''', e per i suoi contemporanei spagnoli era ''Bonastruc ça Porta''. Ognuno dei suoi nomi racconta qualcosa della sua carriera. In quanto [[w:rabbino|rabbino]] Moshe ben Nahman Girondi, era il leader rabbinico più influente degli ebrei di Spagna del suo tempo. Come Ramban è stato un pilastro del pensiero ebraico nel corso dei secoli dalla sua morte. Come Nahmanide sta ottenendo sempre più riconoscimenti tra gli studiosi del pensiero religioso occidentale. E come Bonastruc ça Porta svolse un ruolo centrale nei complessi rapporti tra gli ebrei spagnoli e la società cristiana in cui vivevano. Nahmanides nacque nel 1194 a [[w:Gerona|Gerona]], una piccola ma culturalmente vitale comunità ebraica vicino a [[w:Barcellona|Barcellona]], ​​capitale dell'allora [[w:Principato di Catalogna|Principato di Catalogna]]. Discendeva da una famiglia aristocratica rabbinica e fu educato nel [[w:Talmud|Talmud]] e nella [[w:Cabala ebraica|Cabala]] da eminenti studiosi. Raggiungendo la reputazione di brillante studioso rabbinico in giovane età, fu ampiamente consultato su questioni [[w:Halakhah|halakhiche]] e teologiche e la sua introduzione alle opere dei tosafisti della Francia settentrionale nel curriculum della sua accademia rivoluzionò la cultura talmudica sintetizzando tradizioni [[w:sefarditi|sefardite]] e [[w:aschenaziti|aschenazite]]. La sua approvazione della Cabala, che stava appena emergendo in Spagna ai suoi tempi, ne accresceva la rispettabilità e ampliava il suo pubblico. Nella controversia sulle opere teologiche di [[Maimonide]] nel primo terzo del XIII secolo, i suoi sforzi verso un compromesso aiutarono a preservare l'accesso degli ebrei tradizionali a queste opere e favorirono l'integrazione che oggi diamo per scontata del pensiero di Maimonide nel canone generalmente conservatore della [[w:letteratura rabbinica|letteratura rabbinica]]. Dopo aver iniziato la sua carriera a Gerona, Nahmanide servì come la principale autorità rabbinica della Catalogna. Sebbene si guadagnasse da vivere come medico (alla pari di Maimonide), era un rabbino molto efficace, insegnando a studenti avanzati, decidendo questioni di Halakhah e politica sociale, predicando e pubblicando un ampio ''corpus'' di opere. In qualità di principale studioso ebreo nel nord della Spagna, fu convocato nel 1263 dal re [[w:Giacomo I d'Aragona|Giacomo d'Aragona]] per disputare pubblicamente con [[:en:w:Pablo Christiani|Pablo Christiani]], un apostata ebreo che era diventato frate domenicano. Il tema era pericoloso: la messianicità di Gesù. La disputa, tenuta alla presenza del re e della sua corte davanti a un'udienza piena di dignitari, si svolse in luglio a Barcellona. Il suo esito era atteso con ansia sia da ebrei che da cristiani. Sorprendentemente, il re ritenne la difesa presentata da Nahmanide del rifiuto ebraico di accettare Gesù come il Messia più convincente delle argomentazioni di Christiani. Ma la vittoria fu pirrica. Le forti pressioni dei domenicani costrinsero Nahmanide a lasciare l'Aragona e infine nel 1267 emigrò in [[w:Terra d'Israele|Terra d'Israele]]. Sbarcò ad [[w:Acri (Israele)|Acri]] e presto si stabilì a [[w:Gerusalemme|Gerusalemme]]. Come in Spagna, attirò presto molti studenti e la sua influenza si diffuse ancora una volta. Dedicò gli ultimi anni della sua vita a ricostruire la minuscola e demoralizzata comunità ebraica della Terra in un centro superiore di istruzione ebraica. Prima della sua morte nel 1270, completò la grande opera della sua vita, il ''Commentario alla Torah'', legando insieme i molti filoni di pensiero iniziati nei suoi primi lavori. Sebbene questo ''[[w:magnum opus|magnum opus]]'' contenga una ricchezza di materiale letterario, esegetico, halakhico, storico e filologico, la sua teologia gli conferisce la grande profondità e il suo più duraturo interesse per il pensiero ebraico e per il mondo culturale.<ref>Sono state usate le seguenti edizioni delle opere di Nahmanide: {{en}}''Commentary on the Torah'' (CT) 2 voll., cur. C. B. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1959-63); ''Kitvei Ramban'' (KR) 2 voll., cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1963); ''Hidushei ha-Ramban'', 2 voll., cur. I. Z. Meltzer (B'nai B'rak, 1959); ''Hidushei ha-Ramban ha-Shalem'', 4 voll., cur. M. Hershler ''et al.'' (Gerusalemme: Makhon ha-Talmud ha-Yisraeli, 1970-87); ''Notes on Maimonides' Sefer ha-Mitsvot'', cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1981); ''Teshuvot ha-Ramban'', cur. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1975). Per gli effetti della ricostruzione dei testi originali in un nuovo contesto, cfr. B. Pesahim 105b e Rashbam, ''s.v.'' ''"ve-sadrana ’ana"'' Per un eccellente esempio contemporaneo di ricostruzione accademica e filosofica del pensiero di un teologo ebreo medievale, cfr. Lenn E. Goodman, cur., ''The Book of Theodicy: Translation and Commentary on the Book of Job by Saadiah ben Joseph Al-Fayyumi''.</ref> === Le ragioni dei Comandamenti === [[File:Ramban's Torah commentary - on an ancient Hebrew coin.png|240px|thumb|right|''Commentario alla Torah'': descrizione e commento del Ramban su un'antica moneta ebraica]] Scopriamo il centro della teologia di Nahmanide nella sua teoria dei comandamenti.<ref>Si veda il saggio classico di J. Perles, "Über den Geist des Commentar der Rabbi Moses ben Nachman zum Pentateuch", ''Monatschrift für Geschichte und Wissenschaft des Judenthums'' 8 (1858) 81.</ref> La necessità che il testo della Torah sia il più normativo possibile è il principale incentivo al ''[[w:Pardes|derash]]'', il metodo sviluppato dai rabbini per sbloccare il significato più profondo e più ampio del testo della Scrittura. Questo metodo è stato utilizzato per scoprire sia le norme più precise che regolano l'azione ([[w:Halakhah|Halakhah]]) sia le norme meno precise che guidano il pensiero ([[w:Haggadah|Aggadah]]).<ref>A differenza della Halakhah, le cui prescrizioni sono trasmesse o legiferate dalle autorità rabbiniche della comunità per la comunità (cfr. [[Maimonide]], ''Hilkhot Mamrim'', cap. 1), l'Aggadah è il suggerimento di un saggio individuale di ciò che secondo lui dovrebbe essere fatto al di là della Halakhah, specialmente nell'area della dottrina, dove ci sono poche regole halakhiche. L'Aggadah è normativa, non solo descrittiva (cfr. Y. Megillah 4.1/74d), ma non è legalmente vincolante (cfr. Y. Peah 2.6/10a; Y. Horayot 3.5/48c rif. {{passo biblico2|Ecclesiaste|6:2}}). Così si esorta: "Quando desideri conoscere Dio, studia l'Aggadah" (''Sifre: Devarim'', cur. Finkelstein, n. 49). La ricerca di Dio è obbligatoria, come risulta dal versetto su cui questo testo commenta: "...che io vi ordino di mettere in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le Sue vie e tenendovi stretti a Lui" ({{passo biblico2|Dt|11:22}}). Si veda [[Maimonide]], ''Shemonah Peraqim'', 5, ''ad init.''</ref> Inevitabilmente, la ricerca di norme più profonde e più ampie implica la ricerca degli scopi soggiacenti alla Torah, ''ta’amei ha-mitsvot'', le "ragioni dei comandamenti". Perché, se si vogliono ampliare i comandamenti, un'elaborazione ordinata richiede un certo senso delle finalità che il divino Legislatore intendeva da essi.<ref>La relazione tra ''[[w:Pardes|peshat]]'' (significato apparente) e ''[[w:Pardes|derash]]'' (significato esplicato) è sottile. Quindi il principio "La Scrittura parla del proprio tempo presente (''be-hoveh'')" è usato per spiegare perché certe cose sono menzionate in una legge particolare. Ma la legge non si limita a questi casi; piuttosto, gli elementi in questione sono visti come esempi di una classe generale che include un'infinità potenziale di altri casi. Quindi, quella che può sembrare un'affermazione dell'autosufficienza della ''peshat'' è in realtà una base per la ''derash'', una ricerca del principio alla base degli esempi. Si veda, ad esempio, M. Baba Kama 5.7; cfr. ''Enciclopedia Talmudit'' 6.553-55. Il principio rabbinico, "La Scrittura non si discosta dal suo significato apparente (''middei peshuto'')" non era inteso a precludere ''derash'' ma per darle una base. Cfr. B. Yevamot 24a e paralleli; ''Midrash Leqah Tov''. Vayetse, cur. S. Buber, 72b-73a; e David Weiss Halivni, ''Peshat and Derash: Plain and Applied Meaning in Rabbinic Exegesis'' (New York: Oxford University Press, 1991) 3 segg., 79 segg. Sul ruolo di ''ta‘amei ha-mitsvot'' nell'interpretazione normativa, cfr. I. Heinemann, ''Ta‘amei ha-Mitsvot be-Sifrut Yisrael'' (Gerusalemme: World Sionist Organization, 1949) 1.11 ss.</ref> In effetti, la ricerca delle ragioni dei comandamenti è una contropartita oggettiva dell'esigenza soggettiva che chi esegue un comandamento lo faccia con la giusta intenzione (''[[:en:w:kavanah|kavvanah]]''). ''Kavvanah'' opera su due livelli. La prima è l'intenzione di adempiere un comandamento divino; questo è chiamato ''kavvanah le-mitsvah''.<ref>Cfr. R. Israel Meir Ha-Kohen, ''Mishnah Berurah'' su ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4, n. 11.</ref> È perché l'intenzione a questo livello è generale che la stessa formula viene usata nella benedizione richiesta per l'adempimento dei comandamenti più positivi: "che ci ha santificato con i Suoi comandamenti e ci ha comandato di —." Ciò che si intende è obbedire alla volontà di Dio, indipendentemente dal comandamento specifico. Un livello più profondo di ''kavvanah'' fa riferimento allo scopo specifico di questo comandamento e si concentra su come ci si avvicina a Dio compiendo tale atto specifico. Questo è chiamato "l'intenzione del cuore", ''kavvanat ha-lev''.<ref>''Kavvanat ha-lev'' in questo senso si applicava originariamente solo al comandamento di recitare il primo versetto dello ''[[w:Shemà|Shemà]]'' e ''Shemonah Esreh''. Cfr. M. Berakhot 2.1; ''Sifre Devarim'', no. 41; cfr. David Weiss Halivni, ''Meqorot u-Mesorot'': Mo‘ed (Yoma - Hagigah) (Gerusalemme: Jewish Theological Seminary of America, 1975) 404-05. Ma col tempo ''kavvanat ha-lev'' divenne un ''desideratum'' per tutte le ''mitsvot''. Si veda specialmente Nahmanide, ''Notes on Maimonides’ Sefer ha-Mitsvot'', pos. no. 5.</ref> Richiede la nostra comprensione, per quanto limitata, della sapienza di Dio. È nel perseguire questa ''kavvanah'' più profonda che la ricerca delle ragioni dei comandamenti trova una motivazione più spirituale della pura curiosità intellettuale. È l'intenzione propria del cuore che distingue le autentiche azioni religiose da ciò che [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], proseguendo su un tema centrale di [[w:Bahya ibn Paquda|Bahya Ibn Paquda]], ha chiamato "religious behaviorism".<ref>Cfr. ''God in Search of Man'', 320ss. Cfr. Bahya ibn Pakuda, ''Hovot ha-Levavot'': Sha’ar ha-Ma’aseh, cap. 1ss.</ref> Così, quando mi chiedo perché la Torah abbia bisogno di un comandamento generale "Siate santi" ({{passo biblico2|Lev|19:2}}), in quanto tutti i comandamenti sono destinati a renderci santi, Nahmanide fa la sorprendente osservazione che uno può "essere un miserabile entro i parametri di ciò che la Torah permette" (''naval bi-rshut ha-Torah'').<ref>CT: Lev. 19:2/11, 115; cfr. CT: Deut. 27:26.</ref> La mera osservanza delle legalità non assicura di diventare una persona santa, che è lo scopo ultimo dei comandamenti. Nahmanide non sta sostenendo, naturalmente, che la santità può essere raggiunta senza osservare la Torah.<ref>Cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.387. Martin Buber, in ''Two Types of Faith'', 57, sostiene che la Halakhah è antitetica alla vera relazione Io-Tu tra uomo e Dio.</ref> Gli obblighi specifici della Legge sono indispensabili per l'adempimento umano che essa intende.<ref>Come precedente dell'opinione che la ricerca delle ragioni dei comandamenti dovrebbe condurre solo a una migliore osservanza degli stessi, non alla loro negligenza, cfr. Filone, ''De abrahamo'', 89-93.</ref> Tuttavia il requisito della ''kavvanah'' indica che la Torah riguarda molto di più rispetto all'osservazione comportamentale. Infatti, in questo particolare passo, Nahmanide mostra come l'intenzione della santità debba indurre a fare più di quanto la lettera della legge richieda. La teologia razionalista ebraica del Medioevo, soprattutto quando influenzata dalla teleologia aristotelica, fornì uno stimolo e un metodo alla ricerca delle ragioni dei comandamenti. Si presumeva che ci fossero sempre scopi sia in natura che nelle attività umane. Così [[Maimonide]] vedeva tutti i comandamenti come miranti al miglioramento del corpo e della società (''tiqqun ha-guf'') o al miglioramento dell'anima (''tiqqun ha-nefesh'').<ref>''Moreh Nevukhim'', 3.27.</ref> Nella terza sezione della sua ''[[Guida dei perplessi]]'', sostenne che le ragioni di tutti i comandamenti specifici potrebbero trovarsi sotto queste rubriche generali. Per quanto impressionante possa essere intellettualmente questo metodo di indagine, porta con sé alcuni pericoli religiosi. Ad esempio, nella ''Guida'' [[Maimonide]] sottolinea le condizioni sporche in cui vivono i maiali, rendendo il maiale un alimento non salutare per l'organismo.<ref>''Moreh'', 3.48.</ref> Ma lo stesso motivo potrebbe essere utilizzato per evitare il divieto, se si potesse dimostrare che è possibile allevare i maiali in modo igienico. Se il divieto risponde a un semplice bisogno naturale, quel bisogno potrebbe essere soddisfatto senza, per esempio, evitare la carne di maiale. Parimenti, quando la ragione di un comandamento è considerata il miglioramento dell'anima. Se, ad esempio, lo scopo del comandamento di studiare la Torah è quello di apprendere verità metafisiche che possono essere comprese, in linea di principio, da chiunque abbia probità morale e capacità intellettuale, cosa impedisce alla metafisica generale di sostituire lo studio della Torah quale più alta attività umana?<ref>Cfr. Maimonide, ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 4.13; ''Moreh'', 2.33; cfr. Menachem Kellner, ''Maimonides on Human Perfection'' (Atlanta: Scholars Press, 1990) per un resoconto della concezione tenuta da Maimonide sui tipi più elevati di attività umana che non si presta a un tale riduzionismo – o appropriazione indebita degli obiettivi di Maimonide.</ref> Maimonide chiaramente enfatizzava l'autorità dei comandamenti indipendentemente dall'apprensione delle loro ragioni.<ref>Cfr. ''Hilkhot Teshuvah'', 3.4: "Anche se suonare lo shofar a Rosh Hashanah è un decreto scritturale (''gezerat ha-katuv''), contiene un accenno (''remez'') della sua intenzione, vale a dire (''kelomar''): ‘Svegliatevi dormienti dal vostro sonno... esaminate le vostre azioni, ritornate in penitenza, e ricordate il vostro Creatore!’"</ref> Tuttavia, c'erano preoccupazioni religiose circa la trascuratezza pratica dei comandamenti a cui il suo approccio filosofico poteva prestarsi. Tali preoccupazioni in effetti portarono i rabbini della Francia settentrionale a vietare lo studio degli scritti teologici di Maimonide. La "Controversia maimonidea" che ne seguì giunse al culmine nel 1232, il mondo rabbinico apparentemente polarizzato tra pro e anti-maimonisti.<ref>Cfr. J. Sarachek, ''Faith and Reason: The Conflict Over the Rationalism of Maimonides'' (New York: Hermon, 1970) 75ss., 84-85, 116ss.</ref> Il trentottenne Nahmanide, già un'autorità halakhica rispettata in tutti i quartieri del mondo ebraico, tentò un compromesso. Sebbene egli stesso fosse preoccupato per i pericoli di un approccio filosofico ai comandamenti, Nahmanide difese Maimonide, sostenendo che la sua teologia razionalista non era destinata alle masse di ebrei fedeli, ma solo a coloro che erano stati esposti alla filosofia e quindi richiedevano giustificazioni filosofiche come condizione della propria stabilità religiosa.<ref>Cfr. C. B. Chavel, ''Rabbenu Mosheh ben Nahman'' (Gersualemme: Mosad Harav Kook, 1967) 120ss.</ref> Nahmanide era chiaramente d'accordo con Maimonide che ci sono ragioni per tutti i comandamenti. Differiva da lui, e da tutti gli altri teologi ebrei razionalisti, nella sua insistenza sul fatto che le ragioni dei comandamenti non sono fondate sulla metafisica ma su fatti unicamente ebraici.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}}. Per la classificazione delle ''mitsvot'' da parte di Nahmanide, cfr. C. Henoch, ''Ha-Ramban ke-Hoqer u-Mequbbal'' (Gerusalemme: Harry Fischel Institute, 1978) 337ss.</ref> Il progetto di suscitare questi fondamenti è portato avanti in tutti i suoi scritti e diventa il tema principale del suo coronamento, il ''Commenarito alla Torah'', che iniziò in Spagna prima del suo esilio e completò non molto tempo prima della sua morte in [[w:Terra di Israele|Terra d'Israele]] nel 1270. === Comandamenti basati sulla natura e sulla ragione === [[File:Ramban1.jpg|240px|thumb|right|Il [[w:Talmud|Talmud]] di Nahmanide]] Alcuni studiosi hanno ipotizzato che l'opposizione di Nahmanide alla metafisica greca, in particolare a quella di Aristotele, significhi che non poteva accettare la realtà di alcun ordine naturale. Poiché le idee di ordine naturale e ragione umana universalmente valida sono correlative, sembrerebbe che il rifiuto della natura porti immediatamente al rifiuto della ragione. Quindi si conclude che Nahmanide fosse un "anti-razionalista".<ref>Cfr. per es., Solomon Schechter, "Nachmanides", ''Studies in Judaism'' (New York: Macmillan, 1896) 1.119-20.</ref> Ma Nahmanide non rifiutò un ordine naturale o una ragione umana universale.<ref>Cfr. David Berger, "Miracles and the Natural Order in Nahmanides" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 101ss.</ref> Ciò che rifiutò fu l'assunto di alcuni teologi che la natura/ragione debba essere costituita secondo le categorie di Aristotele. La sua principale obiezione ad Aristotele e ai suoi seguaci ebrei era che presumevano che l'ordine naturale fosse onnicomprensivo e che la ragione universale fosse sufficiente per la nostra conoscenza di tutte le cose, incluso Dio. Aristotele e gli aristotelici ebrei sembravano non lasciare spazio alla creazione o alla rivelazione, almeno per come Nahmanide intendeva queste dottrine. Per Nahmanide, il rifiuto della metafisica aristotelica non portava al rifiuto della natura o all'antirazionalismo, ma a una concezione più circoscritta della portata della natura e della portata della ragione. In qualche modo Nahmanide era più razionalista di Maimonide. Operando entro un raggio più limitato, poteva dimostrare più facilmente la verità delle affermazioni della ragione. Questa differenza è notevole per quanto riguarda i comandamenti che regolano le relazioni interumane (''bayn adam le-havero''). I vantaggi dell'approccio di Nahmanide sono evidenti, ad esempio, se confrontiamo il suo trattamento dei [[w:Noachismo|Sette Comandamenti di Noè]] con quello di Maimonide. I comandamenti noachici sono quelle leggi che i rabbini consideravano vincolanti per tutta l'umanità, i "figli di Noè".<ref>T. Avodah Zarah 8.4; B. Sanhedrin 56a-b.</ref> Queste leggi, che proibiscono l'omicidio, l'incesto e la rapina, tra gli altri crimini, sono riconosciute praticamente in tutte le società e sono prontamente viste come requisiti della ragione. Molti teologi ebrei li chiamano comandamenti razionali (''mitsvot sikhliyot'').<ref>Cfr. Saadiah Gaon, ''ED'', 9.2 rif. {{passo biblico2|Genesi|2:16}}.</ref> Appartengono a ciò che i pensatori ebrei successivi (seguendo i filosofi [[w:stoicismo|stoici]] e [[w:cristianesimo|cristiani]]) identificarono come legge naturale.<ref>Cfr. Joseph Albo, ''Sefer ha-'Iqqarim'', 1.1.</ref> In un famoso brano della ''[[Mishneh Torah]]'', Maimonide afferma che chiunque accetti queste leggi solo a forza della ragione ordinaria (''hekhrea ha-da‘at'') non è ritenuto degno della beatitudine del mondo a venire, in cui "ai pii delle nazioni del mondo" è assicurata una porzione.<ref>''Hilkhot Melakhim'', 8.11.</ref> Nel suo precedente ''Commentario alla Mishnah'', Maimonide sembra respingere il concetto stesso di "comandamenti razionali".<ref>''Shemonah Peraqim'', 6; cfr. ''Commentario alla Mishnah'', Berakhot 5.3.</ref> Alcuni studiosi vedono in questi due passi un rifiuto di qualsiasi moralità da legge naturale. Ma si può argomentare meglio che Maimonide stava in realtà rifiutando solo una moralità da legge naturale non fondata su un'adeguata comprensione della vera costituzione metafisica della natura. Stava rifiutando la solidità religiosa (sebbene non, forse, l'utilità politica) delle norme scoperte o inventate dalla prudenza piuttosto che dall'intuizione di Dio e dell'universo. Secondo questo approccio, l'unica moralità veramente adeguata è quella i cui fondamenti metafisici sono sani e propriamente compresi, e l'unica metafisica veramente efficace è quella le cui conseguenze morali sono sane e propriamente comprese. Per Maimonide esiste una forte connessione razionale tra metafisica e morale.<ref>Per la necessità della metafisica nella morale, cfr. ''Moreh'', 2.40, 3.27; per la necessità della metafisica da parte della morale, 3.54.</ref> La metafisica è il fondamento più profondo della moralità. È ciò che rende la moralità naturale piuttosto che una mera legislazione umana. E la moralità è il frutto più utile della metafisica. Senza moralità, la metafisica non ha alcuna influenza pratica o politica. Senza metafisica, la morale non ha fondamento universale. Quindi, secondo Maimonide, la metafisica è più che solo teorica; e la moralità è più che pratica. I due sono legati dalla ragione, e quindi scopribili l'uno dall'altro mediante un uso corretto della ragione. Nahmanide non vedeva alcuna connessione razionale tra metafisica e moralità. In effetti, la sua teologia non lascia quasi spazio alla metafisica. Le verità più profonde sull'universo si raggiungono solo attraverso la rivelazione. Le norme morali evidenti alla ragione sono quelle richieste da qualsiasi società per soddisfare i bisogni fondamentali dei suoi membri per un ordine giusto e stabile. In definitiva, naturalmente, una tale moralità deve essere inclusa nella legge rivelata. Ma la rivelazione arriva in momenti storici unici, non attraverso processi naturali costanti, quindi non può funzionare come base razionale per la moralità. La rivelazione non è, come la ragione, la scoperta dell'ordine costante dell'universo. Quindi la ragione, per Nahmanide, non può colmare il divario tra rivelazione e moralità, come può colmare il divario tra metafisica e moralità secondo [[Maimonide]]. Tuttavia, come risultato di questa scissione della metafisica dalla moralità, la razionalità della moralità naturale è accresciuta, non diminuita nella teologia di Nahmanide. Maimonide sembra richiedere una profonda intuizione metafisica prima che le verità morali più elementari acquisiscano il loro pieno significato. Per Nahmanide, qualunque moralità gli esseri umani possano imparare da soli è nota molto più direttamente. Per cui Nahmanide commenta, abbastanza tipicamente: {{citazione|La violenza è rapina e oppressione... perché la violenza è un peccato, come è noto e universalmente accettato (''ve-ha-mefursam'')... il motivo è che il suo divieto è un obbligo razionale (''mitsvah muskelet''), per il quale non c'è bisogno che un profeta dia un comandamento.<ref>CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - 1, 52. Cfr. CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}}. Per l'uso da parte di Nahmanides del termine ''mitsvot sikhliyot'', si veda KR: Commentario su Giobbe, 1:1, I, 26; ''Torat ha-Shem Temimah'', KR I, 173.</ref>}} Nahmanide accetta la legittimità del diritto naturale a livello interumano. Ma tale moralità e rivelazione non si trovano sullo stesso piano. La moralità viene ''dagli'' umani (almeno nelle sue manifestazioni più elementari). La rivelazione arriva ''a'' loro. Prima del Sinai, sostiene Nahmanide: {{citazione|Troverete che i patriarchi e i profeti si sono comportati in maniera evidentemente morale (''derekh ‘erets'')... e con inferenza ''a fortiori'', se i patriarchi e i profeti venuti a fare la volontà di Dio si sono comportati in modo evidentemente morale, quanto tanto più dovrebbe fare la gente comune!<ref>CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} 1.334.28. Maimonide sembra avere un'opinione simile in ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7.5.</ref>}} La moralità stessa non conduce alla rivelazione, sebbene ne sia una precondizione. La morale non anticipa in alcun dettaglio né l'evento della rivelazione né il suo ricco contenuto. === Commandmenti basati sulla Storia === {{Doppia immagine verticale|right|Commentary on Pentateuch Pesaro-Soncino 1513.jpg|Sefer Torat Ha-Adam Costantinople 1518.jpg|240|''Commentario al Pentateuco'' del Ramban – Soncino (Pesaro 1513)|''Sefer Torat Ha-Adam '' del Ramban – Costantinopoli (1518)}} Quei comandamenti le cui ragioni sembrano evidenti sono chiamati ''mishpatim'', "giudizi". Il loro ''locus'' è il rapporto tra gli esseri umani nella vita quotidiana. Ma per Nahmanide il regno della natura (compresa la nostra natura politica) non è dove si trova la vera relazione tra Dio e gli esseri umani. La natura, come concepita filosoficamente o scientificamente, è un ordine costante; non ammette innovazione. Ma il fatto più elementare su Dio che deve essere riconosciuto dalle Sue creature è che Dio è il Creatore; l'universo è il risultato del Suo atto assolutamente libero. Dio può intervenire nel Suo universo in qualsiasi momento, indipendentemente dall'ordine familiare della natura. Quell'ordine è solo ''usuale''. Non ha alcuna necessità intrinseca o inerente. Questo punto antimetafisico, fatto da Nahmanide nel XIII secolo, fu fatto da [[w:David Hume|David Hume]] con un intento diverso nel diciottesimo.<ref>"The custom operates before we have time for reflexion... much more without forming any principle concerning it, or reasoning upon that principle." David Hume, ''A Treatise of Human Nature'', 1.3.8, cur. L. A. Selby-Bigge (Oxford: Clarendon Press, 1888) 104. Per il contesto islamico, cfr. L. E. Goodman, "Did al-Ghazali Deny Causality", ''Studia Islamica'' 47 (1978) 83-120.</ref> È per insegnarci che l'ordine naturale non ha alcuna necessità ultima che la Torah ponga tale accento sui miracoli. Perché è attraverso i miracoli, specialmente quelli di tipo spettacolare (''nissim mefursamim''), che Dio dimostra la Sua potenza sull'universo che ha creato.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|13:2}}.</ref> Tuttavia, questi miracoli spettacolari sono avvenuti secoli fa, e anche allora sono stati eseguiti raramente. Che legame ha l'ebreo ordinario con eventi così grandiosi? In che modo diventano un'esperienza personale e quindi impartiscono un apprezzamento del potere creativo e della provvidenza di Dio? Nahmanide vede la soluzione della Torah a questo problema in quei comandamenti chiamati ''‘edot'', "testimonianze", comandamenti basati sulla storia. Glossando il comandamento che l'Esodo "sarà un segno sulla tua mano, sarà un ornamento fra i tuoi occhi, per ricordare che con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall'Egitto" ({{passo biblico2|Esodo|13:16}}), che la tradizione rabbinica vedeva come un obbligo di indossare regolarmente i [[w:tefillin|tefillin]], Nahmanide scrive: {{citazione|Ciò è perché Dio non compie un segno (''‘ot'') e una dimostrazione (''mofet'') in ogni generazione, per essere visto da ogni malfattore e negatore (''kofer''). Piuttosto, ci comanda continuamente di compiere un memoriale (''zikaron'') e un segno di ciò che i nostri occhi hanno visto.<ref>CT: {{passo biblico2|Esodo|13:16}} - 1 , 346.</ref>}} Nahmanide qui esprime una visione partecipativa della storia. Questa prospettiva, che spesso ribadisce, contrasta nettamente con la visione più familiare e illustrativa della storia. Le nostre scienze sociali, modellandosi sulle scienze naturali, in genere cercano regolarità nel comportamento umano e tentano di vedere tutti gli eventi come esempi di processi costanti. La storia diventa così una raccolta di dati del passato per ampliare il numero di esempi che illustrano vari principi specifici. L'interesse per il passato è governato dagli interessi del presente e dalla loro proiezione nel futuro.<ref>Cfr. W. H. Walsh, ''An Introduction to Philosophy of History'' (Londra: Hutchinson, 1967) 63ss.</ref> La visione della storia concepita da Nahmanide riflette un presupposto molto più antico. La vita umana nel presente, compresi tutti i normali processi del comportamento umano, trae il suo significato dai grandi eventi del passato. Il compito della storia non è incorporare gli eventi del passato in schemi perenni discernibili nel presente e proiettati nel futuro, ma vedere i processi del presente come segni e simboli dei grandi eventi del passato.<ref>Cfr. Mircea Eliade, ''The Sacred and the Profane: The Nature of Religion'' (New York: Harper and Row, 1961) 106-07.</ref> Per gli ebrei, questa incorporazione del presente nel passato è funzione di quei comandamenti che simbolicamente rievocano i grandi (e rari) eventi passati. Sottolineando la nostra partecipazione simbolica ai grandi eventi in cui Dio si è manifestato in modo così potente al popolo di Israele, Nahmanide indica che questa partecipazione non è solo vissuta passivamente. Richiede la determinazione ad agire con apertura alla presenza divina quando e dove si è rivelata. Dio non compie i suoi potenti atti di routine, per timore che diventiamo spettatori passivi piuttosto che partecipanti attivi. Per coloro che negano la potenza provvidenziale di Dio, anche l'esecuzione regolare di miracoli e segni sarebbe sprecata. L'ostinazione bloccherebbe il loro messaggio.<ref>Cfr. CT: {{passo biblico2|Genesi|14:10}}; e l'eccellente trattamento da parte di Y. Silman delle opinioni di Halevi sulla rivelazione e sulla storia, ''Bayn Filosof le-Navi'' (Ramat-Gan: Bar-Ilan University Press, 1985) 161ss., 216ss.</ref> Ma, per coloro che hanno una sottostante propensione alla fede, l'attivazione di tale propensione richiede una partecipazione simbolica. È con tali temi in mente che Nahmanide scrive del "processo" di Abramo, sottolineando l'importanza dell'azione piuttosto che della mera buona volontà passiva: {{citazione|Un processo (''nisayon'') è chiamato con questo nome a causa di colui che è stato processato. Ma colui che lo processa, che Egli sia esaltato, lo comanda per portare la materia dalla potenzialità all'attualità, affinché colui che è processato possa ricevere la ricompensa che l'azione merita, non soltanto la ricompensa perché ha un buon cuore... e così in effetti accade con tutte le prove nella Torah. Sono per il bene di colui che è processato.|CT: {{passo biblico2|Genesi|22:1}}, I - 125-26}} Come i comandamenti basati sulla natura (''mishpatim''), i comandamenti basati sulla storia (''‘edot'') soddisfano i bisogni umani. I ''mishpatim'' soddisfano i bisogni degli esseri umani nelle loro relazioni reciproche nella società; gli ''‘edot'' soddisfano i bisogni degli umani nel loro rapporto con Dio nella storia.<ref>Per questa duplice teleologia delle ''mitsvot'', cfr. CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|22:6}}.</ref> La gente comune ha bisogno di partecipare all'esperienza degli spettacolari miracoli pubblici della storia, sia direttamente che simbolicamente, per apprezzare la trascendenza di Dio dall'ordine naturale e la loro propria capacità di trascenderla, anche se solo parzialmente. Tra i predecessori di Nahmanide, la sua visione piuttosto empirica della natura si avvicina di più a quella di [[w:Saadya Gaon|Saadya Gaon]] (m. 942). La sua visione della storia e del suo significato si avvicina di più a quella di [[w:Yehuda Ha-Levi|Yehuda Ha-Levi]] (m. 1141), di cui riconobbe l'influenza.<ref>Cfr. CT: {{passo biblico2|Deuteronomio|11:22}}.</ref> === Comandamenti metasociali/metastorici e la Cabala === {{Doppia immagine verticale|right|Nahmanides Commentary - herly 5504.JPG|Nahmanides Commentary -.JPG|240|''Commentario alla Torah'' del Ramban – Manoscritto Harley 5504, [[w:British Museum|British Museum]] (XV sec.)|''Commentario alla Torah'' del Ramban – Manoscritto Harley 5703 (Margaliot Manuscript 208), [[w:British Museum|British Museum]]}} I comandamenti della Torah designati come ''[[w:Chuqqim|huqqim]]'', "statuti", hanno sempre posto una sfida speciale a coloro che si impegnano a ritenere che tutti i comandamenti della Torah abbiano ragioni. Poiché questi comandamenti sembrano essere espressioni arbitrarie della volontà di Dio. Come ha affermato un ''[[w:midrash|midrash]]'' seminale, Dio in effetti dice al popolo d'Israele: "Ho emanato uno statuto (''huqqah haqqaqti''), ho decretato un decreto (''gezerah gazarti''), e non ti è permesso trasgredire i miei decreti!"<ref>''Bemidbar Rabbah'' 19.1; cfr. ''Midrash Leqah Tov: Huqqat'', 119b.</ref> Ciò è affermato nel contesto di una discussione sull'istituzione nella Torah generalmente riconosciuta come la più enigmatica, il [[:en:w:Red heifer|rito della giovenca rossa]] ({{passo biblico2|Numeri|19:1-22}}).<ref>La '''giovenca rossa''' o '''vacca rossa''' (פרה אדומה - ''parah adumah'') era un sacrificio citato nella Bibbia ebraica, le cui ceneri erano usate per un rituale di purificazione di antichi israeliti che erano venuti in contatto con un cadavere. L'esistenza di una giovenca rossa che sia conforme a tutte le rigide regole e requisiti imposti dalla Halakhah, è un'anomalia biologica: l'animale deve essere interamente di un solo colore ed i rabbini eseguivano una serie di test per assicurarsi, tra l'altro, che il pelo della vacca fosse completamente liscio (per accertarsi con non fosse stata sottoposta al giogo, il che l'avrebbe squalificata). Mosè, il maggiore dei profeti, conobbe il mistero del significato della giovenca rossa. Secondo una tradizione ebraica, solo nove giovenche furono macellate dal periodo che inizia da Mosè e finisce alla distruzione del Secondo Tempio. L'assoluta rarità dell'animale, insieme al rispettivo rituale, attribuisce alla giovenca rossa un'importanza particolare nella tradizione ebraica: è infatti citata come esempio basilare di un ''[[w:Chuqqim|khok]]'', o come già definito supra, una legge biblica per la quale non esiste logica apparente e quindi è considerata di assoluta origine divina. Poiché lo stato di purezza rituale ottenuto attraverso la cenere di una giovenca rossa è un prerequisito necessario per la partecipazione al servizio del Tempio, in tempi moderni sono stati compiuti sforzi da parte di ebrei, che desiderano una purezza rituale biblica e in previsione della costruzione del futuro Terzo Tempio, per individuare una giovenca rossa e ricreare il citato rituale.</ref> Tuttavia, il ''midrash'' qui sembra considerare il rituale come paradigmatico di tutti i comandamenti della Torah. Un altro ''midrash'' sembra similmente generalizzare dal modello degli ''huqqim'' e annunciare che tutti i comandamenti furono dati solo per testare l'accettazione umana della volontà di Dio:<ref>''Bereshit Rabbah'' 44.1 e paralleli; cfr. il trattamento da parte di [[Maimonide]] di questo testo rabbinico in ''Moreh'', 3.26.</ref> I rabbini raffigurano Satana e le nazioni del mondo che insultano il popolo ebraico per la loro tenace fedeltà a questi comandamenti misteriosi.<ref>''Sifra: Aharei Mot'', cur. Weiss, 86a; ''B. Yoma'' 67b. Per ulteriori elaborazioni di questo tema ''"facio quia absurdum"'' nella teologia medievale aschenazita, cfr. D. Berger, ''Jewish-Christian Debate'' (Philadelphia: JPS, 1979) 356-57.</ref> Tali brani pongono chiaramente l'onere della prova su coloro che affermano che tutti i comandamenti della Torah hanno ragioni, per quanto oscure. I razionalisti sono sfidati a suggerire almeno alcune ragioni plausibili per gli ''huqqim'' più problematici, altrimenti riconoscano che tutti i comandamenti sono essenzialmente decreti divini e che anche quando sembrano esserci ragioni, queste sono nella migliore delle ipotesi supposizioni o principi, piuttosto che fondamenti primari del vero intento di Dio. Ma Maimonide e Nahmanide, entrambi impegnati nella tesi che ci sono ragioni per tutti i comandamenti, svilupparono i propri mezzi distintivi per spiegare i comandamenti più difficili della Torah. È a questo livello di sfida esegetica che le loro differenze teologiche fondamentali diventano più evidenti. In effetti, è sullo sfondo del trattamento di Maimonide di questi comandamenti che la posizione di Nahmanide emerge più chiaramente dal contrasto. Per [[Maimonide]], la verità e la bontà si scoprono attraverso le scienze politiche, le scienze fisiche o la metafisica.<ref>Cfr. ''Hilkhot Talmud Torah'', 1.11-12; ''Moreh'', Introduzione.</ref> La sua teologia attribuisce il primato a quei comandamenti i cui scopi sono più evidenti alla ragione umana: quelli che ordinano la società al bene (''mishpatim'') o la mente al vero (''de‘ot''). I comandamenti storici (''‘edot'') sono inseriti in questo contesto basilare. Così l'osservanza dello [[w:Shabbat|Shabbat]] e delle [[w:festività ebraiche|festività]] serve allo scopo politico di promuovere la comunione attraverso il tempo libero e la celebrazione comuni, e lo scopo intellettuale di segnalare le verità sulla creazione del cosmo.<ref>''Moreh'', 3.43.</ref> La storia, in quanto ''locus'' della rivelazione di Dio attraverso eventi unici, non è un considerazione immediata. Così, ad esempio, lo Shabbat è istituito per ricordare che "sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso" ({{passo biblico2|Dt|5:15}}). Ma Maimonide sottolinea il significato universale dello Shabbat: praticamente nel soddisfare il bisogno fisico di riposo; intellettualmente, nel soddisfare il bisogno spirituale di affermare la creazione dell'universo da parte di Dio.<ref>Cfr. specialmenrte ''Moreh'' 2.31. I rabbini talmudici, al contrario, sottolineavano il significato unicamente ebraico dello Shabbat. Cfr. ''B. Sanhedrin'' 58b rif. {{passo biblico2|Genesi|8:22}}; ''Devarim Kabbah'' 1.18 rif. {{passo biblico2|Esodo|31:17}}.</ref> Maimonide invoca la storia quando spiega alcuni degli ''huqqim''. Li vede come reazioni all'idolatria nei tempi antichi.<ref>''Moreh'', 3.37.</ref> Pertanto, adduce due ragioni per il divieto di mangiare carne cotta nel latte. In primo luogo, sostiene che l'alto contenuto di grassi di tali alimenti non è salutare. In secondo luogo, ipotizza che cucinare un capretto nel latte materno possa essere stato un rito pagano che la Torah non voleva che gli israeliti imitassero in alcun modo.<ref>''Moreh'', 3.48. Cfr. ''Hilkhot Ma’akhalot Assurot'', 17.29-31; anche, ''Hilkhot De’ot'', 3.3 rif. ''Mishnah Avot'' 2.2.</ref> Quanto alla domanda sul perché una reazione a un rito pagano scomparso dovesse rimanere normativa, va ricordato che Maimonide considerava perenne la propensione all'idolatria. Così anche i divieti di particolari manifestazioni temporali dell'idolatria servono ancora a sottolineare l'importanza della diligenza perpetua contro questa malattia spirituale sempre virulenta.<ref>Cfr. per es., ''Moreh'', 1.36; 3.29.</ref> Per Maimonide, quindi, i comandamenti razionalmente evidenti sono primari; i comandamenti esplicitamente storici sono, in effetti, deistorizzati; e i misteriosi ''huqqim'' sono visti come reazioni a circostanze storiche. Nel suo ordinamento dei comandamenti, sembrerebbe che i ''mishpatim'' (politici e intellettuali) siano i primi, gli ''‘edot'' secondi e gli ''huqqim'' terzi per importanza. Per Nahmanide, l'ordine sembra essere diametralmente invertito. I ''mishpatim'' sono meno importanti, proprio perché sono i più universali. Gli ''‘edot'' sono importanti, perché sono distintivi. E gli ''huqqim'' sono i più importanti, poiché sono i più distintivi di tutti e santificati dal loro stesso mistero. Pertanto, nello spiegare gli ''huqqim'', Nahmanide invoca ciò che ritiene il vero, più profondo insegnamento della Torah: la ''[[w:Cabala ebraica|Cabala]]''. La sua dipendenza dalla Cabala è stata a lungo oggetto di dibattito. Alcuni studiosi di un cast altamente tradizionale credono che lo ''[[Zohar]]'' sia letteralmente l'opera del [[w:Tannaim|Tanna]] [[w:Shimon bar Yohai|Shimon bar Yohai]] del II secolo. Sostengono che il testo fosse conosciuto immemorabilmente e tramandato ermeticamente da una piccola élite per mille anni prima della sua pubblicazione alla fine del XIII secolo. Tali studiosi pensano che l'invocazione della Cabala da parte di Nahmanide sia altamente selettiva. Sostengono che nella sua teologia cabalistica ci sia molto di più di quanto egli abbia rivelato nei suoi scritti.<ref>Cfr. per es., J. Even-Chen, ''Ha-Ramban'' (Gerusalemme: Ginzekha Rishonim Le-Tsiyon, 1976) 61ss. L'idea che Nahmanide avesse un sistema cabalistico completo e in gran parte segreto era apparentemente sostenuta anche dai suoi contemporanei che trovavano il suo cabalismo eccessivo. Si veda R. Isaac bar Sheshet Parfat, ''Teshuvot ha-Ribash'', no. 157. Per una discussione critica moderna sel cabalismo di Nahmanide, cfr. Gershom Scholem, ''Ha-Kabbalah be-Gerona'', 73ss., e ''Origins of the Kabbalah'', 384; M. Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 254.</ref> I cabalisti spesso affermano che la natura esoterica della Cabala richiede tale moderazione. Ma anche questo punto di vista non spiega perché Nahmanide invochi dottrine cabalistiche quando e dove lo fa — perché ciò che è stato rivelato ai cabalisti sia più frequentemente usato per spiegare le ragioni degli ''huqqim''. La maggior parte degli studiosi moderni accetta il punto di vista di [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]] secondo cui lo ''[[Zohar]]'' è in gran parte opera del rabbino [[w:Moses de León|Moses de León]], che scrisse dopo Nahmanide e fu influenzato da lui.<ref>Cfr. ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 173.</ref> Essi attribuiscono le sporadiche invocazioni della Cabala da parte di Nahmanide alla natura ancora non sistematica della tradizione e considerano de Leon e i suoi successori i veri sistematizzatori.<ref>Cfr. M. Idel, "We Have No Kabbalistic Tradition on This" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 63ss.</ref> Non ci sono prove che il cabalismo di Nahmanide fosse sistematico.<ref>Cfr. Scholem, ''Ha-Kabbalah be-Gerona'', 66; Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 215.</ref> A differenza dei cabalisti successivi, da de Leon in poi, Nahmanide non tentò mai di spiegare tutto nella Torah alla luce della Cabala. A differenza della maggior parte di loro, assumeva regolarmente la realtà della natura e della storia nello spiegare i comandamenti e gli eventi nella Torah. In effetti, come abbiamo visto, il suo uso della natura nello spiegare il ''mishpatim'' si avvicina alla teoria dei comandamenti razionali di Saadyah Gaon, e nel suo uso della storia nello spiegare gli ''‘edot'' segue la concezione di eventi unici di Yehuda Ha-Levi. Lo ''Zohar'', al contrario, non ammette effettivamente un reame della natura o un reame della storia. Ci vogliono tutte le relazioni che siano interne alla vita di Dio.<ref>Cfr. per es., ''Zohar: Aharei-Mot''3:73a.</ref> Lo spazio e il tempo sono irreali. Non c'è storia, non c'è natura, nel senso di un ordine creato duraturo, risultante da un atto divino unico.<ref>Cfr. Saadyah Gaon, ''ED'', 1.2, 4.</ref> La creazione di Dio non è più transitiva, il suo oggetto non è chiaramente distinto dal suo soggetto. Per i cabalisti post-nahmanideani, l'unica realtà separata da Dio è demoniaca (letteralmente, ''sitra ahra'', "l'altra parte"). La relazione con questo equivale all'annientamento.<ref>Cfr. Gershom Scholem, ''On the Kabbalah and Its Symbolism'', 145; ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 177-78.</ref> Così lo ''Zohar'' tratta i [[w:Noachismo|Sette comandamenti noachici]] non come requisiti razionali delle relazioni interumane, ma come proibizioni finali della separazione dalla vita divina.<ref>''Zohar: Bereshit'', 1:36a. Cfr. Menahem Recanati, ''Commentary on the Torah: Gen. 2:16 and 8:21''. Approcci razionalisti e cabalistici alle Leggi noachiche sono congiunte in Judah Loewe (Maharal), ''Gevurot ha-Shem'' (Cracow, 1582) cap. 66.</ref> Le loro specifiche dimensioni interumane diventano accessorie, incidentali. Il cabalismo zoharico non lascia spazio al razionalismo saadiano che Nahmanide usò per costituire la legge naturale delle relazioni interumane. Infatti tale razionalismo presuppone lo spazio creato al di fuori di Dio, risultato della creazione generata da Dio come atto transitivo.<ref>Cfr. Gershom Scholem, "Schopfung aus Nichts und Selbstverschrankung Gottes", ''Eranos Jahrbuch'' 25 (1956) 108ss.</ref> Anche la storia presuppone una distinzione essenziale tra spazio e tempo.<ref>Seguendo la visione haleviaan/nahmanideana della storia secondo, Judah Loewe (Maharal) distingue tra tempo fisico (''zeman'') e tempo storico (''sha‘ah, rega‘''). Cfr. ''Gevurot ha-Shem'', sez. 2. Cfr. L. E. Goodman, "Time, Creation and the Mirror of Narcissus", ''Philosophy East and West'' 42 (1992).</ref> Nell'idea di natura, spazio e tempo sono legati. Ma l'idea di libertà esige la loro separazione, perché tutto non sia determinato. Quando il tempo è visto come distinto dallo spazio, si apre al futuro quale orizzonte di azioni non determinate da ciò che già è. Questa apertura è cruciale per l'emergere della responsabilità personale. Nella visione della storia da parte di Nahmanide, come in quella di Halevi, la storia è un incontro tra Dio e le Sue creature.<ref>Cfr. ''Kuzari'', 1.67; 5.20.</ref> La relazione è libera da parte di Dio perché non è determinata dall'ordine naturale. I miracoli di Dio ricapitolano il libero atto originario della creazione e riaffermano la trascendenza di Dio. E la relazione è libera da parte degli esseri umani, perché la nostra risposta alla presenza di Dio non è determinata dalla natura. Rispondendo alle azioni sante di Dio, possiamo scegliere di compiere opere sante. La santità trascende ciò che è già stato fatto. Quindi la storia è una storia di eventi piuttosto che la registrazione di processi inevitabili. La sua traiettoria è verso il culmine in un Mondo a venire trascendente. Questo reame non è una realtà eterna già presente parallelamente alla natura per Nahmanide, come lo è per Maimonide. Piuttosto si trova nel futuro. Sarà completamente nuovo.<ref>Cfr. ''Torat ha-Adam: Sha'ar ha-Gemul''/''KR'' II, 302. Cfr. Maimonide, ''Hilkhot Teshuvah'', 8.8 e nota del Rabad ''ad loc.''</ref> La libertà storicamente costituita, quindi, è un potere transitivo, indeterminato, condiviso da Dio e dall'umanità, sebbene la libertà del Creatore non sia vincolata come quella delle creature. La nostra osservanza dei comandamenti è quasi sempre delimitata entro limiti naturali, a differenza del compimento di miracoli da parte di Dio.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Numeri|1:45}} rif. ''B. Pesahim'' 64b.</ref> Quindi la libertà divina e umana interagiscono nel rapporto di alleanza, ma non in modo simmetrico. Dio conserva sempre la sua illimitatezza. L'uomo è sempre limitato. Senza una qualche struttura, tuttavia, la libertà divina sarebbe mero capriccio; a maggior ragione la libertà umana. Il capriccio è libertà che non intende relazione. [[File:Hiddushei ha-Torah Lisbon 1489.jpg|240px|right|thumb|Pagina dello ''Hiddushei ha-Torah'' di Nahmanide, stampato a Lisbona da Eliezer Toledano nel 1489]] Le alternative a questa terrificante possibilità sono di costituire un reame della storia [[w:Alleanza (Bibbia)|pattizia]] tra Dio e l'uomo, o di costituire una natura in Dio, in cui gli esseri umani possono essere incorporati. I cabalisti successivi scelsero la seconda opzione. Ma di conseguenza, la spontaneità e la libertà andarono rapidamente perse. Il determinismo della natura era ora proiettato nella stessa divinità. I miracoli divennero eventi determinati da questa natura superiore e implicita.<ref>Cfr., ad esempio, Menahem Recanati, ''Commentary on the Torah'': {{passo biblico2|Esodo|29:1}} e {{passo biblico2|Levitico|26:3}} (Venezia, 1523), dove parla della causalità "naturale" (= necessaria) dei comandamenti (''teva kol mitsvah u-mitsvah''), cioè, nel vero reame divino, non nel reame fisico illusorio e separato. Inoltre, si veda il suo commento su {{passo biblico2|Esodo|34:6}}, dove gli atti divini transitivi diventano proprietà divine interiori (cfr. ''B. Shabbat'' 133b). Per la stessa idea di natura divina nel pensiero di un mistico ebreo moderno profondamente indebitato con la Cabala, si veda Abraham Isaac Kook, ''‘Orot Ha-Qodesh'', cur. D. Cohen (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1963) I, 143-44. Inoltre, cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 453; anche, Berger, "Miracles and the Natural Order in Nahmanides", 121. Cfr. Idel, ''Kabbalah: New Perspectives'', 102.</ref> Il bene umano divenne sempre più un prodotto del potere causale divino,<ref>Cfr. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'' 1.3ss.</ref> e il male umano sempre più frutto del potere generalizzato del demoniaco piuttosto che di specifiche scelte umane.<ref>Cfr. Tishby, 1.287ss.</ref> Nahmanide non si accontenta di un simile risultato. Il suo metodo eclettico gli permette di cambiare ripetutamente il suo terreno teologico. A volte individua il rapporto divino-umano tra Dio e l'uomo. Altre volte, soprattutto quando spiega gli ''huqqim'', individua la relazione all'interno della divinità. Questo spostamento ci impedisce di ricostruire una teologia coerente e sistematica per Nahmanide, come si può fare per Saadyah, Maimonide o lo ''[[Zohar]]''. Tuttavia l'uso della Cabala da parte di Nahmanide è coerente con il profondo conservatorismo dei suoi scritti halakhici e teologici.<ref>Si veda il suo "Introduzione alle Note sull'Enumerazione dei Comandamenti", ''KR'' I, 420; anche, Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 389.</ref> Perché le verità più elevate della Cabala, invocate come spiegazioni degli ''huqqim'', non rappresentano una vera minaccia per la natura o la storia e non pretendono di sostituire l'ampia verità della Torah. La Cabala in Nahmanide non rivoluzionerà la teologia ebraica in tutto e per tutto. Ma gli permetterà di spiegare in profondità ciò che le teologie precedenti non avevano spiegato o avevano spiegato in modo inadeguato. Nel processo, gli ''huqqim'' vengono trasformati da ostacoli della fede a accenni simbolici dei profondi misteri di Dio. Aprendo i suoi commenti sul Levitico, dove la Torah tratta in modo più completo del sistema sacrificale – contesto di tanti ''huqqim'' – Nahmanide rifiuta la storicizzazione del culto biblico del sacrificio fatta da Maimonide. È convinto che Maimonide abbia letto nei testi scritturali una tematica che non c'è veramente. Maimonide aveva detto che la ragione dei sacrifici è che gli egizi e i caldei, nella cui terra Israele aveva abitato, "avevano sempre adorato bovini e pecore [e capre]... per questo comandò loro di macellare queste tre specie per amore di Dio, affinché si sappia che ciò che avevano creduto essere l'epitome del peccato è ciò che ora dovrebbero offrire al Creatore... E così saranno sanate le credenze corrotte, che sono malattie dell'anima, poiché ogni malattia e ogni morbo si cura solo con il suo contrario. — Queste sono le sue parole con cui ha parlato a lungo, ma sono parole vuote (''divrei hav’ai'')".<ref>CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11 rif. ''Moreh Nevukhim'' 3.46. Cfr. ''Targum Onkelos'', {{passo biblico2|Genesi|43:32}}; Ibn Ezra, ''Commentario alla Torah'', {{passo biblico2|Esodo|8:22}}.</ref> Nahmanide offre due spiegazioni alternative del significato che la Torah attribuisce al sistema sacrificale. La prima è psicologica e spirituale: i sacrifici soddisfano il profondo bisogno umano di riconciliarsi con Dio nei pensieri, nelle parole e nei fatti. Questa interpretazione attira immediatamente l'immaginazione, "attira il cuore".<ref>Rif. ''B. Shabbat'' 87a e ''B. Hagigah'' 14a. Cfr. ''Zohar: Vayiqra'', 3:9b.</ref> Tuttavia, Nahmanide la segue alludendo alla ''vera'' visione cabalistica, che nasce dalla consapevolezza che il nome unico di Dio (YHWH) e non i suoi nomi minori, è invariabilmente quello usato in collegamento con i sacrifici. L'invocazione di Nahmanide della Cabala qui come fornitrice della verità (''ha-‘emet'') non significa che considerasse false tutte le altre interpretazioni. C'è una gerarchia di verità, con la Cabala in cima. Il suo insegnamento è che l'azione umana quaggiù, se eseguita correttamente e con la giusta intenzione (''kavvanah''), influenza positivamente la vita divina nell'Alto. Discutendo in questo senso, Nahmanide elevò quella che sembrava una contingenza storica in Maimonide a un livello vitale nella vita stessa di Dio. Le ragioni assegnate da Nahmanides per ''mishpatim'' e ''‘edot'' sono generalmente radicate nel bisogno umano: gli esseri umani hanno bisogno di leggi per governare le loro relazioni. Gli ebrei hanno bisogno di commemorare i grandi eventi quando la potenza e la provvidenza di Dio sono così inequivocabilmente manifeste. Ma con gli ''huqqim'', specialmente i precetti positivi del culto del Tempio, il bisogno umano non è la teleologia essenziale all'opera. Commentando il versetto: "E sapranno che io sono il Signore, il loro Dio, che li ho fatti uscire dal paese d'Egitto, per abitare (''le-shokhni'') in mezzo a loro" ({{passo biblico2|Esodo|29:46}}), Nahmanide scrive: {{citazione|C'è in questo passaggio un grande insegnamento mistico (''sod gadol''). Perché secondo il significato apparente del testo (''ke-fi peshat'') la presenza della ''Shekhinah'' è un bisogno mortale (''tsorekh hedyot''), non un bisogno del Superno (''tsorekh Gavoah''). Ma il tema è analogo a quello del versetto: "O Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria" (Isaia 49:3).|CT: {{passo biblico2|Esodo|29:46}} - I, 486-87}} Le persone comuni, che vivono fondamentalmente all'interno dei reami della natura e della storia — reami separati dall'essere di Dio, anche se non dalla potenza di Dio — hanno bisogno di vedere i comandamenti come adempimento dei loro bisogni umani ordinari. Le anime straordinarie, invece, vivono essenzialmente nella vita divina, come il Tempio è nella vita divina. Hanno solo bisogno di vedere i comandamenti come adempimento dei bisogni divini, con i quali sono così intimamente coinvolti. [[File:Emanation.gif|thumb|''[[w:Ein Sof|Ayn Sof]]'', emanazione delle ''[[w:Sefirot|Sefirot]]'' e [[w:Gerarchia degli angeli|gerarchie angeliche]] secondo la [[w:Cabala lurianica|Cabala lurianica]], molto posteriore a Nahmanide]] L'argomento dei bisogni divini assorbì i cabalisti dopo Nahmanide.<ref>Cfr. per es., Meir ibn Gabbai, ''Avodat ha-Qodesh'', 2.2ss. Per la visione opposta da parte della maggioranza dei rabbini talmudici, cfr. ''Y. Nedarim'' 9.1/41b rif. {{passo biblico2|Giobbe|35:7}}; e Saadyah Gaon, ''Emunot ve-De’ot'', 3.10. Ma, cfr. ''B. Berakhot'' 7a; ''B. Baba Metsia'' 114a rif. {{passo biblico2|Dt|8:10}}.</ref> Alcuni addirittura vedevano l'emanazione del mondo multiforme dall'unità divina come risultato del bisogno di Dio per un "altro".<ref>Cfr. per es., Hayyim Vital, ''‘Ets Hayyim'', 1:11a.</ref> Nahmanide non sembra intendere un concetto così radicale, che la creazione non sia un atto del tutto gratuito. Ciò che la sua invocazione alla dottrina cabalistica sembra significare è che, ''poiché'' Dio ha scelto di estendersi nella molteplicità, ''in tal modo'' si è reso dipendente da essa, ''in quanto'' vi è presente. Ma, come l'Infinito totalmente trascendente (''[[w:Ein Sof|Ayn Sof]]''), Dio non è mai del tutto dipendente da ciò che partecipa alla Sua vita. Poiché Egli non vi è mai del tutto presente. Nella sua introduzione al ''Commentario alla Torah'', Nahmanide afferma con forza il detto cabalistico secondo cui la santità della Torah riflette il fatto che le sue parole sono tutte permutazioni dei nomi di Dio.<ref>Chavel, seguendo la visione tradizionalista che lo ''Zohar'' sia una fonte per Nahmanide, vede la fonte (''meqoro'') di questa dottrina nello ''Zohar: Yitro'', 2:87a (cfr. CT, introduzione, cur. Chavel, 6, nota). Più plausibilmente, Nahmanide era la fonte dello ''Zohar'' per questa dottrina cabalistica di base. Un'applicazione del punto teologico sta nel fondare la norma halakhica secondo cui un ''Sefer Torah'' difettoso in qualsiasi modo è ritualmente non valido per la lettura pubblica nella sinagoga (Maimonide, ''Hilkhot Sefer Torah'', 10.1, nn. 12 e 13), cfr. Abraham ben Yom Tov Ishbili, ''Teshuvot ha-Ritba'', cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1959), n. 142, pp. 167-70. Il Ritba cita Nahmanide, non lo ''Zohar'', come ''locus classicus'' per questo punto. Per dubbi sull'antichità dello ''Zohar'' da parte di uno studioso tradizionalista premoderno, vedere Jacob Emden, ''Mitpahat Sefarim'' (Altona, 1769); cfr. Scholem, ''Major Trends'', 181.</ref> Quindi Dio è presente nella Torah e in questo senso ne ha bisogno come una persona ha bisogno di qualsiasi organo vitale. Ma Dio è sempre più dei Suoi nomi; infatti ''Ayn Sof'' (l'"In-finito") è un termine negativo: essenzialmente Dio è senza nome. A questo livello, ciò che Nahmanide sembra voler significare per ''bisogno divino'' è che mediante l'esecuzione dei comandamenti, in particolare gli ''huqqim'', almeno alcuni ebrei non sono solo destinatari passivi della grazia di Dio, ma partecipanti attivi della vita divina. Questo aspetto della teologia cabalistica di Nahmanide ha probabilmente avuto un'influenza maggiore sulla Cabala successiva di qualsiasi altra.<ref>Una profonda riaffermazione della dottrina cabalistica dell'interazione dei bisogni divini e umani fu fatta da Abraham Joshua Heschel in ''Man Is Not Alone'', 241ss.</ref> Si può sempre discutere dell'adeguatezza delle interpretazioni cabalistiche di Nahmanide riguardo agli ''huqqim'' positivi, ma spesso offrono una vena interpretativa più ricca di quella che il razionalismo ebraico aveva da offrire. Quindi non è difficile capire perché siano stati seguiti molto più a fondo dalle generazioni successive rispetto alle interpretazioni razionaliste. Ma Nahmanide non si è limitato agli ''huqqim'' positivi. Anche gli ''huqqim'' negativi richiedono interpretazione. Maimonide li vedeva come proscrizioni di antiche pratiche idolatriche. La stessa idolatria fu la prima violazione umana della legge naturale, negando la realtà manifesta del Dio trascendente. Ogni atto idolatrico era in sostanza una violazione dell'ordine naturale, un ordine non inventato dalla ragione umana ma da essa scoperto. Come i ''mishpatim'' e gli ''‘edot'', quindi, anche gli ''huqqim'', per Maimonide, erano in definitiva intelligibili in termini di natura. Anche per Nahmanide questi divieti proibiscono la violazione di un ordine che non è stato inventato dalla ragione umana. Ma non è nemmeno un ordine scoperto dalla ragione umana. Piuttosto, gli ''huqqim'' spesso proscrivono la violazione dell'ordine creato da Dio ma rilevabile solo per rivelazione. Tali leggi sono fondamentalmente diverse dai ''mishpatim'' o dagli ''‘edot''. I loro scopi si vedono solo quando ci viene rivelato qualcosa dell'ordine creato che è al di là sia della ragione umana ordinaria che anche dell'esperienza umana straordinaria. Commentando il versetto: "Osserverete i miei statuti (''et huqqotay''): non accoppierai bestie di specie differenti" ({{passo biblico2|Levitico|19:19}}), Nahmanide scrive: {{citazione|Gli ''huqqim'' sono il decreto del Re (''gezerat ha-melekh''), che ha decretato (''yihoq'') nel suo regno senza rivelare la loro utilità (''to‘eletam'') al popolo... La persona che incrocia specie cambia e falsifica l'opera stessa della creazione, come se pensasse che Dio non soddisfi adeguatamente ogni bisogno (''she-lo-hishleem kol tsorekh'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:19}}/II, 120. Cfr. anche, CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}}}} L'incrocio è, in effetti, una negazione dell'adeguatezza della creazione. È manomettere l'ordine creato, come se Dio non avesse terminato in modo soddisfacente la Sua opera e l'uomo potesse migliorarla. La proibizione, quindi, ha lo scopo di affermare che la creazione di Dio è perfetta, sebbene la ragione umana spesso non comprenda come la provvidenza di Dio operi nella creazione e anzi assicuri i bisogni di ogni creatura. Una comprensione più completa delle vie della provvidenza deve attendere una rivelazione del tipo che Giobbe alla fine ricevette da Dio.<ref>Cfr. Nahmanide, ''Commentario a Giobbe'', 42:5 - KR I, 126.</ref> Il divieto di modificare l'ordine creato, anche per migliorarlo, è in sostanza un divieto di magia. Maimonide giustifica il divieto della magia non perché sia ​​oggettivamente efficace nel perturbare l'ordine naturale, ma perché è soggettivamente pericoloso.<ref>Cfr. ''Hilkhot Avodah Zarah'', 11.16; ''Commentario alla Mishnah: Pesahim'' 4.10.</ref> Distorce la nostra comprensione delle vere operazioni della natura, che si esprimono attraverso l'indagine scientifica, non l'opinione superstiziosa. L'azione umana non può alterare l'ordine naturale stabilito, per non parlare della vita trascendente di Dio. Ma per Nahmanide, la magia è oggettivamente efficace. È proibita non perché credervi sia falso, ma perché è un tentativo malvagio di manipolare Dio a vantaggio dell'uomo.<ref>Cfr. per es., CT: {{passo biblico2|Esodo|8:14}}.</ref> Tale male può davvero sconvolgere l'ordine della creazione, forse anche ostacolare temporaneamente il compimento dei piani divini. Non potrà mai rovesciare la sovranità di Dio. Ma a noi mortali è proibito agire come se avessimo il controllo su Dio. Come dice [[:en:w:Lenn E. Goodman|Lenn Goodman]], la magia è proibita da Nahmanide nello stesso modo in cui ai bambini è proibito deridere l'autorità dei loro genitori. Il potere umano è giustificato (ed efficace) in definitiva solo quando è una partecipazione fedele alla vita di Dio e al suo governo dell'universo. === Il primato dell'esegesi === Gli scritti di Nahmanide, in particolare il suo ''Commentario alla Torah'', danno voce a temi ricorrenti che possono essere sistematicamente correlati. Ma molti lettori non sono riusciti ad afferrare il suo sistema perché si aspettano un sistema di teologia cabalistico ''totale''. Non trovandolo, spesso presumono che non ci sia alcun sistema. Prendendo alla lettera il trattamento della Cabala da parte di Nahmanide come la più alta verità della Torah, essi presumono che debba averla considerata come l'unica verità della Torah. Ma, come abbiamo visto, trova nella Torah anche un impegno con la realtà della natura e della storia, anche se quel livello di verità è trasceso dalla Cabala. La Cabala, verità più alta, non sposta tutte le altre verità, ma le mette in prospettiva. La Cabala da sola non è sufficiente per spiegare la Torah. Ma è necessaria, secondo Nahmanide, ad ogni adeguata teologia dell'ebraismo. Non si può essere sicuri del motivo per cui Nahmanide non sviluppò una teologia più omogenea, come quella dello ''[[Zohar]]'' e di alcuni cabalisti successivi.<ref>Cfr. Scholem, ''Origins of Kabbalah'', 384; Bernard Septimus, "Nahmanides and the Andalusian Tradition" in Twersky, cur., ''Rabbi Moses Nahmanides'', 19ss.; E. R. Wolfson, "By Way of Truth," 125-29, 163-76.</ref> Certamente aveva le doti intellettuali per un pensiero sistematico. Ma se avesse presentato una teologia rigorosamente cabalistica, la ricchezza del suo approccio sarebbe stata molto ridotta. Il suo eclettismo permette una diversità dei tipi e dei metodi di interpretazione; ed è soprattutto come [[w:esegesi ebraica|esegeta]] che è meglio compreso. Un sistema completo avrebbe ristretto le sue opzioni esegetiche.<ref>Per la tesi di Nahmanide che un comandamento può avere più di una ragione, cfr. CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}}; cfr. ''B. Sanhedrin'' 34a rif. {{passo biblico2|Geremia|23:29}}; ''Bemidbar Rabbah'' 13.15.</ref> Come esegeta poteva trovare livelli di significato nella Scrittura che possono sembrare contraddittori quando disposti fianco a fianco. Ma per lui, evidentemente, il testo si rivolge a persone diverse in modi diversi simultaneamente. Alla fine, la ricchezza del testo ha la precedenza sull'eleganza astratta di un sistema globale. Quindi la teologia di Nahmanide è più euristica che costruttiva. Il suo scopo sembra sempre essere quello di spiegare il testo piuttosto che semplicemente di usarlo per illustrare i temi che l'autore gli porta. I frutti del suo metodo forniscono a tutti i pensatori ebrei una ricchezza di intuizioni sostanziali sulla Torah e sul modello di quel metodo stesso, una potente [[w:ermeneutica talmudica|ermeneutica]] teologica. Laddove Nahmanide è sistematico, il suo sistema è più ermeneutico che filosofico. Nella ben nota divisione dei pensatori fatta da [[w:Isaiah Berlin|Isaiah Berlin]] in ricci e volpi – coloro che mettono in relazione tutto con un'unica visione centrale e coloro che perseguono molti fini, spesso estranei o addirittura contraddittori84 – Nahmanide è più il riccio che la volpe, un pensatore più centrifugo, mentre invece, diciamo, Maimonide è più centripeto. La precedenza del ''datum'' sulla teoria, dell'esegesi sul sistema è, dopo tutto, ciò che rende uno un teologo scritturale, rispetto a un teologo sistematico. == Note == {{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}} <div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" ><references/></div> {{Avanzamento|100%|20 luglio 2022}} [[Categoria:Nahmanide teologo|Introduzione]] 4870iwkbm3mgo50eywebz6pjbernex7 Nahmanide teologo/Capitolo 2 0 51786 430781 430780 2022-07-21T12:21:27Z Monozigote 19063 /* Fede */ testo wikitext text/x-wiki {{Nahmanide teologo}} [[File:Krestin-Portrait of a Rabbi.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]] == Fede == '''[2.1]''' Ciò che contraddistingue la persona umana è la capacità di relazione consapevole con Dio. Nahmanide chiama il lato umano di questa relazione ''emunah'', fede o certezza. Il suo compito centrale come teologo è mettere in relazione il desiderio umano di tale coscienza con la verità rivelata, ''emet''. Il nostro esercizio di fede è lo scopo stesso della creazione; fonda tutte le relazioni di Dio con la natura: {{citazione|Il Signore ha creato tutte le creature inferiori per amore dell'uomo, poiché l'uomo è l'unico di loro che riconosce (''makir'') il suo Creatore.|CT: {{passo biblico2|Levitico|17:11}} - II, 97}} '''[2.2]''' Senza rapporto consapevole con Dio, l'esistenza umana non ha senso. E poiché il resto della creazione esiste per il bene dell'umanità, senza il nostro riconoscimento di Dio, tutta l'esistenza sarebbe inutile. {{citazione|Non vi è alcuna ragione [intrinseca] (''ta‘am'') per la formazione di animali e piante inferiori, poiché non riconoscono il loro Creatore; solo l'uomo lo fa. Dio ha creato l'uomo per riconoscere (''makir'') il suo Creatore, che Egli sia esaltato. Se l'uomo non avesse alcuna consapevolezza che Dio lo ha creato – tanto più se non sapesse che per il suo Creatore ci sono atti favoriti e desiderabili e altri atti indesiderabili e vili – l'uomo sarebbe come una bestia e oggetto della creazione sarebbe viziata (''betelah'')... Lo scopo stesso della creazione del mondo sarebbe vanificato.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 142-43}} Spiegando tale scopo, Nahmanides scrive: {{citazione|È l'intento (''kavvanah'') della creazione (''yetsirah'') degli umani. Poiché non c'è altra ragione (''ta‘am'') per la formazione dell'uomo, e Dio non ha alcun desiderio per gli esseri inferiori (''tahtonim'') se non che l'uomo dovrebbe conoscere e riconoscere il Dio che lo ha creato. Questo è il motivo per alzare la voce nelle sinagoghe, ed è questo il merito della preghiera pubblica, che gli uomini hanno un luogo in cui si riuniscono per riconoscere il Dio che li ha creati e li ha fatti esistere, affinché dicano: "Noi sono le Tue creature!"|''Ibid.'' - I, 152-53}} '''[2.3]''' Tutta la creazione sublunare è per il bene dell'uomo: {{citazione|Così ora Elihu continua sulla via degli altri amici, raccontando le lodi di Dio e la Sua provvidenza sul mondo. Perché custodisce il Suo mondo e veglia su di esso continuamente... è impossibile credere che non ci sia provvidenza persino sul più piccolo degli esseri umani... dato che le creature inferiori sono state create per amore dell'uomo, poiché nessuno tranne l'uomo ne riconosce Creatore. Se tutta la cura di Dio e la Sua protezione delle specie inferiori è per il bene dell'uomo, come potrebbe non esercitare una cura provvidenziale sull'uomo stesso?|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:2 - I, 107-08}} Nahmanide qui differisce nettamente da [[Maimonide]] (''Moreh Nevukhim'', 3,13), che pone le intelligenze celesti non fisiche, identificate con gli angeli (''Moreh'', 2,5-6), superiori all'uomo nell'ordine creato, perché non sono afflitte dalle incertezze di volontà (''Moreh'', 1.2; 3.17). L'uomo si relaziona a Dio attraverso questa natura superiore e intellettuale degli angeli, aspirando ad assomigliargli il più possibile. Per Nahmanide, gli angeli sono più alti dei corpi celesti, e così è l'uomo (CT: {{passo biblico2|Genesi|2:7}} - I, 33). Così l'uomo, come gli angeli, può relazionarsi con Dio, trascendendo la natura, sia terrena che celeste. '''[2.4]''' Poiché il rapporto di Dio con le anime umane è diretto, è individuale. Ma la relazione di Dio con il resto della creazione è solo specifica e indiretta: {{citazione|Da nessuna parte nella Torah o nei profeti è mai affermato che la provvidenza di Dio sovrintende (''mashgiah'') ai singoli membri di specie inarticolate. Nel loro caso la provvidenza si estende solo alle specie, che sono nella stessa categoria dei cieli e delle loro strutture. Così è stata permessa la macellazione (''[[w:shecḥitah|shehitah]]'') degli animali per soddisfare i bisogni umani e anche per espiare le nostre vite attraverso il loro sangue sull'altare. La ragione di ciò è chiara ed ovvia. È perché l'uomo riconosce il suo Dio come colui che si prende cura di lui e veglia su di lui.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:7 - I, 108}} '''[2.5]''' Sottolineando l'immediatezza del rapporto dell'anima con Dio, Nahmanide traccia una posizione nettamente diversa dall'intero progetto della teologia razionalista ebraica da Saadyah a Maimonide. Tale teologia era basata sull'idea che si potesse tracciare un percorso dalla conoscenza del mondo a Dio come sua causa necessaria. Nahmanide non negava la legittimità di tale inferenza. Ma la vedeva come una base insufficiente per il rapporto tra Dio e l'uomo. La conoscenza positiva di Dio deve provenire da Dio stesso per essere degna del suo oggetto. Commentando la richiesta di Mosè al [[w:Roveto ardente|Roveto Ardente]] che Dio riveli il Suo nome proprio, Nahmanide si impegna in una polemica acuta con la teologia ebraica razionalista da Saadyah a Maimonide e oltre. Come in quasi tutte queste polemiche da parte sua, mira sia a quella che considera un'esegesi errata del testo, sia a quella che ritiene essere la teologia errata che vi sta dietro. {{citazione|Gli chiese il Suo nome affinché il Signore lo dicesse, dando loro [gli Israeliti] istruzioni perfette sulla Sua esistenza e provvidenza... Secondo Saadyah Gaon... e Maimonide... dobbiamo dedurre che Dio disse a Mosè... che dovrebbe fornire loro prove razionali specifiche (''r’ayot sikhliyot'') per cui il Suo nome sarebbe accettato dai saggi... Ma questo non è il significato del versetto. La menzione del Nome a loro ne ''è'' la prova. Questo è il segno e la dimostrazione in risposta a ciò che avrebbero chiesto.|CT: {{passo biblico2|Esodo|3:13}} - I, 292}} In altre parole, la risposta di Dio, letteralmente: "Io sarò chi sarò (Io Sono Colui Che È)", non è una conclusione dedotta da premesse precedenti. È la promessa di Dio della propria auto-presentazione al popolo d'Israele in schiavitù egiziana. Questo è ciò che significa il Nome (il [[w:Tetragramma biblico|tetragramma]]). I precedenti rabbinici (B. Berakhot 9b e ''Shemot Rabbah'' 3.6) sono citati da Nahmanide. Più o meno lo stesso punto è fatto nella teologia ebraica moderna da [[w:Martin Buber|Martin Buber]] in ''Zur einer neuen Verdeutschung der Schrift'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 28-29; Königtum Gottes, III ed. riv. (Heidelberg: Lambert Schnieder, 1956) 69; e di [[Franz Rosenzweig]], ''Kleinere Schriften'' (Berlino: Schocken, 1937) 185ss. Si veda anche la loro traduzione congiunta del Pentateuco, ''Die Fünf Bücher der Weisung'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 158 ad Exod. 3:13. Ma Buber limita soprattutto l'essere di Dio alla sua relazionalità di Eterno Tu, come vediamo in ''[[w:Martin Buber#Io e Tu (Ich und Du)|Io e Tu (Ich und Du)]]'' (eng. tr. Kaufmann, 157ss.). L'elemento cabalistico nella teologia di Nahmanide non gli permette di confinare l'essere di Dio (espresso nel tetragramma, ''YHWH'') alla sua relazionalità. Così in Nahmanide l'importanza del Nome non sta solo nel designare l'auto-presentazione divina, ma nel suo ruolo nella vita divina interiore all'interno delle ''[[w:sefirot|sefirot]]''. '''[2.6]''' Per Nahmanide, come per la maggior parte dei pensatori ebrei, la fede non è una questione di credenze. Cioè, non è un'affermazione di ciò che è sconosciuto (cfr. [[w:Platone|Platone]], ''[[w:La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' 534A). Piuttosto, la fede è certezza di ciò che si conosce, in questo caso per esperienza intima dell'opera di Dio nel mondo. Pertanto, le differenze di Nahmanide con i teologi razionalisti non sono una questione del suo opporre la fede alla conoscenza, ma della sua insistenza sul fatto che otteniamo certezza dall'esperienza storica senza bisogno di una comprensione mediatrice e metafisica della natura. Così, nel suo resoconto della disputa di Barcellona, Nahmanide racconta la sua risposta ai riferimenti alla fede del suo avversario cristiano: {{citazione|Mi sono alzato e ho detto: "è chiaro che una persona non ha fede in ciò che non conosce".|KR: ''Disputazione'', n. 107 - I, 320}} Nahmanide contrappone la sua visione ebraica della fede con la visione cristiana rappresentata in tali passaggi del Nuovo Testamento come {{passo biblico2|2Corinzi|5:7}} e {{passo biblico2|Ebrei|11:1}}, dove la fede acquista il carattere di mistero. È sempre problematico citare la ''Disputazione'' come espressione delle opinioni teologiche di Nahmanide, poiché spesso sembra esagerare per effetto retorico. Tuttavia, l'affermazione di Nahmanide sulla fede e la conoscenza è tipica di quello che potrebbe essere chiamato il suo empirismo storico. Il suo approccio qui è influenzato da [[w:Yehuda Ha-Levi|Ha-Levi]], che parla di "tutto Israele, che sapeva queste cose prima per esperienza personale e poi per tradizione ininterrotta, che è uguale alla prima". (''Kuzari'', 1.25, trad. Hirschfeld, 47; cfr. 5.14, ''ad fin.'') Il commentatore italiano del XVI secolo, [[:en:w:Judah Moscato|Judah Moscato]] (''Qol Yehudah, ad loc.'') sottolinea la potente influenza di Ha-Levi su Nahmanide, citando la lettura di Nahmanide di {{passo biblico2|Deuteronomio|4:9}} (CT: II, 362). Collega anche l'approccio con quello di Saadyah Gaon. Ma a mio avviso quest'ultimo collegamento non è così stretto. Saadyah non considera l'esperienza trasmessa storicamente nella tradizione come una fonte di conoscenza uguale a quella derivata dai sensi, dall'intuizione intellettuale o dall'inferenza logica, le tre fonti della conoscenza diretta per lui (ED, 1.5). Ritiene che la tradizione sia "basata sulla conoscenza dei sensi oltre che su quella della ragione" e "ci conferma la validità delle prime tre fonti di conoscenza". In 3.1, Saadyah tratta anche l'esperienza straordinaria (che la tradizione registra e trasmette) come solo provvisoria. Infatti, nello spiegare i miracoli che accompagnarono la rivelazione dei comandamenti, scrive: "Dopo abbiamo scoperto il fondamento razionale per la necessità della loro prescrizione». Per Saadiah, la Torah esprime in definitiva la verità della natura, che in linea di principio è accessibile a tutti gli esseri umani razionali. Ma nella visione che Nahmanide condivide con Ha-Levi, la tradizione conserva e continua l'esperienza storica della presenza diretta di Dio. Tale esperienza non è accessibile a tutti, ma solo alle persone a cui Dio ha scelto di rivelarsi. Infatti, la tradizione e la rivelazione che essa registra sono ''l’unica'' vera conoscenza di Dio possibile per chiunque. Ciò comporta una differenza essenziale tra le tradizioni che portano l'impronta della rivelazione e quelle che semplicemente trasmettono o confermano esperienze ordinarie. Le tradizioni ordinarie, come quelle della storia convenzionale, forniscono la conoscenza di ciò che, almeno in linea di principio, è più direttamente disponibile attraverso i sensi e il ragionamento. Ma le tradizioni che preservano l'esperienza della rivelazione forniscono conoscenze che non sono disponibili altrove. '''[2.7]''' Nahmanide riconosce una conoscenza naturale, anche se indiretta, di Dio nella nostra consapevolezza delle meravigliose opere dell'ordine naturale. Quella consapevolezza può darci la sensazione che sia evidente una direzione soprannaturale del mondo visibile. Ma tale conoscenza è una via negativa: tutto ciò che possiamo dedurre da essa è che la vera intelligibilità del mondo è al di là della nostra comprensione. Attraverso la rivelazione, invece, possiamo conoscere lo stato reale della nostra relazione con il Creatore. {{citazione|Tutto ciò che appare nel mondo è duplice, contenente saggezza manifesta (''hokhmah nigleit'') e saggezza invisibile (''hokhmah ne‘elemet''). In altre parole, la provvidenza di Dio sulle creature è buona sia in modo esplicito che implicito. Perché il Suo buon governo è manifesto nel mondo, ed è noto che c'è più bene di quanto il nostro intelletto possa afferrare. Ma tu non sai e non puoi scoprire da solo se sei giusto davanti a Dio. Puoi saperlo solo attraverso la verità rivelata.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 11:6-1, 53; cfr. 12:3 - I, 54}} Il brano riecheggia l'inizio del ''Kuzari'' di Ha-Levi, dove al re pagano dei Khazari, egli stesso filosofo, viene raccontato in sogno da un angelo: "Il tuo modo di pensare è davvero gradito al Creatore, ma non il tuo modo di agire" (p. 35). Questo sogno è ciò che lo porta a cercare uno stile di vita migliore e, infine, a convertirsi all'ebraismo. Il ruolo della filosofia qui, intesa nel senso medievale come comprendente le scienze naturali, è di indicare l'esistenza di Dio ma allo stesso tempo di mostrarci che non possiamo assolutamente compiacere Dio sulla base di ciò che siamo capaci di apprendere da soli. Il contrasto con le opinioni di Saadyah è sorprendente. Non solo Saadyah pensa che tutti i comandamenti di Dio siano riconducibili alla ragione umana, ma presume anche, come nel caso di [[w:Giobbe|Giobbe]], che un individuo retto possa sapere con sicurezza di non aver commesso alcun male. Si veda il ''[https://www.google.co.uk/books/edition/The_Book_of_Theodicy/CTQfVJoZ4zcC?hl=en Libro di Teodicea]'' di Saadyah. '''[2.8]''' Così la rivelazione indiretta della ragione metafisica suscita in noi l'appetito per la rivelazione diretta della Torah. {{citazione|Questo intendevano i nostri saggi, di beata memoria, quando dicevano [B. Shabbat 88a] che se Israele non avesse accettato la Torah, Dio avrebbe riportato l'universo al caos: se non avessero desiderato (''hafetsim'') conoscere il loro Creatore e imparare che c'è una differenza tra il bene e il male, lo scopo della creazione sarebbe annullata (''betelah'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 143}} {{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}} {{Avanzamento|50%|21 giugno 2022}} [[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 2]] ap95ppanrckeugngo6nj32q6w6cjjcf 430790 430781 2022-07-21T16:26:55Z Monozigote 19063 /* Fede */ testo wikitext text/x-wiki {{Nahmanide teologo}} [[File:Krestin-Portrait of a Rabbi.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]] == Fede == '''[2.1]''' Ciò che contraddistingue la persona umana è la capacità di relazione consapevole con Dio. Nahmanide chiama il lato umano di questa relazione ''emunah'', fede o certezza. Il suo compito centrale come teologo è mettere in relazione il desiderio umano di tale coscienza con la verità rivelata, ''emet''. Il nostro esercizio di fede è lo scopo stesso della creazione; fonda tutte le relazioni di Dio con la natura: {{citazione|Il Signore ha creato tutte le creature inferiori per amore dell'uomo, poiché l'uomo è l'unico di loro che riconosce (''makir'') il suo Creatore.|CT: {{passo biblico2|Levitico|17:11}} - II, 97}} '''[2.2]''' Senza rapporto consapevole con Dio, l'esistenza umana non ha senso. E poiché il resto della creazione esiste per il bene dell'umanità, senza il nostro riconoscimento di Dio, tutta l'esistenza sarebbe inutile. {{citazione|Non vi è alcuna ragione [intrinseca] (''ta‘am'') per la formazione di animali e piante inferiori, poiché non riconoscono il loro Creatore; solo l'uomo lo fa. Dio ha creato l'uomo per riconoscere (''makir'') il suo Creatore, che Egli sia esaltato. Se l'uomo non avesse alcuna consapevolezza che Dio lo ha creato – tanto più se non sapesse che per il suo Creatore ci sono atti favoriti e desiderabili e altri atti indesiderabili e vili – l'uomo sarebbe come una bestia e oggetto della creazione sarebbe viziata (''betelah'')... Lo scopo stesso della creazione del mondo sarebbe vanificato.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 142-43}} Spiegando tale scopo, Nahmanides scrive: {{citazione|È l'intento (''kavvanah'') della creazione (''yetsirah'') degli umani. Poiché non c'è altra ragione (''ta‘am'') per la formazione dell'uomo, e Dio non ha alcun desiderio per gli esseri inferiori (''tahtonim'') se non che l'uomo dovrebbe conoscere e riconoscere il Dio che lo ha creato. Questo è il motivo per alzare la voce nelle sinagoghe, ed è questo il merito della preghiera pubblica, che gli uomini hanno un luogo in cui si riuniscono per riconoscere il Dio che li ha creati e li ha fatti esistere, affinché dicano: "Noi sono le Tue creature!"|''Ibid.'' - I, 152-53}} '''[2.3]''' Tutta la creazione sublunare è per il bene dell'uomo: {{citazione|Così ora Elihu continua sulla via degli altri amici, raccontando le lodi di Dio e la Sua provvidenza sul mondo. Perché custodisce il Suo mondo e veglia su di esso continuamente... è impossibile credere che non ci sia provvidenza persino sul più piccolo degli esseri umani... dato che le creature inferiori sono state create per amore dell'uomo, poiché nessuno tranne l'uomo ne riconosce Creatore. Se tutta la cura di Dio e la Sua protezione delle specie inferiori è per il bene dell'uomo, come potrebbe non esercitare una cura provvidenziale sull'uomo stesso?|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:2 - I, 107-08}} Nahmanide qui differisce nettamente da [[Maimonide]] (''Moreh Nevukhim'', 3,13), che pone le intelligenze celesti non fisiche, identificate con gli angeli (''Moreh'', 2,5-6), superiori all'uomo nell'ordine creato, perché non sono afflitte dalle incertezze di volontà (''Moreh'', 1.2; 3.17). L'uomo si relaziona a Dio attraverso questa natura superiore e intellettuale degli angeli, aspirando ad assomigliargli il più possibile. Per Nahmanide, gli angeli sono più alti dei corpi celesti, e così è l'uomo (CT: {{passo biblico2|Genesi|2:7}} - I, 33). Così l'uomo, come gli angeli, può relazionarsi con Dio, trascendendo la natura, sia terrena che celeste. '''[2.4]''' Poiché il rapporto di Dio con le anime umane è diretto, è individuale. Ma la relazione di Dio con il resto della creazione è solo specifica e indiretta: {{citazione|Da nessuna parte nella Torah o nei profeti è mai affermato che la provvidenza di Dio sovrintende (''mashgiah'') ai singoli membri di specie inarticolate. Nel loro caso la provvidenza si estende solo alle specie, che sono nella stessa categoria dei cieli e delle loro strutture. Così è stata permessa la macellazione (''[[w:shecḥitah|shehitah]]'') degli animali per soddisfare i bisogni umani e anche per espiare le nostre vite attraverso il loro sangue sull'altare. La ragione di ciò è chiara ed ovvia. È perché l'uomo riconosce il suo Dio come colui che si prende cura di lui e veglia su di lui.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:7 - I, 108}} '''[2.5]''' Sottolineando l'immediatezza del rapporto dell'anima con Dio, Nahmanide traccia una posizione nettamente diversa dall'intero progetto della teologia razionalista ebraica da Saadyah a Maimonide. Tale teologia era basata sull'idea che si potesse tracciare un percorso dalla conoscenza del mondo a Dio come sua causa necessaria. Nahmanide non negava la legittimità di tale inferenza. Ma la vedeva come una base insufficiente per il rapporto tra Dio e l'uomo. La conoscenza positiva di Dio deve provenire da Dio stesso per essere degna del suo oggetto. Commentando la richiesta di Mosè al [[w:Roveto ardente|Roveto Ardente]] che Dio riveli il Suo nome proprio, Nahmanide si impegna in una polemica acuta con la teologia ebraica razionalista da Saadyah a Maimonide e oltre. Come in quasi tutte queste polemiche da parte sua, mira sia a quella che considera un'esegesi errata del testo, sia a quella che ritiene essere la teologia errata che vi sta dietro. {{citazione|Gli chiese il Suo nome affinché il Signore lo dicesse, dando loro [gli Israeliti] istruzioni perfette sulla Sua esistenza e provvidenza... Secondo Saadyah Gaon... e Maimonide... dobbiamo dedurre che Dio disse a Mosè... che dovrebbe fornire loro prove razionali specifiche (''r’ayot sikhliyot'') per cui il Suo nome sarebbe accettato dai saggi... Ma questo non è il significato del versetto. La menzione del Nome a loro ne ''è'' la prova. Questo è il segno e la dimostrazione in risposta a ciò che avrebbero chiesto.|CT: {{passo biblico2|Esodo|3:13}} - I, 292}} In altre parole, la risposta di Dio, letteralmente: "Io sarò chi sarò (Io Sono Colui Che È)", non è una conclusione dedotta da premesse precedenti. È la promessa di Dio della propria auto-presentazione al popolo d'Israele in schiavitù egiziana. Questo è ciò che significa il Nome (il [[w:Tetragramma biblico|tetragramma]]). I precedenti rabbinici (B. Berakhot 9b e ''Shemot Rabbah'' 3.6) sono citati da Nahmanide. Più o meno lo stesso punto è fatto nella teologia ebraica moderna da [[w:Martin Buber|Martin Buber]] in ''Zur einer neuen Verdeutschung der Schrift'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 28-29; Königtum Gottes, III ed. riv. (Heidelberg: Lambert Schnieder, 1956) 69; e di [[Franz Rosenzweig]], ''Kleinere Schriften'' (Berlino: Schocken, 1937) 185ss. Si veda anche la loro traduzione congiunta del Pentateuco, ''Die Fünf Bücher der Weisung'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 158 ad Exod. 3:13. Ma Buber limita soprattutto l'essere di Dio alla sua relazionalità di Eterno Tu, come vediamo in ''[[w:Martin Buber#Io e Tu (Ich und Du)|Io e Tu (Ich und Du)]]'' (eng. tr. Kaufmann, 157ss.). L'elemento cabalistico nella teologia di Nahmanide non gli permette di confinare l'essere di Dio (espresso nel tetragramma, ''YHWH'') alla sua relazionalità. Così in Nahmanide l'importanza del Nome non sta solo nel designare l'auto-presentazione divina, ma nel suo ruolo nella vita divina interiore all'interno delle ''[[w:sefirot|sefirot]]''. '''[2.6]''' Per Nahmanide, come per la maggior parte dei pensatori ebrei, la fede non è una questione di credenze. Cioè, non è un'affermazione di ciò che è sconosciuto (cfr. [[w:Platone|Platone]], ''[[w:La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' 534A). Piuttosto, la fede è certezza di ciò che si conosce, in questo caso per esperienza intima dell'opera di Dio nel mondo. Pertanto, le differenze di Nahmanide con i teologi razionalisti non sono una questione del suo opporre la fede alla conoscenza, ma della sua insistenza sul fatto che otteniamo certezza dall'esperienza storica senza bisogno di una comprensione mediatrice e metafisica della natura. Così, nel suo resoconto della disputa di Barcellona, Nahmanide racconta la sua risposta ai riferimenti alla fede del suo avversario cristiano: {{citazione|Mi sono alzato e ho detto: "è chiaro che una persona non ha fede in ciò che non conosce".|KR: ''Disputazione'', n. 107 - I, 320}} Nahmanide contrappone la sua visione ebraica della fede con la visione cristiana rappresentata in tali passaggi del Nuovo Testamento come {{passo biblico2|2Corinzi|5:7}} e {{passo biblico2|Ebrei|11:1}}, dove la fede acquista il carattere di mistero. È sempre problematico citare la ''Disputazione'' come espressione delle opinioni teologiche di Nahmanide, poiché spesso sembra esagerare per effetto retorico. Tuttavia, l'affermazione di Nahmanide sulla fede e la conoscenza è tipica di quello che potrebbe essere chiamato il suo empirismo storico. Il suo approccio qui è influenzato da [[w:Yehuda Ha-Levi|Ha-Levi]], che parla di "tutto Israele, che sapeva queste cose prima per esperienza personale e poi per tradizione ininterrotta, che è uguale alla prima". (''Kuzari'', 1.25, trad. Hirschfeld, 47; cfr. 5.14, ''ad fin.'') Il commentatore italiano del XVI secolo, [[:en:w:Judah Moscato|Judah Moscato]] (''Qol Yehudah, ad loc.'') sottolinea la potente influenza di Ha-Levi su Nahmanide, citando la lettura di Nahmanide di {{passo biblico2|Deuteronomio|4:9}} (CT: II, 362). Collega anche l'approccio con quello di Saadyah Gaon. Ma a mio avviso quest'ultimo collegamento non è così stretto. Saadyah non considera l'esperienza trasmessa storicamente nella tradizione come una fonte di conoscenza uguale a quella derivata dai sensi, dall'intuizione intellettuale o dall'inferenza logica, le tre fonti della conoscenza diretta per lui (ED, 1.5). Ritiene che la tradizione sia "basata sulla conoscenza dei sensi oltre che su quella della ragione" e "ci conferma la validità delle prime tre fonti di conoscenza". In 3.1, Saadyah tratta anche l'esperienza straordinaria (che la tradizione registra e trasmette) come solo provvisoria. Infatti, nello spiegare i miracoli che accompagnarono la rivelazione dei comandamenti, scrive: "Dopo abbiamo scoperto il fondamento razionale per la necessità della loro prescrizione». Per Saadiah, la Torah esprime in definitiva la verità della natura, che in linea di principio è accessibile a tutti gli esseri umani razionali. Ma nella visione che Nahmanide condivide con Ha-Levi, la tradizione conserva e continua l'esperienza storica della presenza diretta di Dio. Tale esperienza non è accessibile a tutti, ma solo alle persone a cui Dio ha scelto di rivelarsi. Infatti, la tradizione e la rivelazione che essa registra sono ''l’unica'' vera conoscenza di Dio possibile per chiunque. Ciò comporta una differenza essenziale tra le tradizioni che portano l'impronta della rivelazione e quelle che semplicemente trasmettono o confermano esperienze ordinarie. Le tradizioni ordinarie, come quelle della storia convenzionale, forniscono la conoscenza di ciò che, almeno in linea di principio, è più direttamente disponibile attraverso i sensi e il ragionamento. Ma le tradizioni che preservano l'esperienza della rivelazione forniscono conoscenze che non sono disponibili altrove. '''[2.7]''' Nahmanide riconosce una conoscenza naturale, anche se indiretta, di Dio nella nostra consapevolezza delle meravigliose opere dell'ordine naturale. Quella consapevolezza può darci la sensazione che sia evidente una direzione soprannaturale del mondo visibile. Ma tale conoscenza è una via negativa: tutto ciò che possiamo dedurre da essa è che la vera intelligibilità del mondo è al di là della nostra comprensione. Attraverso la rivelazione, invece, possiamo conoscere lo stato reale della nostra relazione con il Creatore. {{citazione|Tutto ciò che appare nel mondo è duplice, contenente saggezza manifesta (''hokhmah nigleit'') e saggezza invisibile (''hokhmah ne‘elemet''). In altre parole, la provvidenza di Dio sulle creature è buona sia in modo esplicito che implicito. Perché il Suo buon governo è manifesto nel mondo, ed è noto che c'è più bene di quanto il nostro intelletto possa afferrare. Ma tu non sai e non puoi scoprire da solo se sei giusto davanti a Dio. Puoi saperlo solo attraverso la verità rivelata.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 11:6-1, 53; cfr. 12:3 - I, 54}} Il brano riecheggia l'inizio del ''Kuzari'' di Ha-Levi, dove al re pagano dei Khazari, egli stesso filosofo, viene raccontato in sogno da un angelo: "Il tuo modo di pensare è davvero gradito al Creatore, ma non il tuo modo di agire" (p. 35). Questo sogno è ciò che lo porta a cercare uno stile di vita migliore e, infine, a convertirsi all'ebraismo. Il ruolo della filosofia qui, intesa nel senso medievale come comprendente le scienze naturali, è di indicare l'esistenza di Dio ma allo stesso tempo di mostrarci che non possiamo assolutamente compiacere Dio sulla base di ciò che siamo capaci di apprendere da soli. Il contrasto con le opinioni di Saadyah è sorprendente. Non solo Saadyah pensa che tutti i comandamenti di Dio siano riconducibili alla ragione umana, ma presume anche, come nel caso di [[w:Giobbe|Giobbe]], che un individuo retto possa sapere con sicurezza di non aver commesso alcun male. Si veda il ''[https://www.google.co.uk/books/edition/The_Book_of_Theodicy/CTQfVJoZ4zcC?hl=en Libro di Teodicea]'' di Saadyah. '''[2.8]''' Così la rivelazione indiretta della ragione metafisica suscita in noi l'appetito per la rivelazione diretta della Torah. {{citazione|Questo intendevano i nostri saggi, di beata memoria, quando dicevano [B. Shabbat 88a] che se Israele non avesse accettato la Torah, Dio avrebbe riportato l'universo al caos: se non avessero desiderato (''hafetsim'') conoscere il loro Creatore e imparare che c'è una differenza tra il bene e il male, lo scopo della creazione sarebbe annullata (''betelah'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 143}} '''[2.9]''' La preferenza di Nahmanide per l'esperienza rispetto alla ragione come base della nostra connessione con Dio aiuta a spiegare il suo favore per l'opinione talmudica secondo cui la dichiarazione liturgica dell'Esodo dall'Egitto è un comandamento scritturale, mentre la dichiarazione liturgica della formula più astratta "[[w:Shemà|Ascolta, O Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno]]" (שְׁמַע יִשְׂרָאֵל ה' אֱלֹהֵינוּ ה' אֶחָד‎ {{passo biblico2|Dt|6:4}}) è solo un decreto rabbinico (cfr. B. Baba Kama 87a, Tos., s.v. ''ve-khen''). Nahmanide è seguito in questa conclusione dal suo più importante discepolo, [[w:Shlomo ben Aderet|Shlomo ben Aderet]], ''Responsa Rashba'', 1, n. 329. Ma né il precedente talmudico né l'opinione concorrente sviluppano il punto teologicamente come fa Nahmanide. Per Maimonide, prevedibilmente, la preferenza va alla formula più metafisica come recitazione scritturale comandata (''Sefer ha-Mitsvot'', comandamenti positivi, 10). Nahmanide scrive: {{citazione|È, come dicevano i rabbini [B. Berakhot 21a], che la recitazione dello ''Shema‘'' è un obbligo rabbinico. Ma la preghiera che la segue, "vera e certa" (''’emet ve-yatziv'') è scritturale perché menziona l'Esodo dall'Egitto.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}} '''[2.10]''' Senza la rivelazione del Nome di Dio, l'auto-proclamazione di Dio, si rimane con il "Dio dei filosofi", ma non il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, come direbbe [[w:Blaise Pascal|Pascal]]. In un commento eclatante, Nahmanide sottolinea che la lotta tra Mosè e il Faraone non è un conflitto tra un teista e un ateo, ma tra chi conosce un Dio presente attivamente e uno che riconosce un dio che è assente, un dio la cui autorità ora riposa essenzialmente nelle mani dell'uomo. Il Faraone conosce il suo dio da un'inferenza dallo studio della natura. Il Dio personale di Mosè si incontra direttamente. Quindi il riconoscimento del suo dio da parte del Faraone è impersonale e astratto (cfr. CT: {{passo biblico2|Esodo|8:15}}, I, 312-13, seguendo Ibn Ezra; cfr. [[w:Rashi|Rashi]] ''ad loc.''): {{citazione|Il Faraone era un uomo molto saggio e conosceva il Divino (''ha-’Elohim'') e lo riconosceva... ma non conosceva il Signore con il suo Nome unico (''ha-shem ha-meyuhad'') e quindi rispose "Non conosco il Signore".|CT: {{passo biblico2|Esodo|5:3-1}}, 300}} '''[2.11]''' Commentando il Salmo XIX, dove il salmista afferma: "I cieli annunziano la gloria di Dio" ({{passo biblico2|Salmi|19:2}}) e poi "la Torah del Signore è perfetta, ristorando l'anima" ({{passo biblico|Salmi|19:8}}), Nahmanide sostiene che la conoscenza fornita dalla Torah è di gran lunga superiore a quella raggiunta attraverso l'astronomia: {{citazione|Queste sono prove evidenti della gloria di Dio, ma sono ancora tutte opera delle Sue mani. La Torah completa del Signore, tuttavia, è più grande di ciò. Ristabilisce l'anima e rende saggi i semplici, perché toglie ogni dubbio dal cuore, sia per i saggi che per coloro che non conoscono la cosmologia e l'astronomia.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 141}} {{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}} {{Avanzamento|50%|21 giugno 2022}} [[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 2]] 5dehcuneyz2554nx66hlc2rmrgpy9nb 430792 430790 2022-07-21T20:50:21Z Monozigote 19063 /* Fede */ testo wikitext text/x-wiki {{Nahmanide teologo}} [[File:Krestin-Portrait of a Rabbi.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]] == Fede == '''[2.1]''' Ciò che contraddistingue la persona umana è la capacità di relazione consapevole con Dio. Nahmanide chiama il lato umano di questa relazione ''emunah'', fede o certezza. Il suo compito centrale come teologo è mettere in relazione il desiderio umano di tale coscienza con la verità rivelata, ''emet''. Il nostro esercizio di fede è lo scopo stesso della creazione; fonda tutte le relazioni di Dio con la natura: {{citazione|Il Signore ha creato tutte le creature inferiori per amore dell'uomo, poiché l'uomo è l'unico di loro che riconosce (''makir'') il suo Creatore.|CT: {{passo biblico2|Levitico|17:11}} - II, 97}} '''[2.2]''' Senza rapporto consapevole con Dio, l'esistenza umana non ha senso. E poiché il resto della creazione esiste per il bene dell'umanità, senza il nostro riconoscimento di Dio, tutta l'esistenza sarebbe inutile. {{citazione|Non vi è alcuna ragione [intrinseca] (''ta‘am'') per la formazione di animali e piante inferiori, poiché non riconoscono il loro Creatore; solo l'uomo lo fa. Dio ha creato l'uomo per riconoscere (''makir'') il suo Creatore, che Egli sia esaltato. Se l'uomo non avesse alcuna consapevolezza che Dio lo ha creato – tanto più se non sapesse che per il suo Creatore ci sono atti favoriti e desiderabili e altri atti indesiderabili e vili – l'uomo sarebbe come una bestia e oggetto della creazione sarebbe viziata (''betelah'')... Lo scopo stesso della creazione del mondo sarebbe vanificato.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 142-43}} Spiegando tale scopo, Nahmanides scrive: {{citazione|È l'intento (''kavvanah'') della creazione (''yetsirah'') degli umani. Poiché non c'è altra ragione (''ta‘am'') per la formazione dell'uomo, e Dio non ha alcun desiderio per gli esseri inferiori (''tahtonim'') se non che l'uomo dovrebbe conoscere e riconoscere il Dio che lo ha creato. Questo è il motivo per alzare la voce nelle sinagoghe, ed è questo il merito della preghiera pubblica, che gli uomini hanno un luogo in cui si riuniscono per riconoscere il Dio che li ha creati e li ha fatti esistere, affinché dicano: "Noi sono le Tue creature!"|''Ibid.'' - I, 152-53}} '''[2.3]''' Tutta la creazione sublunare è per il bene dell'uomo: {{citazione|Così ora Elihu continua sulla via degli altri amici, raccontando le lodi di Dio e la Sua provvidenza sul mondo. Perché custodisce il Suo mondo e veglia su di esso continuamente... è impossibile credere che non ci sia provvidenza persino sul più piccolo degli esseri umani... dato che le creature inferiori sono state create per amore dell'uomo, poiché nessuno tranne l'uomo ne riconosce Creatore. Se tutta la cura di Dio e la Sua protezione delle specie inferiori è per il bene dell'uomo, come potrebbe non esercitare una cura provvidenziale sull'uomo stesso?|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:2 - I, 107-08}} Nahmanide qui differisce nettamente da [[Maimonide]] (''Moreh Nevukhim'', 3,13), che pone le intelligenze celesti non fisiche, identificate con gli angeli (''Moreh'', 2,5-6), superiori all'uomo nell'ordine creato, perché non sono afflitte dalle incertezze di volontà (''Moreh'', 1.2; 3.17). L'uomo si relaziona a Dio attraverso questa natura superiore e intellettuale degli angeli, aspirando ad assomigliargli il più possibile. Per Nahmanide, gli angeli sono più alti dei corpi celesti, e così è l'uomo (CT: {{passo biblico2|Genesi|2:7}} - I, 33). Così l'uomo, come gli angeli, può relazionarsi con Dio, trascendendo la natura, sia terrena che celeste. '''[2.4]''' Poiché il rapporto di Dio con le anime umane è diretto, è individuale. Ma la relazione di Dio con il resto della creazione è solo specifica e indiretta: {{citazione|Da nessuna parte nella Torah o nei profeti è mai affermato che la provvidenza di Dio sovrintende (''mashgiah'') ai singoli membri di specie inarticolate. Nel loro caso la provvidenza si estende solo alle specie, che sono nella stessa categoria dei cieli e delle loro strutture. Così è stata permessa la macellazione (''[[w:shecḥitah|shehitah]]'') degli animali per soddisfare i bisogni umani e anche per espiare le nostre vite attraverso il loro sangue sull'altare. La ragione di ciò è chiara ed ovvia. È perché l'uomo riconosce il suo Dio come colui che si prende cura di lui e veglia su di lui.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:7 - I, 108}} '''[2.5]''' Sottolineando l'immediatezza del rapporto dell'anima con Dio, Nahmanide traccia una posizione nettamente diversa dall'intero progetto della teologia razionalista ebraica da Saadyah a Maimonide. Tale teologia era basata sull'idea che si potesse tracciare un percorso dalla conoscenza del mondo a Dio come sua causa necessaria. Nahmanide non negava la legittimità di tale inferenza. Ma la vedeva come una base insufficiente per il rapporto tra Dio e l'uomo. La conoscenza positiva di Dio deve provenire da Dio stesso per essere degna del suo oggetto. Commentando la richiesta di Mosè al [[w:Roveto ardente|Roveto Ardente]] che Dio riveli il Suo nome proprio, Nahmanide si impegna in una polemica acuta con la teologia ebraica razionalista da Saadyah a Maimonide e oltre. Come in quasi tutte queste polemiche da parte sua, mira sia a quella che considera un'esegesi errata del testo, sia a quella che ritiene essere la teologia errata che vi sta dietro. {{citazione|Gli chiese il Suo nome affinché il Signore lo dicesse, dando loro [gli Israeliti] istruzioni perfette sulla Sua esistenza e provvidenza... Secondo Saadyah Gaon... e Maimonide... dobbiamo dedurre che Dio disse a Mosè... che dovrebbe fornire loro prove razionali specifiche (''r’ayot sikhliyot'') per cui il Suo nome sarebbe accettato dai saggi... Ma questo non è il significato del versetto. La menzione del Nome a loro ne ''è'' la prova. Questo è il segno e la dimostrazione in risposta a ciò che avrebbero chiesto.|CT: {{passo biblico2|Esodo|3:13}} - I, 292}} In altre parole, la risposta di Dio, letteralmente: "Io sarò chi sarò (Io Sono Colui Che È)", non è una conclusione dedotta da premesse precedenti. È la promessa di Dio della propria auto-presentazione al popolo d'Israele in schiavitù egiziana. Questo è ciò che significa il Nome (il [[w:Tetragramma biblico|tetragramma]]). I precedenti rabbinici (B. Berakhot 9b e ''Shemot Rabbah'' 3.6) sono citati da Nahmanide. Più o meno lo stesso punto è fatto nella teologia ebraica moderna da [[w:Martin Buber|Martin Buber]] in ''Zur einer neuen Verdeutschung der Schrift'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 28-29; Königtum Gottes, III ed. riv. (Heidelberg: Lambert Schnieder, 1956) 69; e di [[Franz Rosenzweig]], ''Kleinere Schriften'' (Berlino: Schocken, 1937) 185ss. Si veda anche la loro traduzione congiunta del Pentateuco, ''Die Fünf Bücher der Weisung'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 158 ad Exod. 3:13. Ma Buber limita soprattutto l'essere di Dio alla sua relazionalità di Eterno Tu, come vediamo in ''[[w:Martin Buber#Io e Tu (Ich und Du)|Io e Tu (Ich und Du)]]'' (eng. tr. Kaufmann, 157ss.). L'elemento cabalistico nella teologia di Nahmanide non gli permette di confinare l'essere di Dio (espresso nel tetragramma, ''YHWH'') alla sua relazionalità. Così in Nahmanide l'importanza del Nome non sta solo nel designare l'auto-presentazione divina, ma nel suo ruolo nella vita divina interiore all'interno delle ''[[w:sefirot|sefirot]]''. '''[2.6]''' Per Nahmanide, come per la maggior parte dei pensatori ebrei, la fede non è una questione di credenze. Cioè, non è un'affermazione di ciò che è sconosciuto (cfr. [[w:Platone|Platone]], ''[[w:La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' 534A). Piuttosto, la fede è certezza di ciò che si conosce, in questo caso per esperienza intima dell'opera di Dio nel mondo. Pertanto, le differenze di Nahmanide con i teologi razionalisti non sono una questione del suo opporre la fede alla conoscenza, ma della sua insistenza sul fatto che otteniamo certezza dall'esperienza storica senza bisogno di una comprensione mediatrice e metafisica della natura. Così, nel suo resoconto della disputa di Barcellona, Nahmanide racconta la sua risposta ai riferimenti alla fede del suo avversario cristiano: {{citazione|Mi sono alzato e ho detto: "è chiaro che una persona non ha fede in ciò che non conosce".|KR: ''Disputazione'', n. 107 - I, 320}} Nahmanide contrappone la sua visione ebraica della fede con la visione cristiana rappresentata in tali passaggi del Nuovo Testamento come {{passo biblico2|2Corinzi|5:7}} e {{passo biblico2|Ebrei|11:1}}, dove la fede acquista il carattere di mistero. È sempre problematico citare la ''Disputazione'' come espressione delle opinioni teologiche di Nahmanide, poiché spesso sembra esagerare per effetto retorico. Tuttavia, l'affermazione di Nahmanide sulla fede e la conoscenza è tipica di quello che potrebbe essere chiamato il suo empirismo storico. Il suo approccio qui è influenzato da [[w:Yehuda Ha-Levi|Ha-Levi]], che parla di "tutto Israele, che sapeva queste cose prima per esperienza personale e poi per tradizione ininterrotta, che è uguale alla prima". (''Kuzari'', 1.25, trad. Hirschfeld, 47; cfr. 5.14, ''ad fin.'') Il commentatore italiano del XVI secolo, [[:en:w:Judah Moscato|Judah Moscato]] (''Qol Yehudah, ad loc.'') sottolinea la potente influenza di Ha-Levi su Nahmanide, citando la lettura di Nahmanide di {{passo biblico2|Deuteronomio|4:9}} (CT: II, 362). Collega anche l'approccio con quello di Saadyah Gaon. Ma a mio avviso quest'ultimo collegamento non è così stretto. Saadyah non considera l'esperienza trasmessa storicamente nella tradizione come una fonte di conoscenza uguale a quella derivata dai sensi, dall'intuizione intellettuale o dall'inferenza logica, le tre fonti della conoscenza diretta per lui (ED, 1.5). Ritiene che la tradizione sia "basata sulla conoscenza dei sensi oltre che su quella della ragione" e "ci conferma la validità delle prime tre fonti di conoscenza". In 3.1, Saadyah tratta anche l'esperienza straordinaria (che la tradizione registra e trasmette) come solo provvisoria. Infatti, nello spiegare i miracoli che accompagnarono la rivelazione dei comandamenti, scrive: "Dopo abbiamo scoperto il fondamento razionale per la necessità della loro prescrizione». Per Saadiah, la Torah esprime in definitiva la verità della natura, che in linea di principio è accessibile a tutti gli esseri umani razionali. Ma nella visione che Nahmanide condivide con Ha-Levi, la tradizione conserva e continua l'esperienza storica della presenza diretta di Dio. Tale esperienza non è accessibile a tutti, ma solo alle persone a cui Dio ha scelto di rivelarsi. Infatti, la tradizione e la rivelazione che essa registra sono ''l’unica'' vera conoscenza di Dio possibile per chiunque. Ciò comporta una differenza essenziale tra le tradizioni che portano l'impronta della rivelazione e quelle che semplicemente trasmettono o confermano esperienze ordinarie. Le tradizioni ordinarie, come quelle della storia convenzionale, forniscono la conoscenza di ciò che, almeno in linea di principio, è più direttamente disponibile attraverso i sensi e il ragionamento. Ma le tradizioni che preservano l'esperienza della rivelazione forniscono conoscenze che non sono disponibili altrove. '''[2.7]''' Nahmanide riconosce una conoscenza naturale, anche se indiretta, di Dio nella nostra consapevolezza delle meravigliose opere dell'ordine naturale. Quella consapevolezza può darci la sensazione che sia evidente una direzione soprannaturale del mondo visibile. Ma tale conoscenza è una via negativa: tutto ciò che possiamo dedurre da essa è che la vera intelligibilità del mondo è al di là della nostra comprensione. Attraverso la rivelazione, invece, possiamo conoscere lo stato reale della nostra relazione con il Creatore. {{citazione|Tutto ciò che appare nel mondo è duplice, contenente saggezza manifesta (''hokhmah nigleit'') e saggezza invisibile (''hokhmah ne‘elemet''). In altre parole, la provvidenza di Dio sulle creature è buona sia in modo esplicito che implicito. Perché il Suo buon governo è manifesto nel mondo, ed è noto che c'è più bene di quanto il nostro intelletto possa afferrare. Ma tu non sai e non puoi scoprire da solo se sei giusto davanti a Dio. Puoi saperlo solo attraverso la verità rivelata.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 11:6-1, 53; cfr. 12:3 - I, 54}} Il brano riecheggia l'inizio del ''Kuzari'' di Ha-Levi, dove al re pagano dei Khazari, egli stesso filosofo, viene raccontato in sogno da un angelo: "Il tuo modo di pensare è davvero gradito al Creatore, ma non il tuo modo di agire" (p. 35). Questo sogno è ciò che lo porta a cercare uno stile di vita migliore e, infine, a convertirsi all'ebraismo. Il ruolo della filosofia qui, intesa nel senso medievale come comprendente le scienze naturali, è di indicare l'esistenza di Dio ma allo stesso tempo di mostrarci che non possiamo assolutamente compiacere Dio sulla base di ciò che siamo capaci di apprendere da soli. Il contrasto con le opinioni di Saadyah è sorprendente. Non solo Saadyah pensa che tutti i comandamenti di Dio siano riconducibili alla ragione umana, ma presume anche, come nel caso di [[w:Giobbe|Giobbe]], che un individuo retto possa sapere con sicurezza di non aver commesso alcun male. Si veda il ''[https://www.google.co.uk/books/edition/The_Book_of_Theodicy/CTQfVJoZ4zcC?hl=en Libro di Teodicea]'' di Saadyah. '''[2.8]''' Così la rivelazione indiretta della ragione metafisica suscita in noi l'appetito per la rivelazione diretta della Torah. {{citazione|Questo intendevano i nostri saggi, di beata memoria, quando dicevano [B. Shabbat 88a] che se Israele non avesse accettato la Torah, Dio avrebbe riportato l'universo al caos: se non avessero desiderato (''hafetsim'') conoscere il loro Creatore e imparare che c'è una differenza tra il bene e il male, lo scopo della creazione sarebbe annullata (''betelah'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 143}} '''[2.9]''' La preferenza di Nahmanide per l'esperienza rispetto alla ragione come base della nostra connessione con Dio aiuta a spiegare il suo favore per l'opinione talmudica secondo cui la dichiarazione liturgica dell'Esodo dall'Egitto è un comandamento scritturale, mentre la dichiarazione liturgica della formula più astratta "[[w:Shemà|Ascolta, O Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno]]" (שְׁמַע יִשְׂרָאֵל ה' אֱלֹהֵינוּ ה' אֶחָד‎ {{passo biblico2|Dt|6:4}}) è solo un decreto rabbinico (cfr. B. Baba Kama 87a, Tos., s.v. ''ve-khen''). Nahmanide è seguito in questa conclusione dal suo più importante discepolo, [[w:Shlomo ben Aderet|Shlomo ben Aderet]], ''Responsa Rashba'', 1, n. 329. Ma né il precedente talmudico né l'opinione concorrente sviluppano il punto teologicamente come fa Nahmanide. Per Maimonide, prevedibilmente, la preferenza va alla formula più metafisica come recitazione scritturale comandata (''Sefer ha-Mitsvot'', comandamenti positivi, 10). Nahmanide scrive: {{citazione|È, come dicevano i rabbini [B. Berakhot 21a], che la recitazione dello ''Shema‘'' è un obbligo rabbinico. Ma la preghiera che la segue, "vera e certa" (''’emet ve-yatziv'') è scritturale perché menziona l'Esodo dall'Egitto.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}} '''[2.10]''' Senza la rivelazione del Nome di Dio, l'auto-proclamazione di Dio, si rimane con il "Dio dei filosofi", ma non il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, come direbbe [[w:Blaise Pascal|Pascal]]. In un commento eclatante, Nahmanide sottolinea che la lotta tra Mosè e il Faraone non è un conflitto tra un teista e un ateo, ma tra chi conosce un Dio presente attivamente e uno che riconosce un dio che è assente, un dio la cui autorità ora riposa essenzialmente nelle mani dell'uomo. Il Faraone conosce il suo dio da un'inferenza dallo studio della natura. Il Dio personale di Mosè si incontra direttamente. Quindi il riconoscimento del suo dio da parte del Faraone è impersonale e astratto (cfr. CT: {{passo biblico2|Esodo|8:15}}, I, 312-13, seguendo Ibn Ezra; cfr. [[w:Rashi|Rashi]] ''ad loc.''): {{citazione|Il Faraone era un uomo molto saggio e conosceva il Divino (''ha-’Elohim'') e lo riconosceva... ma non conosceva il Signore con il suo Nome unico (''ha-shem ha-meyuhad'') e quindi rispose "Non conosco il Signore".|CT: {{passo biblico2|Esodo|5:3-1}}, 300}} '''[2.11]''' Commentando il Salmo XIX, dove il salmista afferma: "I cieli annunziano la gloria di Dio" ({{passo biblico2|Salmi|19:2}}) e poi "la Torah del Signore è perfetta, ristorando l'anima" ({{passo biblico|Salmi|19:8}}), Nahmanide sostiene che la conoscenza fornita dalla Torah è di gran lunga superiore a quella raggiunta attraverso l'astronomia: {{citazione|Queste sono prove evidenti della gloria di Dio, ma sono ancora tutte opera delle Sue mani. La Torah completa del Signore, tuttavia, è più grande di ciò. Ristabilisce l'anima e rende saggi i semplici, perché toglie ogni dubbio dal cuore, sia per i saggi che per coloro che non conoscono la cosmologia e l'astronomia.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 141}} Espandendo la superiorità della Torah rivelata rispetto alla teologia naturale, Nahmanide scrive: {{citazione|Sta scritto: "La Torah del Signore è perfetta che ristora l'anima; la testimonianza del Signore è veritiera, rende saggio il semplice" ({{passo biblico2|Salmi|19:8}}). Dopo aver affermato che "i cieli dichiarano la gloria di Dio" ({{passo biblico|Salmi|19:2}}), ritorna ai meriti della Torah e afferma che essa dichiara la lode di Dio (''shevah'') più dei cieli — il sole, la luna e le stelle, che sono stati menzionati sopra in questo salmo. La spiegazione di questa procedura è che Davide iniziò affermando che i cieli dichiarano la lode di Dio, perché il movimento dei cieli è perpetuo e senza fine. Dato che ogni movimento richiede un motore, i cieli affermano la gloria di Dio... queste cose sono prove evidenti della gloria di Dio, poiché tutte sono opera delle Sue mani. Ma la Torah del Signore è molto più perfetta (''shlemah yoter'')... rimuove tutti i dubbi dal cuore sia dei dotti (''ha-hakhamim'') che di coloro che non comprendono le leggi dei cieli e le formazioni delle stelle.|Ibid, - I, 141}} [[Maimonide]] (''Moreh Nevukhim'', 2.5) interpreta il salmo in modo molto più letterale, sostenendo che l'intelligenza delle sfere celesti è la prima indicazione di Dio come oggetto ultimo del loro desiderio intelligente. Cfr. anche, ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 2.8; 3.9. '''[2.12]''' La rivelazione può avere la precedenza sulla ragione indipendente per Nahmanide, principalmente a causa del suo principio fondamentale che la Torah precede la creazione. Sostiene questo punto di vista in una forma più radicale rispetto ai [[w:Rabbinismo|Rabbini]]. Per loro, sono creati sia la Torah che il mondo, ma la Torah è prima del mondo nell'ordine della creazione, temporalmente o teleologicamente (B. Pesahim 54a; Bereshit Rabbah 1.1; R. Jacob ibn Habib, ''‘Ein Ya‘aqov'', introd.; H. A. Wolfson, ''Repercussions of the Kalam in Jewish Philosophy'' [Cambridge: Harvard University Press 1979], 85ss.). Nella teologia di Nahmanide la Torah è assolutamente anteriore alla creazione. È un'emanazione diretta di Dio, non una creazione separata. Pertanto, è anteriore alla creazione poiché l'emanazione (''atsilut'') è anteriore alla creazione (''beri’ah''), un punto molto sviluppato nella teologia cabalistica che Nahmanide ha così fondamentalmente stimolato e influenzato. Si veda Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 1.381ss. Entità essenzialmente differenti richiedono metodi di comprensione essenzialmente differenti (cfr. [[Aristotele|Aristotele]], ''[[w:Etica Nicomachea|Etica Nicomachea]]'', 1094b 12-28). I nostri mezzi per comprendere la natura sono inadeguati per comprendere la Torah e qualsiasi somiglianza è superficiale — perché la Torah rivela la verità dell'emanazione, una realtà anteriore alla creazione. Rivela anche la verità della creazione molto più profondamente di quanto possa fare la ragione umana senza aiuto. Nella teologia di Maimonide la Torah è un'entità creata, separata da Dio (''Moreh Nevukhim'', 1,65): "Gli fu attribuita solo perché le parole udite da Mosè furono create e poste in essere da Dio, così come Egli creò tutte le cose che Egli ha creato e fatto esistere". Di conseguenza, il metodo scientifico applicato alla natura e adeguato alla sua verità sarebbe adeguato anche alla Torah. La verità deve essere ascoltata da chiunque l'abbia razionalmente dimostrata – anche da un filosofo greco (pagano) come Aristotele (cfr. ''Shemonah Peraqim'', introduzione; ''Moreh'', introduzione). Sebbene i filosofi greci non abbiano scoperto le verità della Torah in quanto tali, hanno scoperto le verità della natura. Ed entrambe le verità sono una, sostanzialmente e metodologicamente; sono membri dello stesso ''genus''. La Torah, inoltre, come ogni altro ''datum'' naturale, ammette di essere compresa solo per via scientifica. Non fornisce alcun metodo privilegiato per comprendere se stessa o il resto della creazione (cfr. ''Moreh'', 2.25; ''Teshuvot ha-Rambam'', cur. Blau [Gerusalemme: Meqitsei Nirdamim, 1960] 2 n. 82). Qualsiasi pretesa contraria alla Torah sarebbe superstizione (''Commentario alla Mishnah'': Pesahim 4.9). Poiché per Maimonide la Torah è stata creata, e poiché la creazione è più indiretta dell'emanazione, ne consegue che il ruolo di mediazione del Mosè storico è molto più importante per Maimonide che per Nahmanide. Così Nahmanide scrive: {{citazione|Sembrerebbe che avrebbe dovuto essere scritto all'inizio della Torah: "Allora Dio pronunciò tutte queste parole a Mosè, dicendo—" [Esodo. 20:1]. Ma doveva essere scritto in uno stile più assoluto (''stam''). Perché Mosè non ha scritto la Torah come qualcuno che parla in prima persona, come hanno fatto gli altri profeti, che hanno parlato in prima persona... La ragione (''ha-ta‘am'') per cui la Torah è stata scritta in questo modo è che è prima di (''she-qadmah'') la creazione del mondo... Inoltre, abbiamo un'autentica tradizione (''qabbalah shel emet'') che l'intera Torah consiste dei nomi di Dio — che tutte le lettere potrebbero essere quei nomi, se così riordinate.|CT: introduzione - I, 4, 6}} {{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}} {{Avanzamento|75%|21 giugno 2022}} [[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 2]] rvki0deuh38qiuemwwitqng4zzovh7i 430794 430792 2022-07-21T22:02:36Z Monozigote 19063 /* Fede */ testo wikitext text/x-wiki {{Nahmanide teologo}} [[File:Krestin-Portrait of a Rabbi.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]] == Fede == '''[2.1]''' Ciò che contraddistingue la persona umana è la capacità di relazione consapevole con Dio. Nahmanide chiama il lato umano di questa relazione ''emunah'', fede o certezza. Il suo compito centrale come teologo è mettere in relazione il desiderio umano di tale coscienza con la verità rivelata, ''emet''. Il nostro esercizio di fede è lo scopo stesso della creazione; fonda tutte le relazioni di Dio con la natura: {{citazione|Il Signore ha creato tutte le creature inferiori per amore dell'uomo, poiché l'uomo è l'unico di loro che riconosce (''makir'') il suo Creatore.|CT: {{passo biblico2|Levitico|17:11}} - II, 97}} '''[2.2]''' Senza rapporto consapevole con Dio, l'esistenza umana non ha senso. E poiché il resto della creazione esiste per il bene dell'umanità, senza il nostro riconoscimento di Dio, tutta l'esistenza sarebbe inutile. {{citazione|Non vi è alcuna ragione [intrinseca] (''ta‘am'') per la formazione di animali e piante inferiori, poiché non riconoscono il loro Creatore; solo l'uomo lo fa. Dio ha creato l'uomo per riconoscere (''makir'') il suo Creatore, che Egli sia esaltato. Se l'uomo non avesse alcuna consapevolezza che Dio lo ha creato – tanto più se non sapesse che per il suo Creatore ci sono atti favoriti e desiderabili e altri atti indesiderabili e vili – l'uomo sarebbe come una bestia e oggetto della creazione sarebbe viziata (''betelah'')... Lo scopo stesso della creazione del mondo sarebbe vanificato.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 142-43}} Spiegando tale scopo, Nahmanides scrive: {{citazione|È l'intento (''kavvanah'') della creazione (''yetsirah'') degli umani. Poiché non c'è altra ragione (''ta‘am'') per la formazione dell'uomo, e Dio non ha alcun desiderio per gli esseri inferiori (''tahtonim'') se non che l'uomo dovrebbe conoscere e riconoscere il Dio che lo ha creato. Questo è il motivo per alzare la voce nelle sinagoghe, ed è questo il merito della preghiera pubblica, che gli uomini hanno un luogo in cui si riuniscono per riconoscere il Dio che li ha creati e li ha fatti esistere, affinché dicano: "Noi sono le Tue creature!"|''Ibid.'' - I, 152-53}} '''[2.3]''' Tutta la creazione sublunare è per il bene dell'uomo: {{citazione|Così ora Elihu continua sulla via degli altri amici, raccontando le lodi di Dio e la Sua provvidenza sul mondo. Perché custodisce il Suo mondo e veglia su di esso continuamente... è impossibile credere che non ci sia provvidenza persino sul più piccolo degli esseri umani... dato che le creature inferiori sono state create per amore dell'uomo, poiché nessuno tranne l'uomo ne riconosce Creatore. Se tutta la cura di Dio e la Sua protezione delle specie inferiori è per il bene dell'uomo, come potrebbe non esercitare una cura provvidenziale sull'uomo stesso?|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:2 - I, 107-08}} Nahmanide qui differisce nettamente da [[Maimonide]] (''Moreh Nevukhim'', 3,13), che pone le intelligenze celesti non fisiche, identificate con gli angeli (''Moreh'', 2,5-6), superiori all'uomo nell'ordine creato, perché non sono afflitte dalle incertezze di volontà (''Moreh'', 1.2; 3.17). L'uomo si relaziona a Dio attraverso questa natura superiore e intellettuale degli angeli, aspirando ad assomigliargli il più possibile. Per Nahmanide, gli angeli sono più alti dei corpi celesti, e così è l'uomo (CT: {{passo biblico2|Genesi|2:7}} - I, 33). Così l'uomo, come gli angeli, può relazionarsi con Dio, trascendendo la natura, sia terrena che celeste. '''[2.4]''' Poiché il rapporto di Dio con le anime umane è diretto, è individuale. Ma la relazione di Dio con il resto della creazione è solo specifica e indiretta: {{citazione|Da nessuna parte nella Torah o nei profeti è mai affermato che la provvidenza di Dio sovrintende (''mashgiah'') ai singoli membri di specie inarticolate. Nel loro caso la provvidenza si estende solo alle specie, che sono nella stessa categoria dei cieli e delle loro strutture. Così è stata permessa la macellazione (''[[w:shecḥitah|shehitah]]'') degli animali per soddisfare i bisogni umani e anche per espiare le nostre vite attraverso il loro sangue sull'altare. La ragione di ciò è chiara ed ovvia. È perché l'uomo riconosce il suo Dio come colui che si prende cura di lui e veglia su di lui.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 36:7 - I, 108}} '''[2.5]''' Sottolineando l'immediatezza del rapporto dell'anima con Dio, Nahmanide traccia una posizione nettamente diversa dall'intero progetto della teologia razionalista ebraica da Saadyah a Maimonide. Tale teologia era basata sull'idea che si potesse tracciare un percorso dalla conoscenza del mondo a Dio come sua causa necessaria. Nahmanide non negava la legittimità di tale inferenza. Ma la vedeva come una base insufficiente per il rapporto tra Dio e l'uomo. La conoscenza positiva di Dio deve provenire da Dio stesso per essere degna del suo oggetto. Commentando la richiesta di Mosè al [[w:Roveto ardente|Roveto Ardente]] che Dio riveli il Suo nome proprio, Nahmanide si impegna in una polemica acuta con la teologia ebraica razionalista da Saadyah a Maimonide e oltre. Come in quasi tutte queste polemiche da parte sua, mira sia a quella che considera un'esegesi errata del testo, sia a quella che ritiene essere la teologia errata che vi sta dietro. {{citazione|Gli chiese il Suo nome affinché il Signore lo dicesse, dando loro [gli Israeliti] istruzioni perfette sulla Sua esistenza e provvidenza... Secondo Saadyah Gaon... e Maimonide... dobbiamo dedurre che Dio disse a Mosè... che dovrebbe fornire loro prove razionali specifiche (''r’ayot sikhliyot'') per cui il Suo nome sarebbe accettato dai saggi... Ma questo non è il significato del versetto. La menzione del Nome a loro ne ''è'' la prova. Questo è il segno e la dimostrazione in risposta a ciò che avrebbero chiesto.|CT: {{passo biblico2|Esodo|3:13}} - I, 292}} In altre parole, la risposta di Dio, letteralmente: "Io sarò chi sarò (Io Sono Colui Che È)", non è una conclusione dedotta da premesse precedenti. È la promessa di Dio della propria auto-presentazione al popolo d'Israele in schiavitù egiziana. Questo è ciò che significa il Nome (il [[w:Tetragramma biblico|tetragramma]]). I precedenti rabbinici (B. Berakhot 9b e ''Shemot Rabbah'' 3.6) sono citati da Nahmanide. Più o meno lo stesso punto è fatto nella teologia ebraica moderna da [[w:Martin Buber|Martin Buber]] in ''Zur einer neuen Verdeutschung der Schrift'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 28-29; Königtum Gottes, III ed. riv. (Heidelberg: Lambert Schnieder, 1956) 69; e di [[Franz Rosenzweig]], ''Kleinere Schriften'' (Berlino: Schocken, 1937) 185ss. Si veda anche la loro traduzione congiunta del Pentateuco, ''Die Fünf Bücher der Weisung'' (Olten: Jakob Hegner, 1954) 158 ad Exod. 3:13. Ma Buber limita soprattutto l'essere di Dio alla sua relazionalità di Eterno Tu, come vediamo in ''[[w:Martin Buber#Io e Tu (Ich und Du)|Io e Tu (Ich und Du)]]'' (eng. tr. Kaufmann, 157ss.). L'elemento cabalistico nella teologia di Nahmanide non gli permette di confinare l'essere di Dio (espresso nel tetragramma, ''YHWH'') alla sua relazionalità. Così in Nahmanide l'importanza del Nome non sta solo nel designare l'auto-presentazione divina, ma nel suo ruolo nella vita divina interiore all'interno delle ''[[w:sefirot|sefirot]]''. '''[2.6]''' Per Nahmanide, come per la maggior parte dei pensatori ebrei, la fede non è una questione di credenze. Cioè, non è un'affermazione di ciò che è sconosciuto (cfr. [[w:Platone|Platone]], ''[[w:La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' 534A). Piuttosto, la fede è certezza di ciò che si conosce, in questo caso per esperienza intima dell'opera di Dio nel mondo. Pertanto, le differenze di Nahmanide con i teologi razionalisti non sono una questione del suo opporre la fede alla conoscenza, ma della sua insistenza sul fatto che otteniamo certezza dall'esperienza storica senza bisogno di una comprensione mediatrice e metafisica della natura. Così, nel suo resoconto della disputa di Barcellona, Nahmanide racconta la sua risposta ai riferimenti alla fede del suo avversario cristiano: {{citazione|Mi sono alzato e ho detto: "è chiaro che una persona non ha fede in ciò che non conosce".|KR: ''Disputazione'', n. 107 - I, 320}} Nahmanide contrappone la sua visione ebraica della fede con la visione cristiana rappresentata in tali passaggi del Nuovo Testamento come {{passo biblico2|2Corinzi|5:7}} e {{passo biblico2|Ebrei|11:1}}, dove la fede acquista il carattere di mistero. È sempre problematico citare la ''Disputazione'' come espressione delle opinioni teologiche di Nahmanide, poiché spesso sembra esagerare per effetto retorico. Tuttavia, l'affermazione di Nahmanide sulla fede e la conoscenza è tipica di quello che potrebbe essere chiamato il suo empirismo storico. Il suo approccio qui è influenzato da [[w:Yehuda Ha-Levi|Ha-Levi]], che parla di "tutto Israele, che sapeva queste cose prima per esperienza personale e poi per tradizione ininterrotta, che è uguale alla prima". (''Kuzari'', 1.25, trad. Hirschfeld, 47; cfr. 5.14, ''ad fin.'') Il commentatore italiano del XVI secolo, [[:en:w:Judah Moscato|Judah Moscato]] (''Qol Yehudah, ad loc.'') sottolinea la potente influenza di Ha-Levi su Nahmanide, citando la lettura di Nahmanide di {{passo biblico2|Deuteronomio|4:9}} (CT: II, 362). Collega anche l'approccio con quello di Saadyah Gaon. Ma a mio avviso quest'ultimo collegamento non è così stretto. Saadyah non considera l'esperienza trasmessa storicamente nella tradizione come una fonte di conoscenza uguale a quella derivata dai sensi, dall'intuizione intellettuale o dall'inferenza logica, le tre fonti della conoscenza diretta per lui (ED, 1.5). Ritiene che la tradizione sia "basata sulla conoscenza dei sensi oltre che su quella della ragione" e "ci conferma la validità delle prime tre fonti di conoscenza". In 3.1, Saadyah tratta anche l'esperienza straordinaria (che la tradizione registra e trasmette) come solo provvisoria. Infatti, nello spiegare i miracoli che accompagnarono la rivelazione dei comandamenti, scrive: "Dopo abbiamo scoperto il fondamento razionale per la necessità della loro prescrizione». Per Saadiah, la Torah esprime in definitiva la verità della natura, che in linea di principio è accessibile a tutti gli esseri umani razionali. Ma nella visione che Nahmanide condivide con Ha-Levi, la tradizione conserva e continua l'esperienza storica della presenza diretta di Dio. Tale esperienza non è accessibile a tutti, ma solo alle persone a cui Dio ha scelto di rivelarsi. Infatti, la tradizione e la rivelazione che essa registra sono ''l’unica'' vera conoscenza di Dio possibile per chiunque. Ciò comporta una differenza essenziale tra le tradizioni che portano l'impronta della rivelazione e quelle che semplicemente trasmettono o confermano esperienze ordinarie. Le tradizioni ordinarie, come quelle della storia convenzionale, forniscono la conoscenza di ciò che, almeno in linea di principio, è più direttamente disponibile attraverso i sensi e il ragionamento. Ma le tradizioni che preservano l'esperienza della rivelazione forniscono conoscenze che non sono disponibili altrove. '''[2.7]''' Nahmanide riconosce una conoscenza naturale, anche se indiretta, di Dio nella nostra consapevolezza delle meravigliose opere dell'ordine naturale. Quella consapevolezza può darci la sensazione che sia evidente una direzione soprannaturale del mondo visibile. Ma tale conoscenza è una via negativa: tutto ciò che possiamo dedurre da essa è che la vera intelligibilità del mondo è al di là della nostra comprensione. Attraverso la rivelazione, invece, possiamo conoscere lo stato reale della nostra relazione con il Creatore. {{citazione|Tutto ciò che appare nel mondo è duplice, contenente saggezza manifesta (''hokhmah nigleit'') e saggezza invisibile (''hokhmah ne‘elemet''). In altre parole, la provvidenza di Dio sulle creature è buona sia in modo esplicito che implicito. Perché il Suo buon governo è manifesto nel mondo, ed è noto che c'è più bene di quanto il nostro intelletto possa afferrare. Ma tu non sai e non puoi scoprire da solo se sei giusto davanti a Dio. Puoi saperlo solo attraverso la verità rivelata.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 11:6-1, 53; cfr. 12:3 - I, 54}} Il brano riecheggia l'inizio del ''Kuzari'' di Ha-Levi, dove al re pagano dei Khazari, egli stesso filosofo, viene raccontato in sogno da un angelo: "Il tuo modo di pensare è davvero gradito al Creatore, ma non il tuo modo di agire" (p. 35). Questo sogno è ciò che lo porta a cercare uno stile di vita migliore e, infine, a convertirsi all'ebraismo. Il ruolo della filosofia qui, intesa nel senso medievale come comprendente le scienze naturali, è di indicare l'esistenza di Dio ma allo stesso tempo di mostrarci che non possiamo assolutamente compiacere Dio sulla base di ciò che siamo capaci di apprendere da soli. Il contrasto con le opinioni di Saadyah è sorprendente. Non solo Saadyah pensa che tutti i comandamenti di Dio siano riconducibili alla ragione umana, ma presume anche, come nel caso di [[w:Giobbe|Giobbe]], che un individuo retto possa sapere con sicurezza di non aver commesso alcun male. Si veda il ''[https://www.google.co.uk/books/edition/The_Book_of_Theodicy/CTQfVJoZ4zcC?hl=en Libro di Teodicea]'' di Saadyah. '''[2.8]''' Così la rivelazione indiretta della ragione metafisica suscita in noi l'appetito per la rivelazione diretta della Torah. {{citazione|Questo intendevano i nostri saggi, di beata memoria, quando dicevano [B. Shabbat 88a] che se Israele non avesse accettato la Torah, Dio avrebbe riportato l'universo al caos: se non avessero desiderato (''hafetsim'') conoscere il loro Creatore e imparare che c'è una differenza tra il bene e il male, lo scopo della creazione sarebbe annullata (''betelah'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 143}} '''[2.9]''' La preferenza di Nahmanide per l'esperienza rispetto alla ragione come base della nostra connessione con Dio aiuta a spiegare il suo favore per l'opinione talmudica secondo cui la dichiarazione liturgica dell'Esodo dall'Egitto è un comandamento scritturale, mentre la dichiarazione liturgica della formula più astratta "[[w:Shemà|Ascolta, O Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno]]" (שְׁמַע יִשְׂרָאֵל ה' אֱלֹהֵינוּ ה' אֶחָד‎ {{passo biblico2|Dt|6:4}}) è solo un decreto rabbinico (cfr. B. Baba Kama 87a, Tos., s.v. ''ve-khen''). Nahmanide è seguito in questa conclusione dal suo più importante discepolo, [[w:Shlomo ben Aderet|Shlomo ben Aderet]], ''Responsa Rashba'', 1, n. 329. Ma né il precedente talmudico né l'opinione concorrente sviluppano il punto teologicamente come fa Nahmanide. Per Maimonide, prevedibilmente, la preferenza va alla formula più metafisica come recitazione scritturale comandata (''Sefer ha-Mitsvot'', comandamenti positivi, 10). Nahmanide scrive: {{citazione|È, come dicevano i rabbini [B. Berakhot 21a], che la recitazione dello ''Shema‘'' è un obbligo rabbinico. Ma la preghiera che la segue, "vera e certa" (''’emet ve-yatziv'') è scritturale perché menziona l'Esodo dall'Egitto.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}} '''[2.10]''' Senza la rivelazione del Nome di Dio, l'auto-proclamazione di Dio, si rimane con il "Dio dei filosofi", ma non il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, come direbbe [[w:Blaise Pascal|Pascal]]. In un commento eclatante, Nahmanide sottolinea che la lotta tra Mosè e il Faraone non è un conflitto tra un teista e un ateo, ma tra chi conosce un Dio presente attivamente e uno che riconosce un dio che è assente, un dio la cui autorità ora riposa essenzialmente nelle mani dell'uomo. Il Faraone conosce il suo dio da un'inferenza dallo studio della natura. Il Dio personale di Mosè si incontra direttamente. Quindi il riconoscimento del suo dio da parte del Faraone è impersonale e astratto (cfr. CT: {{passo biblico2|Esodo|8:15}}, I, 312-13, seguendo Ibn Ezra; cfr. [[w:Rashi|Rashi]] ''ad loc.''): {{citazione|Il Faraone era un uomo molto saggio e conosceva il Divino (''ha-’Elohim'') e lo riconosceva... ma non conosceva il Signore con il suo Nome unico (''ha-shem ha-meyuhad'') e quindi rispose "Non conosco il Signore".|CT: {{passo biblico2|Esodo|5:3-1}}, 300}} '''[2.11]''' Commentando il Salmo XIX, dove il salmista afferma: "I cieli annunziano la gloria di Dio" ({{passo biblico2|Salmi|19:2}}) e poi "la Torah del Signore è perfetta, ristorando l'anima" ({{passo biblico|Salmi|19:8}}), Nahmanide sostiene che la conoscenza fornita dalla Torah è di gran lunga superiore a quella raggiunta attraverso l'astronomia: {{citazione|Queste sono prove evidenti della gloria di Dio, ma sono ancora tutte opera delle Sue mani. La Torah completa del Signore, tuttavia, è più grande di ciò. Ristabilisce l'anima e rende saggi i semplici, perché toglie ogni dubbio dal cuore, sia per i saggi che per coloro che non conoscono la cosmologia e l'astronomia.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 141}} Espandendo la superiorità della Torah rivelata rispetto alla teologia naturale, Nahmanide scrive: {{citazione|Sta scritto: "La Torah del Signore è perfetta che ristora l'anima; la testimonianza del Signore è veritiera, rende saggio il semplice" ({{passo biblico2|Salmi|19:8}}). Dopo aver affermato che "i cieli dichiarano la gloria di Dio" ({{passo biblico|Salmi|19:2}}), ritorna ai meriti della Torah e afferma che essa dichiara la lode di Dio (''shevah'') più dei cieli — il sole, la luna e le stelle, che sono stati menzionati sopra in questo salmo. La spiegazione di questa procedura è che Davide iniziò affermando che i cieli dichiarano la lode di Dio, perché il movimento dei cieli è perpetuo e senza fine. Dato che ogni movimento richiede un motore, i cieli affermano la gloria di Dio... queste cose sono prove evidenti della gloria di Dio, poiché tutte sono opera delle Sue mani. Ma la Torah del Signore è molto più perfetta (''shlemah yoter'')... rimuove tutti i dubbi dal cuore sia dei dotti (''ha-hakhamim'') che di coloro che non comprendono le leggi dei cieli e le formazioni delle stelle.|Ibid, - I, 141}} [[Maimonide]] (''Moreh Nevukhim'', 2.5) interpreta il salmo in modo molto più letterale, sostenendo che l'intelligenza delle sfere celesti è la prima indicazione di Dio come oggetto ultimo del loro desiderio intelligente. Cfr. anche, ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 2.8; 3.9. '''[2.12]''' La rivelazione può avere la precedenza sulla ragione indipendente per Nahmanide, principalmente a causa del suo principio fondamentale che la Torah precede la creazione. Sostiene questo punto di vista in una forma più radicale rispetto ai [[w:Rabbinismo|Rabbini]]. Per loro, sono creati sia la Torah che il mondo, ma la Torah è prima del mondo nell'ordine della creazione, temporalmente o teleologicamente (B. Pesahim 54a; Bereshit Rabbah 1.1; R. Jacob ibn Habib, ''‘Ein Ya‘aqov'', introd.; H. A. Wolfson, ''Repercussions of the Kalam in Jewish Philosophy'' [Cambridge: Harvard University Press 1979], 85ss.). Nella teologia di Nahmanide la Torah è assolutamente anteriore alla creazione. È un'emanazione diretta di Dio, non una creazione separata. Pertanto, è anteriore alla creazione poiché l'emanazione (''atsilut'') è anteriore alla creazione (''beri’ah''), un punto molto sviluppato nella teologia cabalistica che Nahmanide ha così fondamentalmente stimolato e influenzato. Si veda Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 1.381ss. Entità essenzialmente differenti richiedono metodi di comprensione essenzialmente differenti (cfr. [[w:Aristotele|Aristotele]], ''[[w:Etica Nicomachea|Etica Nicomachea]]'', 1094b 12-28). I nostri mezzi per comprendere la natura sono inadeguati per comprendere la Torah e qualsiasi somiglianza è superficiale — perché la Torah rivela la verità dell'emanazione, una realtà anteriore alla creazione. Rivela anche la verità della creazione molto più profondamente di quanto possa fare la ragione umana senza aiuto. Nella teologia di Maimonide la Torah è un'entità creata, separata da Dio (''Moreh Nevukhim'', 1,65): "Gli fu attribuita solo perché le parole udite da Mosè furono create e poste in essere da Dio, così come Egli creò tutte le cose che Egli ha creato e fatto esistere". Di conseguenza, il metodo scientifico applicato alla natura e adeguato alla sua verità sarebbe adeguato anche alla Torah. La verità deve essere ascoltata da chiunque l'abbia razionalmente dimostrata – anche da un filosofo greco (pagano) come Aristotele (cfr. ''Shemonah Peraqim'', introduzione; ''Moreh'', introduzione). Sebbene i filosofi greci non abbiano scoperto le verità della Torah in quanto tali, hanno scoperto le verità della natura. Ed entrambe le verità sono una, sostanzialmente e metodologicamente; sono membri dello stesso ''genus''. La Torah, inoltre, come ogni altro ''datum'' naturale, ammette di essere compresa solo per via scientifica. Non fornisce alcun metodo privilegiato per comprendere se stessa o il resto della creazione (cfr. ''Moreh'', 2.25; ''Teshuvot ha-Rambam'', cur. Blau [Gerusalemme: Meqitsei Nirdamim, 1960] 2 n. 82). Qualsiasi pretesa contraria alla Torah sarebbe superstizione (''Commentario alla Mishnah'': Pesahim 4.9). Poiché per Maimonide la Torah è stata creata, e poiché la creazione è più indiretta dell'emanazione, ne consegue che il ruolo di mediazione del Mosè storico è molto più importante per Maimonide che per Nahmanide. Così Nahmanide scrive: {{citazione|Sembrerebbe che avrebbe dovuto essere scritto all'inizio della Torah: "Allora Dio pronunciò tutte queste parole a Mosè, dicendo—" [Esodo. 20:1]. Ma doveva essere scritto in uno stile più assoluto (''stam''). Perché Mosè non ha scritto la Torah come qualcuno che parla in prima persona, come hanno fatto gli altri profeti, che hanno parlato in prima persona... La ragione (''ha-ta‘am'') per cui la Torah è stata scritta in questo modo è che è prima di (''she-qadmah'') la creazione del mondo... Inoltre, abbiamo un'autentica tradizione (''qabbalah shel emet'') che l'intera Torah consiste dei nomi di Dio — che tutte le lettere potrebbero essere quei nomi, se così riordinate.|CT: introduzione - I, 4, 6}} I cabalisti successivi hanno posto grande enfasi sulla differenza tra i riferimenti a Dio in seconda e terza persona. La terza persona significa un livello superiore di trascendenza, poiché non intende nulla al di fuori della realtà divina stessa. Un'affermazione in seconda persona, al contrario, intende necessariamente qualcuno esterno a chi parla (cfr. ''[[Zohar]]'': Va-yetse, 156b e 158b; Joseph Gikatila, ''Sha‘aray ’Orah'', sez.. 5,10; [[w:Menahem Recanati|Menahem Recanati]], ''Commentary alla Torah'': {{passo biblico2|Esodo|15:26}}). Tali distinzioni erano cruciali per i cabalisti, poiché erano convinti che la Torah incarnasse una scienza dell'Essere divino, che in definitiva è al di là di ogni riferimento personale. '''[2.13]''' La Torah, come archetipo eterno, include tutta la sapienza: {{citazione|Tutto si impara dalla Torah. Dio diede al Re Salomone, la pace sia su di lui, "sapienza e conoscenza" (''ha-hokhmah ve-ha-madda'' - {{passo biblico2|1Cronache|1:12}}). Tutto questo era suo dalla Torah. Da essa apprese il mistero (''sod'') di tutta la generazione naturale, compresi i poteri delle erbe e le loro proprietà distintive (''segulatam''), così da poter scrivere un trattato medico (''sefer refu’ot'') su di esse.|CT: Introduzione. - I, 5}} ''Sefer refu’ot'' qui significa un trattato scientifico, una ''Materia Medica''; si veda Maimonide, ''Commentario alla Mishnah'': Pesahim 4.10. '''[2.14]''' La rivelazione al Sinai è l'epitome dell'incontro diretto tra Dio e l'uomo e il paradigma di tutte queste esperienze. Quindi, tali esperienze sono autentiche solo quando sono ad essa subordinate. {{citazione|Sappiamo dalla rivelazione sul Monte Sinai, che fu faccia a faccia, che ci comandò di camminare per questa via, di non servire nessun altro.|CT: {{passo biblico2|Dt|13:2}} - II, 405-06}} '''[2.15]''' Il Sinai è il vero ''locus'' della tradizione. È la prima esperienza della presenza di Dio e la fonte di tutta l'autentica autorità umana in Israele. {{citazione|Loro e i loro capi accettarono la regalità di Dio dall'espressione di Dio stesso (''mi-pi ha-Gevurah'')... e la Torah, l'accettarono dalle parole di Mosè. Presero su se stessi e sulla loro progenie la responsabilità di credergli [Mosè] e di fare ciò che avrebbe comandato loro, in base all'autorità di ciò che il Re aveva detto.|CT: {{passo biblico2|Dt|33:5}} - II, 493}} '''[2.16]''' La vera conoscenza di Dio viene solo dalla Torah. Senza rivelazione si rimane solo con la natura primordiale. L'uomo vivrebbe al livello di una bestia. La Torah è l'unica fonte di tradizione autentica, prima per gli ebrei e poi per quei popoli influenzati dall'ebraismo. {{citazione|Dobbiamo cercare di spiegare la grande sapienza della Torah... Anche le nazioni gentili l'hanno ripresa e studiata. Non sono forse i loro statuti e leggi analoghi agli statuti e alle ordinanze della Torah? La spiegazione – anzi, il primo principio che tutti dovrebbero conoscere – è che tutto ciò che i profeti conoscono e comprendono è il frutto (''peirot'') della Torah o il frutto del suo frutto. Senza di essa non ci sarebbe alcuna differenza tra un uomo e l'asino su cui cavalca. Così constatate oggi tra quelle nazioni che sono lontane dalla terra della Torah e della profezia... non riconoscono il Creatore ma pensano che il mondo sia eterno (''qadmon'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 142}} Il presupposto che il mondo sia eterno porta alla convinzione che nulla cambia e che Dio e l'uomo sono rinchiusi in uno schema immutabile. Se così fosse, non sarebbero possibili né i miracoli divini né la libertà e la responsabilità umana (cfr. Maimonide, ''Moreh'', 2.25). '''[2.17]''' Nahmanide riconosce che alcune verità possono essere apprese a prescindere dalla rivelazione della Torah, ma non è disposto ad assegnare una reale indipendenza alla ragione umana. Ciò che non viene rivelato direttamente dipende dalla rivelazione indirettamente. Tutta la conoscenza è in definitiva condizionata dalla storia sacra e dalla geografia sacra. Anche Maimonide sottolinea come le nazioni lontane dalla Terra d'Israele sembrino essere meno illuminate delle altre su Dio e sull'universo (''Moreh'', 3.51). Per lui non è assolutamente necessario, ma è il normale presupposto della teologia razionale, (''Igrot ha-Rambam'', cur. Shailat [Gerusalemme: Ma'aliyot, 1988] II, 681; ''Hilkhot Shemittah ve-Yovel'', 13.13). La ragione, tuttavia, dà alla rivelazione un fondamento epistemico. Per Nahmanide, la rivelazione storica, diretta o indiretta, è la base di ogni teologia autentica. Nell'assegnare il primato al sito storico/geografico della rivelazione di Israele, Nahmanide è chiaramente il discepolo di Ha-Levi (''Kuzari'', 1.95). Ma prende un famoso testo di Maimonide [''Hilkhot Melakhim'', cap. 11] come precedente: {{citazione|Non lasciarti confondere dal pensiero che anche le nazioni erediteranno la Torah. Perché questo è così solo per coloro che sono vicini al centro del mondo abitato (''ha-yishuv''), come i cristiani e i musulmani. Perché la copiarono e la impararono [T. Sota 8.6]. Quando Roma conquistò alcune delle estremità della terra, impararono da lei la Torah e fecero statuti e leggi modellati (''dugma'') sulla Torah. Ma quei popoli che abitano alle estremità della terra ma non hanno imparato la Torah e non hanno visto Israele e il suo modo di vivere (''minhagam''), o che non ne hanno sentito parlare, a causa della barriera della geografia, sono completi animali... Ecco perché Maimonide disse che tutte queste cose [gli insegnamenti di Gesù e Maometto]... servono a preparare la via al Re-Messia.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 143-44}} '''[2.18]''' Il rapporto diretto dell'uomo con Dio inizia con Dio, "i cui occhi saranno sui fedeli (''ne’emanei'') della terra" ({{passo biblico2|Salmi|101:6}}). {{citazione|Con uomini di questo alto livello, è opportuno che le loro anime siano legate nel vincolo della vita, anche mentre sono fisicamente vivi... e tutte le loro azioni sono continuamente con il Signore... il loro scopo è di non separarsi dal Signore.|CT: {{passo biblico2|Dt|11:22}} - II, 395}} {{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}} {{Avanzamento|75%|21 giugno 2022}} [[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 2]] fvmtvaqogr37542n9bc6ru6sxzk0asz