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Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Appendice 1
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{{Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale}}
Le V-2 non sono state semplicemente un altro tipo di vettore, dei tanti escogitati, per lanciare una carica bellica addosso ad un obiettivo del nemico, ma sono state un passo in avanti nella tecnologia e nella conoscenza impressionante, uno dei più importanti della storia umana. Le persone che hanno lavorato a questi missili possono essere ricordate per avere contribuito alla morte di molti civili e all'uccisione di moltissimi lavoratori coatti addetto alla fabbricazione di questi missili. Ma da un punto di vista tecnologico, il progresso che queste armi hanno portato, soprattutto in termini scientifici, è stato immenso ed esse, come anche i loro tecnici che hanno continuato a lavorare nei Paesi più importanti, hanno costituito la spina dorsale dell'era missilistica, parte fondamentale della nostra civiltà attuale.
[[Immagine:V-2.png|280px|left|thumb|L'A4/V-2]]
La stessa fretta con cui materiali e persone sono state accaparrate dalle potenze vincitrici (anche se la Gran Bretagna ha prestato ben poca attenzione a questo tema, per una ragione o per un'altra, pur essendo arrivata prima di tutte) fa capire come si stimasse la loro opera e le loro creazioni. Così i 'Peenemundiani' passarono la vita a costruire e progettare razzi e missili sempre più sofisticati, ma più in ambito civile che militare, visto che era quello che gli interessava maggiormente. Nel bene e nel male per questo meritano d'essere ricordati, inseguendo caparbiamente le loro idee sui viaggi spaziali e sul superamento della forza di gravità terrestre.
===V-2 e sommergibili<ref>Harrauer, Franco: ''Missili su NY'', Eserciti nella Storia gen feb 2004</ref>===
Già verso la fine della guerra pare che i Tedeschi siano stati in grado di inventare un vero e proprio SLBM. Il condizionale è d'obbligo, visto che verso la fine della guerra molte informazioni divengono frammentarie ed incerte, con date ed eventi che dopo il tardo 1944 contano su una scarsa documentazione a causa della distruzione di documenti e impianti, e le ricerche su questi argomenti sono sempre difficili per gli storici.
La storia delle V-2 sublanciabili è però abbastanza conosciuta, anche se fino a non molto tempo fa i particolari non erano molto noti e soprattutto non era nota la realizzazione di qualcosa di concreto. L'idea era di estendere gli attacchi missilistici da Londra a New York e Washington. Ma i tempi per un ICBM non erano ancora maturi (anche se von Braun progettava dal 1940 il missile A9/A10 un bistadio con gittata di 5000 km). Allo scopo di lanciare le V-2 sul territorio americano venne previsto allora di utilizzare la Kriegsmarine, ma la cosa non era tanto semplice e non solo perché il missile A-4/V-2 era un programma dell'esercito. Ma l'Oberkommando voleva questa soluzione e nel dicembre 1944 superò ogni resistenza: l'11 di quel mese costituì a Peenemunde il Comintato di studio per realizzare un progetto molto ardito: trasportare e lanciare dal mare un missile A-4, cosa già difficile e pericolosa da terra in condizioni standard. Si interessarono al progetto il Dr. Dikmann dei cantieri Vulcan, l'ing Riedel, il Magg Gen. Rosmann e il gruppo venne chiamato Elektro Mechanishe Werke Karlshagen. Alla fine si progettò un contenitore a forma di sommergibile (o di dirigibile, secondo i punti di vista), pesante 500 t e lungo 45 metri. Con superfici di controllo cruciformi e ogiva apribile in due sezioni per il lancio, conteneva il missile nella parte anteriore, nella parte sottostante conteneva un serbatoio di alcol etilico e sotto ancora, ossigeno liquido, perossido d'idrogeno ecc, incluse le pompe di assetto e le casse di zavorra. Il tutto era comandato via cavo, lo stesso che lo collegava al sommergibile. Per il lancio il sistema ruotava verticalmente, con inclinazione al massimo di 1,5 gradi; il missile non era possibile trasportarlo già pronto al lancio, anche se aveva già la testata. Approntato il contenitore, il personale addetto lasciava la 'rampa galleggiante' con un canotto. Il contenitore non era a perdere: ogni U-Boote, forse del tipo Type XXI o IX, poteva portarne al traino due e lanciare da 300 km, ma dopo il lancio i contenitori potevano venire zavorrati e trainati alla base o affidati a sommergibili da rifornimento così da rendere possibile l'uso dell'U-Boot in compiti 'normali'.
I cantieri Vulkan di Stettino consegnarono un prototipo e progettarono la produzione in serie. Il primo e unico lancio venne effettuato in una data imprecisata, comunque dopo il 25 marzo giorno della consegna, nel Mar Baltico in vicinanza di Peenemunde. Pare che fu un successo, e venne programmata la costruzione di 60 lanciatori che avrebbero consentito di portare fino a 500 V-2 al mese verso gli USA. Questo avrebbe richiesto l'utilizzo di ciascun lanciatore per almeno due volte alla settimana, e 250-500 missioni al mese verso gli USA. Considerando la distanza, il numero dei sommergibili tedeschi disponibili per questo impiego e le prevedibili perdite, è difficile che questi risultati avrebbero potuto anche solo essere avvicinati. Del resto la campagna di lancio delle ben più semplici V-1 era prevista in 3000 al giorno, quando il massimo fu di 316.
Era un progetto molto ambizioso, i problemi sarebbero stati grandissimi: navigare con uno o due contenitori del genere in mezzo all'Atlantico, in emersione e soprattutto in immersione per non essere avvistati ed affondati (le casse di compenso di questi 'sommergibili filoguidati' consentivano anche il moto sott'acqua) sarebbe stata un'impresa difficilissima, anche senza considerare i problemi tecnici delle A-4. In caso di maltempo sarebbe stato difficile ottenere le condizioni per un lancio preciso (già da terra, sapendo con precisione da dove si tirava, l'errore era di qualche km). Senza considerare che la flotta USA nel '45 era ormai abbastanza efficiente nel contrasto agli U-Boote. Dopo una navigazione lenta e faticosa a causa del pesante rimorchio sarebbe stata necessaria una lunga sosta in emersione per approntare il lancio, cosa che anche se effettuata di notte sarebbe stata molto rischiosa.
Infatti questa soluzione, al momento l'unica tecnicamente possibile, venne perfezionata nel dopoguerra dai successivi studi tecnici con la realizzazione di rampe di lancio interne ai sommergibili americani e sovietici che comunque sfruttarono l'idea e gli studi sulle V-2 e sulle rampe di lancio sottomarine tedeschi. Comunque con la tecnologia disponibile in quel momento se una di queste azioni fosse riuscita, sarebbe stato un colpo propagandistico di notevole importanza per la Germania. Ma nel marzo del '45 gli Alleati stavano passando il Reno ed al Terzo Reich restavano solo poche settimane di vita. Solo se la Germania avesse potuto lanciare una V-2 con testata nucleare, la cosa avrebbe potuto incidere in qualche modo sul destino della nazione. Alcuni storici si sono chiesti perché le ben più semplici V-1 non siano state prese in considerazione per il lancio da un grosso sommergibile. Probabilmente questo avvenne perché la V-1 oltre ad essere più lente e vulnerabili, avendo una minore autonomia avrebbero costretto i sommergibili ad avvicinarsi troppo alla costa. Nel dopoguerra la marina statunitense partendo da una V-1, lanciò il programma Loon, che poi venne sviluppato fino ad arrivare ai missili Regulus I e II (supersonico).
===Le V-2 alate, pilotate, aerospazioplani, ICBM<ref>Marcozzi G: V-2 con le ali, Aerei nella Storia dic-gen 2006 N.45</ref>===
Queste armi del crepuscolo erano davvero molto in anticipo rispetto all'epoca, e anzi per molte di esse non ci sono nemmeno delle conferme se qualcosa del genere sia mai stato concepito.
Comunque, una cosa certa è che il primo razzo alato venne tirato da Reinhold Tiling che dal 1929 iniziò a parlare di razzi alati per lo scopo di recuperarli dopo il lancio, fino ad ottenere però dei razzi capaci di capacità di libratori non indifferenti. Il lancio del 15 aprile 1931 saliva a 2.000 metri fino a posarsi poi a 18 km di distanza, ben 9:1 di efficienza. Se rapportato ad una V-2, con 85 km di tangenza avrebbe potuto raggiungere 765 km. Tiling morì durante il tentativo di approntare di pressare un'altra carica di lancio a polvere nera. Purtroppo per il gruppo di ricercatori di Berlino, che lo volevano tra di loro e che forse sarebbero riusciti nell'intento. Il solitario ricercatore e inventore tedesco aveva infatti progettato e costruito delle ali scattabili a molla, che al culmine della traiettoria trasformavano il razzo in un veleggiatore. L'ala mobile era un'idea, anche se poi sarà sostituita da una più semplice ala fissa. Nondimeno, ancora per il suo libro del '52 sulle missioni su Marte von Braun penserà ad un'astronave con ali telescopiche o mobili.
Ora ecco l'applicazione più terrena e brutale, allungare la gittata delle A4, visto che esse erano meramente sufficienti per attaccare l'Inghilterra meridionale. Ben presto si cominciò a lavorarci e già nel '41 si era pensato ad un tipo A4-V12c, o A4b, ma certo era un po' prematuro come concetto. Nel 1940 il motore da 25 tonnellate di spinta con pressione di alimentazione della camera di combustione a 14 atmosfere di Thiel aveva funzionato per 70 secondi, quanto bastava per l'applicazione sulle V-2. Il consumo era di 125 kg.sec, di alcool al 25% in una miscela di acqua e ossigeno liquido. Il 3 ottobre 1942 il quarto prototipo raggiunse i 190 km e una velocità finale di 800 m.sec. Nel frattempo si stava pensando seriamente ad un missile balistico intercontinentale, il progetto A9/A10 'Amerika'. Nondimeno, nell'ottobre 1942, quando la stessa A4 non era certo a punto, von Braun ebbe l'ordine di sospendere gli studi sulla versione con ali, benché tale ordine fosse rimasto disatteso. L'interesse di Hitler per l'A4 era piuttosto discontinuo, infatti aveva avuto un aumento importante dopo il fallimento della Battaglia d'Inghilterra, ma la versione alata non era compresa, pur potendo in linea di principio volare fino a 700 km e quindi colpire anche la Scozia. Dopo il 6 giugno 1944, quando sbarcarono gli Alleati in Normandia, venne erosa la base di partenza per le V-2, che all'epoca nemmeno avevano cominciato ad essere lanciate. L'interesse per la versione alata era rinato, ma certo con colpevole ritardo. L'A4b venne tuttavia dichiarata pronta, da parte di Von Braun e Dornberger, per percorrere 433 km. Era stato possibile migliorare il progetto del missile alato anche con l'esperienza del 'cugino' Wasserfall C-2, missile SAM lanciato in 3 esemplari già nel giugno 1944, e i suoi impennaggi di coda costituirono praticamente un'eredità per il programma A-4b. La ragione di tanto interesse era che la V-2 era un missile con un eccesso di energia al momento della caduta a terra: ben 800 m.sec, pari a 2,35 mach, che potevano essere sfruttati altrimenti, fermo restando di non scendere troppo di velocità per non far abbattere l'arma dalla contraerea. La superficie alare sarebbe stata di circa 14 m2, 1,49 per i piani di coda. L'accelerazione, che sulla V-2 normale portava il missile fino a 4,4 mach a termine combustione, su questo tipo alato non consentiva a causa del peso maggiore e della resistenza, di superare mach 4. In ogni caso, benché il progetto per la V-2 alata fosse stato presentato nell'agosto 1944, il tempo per approntarla era limitato. Nel frattempo continuavano i lanci del C-1 Wassermann, il missile SAM più potente tra quelli in sviluppo e con prestazioni almeno teoricamente supersoniche, che venne tirato in ben 44 esemplari nel 1944-45 ma non giunse in servizio. Il lancio della prima V-2 alata era ritardato anche dalla chiusura, dopo 315 esemplari prodotti, delle officine della base sperimentale, mentre restavano aperte quelle di Nordhausen, che fornirono 5 cellule. Pare, ma la cosa non è assolutamente sicura, che il lancio del primo di due A4b venne fatto il 8 gennaio 1945, ma l'arma esplose per un calo di spinta che lo fece precipitare al suolo senza controllo. Il secondo lancio avvenne il 24 gennaio, che a 77 km dal lancio, dopo avere superato mach 4, cominciò la planata nell'atmosfera. Senonché dopo avere passato i 220 km, quando doveva richiamare per salire nuovamente in quota (con il propellente residuo), un'ala si spezzò e il missile finì in mare. Così terminò il programma sperimentale dell'arma che non dimostrò mai la gittata massima di 750 km e la quota di 95 km.
Ma i piani non erano limitati a questo. c'era l'A9 che non aveva più un'ala a freccia ad alto allungamento, ma una vera ala a delta composito, un po' come quella del Nike Hercules. Lo sviluppo ulteriore parlava poi di missili con una gittata di oltre 4.000 km, da estendere anche a 5.000. Essa pesava 16 t, o meglio le avrebbe pesate se soltanto fosse stata realizzata invece di restare come progetto e modello in scala. Ma c'era in più una nuova evoluzione, il composito, se così lo si può definire, per la versione intercontinentale, l'A9/A10. Quest'ultimo era un vettore da 69 tonnellate, che sviluppava una spinta dei motori di ben 180 tonnellate. Esso era già stato oggetto di uno studio datato 20 ottobre 1941, quindi addirittura prima dell'entrata in guerra degli USA. In effetti la gittata era insufficiente per colpire agevolmente gli USA, forse inizialmente si pensava all'URSS. In ogni caso, presto si cambiò obiettivo. Le versioni pensate erano basate su A4 standard, A4b, A9. Pensare era però un conto, realizzare un altro. Il motore, per esempio, era previsto in 180 t di spinta statica, 200 nel vuoto. Esso inglobava larga parte della V-2 prevista come carico, ovvero non un secondo stadio come lo si concepisce oggi, ma quasi un missile che inglobava il suo carico come se fosse un bombardiere con la sua bomba (però sistemata sulla sommità). Il problema era realizzare con poco tempo a disposizione tali enormi motori, e visto che erano previsti (ma era certo un calcolo ottimistico, visto che in URSS i tedeschi lavoreranno inutilmente per anni con obiettivi di 'sole' 100 t) almeno 3 anni di tempo, si pensò di far convergere in un solo ugello di scarico 6 motori da 30 t di spinta l'uno, alimentati da acido nitrico e gasolio e con pressione di combustione di 40 atm. Si pensava che il booster fosse decollato solo verticalmente e avesse volato fino ad una quota di 26 km, prima di ricadere appeso ad un paracadute (alta previsione molto ottimistica sulla recuperabilità di un tale sistema, ma del resto era un'anticipazione del sistema dei booster dello Space Shuttle). Alla fine si arrivò a pensare dunque a questo missile vettore che lanciava da 25 km l'A9, che a sua volta saliva fino a 310 km, scendendo per 1.200 km fino a 50 km di quota e poi richiamando in forte cabrata con la velocità accumulata di ben 12.000 kmh. 'Piattellando' come un sasso sull'acqua, sarebbe arrivata fino agli Stati Uniti. Tutto questo ovviamente non sarebbe mai stato realizzabile in pratica, si trattava di una specie di aerospazioplano che come minimo avrebbe richiesto leghe di titanio per l'epoca indisponibili, mentre i sistemi di controllo e di calcolo della traiettoria (per non parlare della navigazione di precisione) sarebbero un incubo pratico anche per i tecnici d'oggigiorno e le loro tecnologie.
Ma le illazioni e le dicerie sui progressi tedeschi e sulle loro intenzioni non si sono fermate qui. I Tedeschi del resto molto interessati alle armi missilistiche, visto che queste non erano proibite dai trattati di Versailles. dal '29 poi successero, nonostante la crisi economica, delle cose molto interessanti. Fritz Lang girò il film di fantascienza Frau im mond, su di un viaggio spaziale ante-litteram, mentre più concretamente Fritz von Opel realizzò un aliante a razzo da 160 kmh, e nel 1930 a Berlino venne aperto il Raketenflugplatz, ergo un poligono per prove sui sistemi di propulsione a razzo. Gli A2 erano tra i primissimi esperimenti, con una quota raggiunta di oltre 1.500 m. Ma c'era di più, a quanto pare il programma spaziale tedesco iniziò nel 1933 con un razzo Magdeburg, che era sponsorizzato da una banca della stessa città e che doveva provare la bislacca teoria della Terra cava, per cui salendo verso il cosmo avrebbe dovuto trovare gli antipodi, perché in sostanza si pensava che la razza umana vivesse in realtà dentro una sfera cava. Era una teoria cara al Nazismo e sostenuta da tale Peter Bender. Poi fu la volta di un altro personaggio, tale Sanger, che voleva costruire un aerospazioplano monostadio che sarebbe stato lanciato con una rampa lunga ben 3.000 m. Nel '38 questo progetto di massima, sviluppato in famiglia (assieme alla moglie), venne offerto al Ministero della Difesa. Era certo un aggeggio ingegnoso, capace di volare a quote tra 60 e 300 km con un motore Sanger-Bredt (il cognome dei due coniugi) da 145,7 t di spinta per 168 secondi, e capace di portare un carico di bombe di 2-4 t, mentre il pilota, seduto sul davanti della fusoliera (che aveva doppia deriva e una struttura a 'lifting body') era ovviamente provvisto di cabina pressurizzata. L'infaticabile Sanger provò poi a sviluppare un intercettore spinto da uno statoreattore, lo Skoda Kauba P 14, e poi nel 1944 ebbe ancora incarico di lavorare allo sviluppo dell'aerospazioplano di cui sopra. Avrebbe dovuto sganciare su NY un proiettile balistico che avrebbe avuto l'effetto cinetico di un meteorite. In generale l'aerospazioplano era inteso come capace di staccarsi da terra dalla slitta ad oltre 5000 kmh, per poi salire in orbita e colpire l'obiettivo, fare un giro attorno al mondo e rientrare.
Queste erano le caratteristiche:
*Propulsione: razzo Sanger-Brett da 145,7 t per 168 secondi, cherosene e ossigeno liquido
*Dimensioni: lunghezza 28 m, apertura alare 15 m, altezza 2,9 m, superficie alare 53,25 m2
*Pesi: 19.955-99.773 kg
*Prestazioni: v.max 10.220 kmh a 160 km, tangenza 145-300 km, autonomia non meno di 12180 km
In generale, l'idea era sì straordinariamente avanzata, ma onestamente, di realizzazione pratica impossibile. Un sogno tecnicamente affascinante ma realisticamente a tutt'oggi da realizzare, con la parziale eccezione dello Shuttle. I problemi pratici apparentemente sfuggivano totalmente all'inventore tedesco.
Per il resto, non mancarono nemmeno dei programmi per mandare in orbita, assegnandone il lancio a speciali V-2, di una intera stazione spaziale, che poi avrebbe colpito a terra con un grande specchio solare, mentre l'energia sarebbe stata generata a bordo con appositi boiler solari (ovviamente le celle solari erano troppo avanzate anche per i Tedeschi). Un altro sogno del tutto utopistico, che se non altro era interessante per la modernità del concetto, sia pure declinato solo a scopi militari.
Altre cose talvolta dette a riguardo dei programmi sulle V-2 erano quelle riguardanti A-4 o derivati, chiamati A-9, che sarebbe nato dal programma A4b alato, e avrebbe sganciato la bomba da 1 t per poi ritornare alla base con un turbogetto o uno statoreattore, atterrando con un normale carrello a mò di aereo. Tuttavia di questo programma, così come è stato formulato, non si è trovata traccia, mentre cosa fosse l'A 9 in realtà è stato esplicitato dal ritrovamento dei documenti originali negli archivi americani, che hanno spazzato via le fantasiose ricostruzioni del dopoguerra sui programmi nazisti di tipo avanzato<ref>I progetti Segreti Tedeschi Speciale Aerei nella Storia</ref>.
Ma a parte tutto questo, un aereo a razzo pilotato è esistito davvero e ha volato: era l'Heinkel He 176, attenzione, non l'He 178 con motore a reazione. Questo era in effetti un aviorazzo con un muso vetrato, quasi un piccolo He 111, frutto di un programma segreto dell'RLM, dalla sagoma pulita, prima collaudato come aliante, senza farlo staccare da terra, poi volò il 20 giugno 1939, restando in aria 50 secondi. L'aereo, di cui si conosce una sola foto, venne distrutto nel '44 da un bombardamento alleato a Berlino. Questo fu il primo aereo a razzo espressamente costruito per tale motore, un Walter HWK RI 203 da 600 kgs e 430 kg di propellente. Ma la storia era ancora più interessante, perché quest'aviorazzo era nato dalla collaborazione tra Heinkel e von Braun, sulla necessità di realizzare un velivolo specifico che andasse oltre i soliti alianti già sperimentati con razzi di breve durata. L'incontro tra i due era stato nel novembre 1935 e il razzo era presto arrivato a sviluppare 1.000 kgs per 30 secondi. Solo che le prime due fusoliere erano andate distrutte per via di esplosioni accidentali durante le prove. Heinkel aveva già fatto sperimentare un velivolo He 72 con un motore Walther da 135 kgs nel '37, e poi toccò ad un He 112 che andò distrutto nel '37, rimpiazzato poi da un altro analogo ed entro giugno le prove erano ricominciate al punto da salire anche solo con il razzo. La collaborazione con Helmutt Walther però fu considerata più importante da parte del ministero dell'aria nonostante che il suo motore approntato nel frattempo erogava solo 600 kg anziché 1.100 del motore che v.Braun aveva messo nell'He 112 V2.
Per il resto era un minuscolo apparecchio da 6,25 m, apertura alare 5 m, 5,4 m2 di superficie, peso 900-1620 kg, 850 kmh. La tangenza effettiva era di circa 500 m ma era previsto che potesse arrivare a 9000, e che la salita a 8.000 m avvenisse in appena 2,5 minuti, per autonomia di 110 km mentre quella effettivamente coperta nei pochi voli eseguiti non andò oltre gli 8,5<ref>Chiarito il mistero dell'He 176, Aerei nella Storia giu-lu 1999</ref>.
La storia di quest'aereo nel suo piccolo era affascinante. La sua gestazione, come si è detto, fu molto lunga e tribolata, passando attraverso gli He 112 R usati come cavie. Ma il motore da 600 kgs di Walther fu usato sul primo prototipo dell'He 176, che Ernst Heinkel avrebbe voluto piuttosto con la collaborazione di von Braun. C'erano stati voli di prova, addirittura delle prove librate con il prototipo V1 portato sopra un'auto di grossa potenza fino a 155 kmh. Si voleva saggiare le caratteristiche a bassa velocità e poi far volare l'aereo, con la previsione di usare, per il secondo prototipo, il motore di von Braun. Il primo volo avvenne come si è detto il 20 giugno 1939, con l'inossidabile collaudatore Warsit (già sopravvissuto allo scoppio del primo Heinkel 112 R), che in appena 50 secondi accelerò a 750 kmh, salì a quasi 1000 m toccando gli 850 kmh, e poi scese con i serbatoi vuoti alla base. Il giorno dopo venne riprovato il volo davanti a ufficiali come Udet, che ammirarono l'aereo e il coraggio del pilota, ma si aspettavano un velivolo magari utilizzabile come caccia e non un piccolo aggeggio sperimentale, che aveva, come disse Udet, delle pedane al posto delle ali. La dimostrazione quindi non convinse dell'idea del velivolo a razzo e si mandò avanti piuttosto l'He 178 a reazione. La costruzione del secondo prototipo non venne fatta data la delusione di Heinkel per l'assenza di interesse delle autorità per quel suo primo piccolo aereo specificatamente progettato per il volo a reazione, che realizzato in segreto, toccò la massima velocità raggiunta (almeno in orizzontale) da un velivolo fin'allora. L'aspetto dell'He 176, a lungo dibattuto, era così strano perché si era voluto dare al collaudatore un sistema di salvataggio speciale, con l'eiezione di tutto l'abitacolo dall'aereo come sistema di salvataggio rapido, e l'uso di paracadute relativo, in caso vi fossero stati problemi in volo. E alla fine quest'esperienza servì per un ultimo, ennesimo tentativo per un caccia da difesa aerea, che era chiamato P.1077 Julia. 5 di questi aviorazzi erano in approntamento quando terminò la guerra, cosicché nemmeno quest'ultimo progetto di caccia Heinkel ebbe fortuna<ref>Aerei nella Storia N.28 feb-mar 2003</ref>.
===V 2 negli USA<ref>Marcozzi G:''Le V-2 di W.Sands'', Aerei nella Storia dic 1999</ref>===
I missili Aggregat 4 o A4 erano meglio noti come 'armi di rappresaglia di secondo tipo' cioè Vergeltungwaffe Zwei o più brevemente V-2. Erano un ordigno estremamente temibile, anche se di fatto non erano altro che un estremo sviluppo dei razzi già noti da secoli. Ma queste armi non intercettabili erano decisamente un salto di qualità, anche maggiore dei Katiusha sovietici e dei corrispondenti Nebelwerfer tedeschi. L'opinione pubblica quasi non credeva alla realtà: questi grossi missili erano stati prodotti in 6.915 esemplari più 314 sperimentali; 5.777 vennero consegnate alle unità d'artiglieria dell'Esercito tedesco, di cui il 15% ritornate in fabbrica per problemi tecnici e di produzione scadente, con l'impiego di 1.960 scienziati, 3.852 tecnici e 30.000 operai. Di questi molti erano prigionieri di guerra ridotti a lavoratori coatti, che chiaramente non avevano nessun interesse a fare un buon lavoro in termini qualitativi. Eppure la grande fabbrica sotterranea di Northausen produsse 30 missili al giorno per ben 6 mesi consecutivi. I lanci delle V-2 erano all'incirca altrettanti con il 90% dei successi al momento della partenza, anche se poi il 20% dei missili esplodeva al momento del rientro nell'atmosfera.
La prima V-2 venne tirata sperimentalmente il 13 giugno 1942, ma il primo lancio operativo venne fatto alle 11 dell'8 settembre 1944 su Parigi, seguito da altre 15 armi entro l'ottobre. Lo stesso giorno alle 18.30, dopo pochi minuti dal tiro, ne cadde una a Londra. La prima di circa 2.000 che colpirono il territorio britannico, che era appena riuscito a scampare alla minaccia della V-1, provocando oltre 9 mila vittime tra morti e feriti e danni consistenti. Anversa venne colpita da circa 2.500 missili, con un totale di lanci riusciti di circa 5.646 sui 7057 partiti. Fino alla fine di marzo 1945 (il 27, o 28 o 29 non si capisce bene) quando vi fu l'ultimo tiro su Londra partendo da una rampa del 485° battaglione di artiglieria di Wassenaar, in Olanda. Erano armi pericolose, con un tempo di lavorazione di 5.000 ore di lavoro a 30 armi al giorno, nonostante la presenza di 1.800 parti interne. I lanci, dal punto di vista propulsivo, andavano bene attorno al 91-92% delle volte, e pare che ci volessero solo 13 minuti di preparazione per tirarle (così dice Marcozzi, ma Armi da guerra non è affatto concorde, sottolineando invece la macchinosità dell'insieme dei compiti di preparazione). In ogni caso, nel gennaio 1945 i Sovietici, avanzando da Est occuparono Stettino e Braun e centinaia di tecnici si mossero per avvicinarsi agli americani, andando vicino Hindelang. Poi venne l'Operazione Paperclip maericana, che portò i tecnici tedeschi, sotto la guida del gen. D. Putt, a Garmisch e poi a Boston, per finire a White Sands, dove nel segreto del deserto del New Mexico potevano fare le loro prove nel centro sperimentale per la prova dei razzi. Il centro non era stato aperto da loro, perché c'erano già stati lanci di razzi Private da 15 km di gittata e poi i WAC- Corporal che potevano salire a 72 km di quota.
La G.E. venne scelta per ricondizionare i motori delle V-2 nell'ambito del Progetto Hermes che faceva parte di un programma quinquennale noto con vari nomi, il più breve dei quali era V-2 Panel. Erano coinvolti università, industrie, forze armate, e già nel luglio del '45 arrivarono circa 300 autocarri carichi di V-2 e si cercò di ricostruirne 200 esemplari. Ma sorprendentemente per tutti, costruire la V-2 come arma bellica fu facile, come mezzo di ricerca molto meno. Von Braun durante il riassemblamento e la ricostruzione delle V-2 apportò la pazzesca cifra di 16.000 modifiche per semplificare il progetto e anche così era assai complesso da costruire. Mancavano i manuali tecnici di molte cose e uno solo di essi poteva anche superare le 1.000 pagine. Mancava ovviamente il banco-prova motori che venne costruito e funzionò dal 15 marzo 1946. Il primo lancio venne fatto il 16 aprile 1946 ma uno dei piani di coda si staccò e il missile non superò i 5.470 m prima di ricadere al suolo. Il 10 maggio invece si raggiunsero 114 km di quota, e in seguito entro il 19 settembre 1952 vi sarebbero stati altri 66 lanci, per lo più conclusi positivamente. Il lancio del 22 agosto 1951 arrivò a 213 km di quota. Nel frattempo i missili 'crescevano' al punto che il volume interno era aumentato di parecchi m3. Oramai dimenticato fu il lancio delle V-2 da una portaerei, la USS Midway che ne tirò alcune il 6 settembre 1947, come primi missili balistici della Marina. Infine, mentre a margine di questo programma faticoso ed impegnativo per uscire dalla preistoria della missilistica e proiettarsi verso i traguardi eccezionali di appena qualche anno dopo si stavano mettendo in opera molti altri programmi missilistici, si diede origine anche all'era spaziale propriamente detta con il cosiddetto progetto Bumper, aiutato dal piccolo razzo Corporal. Questo aveva dimostrato che un ordigno in volo a 10.000 m (di massa pari a 5 t) a 150 (?? valore decisamente troppo basso) m.sec era frenato da 3.900 kg di resistenza aerodinamica, se aumentava la velocità a 360 m.sec (idem) a 76 km (teorici visto che mancava la sperimentazione pratica) sarebbe stato frenato solo da una resistenza aerodinamica di 15 kg. Il 24 febbraio 1949 venne tirato un missile del progetto Bumper, che raggiunse i 405 km. Era una V-2 da 13.128 kg con il Corporal che di per sé ne pesava 282. Questo arrivò dopo meno di 90 secondi a 8.240 kmh. Dopo 11 minuti atterrarono i 135 kg del razzo vuoto. Nell'ottobre 1951 vi fu il primo Congresso Annuale per il Volo Spaziale a NY, e le associazioni astronautiche cominciarono a formarsi all'epoca. Dalla V-2, nata come programma sperimentale, si stava così ritornando al razzo civile che von Braun aveva in mente. In seguito il mondo fu fotografato per la prima volta da 92 km di quota, e fu vista l'immagine trasmessa da una telecamera di bordo ad uno schermo da 27 pollici a terra. Era davvero l'inizio dell'era spaziale. Tra i dati che si raccolsero vi fu quello per cui, nonostante in teoria fosse vero, in pratica non era consigliabile usare tutto il propellente del primo stadio prima di sganciarlo, mentre il progetto Bumper ebbe poi un miglioramento in quota con il Redstone (la V-2 'americanizzata' sempre sotto la guida di von Braun) abbinato a missili Sergeant, il che accadde solo nel '56 quando oramai si era all'alba dei satelliti spaziali. Notare come se per i militari il parametro prestazionale che contava era la gittata orizzontale, per gli esperimenti civili quello che contava era piuttosto la quota, fondamentale per sondare lo spazio esterno all'atmosfera terrestre.
===L'Operazione Backfire: le V-2 inglesi<ref>Marcozzi G: ''Le V-2 Britanniche'', Aerei nella Storia N.6 giu-lu 1999</ref>===
Se gli Americani avevano messo le mani sulle V-2 e altre tecnologie avanzate con il progetto 'Paperclip', iniziato il 19 luglio 1945 con l'ingaggio di numerosi tecnici tedeschi, gli Inglesi che subirono più di chiunque altro gli attacchi missilistici furono ben lesti a fare lo stesso e per giunta precedettero gli americani, il cui primo lancio di una V-2 a White Sands del 16 aprile 1946 fu oltretutto un fallimento. Invece gli inglesi, con una notevole scaltrezza e anche una buona dose di fortuna, riuscirono a lanciare da Cuxhaven ben 3 missili. Questo nonostante che il 30 maggio ben 14 tonnellate di documenti tedeschi vennero portati da Anversa agli USA, erano il tesoro reperito in una miniera di Dornten, dove tuttavia rimasero davvero per poco tempo. Assieme a queste si portarono via grossomodo l'equivalente di 400 carri ferroviari con quanto bastava per assemblare circa 100 V-2. Ma tra i Sovietici e gli Americani, in corsa per accaparrarsi quanto restava della tecnologia tedesca e dei relativi tecnici e scienziati, il terzo competitore poté godersela, almeno per il momento. Il 21° Gruppo dell'Esercito reperì personale in Olanda e Germania Ovest per ricostruire una batteria di lancio per missili V-2, e prima ancora che il 2 maggio 1945 von Braun si consegnasse agli americani, gli Inglesi avevano avuto inizio, grazie all'idea del comandante J.C.Bernard. L'Operazione Backfire, così chiamata secondo l'idea del Colonnello Carter, riuscì già entro il 20 maggio a trovare 30 mezzi per allestire una vera unità di lancio. I Britannici pensavano di disporre presto di una trentina di missili, ma non sapevano che le V-2 erano materiali 'deperibili' che andavano lanciati entro una settimana per non finire con i componenti interni KO per un minimo d'umidità o di altri problemi causati dall'ambiente. Anzi, era meglio se si lanciava entro 3 giorni per ridurre i malfunzionamenti a solo il 4% anziché il 20 come inizialmente accadeva contro la Gran Bretagna. Alla fine si decise che Cuxhaven era adatta per il lancio sperimentale di queste armi, da ridurre in gittata a 240 km anziché 320 per non rischiare di colpire la Danimarca. Ma il 26 maggio ci si rese conto ufficialmente che le V-2 reperite non erano in condizioni tali da assicurare la campagna di tiri prevista, con grande scorno degli Inglesi che ebbero tale idea. In effetti, l'era dei missili garantiti per 10 anni senza manutenzione (o quasi) e degli ICBM capaci di restare in allerta anche per anni consecutivi, era ben lontana. Le fabbriche superstiti erano per lo più all'Est per sottrarle alle bombe Alleate e questo significa che, nonostante gli spostamenti al Sud effettuati verso la fine della guerra, oramai erano in mano sovietica. Si cercò per sei settimane tutte le piccole ditte che erano subfornitrici dei 30.000 componenti della V-2, nonostante tutto visto che non c'erano nemmeno abbastanza manuali e quelli presenti non concordavano tra loro, visto che i lotti produttivi delle V-2 non erano necessariamente compatibili. Nonostante tutte le difficoltà, alla fine arrivarono 400 camion e 640 t di utensili, nonché disegni costruttivi. Nonostante tutte le difficoltà i Tedeschi, meravigliando gli Alleati, avevano eseguito tiri fino al marzo 1945, ma adesso non c'era modo di disporre di sufficienti sottosistemi per assemblare qualche V-2. Molti componenti, come le pale di grafite per i deflettori di getto erano stati sabotati, persino l'ultima V-2 di Peenemunde venne fatta saltare sulla sua rampa il 27 febbraio 1945, quando von Braun vi mise piede per l'ultima volta. Alla fine però c'erano a Cuxhaven 2.500 inglesi e quasi 4.000 tedeschi, tra cui persone dello staff di v.Braun. Bisognava procurarsi molte cose, bisognava fidarsi dei Tedeschi alla cui testa venne messo il col. Weber, si costruì un'officina lunga 90 metri e infine si trovò un impianto per la produzione di ossigeno liquido, di cui servivano 5 t per il lancio di una V-2, ma in realtà ne occorrevano 9 per compensare le perdite. C'era bisogno di alcol puro almeno al 93%, che giunse da Nordhausen, e così via. Il 2 ottobre vennero scoperte ben 12 V-2 di cui 8 quasi in perfette condizioni. Ora vennero assemblati davvero tutti i 'pezzi'. Con pochi mezzi, battendo sul tempo gli Americani e i Sovietici, gli Inglesi passarono ai primi tiri postbellici delle V-2, di cui 314 sperimentali e 3.600 operative erano state usate in guerra. Si tentò di far partire le V-2 già il 2 ottobre, ma non successe nulla. Ma il 3 ottobre, alle 14.43, la V-2 partì davvero. Si inarcò nel cielo e in appena 4 minuti e 50 secondi arrivò a colpire un punto con uno scarto di 2,4 km a sinistra e corta di 1,6 km circa, meglio comunque di un proiettile d'artiglieria equivalente in gittata. Poi fu la volta di una V-2 il 4 ottobre, che però percorse solo 24 km in 35 secondi, e infine il 15 ottobre 1945 un altro missile venne tirato, stavolta con un folto stuolo di ospiti Alleati, e per il sollievo degli Inglesi, e nonostante un vento di ben 43 kmh il lancio funzionò perfettamente. La missione era conclusa a partire dal 20 ottobre, quando il personale venne rilasciato, ma solo 20 accettarono di continuare a lavorare con gli Inglesi. Dunque questa specie di 'circo' si sciolse senza ulteriori conseguenze, se non un documentario di 40 minuti, 5 volumi consegnati nel gennaio 1947 al Ministero della Guerra, e vari materiali messi nei musei. Gli Inglesi non ebbero altre conseguenze. Pagavano molto meno degli Americani e dei Sovietici, e forse anche questo contò. La missilistica inglese ebbe nonostante questa assenza di apporto tedesco ugualmente uno sviluppo molto interessante, con progetti originali e slegati da quanto si produceva nel resto del mondo. Ma partì in ritardo, anche per via che, pur essendo stati i primi a far funzionare una V-2 nel dopoguerra, non ottennero conseguenze durature per la loro tecnologia: un estemporaneo e clamoroso successo, che tuttavia nell'impoverita Gran Bretagna non si seppe o non si volle concretizzare.
===V-2 in URSS<ref>Marcozzi G: ''Le V-2 Sovietiche'', Aerei nella Storia N.10, feb-mar 2000</ref>===
I Sovietici entrarono a Peenemunde il 5 maggio 1945, mettendo le mani sul 'Santo Graal' della ricerca avanzata dell'epoca. Ma non trovarono molto di interessante, allorché il centro, difeso fino all'ultimo dalle SS, era oramai spogliato di molte delle sue risorse, come il radar Wurzuburg Riese, la galleria del vento supersonica da mach 4,4 costruita da Rudolph Hermman (mandata in Baviera, a Kochel). I banchi di prova erano stati quasi tutti danneggiati, inclusi quelli per i missili Wasserfall e per i più piccoli SAM del tipo Taifun. Il Banco I era ancora presente, era quello a cui venne collegato nella primavera il motore a razzo da 25 t di spinta, poi portate a 27 anche se 1,3 'mangiate' dai pannelli direzionali di grafite quando direzionati di 20 gradi. Non era solo per l'avanzata dei Sovietici che ci si spostò verso il Sud della Germania, ma anche per la paura di altre incursioni come quella del 17-18 agosto 1943 della RAF, pagata cara in verità, ma che distrusse molte infrastrutture, uccidendo 735 persone di cui oltre 600 erano prigionieri di guerra ridotti a lavoratori coatti. Morì nell'occasione anche il Dr. Thiel, ovvero il progettista del motore del C-1 Wasserfall e dell'A-4 (la V-2). Non solo, questi era anche il progettista di un mostruoso motore destinato ad un missile balistico intercontinentale chiamato A-9 o A-10. Infatti lo stesso banco 1 era capace di sopportare oltre 200 tonnellate di spinta e questo motore arrivava, almeno progettualmente, a 180. Era difficile rimettere tutti i pezzi al loro posto, adesso. Per esempio, le V-2 erano costruite sulla base di 6.450 disegni costruttivi, avevano 30.000 componenti varie, ma molti macchinari erano stati portati nella fabbrica sotterranea di 111.000 m2 in Turingia a 260 km di distanza. I banchi di prova erano necessari anche per i motori delle V-2, che dovevano dimostrare di funzionare almeno 65 secondi correttamente, serviti da un impianto che produceva qualcosa come 115 kg di ossigeno liquido al minuto. Ma di tutto questo non restava molto, come anche dei 4.325 tecnici e 760 impiegati ancora presenti a febbraio, con grande scorno del Col Vavilov che guidò le truppe che giunsero a Peenemunde. Il fatto è che V.Braun si era deciso a optare per muoversi verso Ovest e i Tedeschi non vollero lasciare a Peenemunde materiali e uomini di valore, iniziando la migrazione per la Turingia il 17 febbraio 1945, con un treno di 525 persone. Insomma, i Sovietici rimasero inizialmente con le pive nel sacco. Gli Americani trovarono invece ben 250 V-2 alla Mittelwerk. Ma era zona assegnata all'URSS, per cui avrebbero dovuto essere 'sue'. Invece gli Americani in nove giorni fecero sparire 640 t di materiali in 300 carri ferroviari tra cui 510.101 disegni e 3.500 rapporti. Il 2 maggio von Braun era in Baviera con i suoi tecnici migliori e le loro famiglie, pronto a consegnarsi agli Americani. 90 di loro in realtà andarono in Francia e divennero la colonna portante della missilistica francese fino all'Ariane 4. Ma non era tutto perduto, perché delle 2.000 V-2 disponibili alla fine di marzo 1945, circa la metà erano nelle zone tedesche che erano sotto controllo Sovietico. 515 vennero mandate subito in URSS, ma vi furono tanti di quei problemi quanto ad affidabilità, che dovettero essere praticamente ricostruite. Non c'è da meravigliarsi perché già i motori avevano 500 sottosistemi e 1.800 elementi, e soprattutto l'economia con cui le V-2 venivano costruite era tale da doverle lanciare con una vera data di scadenza: entro i sette giorni dal completamento. Per via di valvole, giroscopi, resistenze elettriche, tanto che fino al 20% delle V-2 consegnate ai reparti dovettero essere restituite per la rilavorazione alla Mittelwerk, o per essere usate come parti di ricambio per quelle nuove. Come se non bastasse le V-2 catturate usualmente erano sabotate, per esempio i giroscopi e i deflettori di getto in grafite, infine la ruggine era un problema ulteriore in quei mesi di giacenza. I Sovietici raggiunsero la base sotterranea di Nordhausen solo il 5 luglio, anche qui trovandola saccheggiata dagli Americani. Se non altro i macchinari produttivi non mancavano, anche perché il ritmo di costruzione era arrivato a 500 unità al mese in gennaio, ma di missili operativi non c'era quasi nulla di utilizzabile. Toakaev, uno dei maggiori esperti di missilistica russi, era piuttosto depresso anche se pensava di organizzare in Germania un gruppo di lavoro per ricostruire la V-2 con tanto di tecnici tedeschi coatti o volontari ancora disponibili.
Ora il problema era che ad Ovest c'erano già molti 'clienti' della tecnologia Tedesca. L'ultima V-2 venne tirata su Londra non dopo il 28 marzo 1945, ma ad ottobre 3 V-2 inglesi vennero tirate da Cuxhaven tanto per valutarne la balistica. In verità c'era poco da valutare dato che nei 200 giorni di bombardamento su Londra erano piovute 3.065 V-2, con un errore sul bersaglio del 2,5% (che peraltro significa circa 7 km alla massima gittata). Soprattutto l'affidabilità si era dimostrata eccezionale, con oltre il 90% dei lanci riusciti, anche se spesso i missili esplodevano al rientro con l'atmosfera nonostante tutti i tentativi di coibentare bene la testata. Ci volle un duro lavoro, invece, per i Sovietici e il 18 ottobre 1947, oltre 2 anni dopo, tirarono finalmente una V-2 da Volgograd e grazie soltanto al 'Collettivo degli specialisti' tedeschi, volontari o meno che fossero. La versione migliorata, la R-1, attese fino al 18 ottobre 1948.
Tra i protagonisti della nascita della missilistica sovietica c'era anche il col Valentin Glunsko, Korolev (sopravvissuto alle 'purghe staliniane' che lo colpirono, ma riabilitato grazie al KGB che apprezzò le sue doti di progettista), e che parlava bene il tedesco. Era un vantaggio notevole, perché non doveva aspettare la traduzione dei documenti, mentre poteva parlare o interrogare direttamente gli scienziati e i tecnici tedeschi. Non sarebbe stato facile nemmeno così, con Stalin che voleva il ripristino dei disegni e la creazione di una linea produttiva in Germania. Così, sotto la minaccia non troppo velata di finire in un gulag, i tre sovietici si misero all'opera istituendo il RABE a Berlino, alle dipendenze del gen Kutsentsov. Servivano persone qualificate per il programma di clonazione delle V-2 e tra queste il migliore fu certo Helmu Grottrup, esperto di elettronica e sistemi di guida, e pagato con 5.000 DM mensili se avesse accettato l'incarico, 4 volte quanto prendeva von Braun con gli Americani. E infatti vi furono concrete speranze che questi potesse cambiare casacca, il che avrebbe cambiato anche la storia. Ma non si verificò quanto i Sovietici speravano. Questo scienziato inoltre era molto bravo anche nella struttura di lavoro 'piramidale' sperimentata a Peenemunde, con un referente finale e tanti superspecialisti per realizzare i componenti. Era così che von Braun si presentò agli americani, con 118 tecnici e il direttore dei lanci Kurt Debus. In poco tempo Grottrup rimpiazzò il primo non eccelso direttore Dr. Rosemplenter al RABe e portando a furia di ingaggi il personale da 30 a 5.000 in appena un anno. Alla fine 30 nuove V-2 vennero spedite in URSS, e molti centri vennero creati per compiti specializzati, come il Werk II per i motori delle V-2. Infine l'ordine sovietico per un treno sperimentale da 80-100 vagoni per eseguire il lancio sperimentale delle V-2, anche se ufficialmente era solo un 'treno meteorologico mobile'. Non vi saranno però mai più lanci di V-2 dalla Germania. A Lehesten continuarono i test, dove Glushko aveva prodotto già nel settembre un motore di elevata potenza. Poi nell'estate del '46 iniziarono richieste di miglioramento tecnico per una maggiore gittata. La segretezza dei lavori era tale che per anni persino la costruzione del missile R-7 (SS-6) rimase incerta, tanto che ancora alla fine degli anni '50 si pensava fossero muniti di soli 5 motori R-14 da 120 t.s, motori mai esistiti in tale forma.
Tra le modifiche apportate c'era quella di rendere sganciabile la testata con bulloni esplosivi per aumentare la gittata, una specie di missile a due stadi, in realtà erano vecchie idee per i missili già sperimentati verso la fine della guerra, dotati di tali caratteristiche. Il fatto è che il 13 maggio 1946 Stalin aveva fatto nascere la Commissione di Stato per lo studio dei razzi a lunga gittata o PKRDD. Questa aveva prontamente definito vari OKB, come l'OKB-456 MAP di Glushko, per gli endoreattori, e vari istituti come il NII-88 MW per i razzi balistici di Korolev, il NII-885 MPSS per i sistemi di guida e altri ancora, incluso il Concilio dei Progettisti, che raggruppava le varie branche di guida, propulsione, sistemi di lancio. Korolev avrebbe poi fatto confluire sul suo OKB, dal 1954 divenuto l'OKB-1, tutte le esperienze e i progressi degli altri centri e OKB. C'erano anche le officine Zadov 88 e 456, a cui vennero spedite prontamente i missili e i componenti prodotti alla Zentralwerke e nelle sue sussidiarie tedesche, in tal modo il lavoro dei 7.000 impiegati della Germania Est veniva 'girato' ai Sovietici, per depistare gli americani sull'origine di tali progressi. I primi missili migliorati furono l'R-1 con sistema propulsore migliorato leggermente, nota come SS-1 Scunner par la NATO, e l'R-2 che avrebbe avuto il doppio della gittata originale, noto come SS-2 Sibling. Va da sè che a questo punto, per valorizzare missili comunque costosi e imprecisi, era necessario disporre di una testata atomica. Ma anche questa era in arrivo.
Intanto Stalin volle concentrare tutto il lavoro nel territorio Sovietico e il 22 ottobre venne ordinato a 2.500 tedeschi, tra cui Grottrup, di lasciare la Germania (lui che proprio per non lasciarla aveva accettato l'ingaggio sovietico) e ritrovarsi smistati in varie località e fabbriche. Alla fine però si ritrovarono per lo più raggruppati a Gorodomljia. Tra i loro compiti ve ne furono di bizzarri, come verificare la possibilità di un 'bombardiere antipolare' come ipotizzato da Sanders, co un mtore da 100 t di spinta che era stato parzialmente realizzato durante la guerra. Una specie di Space Shuttle ante litteram, che doveva andare in orbita e poi eseguire bombardamenti sul territorio nemico.
Grazie anche a loro nacquero le versioni migliorate dei motori dell'A-4/V-2: l'RD-100, con gli scarichi maggiormente divergenti per aumentare la spinta erogata, RD-101 con pressione superiore del 40% e usato per l'R-2, l'RD-103 con pressione di scarico aumentata del 60% e usato per l'R-5 o SS-3 Shyster, da 1.200 km, mentre l'RD-102 fu una tappa intermedia che non venne realizzata. Vennero poi studiati altri tipi di armi, come il G-1 da 600 km di gittata, chiamato R-4 o R-10 dai Sovietici, che aveva serbatoi autoportanti (ovvero pressurizzati a 2 atmosfere, il che rendeva la struttura del missile più leggera, sia pure con aumento dello spessore da 1,5 a 4 mm), tanto che venne poi esteso il raggio a 810 km, mentre i sistemi di guida vennero spostati sotto i serbatoi. La testata era rivestita in legno (!) ma reso ininfiammabile con un appropriato processo chimico. Rimase sulla carta, ma era un tipo interessante.
Nel 1947 venne formato il primo cosmodromo sovietico, chiamato Stazione Volgograd, che precedette di circa 8 anni Baikonur. Molte delle attrezzature erano sui due treni speciali tedeschi, l'FMS-1 e 2, di cui si è parlato prima. Grottrup e altri tecnici vennero mandati là e il 18 ottobre, alle 10,47 poterono eseguire il lancio dei missili con una V-2 modello T (telemetrica) che venne tirata ad oltre 206 km, anche se il secondo lancio, due giorni dopo, vide l'arma fermarsi a 152 m di quota per poi ricadere, suscitando accuse di sabotaggio. Seguiranno altre prove e poi i Tedeschi ripartirono per Gorodomljia.
Nel 1948 venne iniziato il progetto di un missile da ben 2.500 km con testata da 1000 kg, che era chiamato G-2 dai Tedeschi e R-12 o R-6 dai sovietici, al NII-88 di Korolev. C'era necessità di un progetto nuovo e con motori da 100 t di spinta. Il progetto era interessante, ma venne superato dal G-4 per 3.000 km e 3 t di spinta, richiesto il 9 aprile 1949 dal ministro Ustinov. La ragione era la possibilità di trasportare l'atomica sovietica in tutta l'Europa, e infatti il 29 agosto di quell'anno la prima 'atomica' venne fatta brillare. Così venne studiato questo missile ma nemmeno questo ebbe lunga vita, ma prevedeva uno stadio singolo alto 23,65 m con diametro alla base di 2,74, peso di 70 t a pieno carico e appena 6.160 a vuoto, con un motore da 101 t.s. Una testata protetta da 400 kg di acciaio e (internamente) legno, motore a 60 atmosfere di pressione, senza generatore di gas ma con alimentazione delle turbine con il gas di combustione. Il 21 settembre 1949 venne tirato il primo R-2 con motore RD-101 da 37 tonnellate. I sovietici presero nel frattempo i disegni e il materiale prodotto dai Tedeschi, che speravano finalmente di fare qualcosa di più che i consulenti per aumentare la fama degli scienziati locali, come Korolev. C'erano anche altri progetti, come l'R-3 da 4.000 km di gittata, e poi da migliorare come R-3A, antenato dell'R-7 intercontinentale. Questo era opera di Glunshko, con un motore da 7.000 kgs e ugelli conici sostituiti dai più complessi divergenti, che guadagnavano circa il 3% della spinta. Altre idee vennero riprese forse dai motori da 8.000 kgs del Wasserfall antiaereo.
Infine vennero pensati dei razzi vernieri da 3.000 kgs, che erano un'alternativa ai ben più complessi ugelli con struttura cardanica.
Infine i Tedeschi, dal 21 marzo 1951 al 30 novembre 1953 vennero rimandati in Germania, dopo che avevano di fatto aiutato a far nascere una classe di tecnici sovietici a cui avevano fatto da istruttori. Un piccolo gruppo rimase in verità fino al 1958. Nel frattempo venne lanciato l'R-5, missile che era l'estrema evoluzione della tecnologia della V-2. Nella versione R-5M, quest'arma da 20,74 m arrivava a 1.200 km e poteva colpire con una piccola testata nucleare, il che lo rese piuttosto temibile per gli Occidentali. Venne prodotto in piccola serie nel '56, ed era il contraltare, ma con molta maggior gittata dell'americano Redstone, pure esso ricavato dalla tecnologia V-2.
Infine i razzi sovietici 'figli' delle V-2 e dei loro tecnici vennero convertiti in ordigni geofisici o per lanci di ricognizione atmosferica ad alta quota. Erano ordigni realizzati già dal 1949 e designati con V-1 come sigla base e varie sottoversioni, alti fino a 18 metri, con attrezzature scientifiche, già il primo arrivò a 110 km il 24 maggio 1949. Nel '55 un V-1E sollevò a 100 km un carico di 1,8 t, inclusi cani, conigli, topi. Poi fu la volta degli R-2 convertiti in V-2 (certo non quelle 'originali'), sempre con contenitori laterali che avevano attrezzature da far cadere con il paracadute o con testate munite di speciali freni aerodinamici. Uno di essi, il 16 maggio 1957, arrivò a 200 km con sistemi di riprese cinematografiche e apparati di analisi chimica. I cani furono lanciati in massa: almeno 100 coppie nel 1955-60 e il missile R-5 usato dal 1957, portò a ben 480 km di altezza il suo carico di 1.350 kg e due cani. Era alto più degli altri, ben 23,74 m.
Insomma, i sovietici realizzarono la loro prima generazione di missili balistici grazie agli sforzi e al contributo dei vari Peenemundiani, ma non gli attribuirono mai alcun merito, cosa che non mancò di far arrabbiare gli scienziati tedeschi. Nel '58 Grottrup presentò così al DGRR tedesco (una società per il volo spaziale) un memoriale che raccontava il lavoro svolto per anni in Unione Sovietica, almeno per ristabilire la verità storica.
Quanto ai missili A-4, R-1, R-2, R-5, ecco le loro caratteristiche complessive:
*Sviluppo: 1936-45--- 1947-48--- 1948-50--- 1952-55
*Primo lancio riuscito: 3.10.42--- 17.9.48--- 21.9.49--- 15.3.53
*Gittata: 300 km--- 300 km--- 554 km--- 1.200 km
*In servizio: 1944--- 1950--- 1952--- 1956
*Dimensioni: 13x3,56 m--- idem--- idem--- 20,47x3,8 m
*Motori: HVP-39--- RD-100--- RD-101--- RD-103
*Peso e carico: 12.700/1.000 kg--- 13.400/1.100--- 20.400/1.500--- 24.000/1.500 kg
*Propellenti: 8.700 kg (Lox e Alcol--- come per gli altri)--- 9.200--- 15.500--- 18.250 kg
===L'estremo sviluppo della tecnologia tedesca: l'R-7 Semyorka<ref>Marcozzi G: ''Semyorka'', Aerei nella Storia N.19, ago-set 2001</ref>===
Fu dunque con l'aiuto dei tecnici tedeschi che i Sovietici giunsero nell'era dei missili balistici e delle imprese spaziali. Ma inizialmente non si capiva molto bene cosa avessero usato per i loro progressi, che per vari anni oscurarono quelli americani, nonostante la tecnologia sofisticata di questi ultimi. In particolare, era un vero rompicapo il missile R-7 o SS-6, il primo ICBM della Storia, e base di tanti altri missili scientifici e sperimentali. Dal '56 gli U-2, appena entrati in servizio avevano osservato i progressi sul cosmodromo di Bajkonur, in Kazakhistan, ma anche così il mistero rimase. Fino a che, al 27° Salone aerospaziale del Bourget (Parigi) che si tenne nel 1967, gli esperti americani e occidentali in generale, così come il grande pubblico, poterono vedere da vicino un vettore Vostok, e finalmente, i suoi motori. Erano un complesso incredibile nel loro colore ramato (le leghe interne agli ugelli di scarico erano basate sul rame), scintillando al sole con 20 ugelli principali e 12 vernieri (per la direzione), per un totale di ben 32 motori. Il bianco Vostok con l'inconfondibile sigla CCCP dipinta in rosso si lati era certamente una sorpresa e un'attrazione per tutti, addetti ai lavori e non. Ma era il motore che stupiva. Per molti anni si era ipotizzato che un simile vettore di lancio, per armi nucleari come per sonde spaziali, dovesse avere almeno 400 t di spinta, e che era stimata offerta da non più di 4-5 motori. La complessità infatti è fondamentale per stabilire l'affidabilità complessiva di un sistema delicato come un razzo vettore. Quindi c'era bisogno di potenza e di semplicità al tempo stesso. La prima era stata ottenuta, ma non con gli ipotetici motori R-14 e R-14a da oltre 100 t di spinta, come ipotizzato in Occidente (grazie anche alla disinformazione sovietica), ma con ben 5 cluster di 4 motori l'uno, più per ciascuno di essi 2 o 4 motori vernieri.
Come si arrivò a questa soluzione tanto complessa? L'origine, allora misconosciuta, era da ricercarsi nella tecnologia tedesca, che venne messa a profitto presso l'OKB-456 di Glushko, specializzato in sistemi propulsivi dei primi stadi missilistici destinati ai progetti di Korolev, deceduto nel '66. Tra gli spettatori c'erano anche alcuni dei tecnici tedeschi che avevano lavorato in URSS con l'OKB di cui sopra, ma che non avevano fatto in tempo (almeno non la maggior parte di loro) a vedere la nascita dell'R-7. La trovarono molto ispirata al progetto da loro redatto per il R-14 o G-4, che avrebbe dovuto avere il motore RD-110 da 100 t di spinta, poi abbandonato. In realtà, tornando indietro nel tempo, l'URSS già nel gennaio del '55 aveva annunciato che avrebbe messo in orbita un satellite in occasione dell'Anno Geofisico internazionale, che era il 1957-58 e cadeva nel 40° anniversario della Rivoluzione. Sembrava una sparata propagandistica, ma la Casa Bianca volle procedere anch'essa con il suo progetto Vanguard. Questo era molto avanzato e possedeva tra l'altro motori oscillanti su sospensione cardanica. Ma forse era troppo innovativo e così ebbe fallimenti a catena. Questo, mentre il 30 luglio 1955 l'URSS dichiarava ufficialmente le sue intenzioni: lanciare il primo satellite artificiale dell'umanità. Strani e grossi razzi erano in prova a Bajkonur, fino a che dopo fallimenti e successi parziali, il 3 agosto 1957 vene tirato un ordigno con successo, seguito il 21 agosto da un altro con un lancio da 6.436 km. L'URSS faceva sul serio, ma era un mistero come potesse riuscirci e chi fosse il progettista-capo (i Sovietici si guardarono dal dirlo, temendo attentati da parte della CIA). Un missile sperimentale, l'R-5 i versione M-5RD, venne tirato alcune volte nell'estate del '56 per sperimentare il motore RD-103 e mettere a punto i sistemi di guida dell'R-7. Quest'ultimo cominciò l'approntamento già nel '56 e vide 10 lanci che culminarono il 4 ottobre con lo Sputnik I, un piccolo satellite che girava attorno alla Terra emettendo un segnale radio, ma era quello il primo successo che i Sovietici riuscirono ad ottenere, e quanto avevano promesso. Ma questo aveva avuto in realtà l'allora segreto apporto dei Tedeschi, con circa 3.000 tecnici di cui 234 esperti di missili deportati in URSS per circa 5 anni e concentrati per lo più a Gorodomlya, dove elaborarono il missile R-10 o G-1 (G sta per Gerat, materiale), che introduceva una struttura interna ben diversa da quella della V-2 grazie a dei serbatoi in lega di magnesio e alluminio mantenuti in forma con una pressione di 2 atmosfere. Era un giusto inizio con un progetto creato nel 1947-48, poi si passò all'R-12 o G-2, con razzi multistadi e una forma conica aerodinamicamente superiore rispetto ai tipi cilindrici dell' R-5 o a fuso dell'Aggregat 4 (A-4 o V-2 che dir si voglia).
Korolev, per quanto scienziato di tutto rispetto, non si comportò certo in maniera onesta con i Tedeschi, che volevano entrare a far parte del gruppo progettuale sovietico come von Braun negli USA e altri ancora in Francia. Il 9 aprile 1949 il ministro Ustinov volle un missile da 3.000 km gittata e 3 t di carico, il 1 ottobre Korolev arrivò al centro di Gorodomlya e si portò via i disegni del G-4 o R-14, missile che poi sarebbe stato usato come elemento dell'R-7. In pratica, la forma conica era piuttosto difficile da far quadrare con la capacità volumetrica interna, portando a parità di carburante anche a 3 volte l'altezza di un missile cilindrico. Per superare il problema, la forma conica ideata da Albring era stata aggregata in una serie di booster. In pratica, al corpo centrale del missile R-7 erano stati aggiunti 4 booster laterali, sempre con 4 motori l'uno, di un tipo evoluto, ma pur sempre derivato direttamente da quello della V-2. Si arriverà persino al missile N-1 per missioni lunari con uno schema simile, capace di una spinta di 5.000 t, ma che fallì i 4 lanci mentre gli USA arrivavano sulla Luna con il programma Apollo.
Come si arrivò a pensare a questi cluster di motori? Un punto di partenza era forse costituito, oltre che dall'impossibilità di produrre sistemi più semplici e di maggior potenza unitaria, dal libro Das Marsprojekt che von Braun pubblicò nel '52, dove erano descritti missili con 51 motori al primo stadio, per la potenza incredibile di 14.000 tonnellate complessive. Così l'idea di Korolev era già predefinita dai progetti e dalle idee tedesche. Ma lui ebbe se non altro l'arguzia di proporre di mettere tutti i motori nel primo stadio e di farli accendere in contemporanea, mentre la progettazione dei cluster di motori si avvalse di almeno 10 proposte dei Tedeschi aggregati all' OKB-456. Altro elemento era il sistema di iniezione del carburante, di nuovo tipo, pensato per la V-2 di terza generazione ma anche utilizzato per il motore del Wasserfall da 8.000 kgs. I motori compositi RD-107 e RD-108 approntati dall'ing. Gluskho erano in varie versioni, almeno due del primo e 3 del secondo, con pressioni di 60 e 52 bar, funzionamento per 120-140 sec e 285-320 rispettivamente. Anche le spinte erano diverse, 21-25,5 t per l'RD-107 e 19-24 per l'RD-108. Il tutto era secondo le idee contenute nelle proposte 3 e 4 dei tecnici capitanati dallo specialista Baum, uno di quelli che poi ammirò il Vostok nel '67, solo allora rendendosi pienamente conto di quello che era stato possibile fare con le sue ricerche. Delle prove fatte inizialmente si penso alla proposta Nr. 3, che venne inizialmente conosciuta come RD-140 e provata con innumerevoli variazioni non meno di 194 volte al banco, fino a ricorrere alle leghe per la faccia interna degli ugelli a base di rame e bronzo-cromo per quella esterna, onde consentire un efficiente raffreddamento. La proposta Nr.4 era ad alcool-ossigeno liquido, per un motore da 2.100 kg, alto 3,5 metri e con una velocità di scarico di 2.390 m.sec, che era del 13% maggiore rispetto alla V-2. Gluskho introdusse piuttosto la miscela cherosene-ossigeno liquido e così venne fuori l'RD-110, che però non si manifestò abbastanza affidabile per via del surriscaldamento del combustore. Al dunque, la necessità di un missile ICBM era frustrata da tale fallimento, ma il gruppo di Baum si rifece al successo dell'RD-140 e al progetto R-12 di Grottrup, quindi suggerì di usare cluster di motori, e dopo che i sovietici tentarono con potenze intermedie grazie agli RD-105 e 106 (rimasti solo un progetto), alla fine la soluzione venne trovata. L'idea, estremamente avventata, era di Issajev, che suggerì a Korolev e Glushko di usare un cluster fatto a sua volta di cluster, una specie di geometria frattale. E alla fine l'unico problema che bisognava superare era quello dell'affidabilità dei motori, che con tale complessità doveva essere di almeno 0,95: 1. Nonostante la cura richiesta, la cosa funzionò, come del resto non era così difficile da immaginare, se persino la vecchia V 2, fatta con materiali di bassa qualità aveva ottenuto quasi il 91% dell'affidabilità del motore. Dal '57 al '67, prima che l'Occidente sapesse o capisse qualcosa di quello che i Sovietici avevano usato, ovvero in pratica 20 motori di V-2 'evolute', l'R-7 Semyorka (il 'piccolo 7'), e la sua genia di Sputnik, Mars, Lunik, Voskhod, per non parlare del Soyuz, continuò una serie di lanci davvero impressionante. Non mancarono incidenti anche gravi, ma su 600 tentativi, nonostante la sua estrema complessità, la gran parte riuscirono. Nel 1996 i vettori Souyuz avevano oramai un'affidabilità del 98,2% su 1.030 lanci, e ne venivano ancora costruiti 60 all'anno dalla TSSKB e Progress. Insomma, in altre parole la capacità di questo sistema è stata davvero straordinaria: da un lato si tratta di un tipo apparentemente poco evoluto (anzi, si tratta di una giusta osservazione), quasi primitivo anche se tecnicamente impressionante; dall'altro, la sua affidabilità si è dimostrata pienamente all'altezza, superando anzi moltissimi tipi più moderni e con meno motori ma di maggior potenza, grazie all'uso di una tecnologia sperimentata e semplice. Per giunta, sono anche vettori economici e al contempo di grande capacità di carico. Come ICBM l'SS-6 aveva nondimeno un valore militare ridotto, dati i tempi d'approntamento e le poche piazzole disponibili per il lancio, che erano in gravissimo pericolo a fronte dell'attacco del SAC americano. Presto arrivarono missili ben più moderni, specie nei tardi anni '60 con gli SS-11 leggeri e gli enormi SS-9. Ma come vettore spaziale un sistema del genere andava bene: non c'era la fretta necessaria rispetto alle azioni militari nell'approntamento e lancio, che doveva essere puntuale, ma poteva essere preparato con largo preavviso. E così il vettore Soyuz ha finito per continuare a far vivere le conoscenze maturate dai tecnici che seguirono la via portata avanti dal giovane Werner von Braun, che nel 1934 presentò una tesi sui motori a razzo.
===V 2 e la nascita della missilistica francese<ref>Marcozzi G:'''Dalla V-2 all'Ariane''', Aerei nella Storia ago-set 2000</ref>===
Fu proprio la Francia che ebbe il dubbio onore di ritrovarsi bersagliata dai primi missili balistici A4 che siano mai stati lanciati in guerra. Era l'Operazione Pinguino, che ebbe come comandante Hans Krammler. C'erano 3 battaglioni con ben 6.300 soldati e 1.600 mezzi, con il 485° Battaglione a Nord, e a Sud l'836° e il 444° delle SS. L'Obiettivo era essenzialmente Londra, ma poi venne anche aggiunta Parigi, liberata alla fine di agosto. Si tentò di tirare due V-2 il 6 settembre, che però non funzionarono per difetti dei sistemi di accensione o di alimentazione (in ogni caso non ne vollero sapere di decollare), ma l'8 settembre (pare alle 8.34, dopo 4 minuti di volo)un missile del 444° ebbe successo sia pure tirato da 290 km. Parigi comunque non venne particolarmente tartassata, visto che al massimo ebbe lanci per 22 V-2, che sbagliarono l'obiettivo anche di 70 km. Forse non c'era la volontà di colpirla, mentre non mancò certo per Londra e Anversa, centrate nel contempo da 350 ordigni, cominciando dallo stesso giorno con un tiro vicino alla Waterloo Station dovuto all'attività del 485° Battaglione. Inizialmente gli Inglesi fecero credere che si trattava di fughe di gas, ma poi dovettero ammettere che c'erano armi inintercettabili che raggiungevano la loro capitale.
Henry Moureu, direttore del laboratorio Statale di ricerche di Parigi capì presto che queste armi erano il futuro e la Francia non poteva restarne fuori.
Il Ministero dell'Aviazione la pensava allo stesso modo e dal 9 maggio 1945 gli diede mandato di recuperare tutto il possibile, assieme al tecnico J.J. Barré che aveva collaudato l'EA 1941, il primo endoreattore a propellenti liquidi francese, da circa 1.000 kgs, il 17 marzo di quell'anno. Si volevano reperire almeno V1 e una decina di V2; le prime vennero davvero accordate dagli Angloamericani, tanto che la Nord Aviation li usò come base per l'aerobersaglio CT-10, che era in pratica un loro clone con un pulsogetto Arsenal. Ma per le V-2 le cose si misero meno bene, e l'unica cosa che assomigliasse alla pretesa di avere delle V-2 fu di rovistare a Cuxhaven, dove i Britannici molto lestamente si erano messi a collaudare, sia pure senza esiti successivi, le V-2. Ma non c'erano certo molti materiali utilizzabili e i Francesi dovettero arrangiarsi con quel poco che riuscirono a raggranellare, soprattutto con l'aiuto della DEFA (Direzione Studi e Produzione Armamenti), che tra l'altro avrebbe dato presto corpo al cannone DEFA omonimo da 30 mm, ricavato dalla tecnologia tedesca dei cannoni revolver. Il 4 novembre 1945 nacque il CEPA, ovvero il centro studi armi autopropulse. I suoi compiti erano due: ricostruire le armi tedesche avanzate, e migliorarle in gittata e carico bellico. I tecnici reperiti a Cuxhaven e a Trauen (sede delle attività sperimentali di Eugene Sanger, quello dell'aerospazioplano e dei motori da 145 t.s), per un totale di 90 assunti al 15 maggio 1946. Il 17 maggio venne proposta la costruzione di un centro che poi è diventato la sede del SEP, il produttore degli Ariane, a Vernon, una località della Normandia. I Tecnici tedeschi vennero inizialmente usati suddivisi in due gruppi, per studiare i sistemi di guida e quelli motori, ma vi fu anche un piccolo distaccamento per realizzare motori per carri armati da 1.000 hp essendo questi tecnici della Maybach. Tra le innovazioni studiate c'era quella di un generatore di gas brevettato già nel 1942 dall'ing Bringer, che all'epoca lavorava con Thiel. Era un sistema in cui i propellenti bruciavano a 3.000 gradi in una camera di combustione, temperatura che poi veniva ridotta a 600 gradi con acqua distillata, il che serviva a pressurizzare con i gas prodotti i serbatoi eliminando le grosse e pesanti turbopompe. Questo da solo era sufficiente per aumentare il raggio a 550 km di una V2, ma si voleva anche un motore da 40 t. di spinta. Intanto il generatore di gas di questo tipo, in molte varianti, verrà usato fino ai razzi Ariane 4. Poi i Francesi, mentre cercavano di ricostruire le V-2 nelle officine di Poteaux, pensavano a vari nuovi progetti come un missile balistico da 100 km, il missile PARCA SAM radioguidato, un razzo sonda, un razzo strategico chiamato Eole.
Intanto le V-2 messe insieme nelle officine di Poteaux, nonostante tutti gli sforzi non volevano saperne di materializzarsi. Solo una delle trenta previste venne completata nel tardo 1947 e si pensava che non ci si sarebbe arrivati al totale previsto prima del 1952. Un missile vecchio di oltre dieci anni però non rappresentava il futuro e così si pensò al previsto progetto della A9 con motore ad acido nitrico e gasolio, abbinato al Progetto interamente francese EA 1946 dell'ing Barré, che però fallì due lanci nel 1952 e finì miseramente. Nemmeno la Super V-2 o A9 ebbe miglior sorte, venendo abbandonata. Ma al tecnico Bringer venne detto di continuare a sviluppare il generatore di gas. Lui si interessò anche a piccoli endoreattori ad acido nitrico e cherosene, retaggio del motore del Wasserfall. In ogni caso nel '48 il progetto della Super V-2 venne cancellato, ma in compenso i tecnici tedeschi di Vernon iniziarono a produrre razzi-sonda di eccellenti caratteristiche, fino ai sistemi per il lancio di satelliti. Il primo fu il Veronique, simile ad una piccola V-2, costava solo 10.000 dollari, lungo 6,5 m, diametro 55 cm, con 710 kg di acido nitrico e gasolio, motore da 4.000 kgs per 31,5 sec, peso totale fino a 1.435 kg. Era privo di giroscopi, ma per stabilizzarsi ricorreva a 4 cavi a tensione bilanciata su 4 aste orizzontali, predisposte per staccarsi a 60 m di quota, motore con raffreddamento rigenerativo, e quota variabile. A seconda delle versioni, passava da 70 km a ben 200. Entrò in produzione nel 1952 e ne vennero lanciati non meno di 66 fino al '68, l'ultimo per inaugurare la base spaziale di Kaurou nella Guyana francese.
Passarono gli anni e si provò a lanciare un programma europeo per i vettori Europa, ma i suoi sottosistemi erano utili e Bringer migliorò prima il Veronique e poi si dedicò al grosso Vesta, da 14.400 kg di spinta, peso di 5.400 kg e possibilità di piazzare ben 500 kg di carico a 600 km di quota. Nel frattempo all'ONERA di Chatillon, i Francesi (quelli 'veri') erano riusciti a sviluppare il razzo-sonda LEX che pesava appena 76 kg ma scattava con una spinta iniziale di circa 1000 kg, che poi decadeva nei 30-35 secondi successivi a circa 200. Ma dopo 8 lanci con successo venne abbandonato pur avendo un interessante motore con carbone e nitrometano (ovvero un sistema solido-liquido).
Nel '62 arrivarono i vettori per satelliti anche in Europa. Si vollero i lanciatori spaziali basati sul missile balistico inglese Blue Streak, ma al tempo stesso il 18 dicembre 1961 venne varato il piano per il lanciatore Diamant e costituito il CNES ovvero il Centro Studi spaziali. I lanciatori Europa, nonostante l'accordo londinese del 23 marzo 1962 siglato da sette nazioni, non ebbero seguito, ma diedero il via all'esperienza poi molto utile alla futura agenzia spaziale ESA. Intanto in Francia i tecnici avevano assemblato il sistema motore Verix da 30 t, usato per il razzo Emeraude, ma soprattutto nel novembre 1965 venne lanciato il Diamant A, alto ben 18,9 metri con due stadi, costituito da un Emeraude e da un Topaze, infine c'era un piccolo Rubis con carico di 41 kg con il satellite Asterix, che però dopo poco tempo smise di mandare segnali. Seguiranno altri satelliti, il Diapason del 17 febbraio 1966 e il Diadema dell'8 febbraio 1967. Erano lanci eseguiti dall'Algeria, dal poligono di Hammaguir, ma questo dopo di allora venne chiuso e tutti i lanci vennero continuati a Kourou, iniziando con due satelliti DIAL e People, sul razzo Diamant B da 23,5 m e 160 kg di carico utile. Il razzo venne usato fino al '73 via via migliorato, tra cui il motore Valois da 40 t.spinta, che era davvero l'ultimo dei possibili gradi evolutivi del progetto dell'A.9 di Bringer, e che portava così un carico di 200 kg per orbite basse di 300 km, mentre la massa al lancio era di 27,5 t. Solo tre i lanci, tutti entro il '75.
Infine arrivarono i razzi Viking per l'Ariane. Fu ancora Bringer, con l'ultima decina di tedeschi di Vernon e molti francesi oramai ben educati nel settore, fece girare al banco il motore Viking 1 da 55 t, che era destinato al razzo Europa 3, che altro non sarebbe stato se non l'Ariane. È incredibile, ma questo motore era basato concettualmente su di un tipo funzionale da 1.000 kgs del '42, un piccolo prototipo. Il sistema di raffreddamento del motore era semplificato con una pompa per l'acqua che serviva a raffreddare i gas, e il generatore del motore usava gli stessi propellenti principali. Era ben più semplice del parimenti potente Rocketdyne S.3 americano con sistema di raffreddamento rigenerativo e strutture in generale più complesse. Al Viking I del 1971 seguirà il Viking II da 73,5 t. Alla fine, il successo dei razzi Ariane è stato pieno e il motore Viking è stato sostituito solo dal Vulcain con idrogeno e ossigeno liquidi. L'ing. Karl-Heinz Bringer andò in pensione a nel'76, dopo circa 30 anni di servizio con il centro sperimentale di Vernon, ed è morto il 2 gennaio 1999 a 90 anni. Uno degli ultimi tra i 500 tecnici di Peenemunde, che per decenni, in tutto il mondo aerospaziale hanno esercitato una grande influenza progettuale e concettuale. Persone capaci di progettare nel '42 sistemi validi 50 anni dopo (si potrebbe parlare anche degli sviluppi sovietici come quelli dei missili Scud, per esempio), e che a tutti gli effetti hanno continuato a fare, nonostante l'ombra nera del programma A4/V-2 (che von Braun considerava sostanzialmente un 'male necessario' per proseguire il programma spaziale) sulla loro carriera. Come lo stesso von Braun, progressivamente caduto nell'oblio dopo il progressivo disinteresse per le missioni spaziali, gli altri hanno cercato nella loro vita professionale di progredire nell'uso della propulsione spaziale, sperando magari un giorno di vedere realizzata la missione più importante concepita dal loro capo: una missione spaziale su Marte con equipaggio, prevista già nel '52 da von Braun. Si potrebbero senz'altro definire idealisti nella loro tensione verso tale ricerca, anche se spesso fattisi manipolare dai militari e dai politici di turno.
==Note==
<references/>
[[Categoria:Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale|Appendice 1]]
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Libro di cucina/Ricette/Canederli
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Eumolpo
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text/x-wiki
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I '''[[w:Canederli|canederli]]''' sono una ricetta basata sulla tradizione trentina; è un piatto semplicissimo e divertente da fare, di cui esistono moltissime varianti, come i canederli al formaggio.
Essi nascono per recuperare gli avanzi di cucina, in particolare il pane vecchio e la carne avanzata. Gli ingredienti sono indicativi, in particolare la carne, va bene qualsiasi carne avanzata anche se per la ricetta verrà indicato qualche pezzo per insaporire i canederli.
La tradizione prevede che vengano serviti in brodo di carne (magari usando proprio la carne lessa per preparare i canederli), ma si possono anche servire asciutti.
== Ingredienti ==
Le dosi sono '''indicative''' per '''4''' persone circa. Ogni elemento può essere aumentato o diminuito a seconda dei gusti e della fantasia di ognuno.
* brodo quanto basta
* circa 400 g. di pane raffermo
* carne avanzata
* 200 g. di pasta di [[w:Luganega|lucanica]]
* 200 g. di grana trentino
* latte q.b.
* 1 uovo
* prezzemolo
* mezza cipolla
* 2 spicchi di aglio
* sale
* pepe
'''Nota''': in caso non si abbia della carne avanzata si può sostituire con i fondi degli affettati (si possono reperibili al supermercato), preferendo lo speck, ma vanno bene tutti i tradizionali purché non siano troppo "saporiti". La stessa cosa per il formaggio, l'ideale è un formaggio stagionato dal sapore non troppo marcato. La pasta di lucanica può essere sostituita anche con delle semplici salsicce (o salamelle) private della pelle.
== Preparazione ==
# Tritare il pane raffermo a grana grossa (non troppo finemente), metterlo in un recipiente grande. Tale recipiente servirà per contenere tutti gli ingredienti e impastare i canederli. Successivamente aggiungete del latte, indicativamente 0,4 L; la quantità di latte dipende da quanto vecchio è il pane. La prima volta che fate i canederli è meglio scarseggiare. Lasciate riposare il pane in modo che il latte si distribuisca in tutto il pane più o meno uniformemente. Per capire se il latte è sufficiente impastate il pane con il latte, l'impasto deve risultare "grumoso", morbido ma abbastanza asciutto da non essere maneggiabile. In ogni caso si può correggere la quantità di latte alla fine.
# Cuocere la pasta di lucanica in una padella per una decina di minuti. Non deve essere cotta del tutto, ma neanche cruda in quanto non verrà cotta nel canederlo. Consiglio di separare il grasso liquefatto dalla pasta di lucanica.
# Tritare il prezzemolo, la carne o gli eventuali pezzi di affettato, la lucanica semicotta, il formaggio grana aggiungere il tutto all'impasto del pane con il latte.
# Mescolare energicamente in modo da omogeneizzare i componenti. Aggiungere l'uovo precedentemente sbattuto, il sale e il pepe. Non aggiungete troppo sale in quanto una parte di sale viene dal brodo. Viceversa, se il brodo è scarso di sale, aggiungetelo all'impasto.
# Formare delle palline di circa 5/6 cm di diametro. È importante pressare un po' l'impasto da rendere le palline più consistenti possibile. In caso l'impasto risulti tropo asciutto aggiungere il latte necessario.
# Portate ad ebollizione il brodo e successivamente immergete i canederli. Lasciate bollire per una decina di minuti (scarsi) e servite con o senza il brodo.
== Consigli ==
*Nel caso in cui vengano serviti asciutti si può condire il canederlo con della conserva fatta in casa (fredda, non calda), dell'origano e un filo d'olio.
*Le porzioni sono all'incirca di due canederli a testa; nel caso avanzino, si possono congelare. In tal caso, dopo averli inseriti nella scatola, cospargeteli di pane grattugiato.
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Equitazione
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== Fonti ==
Il wikibook include una parziale traduzione del libro ''[[s:en:Equitation|Equitation]]'', di Henry Louis de Bussigny, edito da The Riverside Press, Cambridge, Boston and New Jork, 1922.
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{{nota|larghezza = 250px|contenuto=[[File:8- NA.enf. bac. cruche D 2300.69054.jpg|center|80px]]<div style="text-align:center ">'''Il dio smembrato e l'origine dell'uomo'''</div><br>{{quote|[...] e Orfeo ha tramandato che [Dioniso], nelle cerimonie iniziatiche, fu smembrato dai Titani.|Diodoro Siculo, V, 75,4}} Se conveniamo con Pausania<ref>{{quote|Il primo a introdurre i Titani in un poema fu Omero, il quale affermò che essi sono dei e risiedono nel Tartaro. [...] Appreso da Omero il nome dei Titani, Onomacrito ordinò i "Sacri Misteri" di Dioniso e scrisse nel suo poema che Dioniso patì le sue pene per le mani dei Titani|Pausania, ''Viaggio in Grecia'' (Libro VII), VII, 37, 5. Traduzione di Salvatore Rizzo, Milano, Rizzoli, 2001, p.335}} Su Onomacrito cfr. Erodoto, ''Historìai'', VII, 6,3.</ref> il mito dello smembramento di Dioniso risale all'epoca di Pisistrato, quindi al VI secolo a.C. assumendo nel corso del tempo numerose varianti che possono essere riassunte nel seguente racconto: Dioniso (anche Zagreus) nasce dalla relazione tra Zeus e Rea/Demetra/Persefone; la legittima sposa del re degli dèi, Era, decide quindi di ucciderlo e allo scopo invia i Titani<ref>OF, 210 [7], dove vi è anche l'alternativa dei soli Titani resi invidiosi.</ref> che coperti il volto di gesso (γύψος)<ref>Marcel Detiene (''Dioniso e la pantera profumata'') evidenzia come il gesso sia sovente sovrapposto alla calce viva che è indicata con il termine ''títanos'' (τίτανος) ovvero quel genere di cenere (τέφρα) bianca frutto della combustione di qualsiasi calcare. Dal che «in tutte queste tradizioni incontriamo esseri nati dalla terra, e più precisamente formati da quell'elemento terroso mescolato al fuoco indicato, dal loro nome, come ''títanos'', calce viva.»</ref>, aggirano la guardia dei ''kuretes'', e ingannando il dio infante con giochi<ref>Una trottola, un rombo, delle bambole articolate, le mele delle esperidi e dei dadi (astragali); OF 34</ref> e uno specchio, lo uccidono, con la ''Tartária mácharia'' (il coltello infero), smembrandolo<ref>Clemente Alessandrino, ''Protrettico'' II, 17 (OF 34 [1]); anche Arnobio ''Adv. nation.'' V, 19 (OF 34 [2]).</ref> e quindi cuocendo dapprima le carni<ref>La prima attestazione della cottura delle carni del dio è in Eufurione di Calchide, framm. 14 Powell; anche Callimaco framm. 643 Pfeiffer.</ref> e poi arrostendole allo spiedo<ref>Clemente Alessandrino, ''Protrettico'' II, 18 (OF 35).</ref><ref>Qui inserire il rovesciamento del procedere sacrificale Vernant ma anche Burkert et alii; anche il sacrificio alle Ὥραι descritto da Filocoro cfr. Ateneo XIV 656a in Ke 235«Quando gli ateniesi sacrificano alle Ὥραι non arrostiscono la carne ma la fanno bollire. A queste dee chiedono di allontanare il caldo e la siccità»</ref>, ma il dio rinasce dopo che Rea ne raccolse le membra dilaniate ricongiungendole<ref>Filodemo di Gadara, ''Sulla pietà'' 44; anche Diodoro Siculo (ma qui è Demetra non Rea a raccogliere le membra, sempre che le due divinità non siano identificate) III, 62, 2-8; in Proclo e Olimpiodoro (OF 211 [1-2]) è Apollo a ricongiungere le membre; in Proclo ''Plat. Tim.'' 35a (OF 210 [1]) e Clemente Alessandrino, ''Protrettico'' II, 18 (OF 35) è Atena che ne raccoglie il cuore.</ref>. Proclo <ref>OF 210 [1-6].</ref>, che lo riferisce a Orfeo, ripreso da Károly Kerényi<ref>Cfr. ''Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile'', 2.IV.</ref>, per il quale il mitologema è direttamente attribuibile a Onomacrito<ref>al poema τελεταί</ref>, descrive misticamente la suddivisione delle membra del dio in sette parti, con il cuore indiviso (in quanto "essenza indivisibile dell'intelletto"); segue la manducazione <ref>La manducazione delle membra è attestata in Firmico Materno. ''De errore profanarum religionum'' 6 (OF 214 [2]). </ref> e dopo che i Titani hanno mangiato Dioniso interviene Zeus che con la folgore li incenerisce. Dall'αἰθάλη (non quindi dalle ceneri, σποδός, ma dai vapori, quindi dalla fuliggine e poi materia) prodotta dalla carbonizzazione dei Titani, che nel frattempo rientrano nel Tartaro, nasce l'uomo: mescolanza dei Titani e del dio Dioniso frutto del loro banchetto<ref>Cfr.D-K 220.</ref>. {{q|Fra le donne dionisiache, le serventi di Dioniso, ma non solo tra loro, si nasconde anche una nemica del dio che si svela e diventa la sua assassina! Tutti gli esseri umani sono così, perché tutti fatti della medesima sostanza dei primi nemici del dio; eppure tutti hanno in sé qualcosa che viene proprio da quel dio, la vita divina indistruttibile.|Károly Kerényi, ''Dioniso...'' p. 228 }} Il motivo del rifiuto della dieta carnea<ref>Il primo collegamento tra la dieta carnea degli uomini e lo sbranamento di Dioniso da parte dei Titani è in [[Plutarco]], ''De esu carnium'', 996 C anche OF 210.</ref>, proprio della "vita orfica", risiede quindi anche nel fatto che solo tale rifiuto impedisce a Persefone, giudice dei trapassati, di rivivere il dramma del figlio sbranato dai Titani di cui gli uomini sono eredi<ref>Cfr. Reynal Sorel ''Orfeo...'' p.92.</ref>, e quindi consente a questi di ottenere dalla dea un giudizio benevolo ovvero l'uscita dalla condizione della rinascita e l'ingresso nella vita beata.<ref>Pindaro, fr. 133,1 Maehler, dice che Persefone deve ottenere dai trapassati una "riparazione per un antico lutto", questo per potergli consegnare una "vita beata"; cfr. Walter Burkert ''La religione greca'', p. 532.</ref>}}
[[File:Ermes, Euridice, Orfeo.jpg|thumb|right|250px|Bassorilievo in marmo di epoca romana, copia di originale greco del 410 a.C., che rappresenta Ermes, Euridice e Orfeo. L'opera originale, probabilmente di Alcamene, è andata perduta. Questo bassorilievo, conservato presso il Museo archeologico nazionale di Napoli, è tra le testimonianze che attesterebbero l'esito negativo della catabasi di Orfeo già a partire dal V secolo a.C. Qui Orfeo voltatosi verso Euridice, le alza il velo, forse per verificare l'identità della donna e quindi la perde. Secondo l'opinione di Cristopher Riedweg<ref>Cfr. Cristopher Riedweg, ''Orfeo'', in ''Storia Einaudi dei Greci e dei Romani'', vol.4. Torino, Einaudi-Il Sole 24 Ore, 2008, p. 1259</ref> sarebbe infatti evidente che Ermes a questo punto trattenga per un braccio la sposa di Orfeo, che volge quindi il piede destro per tornare indietro.]]
[[File:Orpheus Thracians Met 24.97.30.jpg|250px|thumb|Orfeo (Ὀρφεύς), fondatore dell'Orfismo<ref>«'''Orfeo''', fondatore dell'Orfismo» è l'incipit della voce nell'<nowiki></nowiki>''Oxford Classical Dictionary'' (trad. it. ''Dizionario di antichità classiche''. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p.1521), voce firmata da Nils Martin Persson Nilsson, Johan Harm Croon e Charles Martin Robertson. La voce dell'<nowiki></nowiki>''Oxford Classical Dictionary'' prosegue precisando: «La sua fama di cantore nella mitologia greca deriva dalle composizione nelle quali erano esposte le dottrine e le leggende orfiche».<br> Werner Jaeger evidenzia tuttavia che «nella tarda antichità Orfeo era un nome collettivo il quale più o meno raccoglieva tutto quanto esisteva in fatto di letteratura mistica e di orge liturgiche.» (Cfr. ''La teologia dei primi pensatori greci'', Firenze, La Nuova Italia, 1982, p.100).</ref>, «cantore e sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima lungo gli oscuri sentieri della morte»<ref>Giulio Guidorizzi. ''Il mito greco'', vol.1. Milano, Mondadori, 2009, p.77</ref>, ritratto in un ''kratēr'' (κρατήρ) attico a figure rosse risalente al V secolo a.C. e oggi conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York. Orfeo, che siede a sinistra impugnando la lira (λύρα), veste un abito tipicamente greco, a differenza dell'uomo che gli si pone in piedi davanti che invece indossa un costume tracio. Questo particolare, unitamente alla presenza, a destra, della donna che impugna una piccola falce, può rappresentare una delle varianti della sua leggenda che lo vuole missionario greco in Tracia, ucciso lì dalle donne in quanto escludendole dai suoi riti induceva i loro mariti ad abbandonarle<ref>{{quote|Dicono poi che le donne di Tracia tramavano la sua morte, perché aveva persuaso i loro uomini a seguirlo nei suoi vagabondaggi, ma non osavano passare all'azione per paura dei loro mariti. Ma una volta, riempitesi di vino, attuarono la scellerata impresa. e da quel momento invalse per gli uomini il costume di andare ebbri alle battaglie.|Pausania, ''Viaggio in Grecia'', IX, 30, 5. Traduzione di Salvatore Rizzo. Milano, Rizzoli, 2011 p.243}} Anche Conone, f. 45 (115 ''Frammenti orfici'' nella edizione di Otto Kern)</ref>.]]
[[File:Orpheus death Louvre G416.jpg|250px|thumb|Orfeo ucciso dalle menadi, in uno ''stamnos'' a figure rosse, risalente al V secolo a.C., oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi. Questo dipinto racconta la morte di Orfeo secondo il mito che lo vuole ucciso dalle seguaci di Dioniso, da questo dio a lui inviate in quanto mosso dalla gelosia per l'ardore religioso che il poeta conservava nei confronti di Apollo, da lui invocato sul monte Pangaio (anche Pangeo) quando il sole, immagine di Apollo, sorgeva<ref>{{quote|Non onorò (il soggetto sottinteso è Orfeo, reduce dalla catabasi) più Dioniso, mentre considerò più grande Elio, che egli chiamo anche Apollo; e svegliandosi la notte sul far del mattino, per prima cosa aspettava il sorgere del sole sul monte chiamato Pangeo per vedere Elio; perciò Dioniso, adirato, gli inviò contro le Bassaridi, come racconta il poeta tragico Eschilo: esse lo dilaniarono e ne gettarono via le membra, ciascuna separatamente; le Muse poi riunitele, le seppellirono nel luogo chiamato Libetra.| fr. 113 in ''Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern''; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.99}}</ref>.]]
[[File:Derveni-papyrus.jpg|250px|thumb|Alcuni frammenti (relativi al ''Column XXI''<ref>Cfr. ''Plates'' in ''The Derveni Papyrus'' (a cura di Theokritos Koueremenos, George M. Parássoglou, Kyriakos Tsantsanoglou) in "Studi e testi per il corpus dei papiri filosofici greci e latini" 13. Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006, pp.309 e sgg.</ref>) del ''Papiro di Derveni'', risalente al IV secolo a.C., rinvenuto semicombusto in una necropoli scavata nei pressi della località di Derveni (Macedonia, a circa 10 km da Salonicco), probabile necropoli dell'antica località di Lete, e oggi conservato presso il Museo archeologico di Salonicco. Da evidenziare anche la vicinanza con Pella, centro dove, intorno al 400 a.C., Archelao aveva trasferito la capitale macedone, precedentemente collocata ad Aigai (oggi Vergina). Il ''Papiro'' è stato rinvenuto in una tomba appartenente ad un gruppo di due tombe di notevole rilevanza, affrescate e con corredo sontuoso, probabilmente appartenenti all'alta aristocrazia. Le tombe accoglievano i vasi dove erano state raccolte le ceneri dei defunti dopo la loro cremazione, in accordo con la credenza orfica del corpo inteso come "tomba" dell'anima. Il ''Papiro'', rinvenuto nella tomba A quella tra le due relativamente meno sontuosa, non faceva parte del corredo, anzi risulta semicombusto, rinvenuto insieme ad altri oggetti semicombusti prima dell'apertura della cassa: esso faceva quindi parte dei residui del rogo funerario. In origine, il ''Papiro'' doveva essere lungo più di tre metri, scritto su numerose colonne disposte verticalmente, ogni colonna conteneva tra le undici e le sedici righe, composte a loro volta da una decina di parole. Ciò che è stato rinvenuto è probabilmente quindi solo un decimo dello scritto originale. La lingua del testo è in dialetto ionico con elementi in attico. La sua datazione è confermata dalla presenza di una moneta di Filippo II rinvenuta nella tomba B. L'origine orfica del testo è confermata dalla presenza del nome di Orfeo (nella colonna 14 citato per ben due volte)<ref>Cfr. Angelo Bottini. ''Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianze archeologiche''. Milano, Longanesi, 1992.</ref>.]]
[[File:Nascita di Elena dall'uovo (Paestum).jpg|250px|thumb|«L'uovo, per gli orfici, è all'origine della vita, ne è la pienezza stessa: una vita però che degrada progressivamente sino al non-essere dell'esistenza individuale.»<ref>Marcel Detienne, cit. in Paolo Scarpi, ''Le religioni dei misteri'', vol.1 nota 695. Milano, Mondadori/FondazioneLorenzo Valla, p.629.</ref>. L'uovo, quindi, rappresenta per gli Orfici la compiutezza delle origini, ma in ambito greco può inerire anche ad altri miti come quello che riguarda la nascita di Elena. In questo particolare di un'anfora, dipinta da Python (IV secolo a.C.), rinvenuta nella Tomba 24 di Andriuolo ed esposta presso il Museo archeologico nazionale di Paestum, viene raccontata per mezzo di una scena teatrale uno dei mito riguardanti la nascita di Elena (Ἑλένη). Zeus intende unirsi con Nemesi, la dea che indica la potenza della "giusta ira" nei confronti di coloro che violano l'ordine naturale delle cose. Ma Nemesi, piena di pudore, fugge il re degli dèi, dapprima lungo la terra, poi in mare e infine in cielo dove assunto il corpo di un'oca viene raggiunta da Zeus che prende la forma di un cigno unendosi in questo modo alla dea. Ermes raccoglie l'uovo, frutto dell'unione divina, e lo consegna a Leda (Λήδα), moglie del re di Sparta Tindareo (Τυνδάρεως). Compito della coppia regale è ora quello di eseguire la volontà divina di Zeus, ovvero di porre l'uovo divino su un altare ancora caldo delle ceneri di un sacrificio, provocandone in questo modo la schiusa. [[File:Elena nasce dall'uovo.jpg|right|100px]] Qui viene raffigurata la ''ekkolapsis'' (ἐκκόλαψις, la schiusa dell'uovo) da dove emerge la divina e bellissima Elena, circondata da Leda e da Tindareo. Alcuni studiosi hanno ritenuto di scorgere delle connessioni tra queste raffigurazioni del mito di Elena e le teologie orfiche diffuse lungo le colonie greche in Italia<ref>Cfr. Angelo Bottini, ''Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianza archeologiche''. pp. 64 e sgg.</ref>.]]
[[File:Dioniso Niño Museo de Málaga.jpg|250px|thumb|Dioniso bambino munito di corna in una scultura romana del II secolo d.C. Il primo Dioniso (anche Zagreo (Ζαγρεύς, ''Zagreus'')<ref>Sulla figura di Dioniso/Zagreus cfr. ''Il nucleo cretese del mito di Dioniso-Zagreus'' in Károly Kerényi, ''Dioniso''. Milano, Adelphi, 2011, pp.94 e sgg.</ref> verrà divorato dai Titani la cui folgorazione da parte di Zeus darà, secondo l'antropogonia orfica, origine all'umanità.{{quote|il ventre di Persefone si gonfia di un frutto fecondo <br>e genera Zagreo, bambino munito di corna, che sale, lui solo, <br>sul trono celeste di Zeus; con la sua piccola mano <br>vibra il fulmine, è nelle sue mani puerili <br>di un neonato che si librano le saette. <br>Ma non occupa per molto il trono di Zeus, perché i Titani, <br>astuti, cosparso il volto con del gesso ingannatore, <br>spinti dalla rabbia profonda e spietata di Era, <br>lo uccidono con un pugnale venuto dal Tartaro, <br>mentre guardava la sua falsa immagine riflessa nello specchio.|Nonno di Panopoli, ''Dionisiache'' VI, 165-172. Traduzione di Daria Gigli Piccardi, Milano, Rizzoli, 2006, pp.483-485}}]]
[[File:Elena, ekkolapsis (ἐκκόλαψις) la schiusa dell'uovo, Museo archeologico nazionale di Metaponto.JPG|250px|right|thumb|[[File:Piero della Francesca 046.jpg|80px|right|thumb|''La pala di Brera'', Piero della Francesca, Urbino 1471]] [[File:Piero, pala montefeltro, dettaglio 2.jpg|80px|right|thumb|''La pala di Brera'', particolare.]] Elena, ekkolapsis (ἐκκόλαψις) la schiusa dell'uovo, Museo archeologico nazionale di Metaponto. In calcare, V sec. a.C. Rinvenuto nella "Tomba dell'uovo di Elena", in località Torretta. La tomba era affrescata in modo analogo alla tomba B di Derveni quella in cui è stato rinvenuto il papiro "orfico": un ramo di alloro di colore verde-azzurro sulla parete, in alto. Giamblico, nella ''Vita pitagorica'' (XXVIII, 154), ricorda la sacralità di questa pianta. {{q|Nel seno sconfinato di Erebo, la Notte dalle ali di tenebra generò dapprima un uovo pieno di vento. Col trascorrere delle stagioni, da questo sbocciò Eros, fiore del desiderio: sul dorso gli splendevano ali d'oro ed era simile al rapido turbine dei venti. |Aristofane, ''Uccelli''}}]]
L'Orfismo consiste in quel movimento religioso sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo<ref>Così la ''Encyclopedia of Religion'' (NY, Macmillan, 2005, pp. 6891 e sgg.) avvia la voce '''Orpheus''' a firma di Marcel Detienne (1987) e Alberto Bernabé (2005): «In the sixth century BCE, a religious movement that modern historians call Orphism appeared in Greece around the figure of Orpheus, the Thracian enchanter.».</ref>. Per quanto le tradizioni recenziori lo indichino come "Tracio" è opinione di alcuni autorevoli studiosi, come William Keith Chambers Guthrie, che la figura di Orfeo vada piuttosto collegata a quella, non si sa quanto "storica", di un antico "missionario" greco in terra tracia dove, nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, perse la vita<ref>William Keith Chambers Guthrie. ''I Greci e i loro dèi''. Bologna, il Mulino, 1987, pp.370 e sgg.</ref>.
È probabile che la figura di Orfeo possa essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C., ma il suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dell'antichità»<ref>William Keith Chambers Guthrie. ''I Greci e i loro dèi''. Bologna, il Mulino, 1987, pp.374.</ref>, frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla "possessione" divina propria dell'esperienza dionisiaca, e dall'altra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di "purezza" proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche:
# la credenza nella divinità e quindi nell'immortalità dell'anima;
# da cui consegue, al fine di evitare la perdità di tale immortalità, la necessità di condurre un'intera vita di purezza.
==L'innovazione dell'Orfismo nella religione greca e nella storia religiosa europea e sue origini==
L'importanza dell'Orfismo nella storia della cultura religiosa, e più in generale nella storia del pensiero occidentale, è un fatto più volte sottolineato dagli studiosi.
Così lo storico delle idee Giovanni Reale:
{{quote|Nei documenti letterari greci a noi pervenuti compare per la prima volta in Pindaro una concezione della natura e dei destini dell'uomo pressoché totalmente sconosciuta ai Greci dell'età precedenti ed espressione di una credenza ''per molti aspetti rivoluzionaria'', la quale, giustamente, è stata considerata come ''elemento di un nuovo schema di civiltà''. In effetti, si comincia a parlare della presenza nell'uomo di qualcosa di "divino" e non mortale, che proviene dagli Dei ed alberga nel corpo stesso, di natura antitetica a quella del corpo dorme o addirittura si appresta a morire, e dunque, quando allenta i vincoli con esso e lo lascia in libertà. [...] Il nuovo schema di credenza consiste, dunque, in una concezione "dualistica" dell'uomo, che contrappone l'anima immortale al corpo mortale e considera la prima come il vero uomo o, meglio, ciò che nell'uomo veramente conta e vale. Si tratta di una concezione, come è stato ben notato, che inserì nella civiltà europea un'interpretazione nuova dell'esistenza umana. Che questa concezione sia di genesi orfica non parrebbe cosa dubbia. |Giovanni Reale. ''La novità di fondo dell'Orfismo'', in ''Storia della filosofia greca e romana'' vol.1. Milano, Bompiani, 2004, pp. 62-3}}
Il testo di Pindaro a cui fa riferimento Reale è un frammento, il 131 b, che così recita:
{{quote|Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente,<br>
e poi rimane ancora vivente un'immagine della vita, poiché solo questa<br>
viene dagli dèi: essa dorme mentre le membra agiscono, ma in molti sogni <br>
mostra ai dormienti ciò che è furtivamente destinato di piacere e sofferenza.|Traduzione di Giorgio Colli, in ''La sapienza greca'' vol.1. Milano, Adelphi, 2005, p.127}}
Precedentemente anche il grecista irlandese Eric R. Dodds aveva evidenziato questa importante novità di fondo:
{{quote|Corrisponda o meno al fatto che per un Ateniese del V secolo la parola ''psychē'' avesse o potesse avere in sé un vago sentore di soprannaturale, certo non aveva nessuna intenzione puritana, né alcuna suggestione metafisica. L'anima non era prigioniera riluttante del corpo; era la vita, lo spirito del corpo, nel quale si trovava come a casa propria. Ma ecco che il nuovo schema di religione portò il suo contributo carico di conseguenze: attribuendo all'uomo un "io" occulto di origine divina, e contrapponendo così l'anima al corpo, inserì nella civiltà europea, un'intepretazione che noi diciamo puritana|Eric R. Dodds. ''I Greci e l'irrazionale''. Milano, Rizzoli, 2009, p. 187}}
Se quindi nell'Orfismo si riscontra per la prima volta un inequivocabile riferimento a un'"anima" (ψυχή), contrapposta al corpo (σῶμα ''sōma'') e di natura divina, resta non chiara l'origine di questa nuova nozione.
Eric R. Dodds<ref>Cfr. ''Gli sciamani greci e l'origine del puritanismo'' in ''I Greci e l'irrazionale''. Milano, Rizzoli, 2009.</ref> ritiene di individuare questa origine nella colonizzazione greca del Mar Nero avvenuta intorno al VII secolo a.C.<ref>Per una breve introduzione sul processo di colonizzazione greca di questa area cfr. ''La regione degli Stretti e il Mar Nero'' in Hans-Joachim Gehrke ''La Grecia settentrionale''; ''Storia Einaudi dei Greci e dei Romani'' vol.4. Torino, Einaudi, 1996, pp.985 e sgg.</ref> che consentì alla cultura greca di venire a contatto con le culture sciamaniche proprie dell'Asia centrale, in particolar modo con quella scita<ref>A differenza quindi di Erwin Rohde che invece ritiene la nozione di anima immortale un'eredità e un adattamento orfico dell'esperienze di possedimento estatico proprie del dionisismo.</ref>.
Tale sciamanesimo fondava le proprie credenza sulle pratiche estatiche laddove però non era il dio a "possedere" lo sciamano quanto piuttosto era l'"anima" dello sciamano che aveva esperienze straordinarie separate dal suo corpo.
Alla base di queste conclusioni Dodds pone l'analisi di alcuni personaggi, degli ἰατρόμαντις ("iatromanti"), veggenti e guide religiose, che, come Abari, giunsero dal Nord in Grecia trasferendo il culto di Apollo Iperboreo; o anche di alcuni Greci come Aristea il quale, originario dell'Ellesponto, si trasferì, almeno idealmente, nel Nord sede delle sue percezioni sciamaniche, così anche un altro Greco d'Asia, Ermotimo di Clazomene. Questi personaggi erano talmente diffusi nell'Atene del VI-V secolo a.C. che Sofocle nell'<nowiki></nowiki>''Elettra''<ref>Cfr. 62 e sgg.</ref> vi allude senza la necessità di nominarli.
{{quote|Ho tentato fin qui di delineare il percorso di una eredità spirituale, che muove dalla Scizia attraverso l'Ellesponto e passa per la Grecia d'Asia, si combina probabilmente con qualche residuo di tradizione minoica sopravvissuta a Creta, emigra verso il lontano Occidente con Pitagora e trova il suo ultimo autorevole rappresentante nel siciliano Empedocle. Questi uomini diffusero la credenza in un io separabile, che mediante tecniche adatte può staccarsi dal corpo anche durante la vita; in un io più antico del corpo, al quale esso sopravviverà.|Eric R. Dodds. ''I Greci e l'irrazionale''. Milano, Rizzoli, 2009, p. 195}}
==Le cosmogonie, le teogonie e le antropogonie orfiche==
Paolo Scarpi<ref>''Le religioni dei misteri'' vol. I, p.627</ref> evidenzia come nello spirito della tradizione mitologica greca, anche quella "orfica" si dispone non secondo un modello unificato frutto di un sistema teologico, quanto piuttosto come un insieme di varianti. Così nella ''Storia della teologia'', testo andato perduto opera dell'allievo di Aristotele Eudemo da Rodi, sarebbero state raccolte le varie teogonie come quelle di Omero, Esiodo, Orfeo, Acusilao<ref>Acusilao di Argo visse prima delle guerre persiane, compose la Γενεαλογίαι in cui riportò, modificandola, la ''Teogonia'' di Esiodo. Cfr. Felix Jacoby, ''Die Fragmente der griechischen Historiker'', 1, 1-2; Karl Wilhelm Ludwig Müller, ''Fragmenta historicorum graecorum'' I, 100.</ref>, Epimenide<ref>VI secolo a.C. Sull'aedo e indovino Epimenide cfr.: Diels-Kranz III, A, 4; Plutarco ''Vita di Solone'' XII; Diogene Laerzio ''Vite....'' I, 110; Platone ''Leggi'' I, 642 d, e III, 677 d; per la sua teogonia cfr. A. Bernabé, ''La teogonia di Epimenide. Saggio di ricostruzione'' in E. Federico e A. Visconti (a cura di) ''Epimenide cretese'' Napoli, 2001, pp.195-216; sulla figura G. Pugliese Carratelli, ''Epimenide'' in ''Tra Cadmo e Orfeo'', Bologna, Mulino, 1990, pp. 365 e sgg. e Giorgio Colli, ''La sapienza greca'' vol.II. La teogonia di Epimenide (Χρησμοί) possiede delle analogie sia con quella esiodea che con quella orfica, individuando le potenze prime nell'Aria e nella Notte, genitrici del Tartaro e quindi del restante cosmo. Taumaturgo, fu anche estatico vivendo al pari di Aristea esperienze di viaggio fuori dal corpo (DK 3). Il dio principale di Epimenide era tuttavia lo Zeus cretese; Plutarco sostiene che lo stesso Epimenide veniva indicato come Κούρης νεός (nuovo Curete).</ref>, Ferecide<ref>VI secolo a.C. Autore del poema cosmogonico Επτάμυχος (''Le sette caverne'', indicato anche come Θεοκρασία o Πεντάμυχος), individua come divinità primordiali ed eterne: Zas (Ζὰς, analogo a Zeus), Chthonie (Χθονίη, poi dopo aver avuto in dono la Terra diviene Gaia) e Chronos (Χρόνος). Dal seme di Chronos, defluirono gli elementi di terra, acqua e fuoco che allocati in sette (o cinque) antri dell'universo furono all'origine della restante generazione degli dèi e quindi del cosmo. La teogonia di Ferecide influì, o fu influenzata, sulle teogonie orfiche e quindi su quelle pitagoriche. Cfr. DK 7. Su Ferecide cfr. Giorgio Colli, ''La sapienza greca'' vol.II.</ref>, ma anche quelle non greche come le babilonesi, persiane e fenicie, a dimostrazione della presenza delle diverse tradizioni teogoniche e cosmogoniche che attraversavano il mondo greco.
Una cosmogonia e teogonia di tipo "parodistico" ma di derivazione orfica la si riscontra in Aristofane (V-IV secolo a.C.) negli ''Uccelli'' (vv.693-702)<ref>{{quote|Uomini nati nel buio della vostra vita, simili alla stirpe caduca delle foglie, essere fragili, impasto di fango, vane figure d’ombra, senza la gioia delle ali, fugaci come il giorno, infelici mortali, uomini della razza dei sogni, date ascolto a noi: immortali e sempre viventi, creature del cielo, ignari di vecchiezza, esperti di indistruttibili pensieri. Ascoltate da noi tutta la verità sulle cose del cielo e la natura degli uccelli, sull'origine degli dèi e dei fiumi, e dell'Erebo e del Caos. Conoscerete il vero, e da parte mia direte a Prodico di andare alla malora, per l'avvenire. In principio c'erano il Caos e la Notte e il buio Erebo e il Tartaro immenso; non esisteva la terra, né l'aria né il cielo. Nel seno sconfinato di Erebo, la Notte dalle ali di tenebra generò dapprima un uovo pieno di vento. Col trascorrere delle stagioni, da questo sbocciò Eros, fiore del desiderio: sul dorso gli splendevano ali d'oro ed era simile al rapido turbine dei venti. Congiunto di notte al Caos alato nella vastità del Tartaro, egli covò la nostra stirpe, e questa fu la prima che condusse alla luce. Neppure la razza degli immortali esisteva avanti che Eros congiungesse gli elementi dell'universo. Quando avvennero gli altri accoppiamenti, nacquero il cielo e l'oceano e la terra, e la razza immortale degli dèi beati|Aristofane. ''Gli uccelli'' 685-702. Traduzione it. di Dario Del Corno, in Aristofane. ''Commedie''. Milano, Mondadori, 2007, pag. 301}}</ref>:
* in principio vi sono Chaos, Nyx (Notte), Erebo e Tartato;
* nel buio Erebo, Nyx genera un Uovo (ᾠόν) "pieno di vento";
* da questo Uovo emerge Eros dalle ali d'oro;
* unitosi durante la notte al Chaos, Eros genera la stirpe degli "uccelli";
* quindi genera Urano (Cielo) e Oceano, Gea (Terra) e gli dèi.
Tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'Orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle ''Teogonie'' orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo»<ref>Paolo Scarpi. ''Le religioni dei misteri'' vol. I, p.628; sull'attribuzione orfica del passo di Aristofane cfr. anche Giorgio Colli. ''La sapienza greca'' vol.1 p. 394 nota a 4[A 24].</ref>.
Nel 1962 viene rinvenuto un rotolo di papiro all'interno di una tomba macedone collocata a Derveni (nei pressi di Salonicco) datata al IV secolo a.C. Per quanto semicarbonizzato parte del contenuto del papiro è stato recuperato<ref>La sopravvivenza di questo testo è del tutto fortuita frutto di circostanze casuali. Questi frammenti del rotolo sfuggiti alle fiamme del rogo funerario sono stati poi utilizzati insieme ad altro materiale del rogo come tumulo. Per un'analisi dei rinvenimenti cfr. Angelo Bottini. ''Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianze archeologiche''. Milano, Longanesi, 1992, pp.135 e sgg.</ref> e tradotto e rappresenterebbe un commento, probabilmente risalente al V secolo a.C., a una teogonia orfica e forse all'opera di Eraclito<ref>Per l'edizione critica cfr. ''The Derveni Papyrus'' (a cura di Theokritos Koueremenos, George M. Parássoglou, Kyriakos Tsantsanoglou) in "Studi e testi per il corpus dei papiri filosofici greci e latini" 13. Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006.</ref>.
* il componimento è indirizzato solo agli "iniziati", escludendo dalla lettura i "profani";
* l'oggetto dell'inno sono le opere di Zeus, che il dio compì su consiglio della nera Nyx (Notte);
* gli dèi nacquero da Zeus, Zeus che udì da Nyx le "segrete profezie" e quindi inghiotti il "demone glorioso";
* questo "demone glorioso", che primo balzò nell'etere, aveva generato Gaia e Urano che fu il primo a regnare;
* Gaia e Urano generarono Kronos (Crono) che compì gravi azioni contro Urano;
* Zeus successe a Kronos, Zeus possedeva Metis e deteneva il ruolo di re tra gli dèi;
* Zeus quindi inghiottì Protogono (Πρωτογόνος, ''Prōtógonos'', il "primogenito" inteso come il "demone glorioso")<ref>Indica Phanes (Xpóvoq anche Fanes) nato dall'Uovo cosmico, ovvero l'Eros degli ''Uccelli'' di Aristofane.</ref>.
Da questo momento si assiste a una nuova "Cosmogonia" generata da Zeus stesso, la prima che precede è quella per l'appunto che ha Nyx (Notte) come origine, ma Zeus, dopo aver inghiottito Protogono<ref>Sul tema dell'"inghiottimento" cfr. 129 e 167 ''Orphicorum Fragmenta'' di Otto Kern; in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern''. Milano, Bompiani, 2011, p.399 e pp. 431 e sgg.</ref>:
{{quote|[...]; e a lui allora tutti<br> gli immortali, gli dèi beati e le dee, si assimilarono<br> e i fiumi e le sorgenti amabili e tutte le altre cose<br> che allora erano venute all'esistenza, ed egli così divenne unico.<br>Ora è il re di tutti gli esseri e lo sarà anche in futuro.<br> Zeus nacque per primo, per ultimo Zeus dalla vivida folgore;<br>Zeus è la testa, Zeus il mezzo; tutto si è prodotto da Zeus;<br> Zeus da solo controlla il compimento di tutti gli esseri, Zeus è la Moira possente;<br> Zeus è re, Zeus dalla vivida folgore il sovrano di tutte le cose;<br>li nascose tutti e poi alla luce dispensatrice di gioia<br>li fece salire dal suo cuore sacro, terribili atti compiendo.|''Papiro di Derveni''. Traduzione di Paolo Scarpi, in ''Le religioni dei misteri'' vol.1 p.369}}
Il testo di Derveni coincide per molti contenuti con un altro, presente nel trattato titolato ''Sul mondo'' (''Peri kosmou'') datato alla prima metà del I a.C.<ref>«La sua stesura potrebbe cadere tra l'edizione dei testi aristotelici da parte di Andronico di Rodi e la traduzione di latina per opera di Apuleio.» Franco Volpi. ''Dizionario delle opere filosofiche''. Milano, Bruno Mondadori, 2000, p.120.</ref> e attribuito allo [pseudo]-Aristotele:
{{quote|Zeus nacque per primo, Zeus dalla fulgente folgore è l'ultimo;<br> Zeus è la testa, Zeus il mezzo: da Zeus tutto è compiuto;<br> Zeus è il fondo della terra e del cielo stellante;<br> Zeus nacque maschio, Zeus immortate fu fanciulla;<br> Zeus il soffio di tutte le cose, Zeus è lo slancio del fuoco infaticato.<br> Zeus è la radice del mare, Zeus è il sole e la luna;<br> Zeus è il re, Zeus dalla fulgente folgore è il dominatore di tutte le cose:<br>infatti, dopo aver nascosto tutti, di nuovo dal cuore sacro<br> li sollevò alla luce piena di gioia, compiendo rovine.|Pseudo-Aristotele. ''Sul mondo''. Traduzione di Giorgio Colli, 4 [A 71] in ''Op.cit.'' vol.1 pp. 195 e sgg.}}
Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose:
{{quote|La teologia esposta nell'opera del peripatetico Eudemo come se fosse di Orfeo ha taciuto tutto ciò che è intellegibile, in quanto totalmente indicibile e inconoscibile [...] ha posto come principio la Notte, dalla quale inizia pure Omero, anche se non ha reso continua la genealogia. Infatti non si deve accogliere l'affermazione di Eudemo che inizi da Oceano e Teti: infatti egli sembra essere consapevole che pure la Notte è una divinità grandissima, a tal punto che anche Zeus la venera: "Infatti egli temeva di compiere azioni sgradite alla Notte veloce". Ma Omero stesso deve cominciare dalla Notte; invece mi pare di capire che sia stato Esiodo per la prima volta, narrando del Caos ad aver chiamato il Caos la natura inconoscibile dell'intellegibile e compiutamente indifferenziata e a far derivare da lì la Terra come il principio primo, come il principio primo, se così si può dire, dell'intera generazione degli dei; a meno che il Caos non sia il secondo dei due principi, mentre la Terra, il Tartaro e Eros i tre oggetti dell'intuizione ed Eros è al terzo posto, in quanto contemplato secondo un ritorno. Questa espressione è impiegata pure da Orfeo nelle rapsodie: la Terra è al primo posto, in quanto per prima si è solidificata in una massa solida e stabile, il Tartaro a quello intermedio, perché già mosso verso una differenziazione.|Eudemo da Rodi. ''Frammento 150'', in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', 28 [1]; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.227}}
Un'altra teogonia di stampo orfico è quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico di datazione incerta<ref>{{quote|Tale teogonia [...] è di cronologia assai incerta: contro l'opinione precedente (cf. per es. Zeller I I, 128-129) che la riteneva più tarda della teogonia rapsodica, si è poi affermata la tesi che vada datata tra la teogonia secondo Eudemo (Kern, Ziegler). E se realmente anche questo frammento si può accettare come sua testimonianza, si potrebbe collocarne la data fra il terzo secolo a.C. e il primo secolo d.C.|Giorgio Colli. ''La sapienza greca'', vol.1, p. 413}}</ref> e che viene riportata nel modo più esauriente da Damascio<ref>''De principis'' 123 bis</ref> nel VI secolo d.C.:
* all'inizio vi è l'acqua (''hýdōr'' ὕδωρ) e la materia (''hýlē'' ὕλη); da questi si condensa la terra (''gē'' γῆ);
* prima di questi non c'è nulla, osserva Damascio, forse perché il "prima" è di natura "indicibile" quindi tramandato segretamente;
* dall'acqua e dalla terra prese origine un serpente (''drákōn'' δράκων) avente la testa di un toro e quella di un leone e in mezzo tra queste il volto di un dio, aveva anche le ali poste dietro le spalle, il suo nome era Tempo (Χρόνος, Chronos<ref>Da non confondersi con il titano esiodeo Κρόνος, Kronos.</ref>) privo di vecchiaia (''agèratos'' ἀγήρατος), e ma ebbe anche il nome di Eracle (Hēraklēs, Ἡρακλῆς);
* a questo serpente era congiunta Ananke (Ἀνάγκη, Necessità) incorporea, per natura identica ad Adrastea (Ἀδράστεια), con le braccia aperte a contenere ("ne raggiunge i limiti", ''peráton'') tutto il mondo (''kosmoi'');
* Tempo, il serpente, è padre di Etere umido, di Chaos senza limiti e di Erebo nebbioso; in questa triade Tempo genera l'uovo;
* dall'Uovo nasce un essere dall'aspetto sia femminile che maschile, con le ali d'oro, le teste del toro sui fianchi, un enorme serpente sul capo somigliante a tutte le creature selvatiche, questo essere conteneva in sé tutti i semi delle creature future, il nome di questo essere nato dall'Uovo era Protogono, anche chiamato Zeus o Pan (Πάν).
Così il cristiano Atenagora di Atene riassume, nel II secolo d.C., questa teogonia:
{{quote|[...] Omero afferma: "L'Oceano origine degli dèi, e la madre Teti", e Orfeo, che per primo scoprì i loro nomi, narrò dettagliatamente le loro nascite, raccontò tutto quanto è stato compiuto da ognuno ed è ritenuto da loro di parlare di teologia in modo del tutto rispondente al vero; anche Omero lo segue molto da vicino, per lo più anche a proposito degli dèi, e fa derivare anch'egli la loro prima origine dell'acqua: "Oceano che per tutti è l'origine". Infatti, secondo lui, l'acqua era il principio di tutte le cose; dall'acqua, poi, si costituì il fango; da entrambi fu generato un essere vivente, un serpente con aggiunta una testa di leone, con in mezzo il volto di un dio, dal nome Eracle e Tempo. Questo Eracle generò un uovo estremamente grande che pieno della forza di chi l'aveva generato, si spezzò in due per uno sfregamento. La parte della sua sommità finì per diventare Cielo, mentre la parte racchiusa in basso diventò Terra; fuoriuscì anche un dio dal duplice corpo. Cielo, unitosi a Terra, generò come femmine Cloto, Lachesi e Atropo, come maschi i Centomani, Cotto, Gige, Briareo e i Ciclopi, Bronte, Sterope e Arge; e dopo averli incatenati, lì precipitò nel Tartaro, avendo appreso che sarebbe stato privato del potere dai suoi figli. Perciò Terra adirata generò i Titani:<br> E la Terra signora generò come figli i Celesti<br>a cui danno anche il nome Titani,<br> in quanto punirono il Cielo stellato|Atenagora di Atene. ''Apologia per i cristiani'' XVIII; in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', 28 [1]; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.307 }}
Una ulteriore teogonia orfica emerge dai ''Discorsi sacri'' (''hieroi logoi'', in ventiquattro rapsodie detta anche ''Teogonia rapsodica'')<ref>Riportati in ''Discorsi sacri in ventiquattro rapsodie''; ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern''; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, pp. 313-529.</ref>, di cui diversi autori neoplatonici riportano alcuni passi attribuiti a Orfeo ma probabilmente frutto di una rielaborazione di materiale arcaico avvenuta tra il I e il II secolo d.C.<ref>Cfr. ''Le religioni dei misteri'' (a cura di Paolo Scarpi). p. 629</ref>.
* Tempo (Χρόνος, ''Chronos'') genera Etere e quindi un ''chásma'' (baratro, χάσμα) grande che si estende qua e là<ref>Cfr. 66 ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.329 e sgg..</ref>;
* poi il Tempo per mezzo di Etere forma un "Uovo d'argento";
* dall'"Uovo d'argento" emerge Fanes (Φάνης, Phanes)<ref>Detto anche ''Protogonos'' (Πρωτογόνος) in quanto uscito per primo dall'Uovo d'argento, anche ''Eriképaios'' (Ἠρικεπαῖος) in quanto androgino e quindi "datore di vita"; "femmina e genitore" cfr. 81 ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.341; anche Metis.</ref>, ermafrodito, dotato di quattro occhi, con ali d'oro e munito di diverse teste di animali;
* Fanes regna con Nyx (Notte) sua paredra, madre e figlia, dal potere mantico;
* Notte genera Gaia e Urano, trasmettendo il potere regale a quest'ultimo;
* Gaia e Urano generano Kronos che castra il padre strappandgli il potere regale;
* il seguito è simile alla ''Teogonia'' esiodea fino a Zeus che inghiotte Fanes divenendo il Tutto;
* Zeus riavvia una nuova teogonia, in questo nuovo processo il re degli dèi sposa Demetra che ha una figlia, Persefone, da Persefone, Zeus ha un nuovo figlio Dioniso che sarà protagonista nella nascita del genere umano:
{{quote|Presso Orfeo sono tramandati quattro regni: primo quello di Urano, che ricevette Crono<ref>Si tratta del titano Kronos (Κρόνος).</ref>, una volta che ebbe evirato i genitali del padre; dopo Crono regnò Zeus, che scaraventò nel Tartaro il genitore; in seguito, a Zeus successe Dioniso che, dicono, i Titani gravitanti intorno a lui dilaniarono, per una macchinazione di Era, e si cibarono delle sue carni. E Zeus, colto dallo sdegno, li folgorò e, generatasi la materia dalla cenere fumante da essi prodotta nacquero gli uomini; dunque, non bisogna che facciamo morire noi stessi, non solo come sembra dire il mito, perché siamo in un carcere, il corpo (questo infatti è chiaro), e non lo avrebbe detto affinché restasse segreto, ma non bisogna far morire noi stessi, anche perché il nostro corpo è dionisiaco: infatti noi siamo parte di lui, se è vero che siamo formati dalla cenere dei Titani, che ne mangiarono le carni.|Olimpiodoro. ''Commento al Fedone di Platone''; fr. 220 ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.509}}
Nel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da un sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi, successivamente, ancora una totalità rappresentata da Phanes (Luce, "vengo alla Luce") androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso, tuttavia dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso il quale, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto<ref>Un testo riportante il mito di Dioniso/Zagreus dilaniato dai Titani è, per André-Jean Festugière, in circolazione a partire dal III secolo a.C., cfr. Giovanni Pugliese Carratelli, ''Tra Cadmo e Orfeo'', p.395 </ref>.
Nota Jean-Pierre Vernant:
{{quote|In Esiodo, l'universo divino si organizza secondo un progresso lineare che porta dal disordine all'ordine, da uno stato originario di confusione indistinta fino a un mondo differenziato<ref>Rendiamo qui secondo il testo francese che correttamente riporta «un mondé differencié» (Cfr. Jean-Pierre Vernant. ''Mythe et religion en Gréce ancienne''. Parigi, Édition du Seuil, 1990 p.105); così come nell'originale in lingua inglese pubblicato nel 6° volume della ''Encyclopedia of Religion'' nel 1987 per la Macmillan di New York sotto la voce ''Greek Religion'' dove per l'appunto viene riportato come «a differentiated world»; questa edizione italiana (Donzelli, 2009) commette invece un refuso di traduzione riportando «mondo indifferenziato».</ref> e gerarchizzato sotto l'immutabile autorità di Zeus. Negli orfici è l'inverso: all'origine, il Principio, Uovo primordiale o Notte, esprime l'unità perfetta, la pienezza di una totalità chiusa. Ma l'Essere di degrada a mano a mano che l'unità si divide e si disloca per far apparire forme distinte, individui separati. A tale ciclo di dispersione deve far seguito un ciclo di reintegrazione delle parti nell'unità del Tutto. Sarà, alla sesta generazione<ref>Qui Vernant segue la lezione del frammento 107 (Proclo. ''Commento al Timeo di Platone'', III, 168) che recita: «Orfeo tramandò secondo il numero perfetto come sovrani degli dei, preposti al governo dell'universo, Fanes, Notte, Urano, Crono, Zeus e Dioniso: infatti Fanes si procura per primo lo scettro; e per primo regno il celebre Erichepeo; per secondo la Notte, che lo ricevette dal padre; per terzo Urano, che lo ricevette dalla Notte; e per quarto Crono, che come dicono soggiogò suo padre con la violenza, per quinto Zeus vinto il padre, e dopo costui per sesto Dioniso» in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', p.375</ref>, l'avvento del Dioniso orfico, il cui regno rappresenta il ritorno all'Uno, la riconquista della Pienezza perduta. Ma Dioniso non gioca soltanto la sua parte in una teogonia che sostituisce all'emergenza progressiva di un ordine differenziato una caduta nella divisione [...]. Nel racconto del suo smembramento da parte di Titani che lo divorano, della sua ricorstruzione a partire dal cuore conservato intatto, [...] della nascita, a partire dalle loro ceneri, della razza umana [...] lo stesso Dioniso assume nella sua persona di dio, il doppio ciclo di dispersione e di riunificazione, nel corso di una "passione" che impegna direttamente la vita degli uomini perché fonda miticamente l'infelicità della condizione umana al tempo stesso in cui apre ai mortali, la prospettiva della salvezza.|Jean-Pierre Vernant. ''Mito e religione in Grecia antica''. Roma, Donzelli, 2009, p. 49-50}}
Giorgio Colli non recepisce nella ''Teogonia orfica'' un atteggiamento pessimistico nei confronti del mondo:
{{quote|Al contrario, la pienezza della vita è il livello di questa poesia. C'è l'abisso tenebroso della notte, il dolore di Dioniso dilaniato dai Titani, ma c'è anche lo splendente Fanes, colui che appare visibile. Il manifestarsi non è degradazione di realtà, ma conquista. La natura è divina, e la sua intuizione è il compito di natura umana compatta, non frantumata nella molteplicità. Il pessimismo si inserisce in questo quadro, e condanna soltanto la vita titanica, l'isolamento nei vincoli individuali, la mancanza di una potenza intuitiva che sappia vedere le immagini sensibili come simboli. La purificazione nei misteri non stacca dalla vita in generale, ma solo dall'esistenza meschina dell'individuo.|Giorgio Colli. ''Orfici. Frammenti'' in ''Per una enciclopedia di autori classici''. Milano, Adelphi, 1995, pp. 14-15}}
==La "salvezza" orfica e il ''bios orphikos'' (Ὀρφικὸς βίος) ==
L'antropogonia orfica del dio Dioniso sbranato dai Titani che vengono quindi fulminati da Zeus e dalla cui fuliggine compaiono gli uomini è al fondamento, per Giovanni Reale di una "vita spirituale"<ref>Cfr. Giovanni Reale. ''Prefazione'' in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern''. Milano, Bompiani, 2011, p.399 e p. 23.</ref>.
{{quote|In che senso e in che misura questo mito possa costituire la base di una nuova etica è evidente. Esso spiega la costante tendenza al bene e al male presente negli uomini: la parte dionisiaca è l'anima (a cui è legata la tendenza al bene), quella titanica è il corpo (a cui è legata la tendenza al male). Di qui deriva il nuovo compito morale di ''liberare l'elemento dionisiaco'' (l'anima) ''da quello titanico'' (il corpo).|Giovanni Reale. ''Prefazione'' in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern''. Milano, Bompiani, 2011, p.399 e p. 24}}
Il valore dell'anima immortale rispetto al valore del corpo che la imprigiona fa conseguire un nuovo paradigma rispetto ai valori dell'esistenza umana, come ricorda un celebre passo di Platone che cita Euripide:
{{quote|Chi sa se il vivere non sia morire<br> e il morire invece vivere.|Euripide, ''Polydos'' fr.638 (Platone, ''Gorgia'' 492e: ''davvero non mi stupirei, se Euripide dicesse la verità quando dice...'') Traduzione di Giorgio Colli, in ''La Sapienza Greca'', vol.1 p.139}}
Ma la morte di per sé non "libera" l'anima immortale. Essa, per le dottrine orfiche, è destinata a rinascere:
{{quote|Dato che anche la teologia orfica ci insegna queste cose. O non è forse vero che pure Orfeo tramanda chiaramente simili dottrine, quando, dopo il mitico castigo dei Titani e la nascita da quelli di questi esseri mortali, dice per prima cosa che le anime passano da una vita all'altra periodicamente e che spesso entrano nei corpi umani, ora in uno ora in un altro| fr. 224. Proclo ''Commento alla Repubblica di Platone'' II, 338 in ''Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern'', traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p. 515}}
Tale liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una "vita pura", la "vita orfica" (''bios orphikos'' Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, la principale delle quali consiste nell'astinenza dalle uccisioni (Φόνου απέχου) da cui consegue il rifiuto del culto sacrificale e quindi un'alimentazione vegetariana.
{{q|Negli orfici, la condanna radicale del sacrificio, assimilato all'uccisione sacrilega commessa in origine dai Titani, implica un modo del tutto diverso di concepire lo ''status'' dell'uomo e, nello stesso tempo, il rifiuto della religione ufficiale. [...] Fatti della stessa materia bruciata degli esseri da cui sono nati, gli umani portano, in virtù della loro eredità titanica, il peso della colpa criminale che ha segnato la loro origine e che li ha destinati a una vita di espiazione. Ma essi partecipano anche di Dioniso, di cui i loro antenati hanno assimilato la carne divorandone una parte. [...] Accettando di sacrificare agli dèi un animale alla maniera di Prometeo, come vuole il culto ufficiale, gli uomini non fanno altro che ripetere, all'infinito, la colpa dei Titani. Rifiutando invece questa pratica, vietandosi di versare sangue animale, evitando l'alimentazione carnea per consacrarsi a una vita purificata dall'ascesi, e nello stesso tempo estranea alle norme sociali e religiose della città, gli uomini si spoglierebbero di tutto ciò che la loro natura comporta di titanico e reintegrerebbero in Dioniso quella parte di loro stessi che è divina.|Jean-Pierre Vernant ''La cucina del sacrificio in terra greca'' p.56}}
{{q|L'omicidio di Dioniso da parte dei Titani viene ad illustrare direttamente il principale insegnamento dispensato da Orfeo: "astenersi dalle uccisioni, dai ''phonói''", con la doppia esortazione di a cessare di mangiare carne e a porre fine all'assassinio di essere umani. Attraverso questo mito, Orfeo insegna agli uomini che bisogna rifiutare qualsiasi sacrificio cruento, dal momento che tale rituale, lungi dal permettere di instaurare delle relazioni con gli dei, riproduce, in forma appena contraffatta, un crimine di cui il genere umano continuerà ad essere partecipe fin quando non avrà riconosciuto definitivamente la sua origine titanica ed avrà iniziato a purificare, grazie al tipo di vita detto orfico, l'elemento divino imprigionato in lui dalla voracità di coloro che, un tempo, hanno sgozzato il giovane Dioniso.|Marcel Detienne, ''Dioniso e la pantera profumata'', p.142-3}}
Considerando il rifiuto del sacrificio animale e la conseguente alimentazione vegetariana, l'unico atto di servizio divino per gli orfici, come per i pitagorici, resta l'offerta di incenso <ref>Walter Burkert, ''La religione greca'' p.540.</ref>; vi è anche il rifiuto di mangiare fave e uova<ref>Plutarco, ''Quaestiones convivales'', 635 e Macrobio ''Saturnali'' VII, 16, 8.</ref>, e di bere vino<ref>Platone, ''Leggi'', 672 b.</ref><ref>Walter Burkert, ''La religione greca'' p.537.</ref>
==Note==
<references/>
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[[Categoria:La religione greca]]
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Lombardo/Come convertire in Nuova Ortografia Lombarda il dialetto milanese scritto con l'ortografia milanese
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Gat lombard
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/* 1. Modifica le parole come descritto nella tabella sottostante */
wikitext
text/x-wiki
{{Lombardo}}
== 1. Modifica le parole come descritto nella tabella sottostante==
{|class="wikitable"
|-
|bgcolor=#ABCDEF|modifiche basate sulla grammatica
|bgcolor=#FAEBD7|modifiche basate sulla pronuncia in dialetto milanese
|bgcolor=#FFFEEF|accenti in mezzo alla parola da togliere
|bgcolor=#FCBEB1|modifiche basate sulla pronuncia negli altri dialetti
|}
{| class="wikitable"
|+
!Lettera<br />in [[Lombardo/Ortografia e regole per la pronuncia|ortografia milanese]]
!Pronuncia [[wikipedia:ita:Alfabeto Fonetico Internazionale|IPA]]
!Conversione in<br />[[Lombardo/Ortografia e regole per la pronuncia |Nuova Ortografia Lombarda]]
!Esempi
|
|-
|'''A a'''
|[a]
|l'è istèss
|g'''a'''tt → g'''a'''t
|[g'''a'''t]
|-style="background-color:#ABCDEF;"
| rowspan="2" |'''aa'''
|[ɒ:] [a:] (participi passati e qualche parola simile al participio passato<ref>per esempio “ducaa” → ducad; praa → prad</ref>)
|'''aa → ad'''
|cant'''aa''' → cant'''ad'''
|[kã:'t'''ɒ:''']
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|[a]
|'''aa → à'''
|unit'''aa''' → unit'''à'''
|[yni't'''a''']
|-
|'''B b'''
|[b]<br />[p] alla fine della parola
|è uguale
|'''b'''èll → '''b'''ell
piom'''b''' → piom'''b'''
|['''b'''ɛl]<br />[pjũ:'''p''']
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''bb'''
|[b]<br />[p] alla fine della parola
|'''bb → b'''
|goeu'''bb''' → goeu'''b'''
|[gø'''p''']
|-
| rowspan="2" style="background-color:#FAEBD7;"|'''C c'''
|[tʃ] davanti a i,e<br />[k] davanti alle altre lettere
|è uguale
|'''c'''èss →'''c'''ess
'''c'''avagn → '''c'''avagn
|['''tʃ'''ɛs]<br />['''k'''a'vaɲ]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|∅ prima di q
|'''c →''' ''(rimuoverla)''
|a'''c'''qua → aqua
|[a'''k'''wa]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
| rowspan="2" |'''cc'''
|[tʃ] davanti a i,e<br />[k] davanti alle altre lettere (anche a "h" alla fine della parola)
|'''cc → c'''
|caccia → ca'''c'''ia
va'''cc'''a → va'''c'''a
gnu'''cc'''h →gnu'''c'''h
|['ka'''tʃ'''a]<br />['va'''k'''a]
[ɲy'''k''']
|-
|[tʃ] alla fine della parola
|è uguale
|mu'''cc''' → mu'''cc'''
|[mu'''tʃ''']
|-
|'''D d'''
|[d]<br />[t] alla fine della parola
|è uguale
|'''d'''aner → '''d'''aner
|[dan'''e:''']
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''dd'''
|[d]
|'''dd → d'''
|re'''dd'''it → re'''d'''it
|['re'''d'''it]
|-
|'''E e'''
|[e]
|è uguale
|r'''e'''ddit → r'''e'''dit
|['r'''e'''dit]
|-style="background-color:#FFFEEF;"
| rowspan="2" |'''E è'''
|[ɛ]
|'''è → e'''
|c'''è'''ss → c'''e'''ss
|['''tʃ'''ɛs]
|-
|[ɛ] (alla fine della parola)
|è uguale
|perch'''è''' → perch'''è'''
|[pər'k'''ɛ''']
|-
| rowspan="2" style="background-color:#FCBEB1;"|'''ee'''
|[e:]
|è uguale
|adr'''ee''' → adr'''ee'''
|[a'dr'''e:''']
|-style="background-color:#FCBEB1;"
|[e:] (sostantivi femminili in [era] o comunque per la parola che in lombardo orientale finiscono con r)
|'''e → er'''
|prestin'''ee''' → prestin'''er''' <br />mest'''ee''' → mest'''er'''
|[prestin'''e:''']
[mest'''e:''']
|-
|'''F f'''
|[f]
|è uguale
|'''f'''acil → '''f'''acil
|[''''f'''atʃil]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''ff'''
|[f]
|'''ff → f'''
|di'''ff'''icil → di'''f'''icil
|[di''''f'''itʃil]
|-
| rowspan="4" style="background-color:#FCBEB1;" |'''G g'''
|[g] davanti a "a", "o", "u", "oeu"<br />[g] davanti a qualsiasi consonante eccetto "l" e "n" (guarda sotto)
|è uguale
|'''g'''att → '''g'''at
|['''g'''at]<br />
|-
| rowspan="2" style="background-color:#FCBEB1;"|[ʤ] davanti a "i", "e"
| -è uguale, quando non esistono dei dialetti in cui si pronuncia [z] o [ʒ]
-dopo s ► guarda sotto
|'''g'''iustizia → '''g'''iustizzia
|['''ʤ'''y'stisja]
|-style="background-color:#FCBEB1;"
|'''g → sg'''
(quando esistono dei dialetti lombvardi in cui si pronuncia [z] o [ʒ] -
Capita spesso davanti a "io", "iu",
"ia", "ieou" con la "i" non accentata)
|'''g'''iornada→ '''sg'''iornada
|['''ʤ'''ur'nɒda]]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|[:ʒ] da sola alla fine della parola
|'''g → sg'''
|le'''g''' → le'''sg'''
|
|-style="background-color:#FAEBD7;"
| rowspan="3" |'''gg'''
|[ʤ] in mezzo alla parola
|'''gg → g'''
|re'''gg'''ia → re'''g'''ia
|['re'''ʤ'''a]
|-
|[ʤ] alla fine della parola
|è uguale
|ma'''gg''' → ma'''gg'''
|[ma'''ʤ''']
|-
|[ʤ] alla fine della parola
| gg → sg solo quando esistono dei dialetti in cui si pronuncia come "ʒ"
|le'''gg''' → le'''sg'''
|[le'''ʤ''']
|-
|'''gn'''
|[ɲ]
|è uguale
|campa'''gn'''a → campa'''gn'''a
|[/kam'pa'''ɲ'''a/]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''gl'''
|[ʎ]
|'''gl → j'''
|fami'''gl'''ia → fami'''j'''a
|[fa'mi'''ʎ'''a]
|-
|'''H h'''
|∅
|è uguale
|politeg'''h''' → politeg'''h'''
|
|-
| rowspan="3" style="background-color:#FAEBD7;"|'''i'''
|[i] non accentata prima di vocale<br />[ĩ]: davanti a "m","n"
|è uguale
|v'''i'''a → v'''i'''a
poresi'''n''' → poresi'''n'''
|['v'''i'''a]<br />[pure's'''ĩ''':]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|[j] intervocalica
|'''i → j'''
|moià → mo'''j'''à
|[mu''''j'''a]
|-
|[j] o [i] tra consonante e vocale
|è uguale
|p'''i'''oeuva '''''→''''' p'''i'''oeuva
|['p'''j'''øva]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''ï'''
|[i]
|'''ï → ih'''
|sc'''ï'''a → sc'''ih'''à
|[ʃ'''i'''<nowiki/>'a]
|-style="background-color:#ABCDEF;"
| rowspan="2" |'''ii'''
|[i:] (participio passato)
|'''ii → id'''
|dorm'''ii''' → dorm'''id'''
|[dur'm'''i:''']
|-
|[i:]
|è uguale
|avii → avii
|[a'v'''i''':]
|-
| rowspan="2" |'''J j'''
|[j]
|è uguale
|ta'''j'''à → ta'''j'''à
|[ta'''<nowiki/>'j'''a]
|-
|[i]
|'''j → j/i'''
|
|
|-
|'''k'''
|[k]
|è uguale
|
|
|-
|'''L l'''
|[l] eccetto che dopo [g] (guarda sopra)
|è uguale
|'''l'''avell → '''l'''avell
|['''l'''a'vɛl]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
| rowspan="2" |'''ll'''
|[l]
|'''ll → l'''
|a'''ll'''egher → a'''l'''egher
|[a''''l'''egər]
|-
|[ll]<br />[l] (alla fine della parola con vocale cortoa accentata prima)
|è uguale
|ba'''ll'''a → ba'''ll'''a
base'''ll''' → base'''ll'''
|['ba'''ll'''a]<br />[ba''''z'''ɛl]
|-
|'''L l'''
|[l] eccetto che dopo [g] (guarda sopra)
|è uguale
|a'''l'''bumm → a'''l'''bum
|[al'b'''y'''m]
|-
|'''M m'''
|[m]<br />nasale davanti a auna vocale o alla fine della parole
|è uguale
|bru'mista → bru'mista
|[bry''''m'''ista]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''mm'''
|[m]
|'''mm → m'''
|a'''l'''bumm → a'''l'''bum
|[al'by'''m''']
|-
|'''N n'''
|[n]<br />nasale davanti a una vocale o alla fine delle parole
|è uguale
|campa'''n'''i'''n''' → campa'''n'''i'''n'''
|[kã:paˈ'''n'''ĩ''':''']
|-style="background-color:#FAEBD7;"
| rowspan="3" |'''nn'''
|[n]
|'''nn → n'''
|
|
|-
|[n]
|a volte, raramente, resta doppia in mezzo alla parola per questioni di etimologia / derivazione
|a'''nn'''iversari → a'''nn'''iversari
|[a'''n'''iver'sa:ri]
|-
|[nn], [n] (vocale prima corta alla fine della parola)
|è uguale
|a'''nn''' → a'''nn'''
|[a'''n''']
|-
|'''O o'''
|[u]<br />[ũ] davanti a m, n
|è uguale
|d'''o'''t'''o'''r → d'''o'''t'''o'''r
|[d'''u'''<nowiki/>'t'''u:'''r]
|-style="background-color:#FFFEEF;"
| rowspan="2" |'''Ò ò'''
|[ɔ]
|'''ò → o'''
|c'''ò'''tt → c'''o'''t
|[k'''ɔ'''t]
|-
|[ɔ] (alla fine della parola)
|è uguale
|cad'''ò''' → cad'''ò'''
|[ka'd'''ɔ''']
|-
|'''Oeu oeu'''
|[ø]<br />[ø]
|è uguale
|inc'''oeu''' → inc'''oeu'''
|[ĩ:k'''ø''']
|-
|'''Oo oo'''
|[u:]
|è uguale
|sar'''oo''' → sar'''oo'''
|
|-style="background-color:#FCBEB1;"
|'''Ô ô'''
|[u]
|'''ô → or / ol''' ''a seconda della pronuncia negli altri dialetti''
|resgi'''ô''' → resgior
|[re'ʒ'''u''']
|-
|'''P p'''
|[p]
|è uguale
|'''p'''aja → '''p'''aja
|[''''p'''aja]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''pp'''
|[p]
|'''p → pp'''
|tro'''pp''' → tro'''p'''
|[trɔ'''p''']
|-
|'''Qu qu'''
|[kw]
|è uguale
|'''qu'''èll →'''qu'''ell
|['''kw'''ɛl]
|-
|rowspan="2" |'''R r'''
|[r]
|è uguale
|'''r'''esta → '''r'''esta
|['''r'''es'ta]
|-style="background-color:#FCBEB1;"
|[r]
|r → l (all'ultima sillaba, quando in qualche dialetto, sopratutto orientale è "l")
|vo'''r'''è → vo'''l'''é
|[vu''''r'''ɛ]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
| rowspan="2" |'''rr'''
|[:r]
|è uguale
|gue'''rr'''a → gue'''rr'''a
|['gwɛ:'''r'''a]
|-
|[r]
|è uguale
|ca'''rr''' → ca'''rr'''
|[ka'''r''']
|-
| rowspan="2" |'''s'''
|[s] (eccetto che davanti a "ci" o "gi" ► guarda sotto)
|è uguale
|so'''l''' → so'''l'''
|[su:'''l''']
|-
|[z] in mezzo alla parola o alla fine della parola se non è doppia
(eccetto che davanti a "ci" o "gi" ► guarda sotto)
|è uguale
|auturi'''z'''à → autori'''z'''à
|[awturi''''z'''a];
|-
|'''ss'''
|[s]
|è uguale
|a'''ss'''ee → a'''ss'''ee
|[a''''s'''e:]
|-
|'''Sc sc'''
|[ʃ] davanti a "i" o "e" o alla fine della parola<br />[sk] negli altri casi
|è uguale
|ro'''sc''' → ro'''sc'''
|[rɔ'''ʃ''']
|-
|'''S'c s'c'''
|[stʃ]
|è uguale
|s'ci'''o'''pp → s'ci'''o'''p
|[stʃ'''ɔ'''p]
|-
|'''Sg sg'''
|[ʒ]
|è uguale
|resgi'''ô''' → resgi'''ó'''
|[re'ʒ'''u''']
|-
|'''s'g'''
|[sdʒ]
|è uguale
|'''s'g'''iafada → '''s'g'''iafada
|['''sdʒ'''a'fɒ:da]
|-
|'''T t'''
|[t]
|è uguale
|'''t'''erra → '''t'''erra
|[''''t'''ɛ:ra]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''tt'''
|[t]
|'''tt → t'''
|ga'''tt''' → ga'''t'''
|[ga'''t''']
|-
|'''U u'''
|[y]<br />[ỹ] davanti a m, n<br />[w] nei dittonghi
|è uguale
|c'''u'''na c'''u'''na <br />c'''u'''nt → c'''u'''nt
a'''u'''torizzazion → a'''u'''torizazzion
|['k'''y'''na]
[k'''ỹ''':t]
[awturi''''z'''a'sjũ:]
|-style="background-color:#ABCDEF;"
| rowspan="2" |'''uu'''
|[y:] (participio passato)
|'''uu → ud'''
|ved'''uu''' → ved'''ud'''
|[ve'd'''y:]'''
|-
|[y:]
|è uguale
|c'''uu''' → c'''uu'''
|[k'''y:''']
|-
|'''V v'''
|[v]<br />[f] alla fine delle parole<br />∅ tra "o" e "a" o tra "a" e "o" o tra "u" e "i"
|è uguale
|'''v'''in → '''v'''in <br />la'''v'''orà → la'''v'''orà
|['''v'''ĩ:]
[lau'ra]
|-
| rowspan="2" |'''w'''
|[w]
|è uguale
|'''w'''ikizzionari → '''w'''ikizzionari
|
|-
|[v]
|è uguale
|'''w'''ikizzionari → '''w'''ikizzionari
|
|-
|'''x'''
|[ks]
|è uguale
|boxoeur → boxoeur
|[bɔ'''k's'''ø:r]
|-
|'''y'''
|[i]<br />[j]
|è uguale
|
|
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|'''Z z'''
|[s]
|'''z → zz'''
|autorizza'''z'''ion → autoriza'''zz'''ion
|[awturi'za''''s'''jũ:]
|-
| rowspan="2" style="background-color:#FAEBD7;"|'''zz'''
|[s]
|è uguale
|vi'''zz'''i → vi'''zz'''i
|['vi'''s'''i]
|-style="background-color:#FAEBD7;"
|[z]
|'''zz → z'''
|autori'''zz'''az'''ion → autori'''z'''azz'''ion
|[awturi''''z'''a'sjũ:]
|}
<references/>
==2. Qualcos’altro da aggiungere==
►'''A.''' Aggiungi “e” alla fine dei plurali femminili dei nomi e degli aggettivi che al singolare finiscono con "a"
::Esempi:
:::In '''ortografia milanese''': Singolare: "cagna" → plural: "cagn"
:::In '''Nuova Ortografia Lombarda''': Singolare: "cagna" → plural: "cagn'''e'''" (vedi anche [[Lombardo/Sostantivi|Plurale regolare di sostantivi]])
►'''B.''' Aggiungi '''er''' ai verbi della terza coniugazzion a l'[[Lombardo/Modi e tempi verbali|infinito]]
::Esempio:
:::In '''ortografia milanese''': "mètt"
:::In '''Nuova Ortografia Lombarda''': "met'''er'''"
►'''C.''' Aggiungi "'''h'''" davanti a tutte le voci del verbo ‘’havé’’ (''avè'' in ortografia milanese - avere)
►'''D.''' Non mettere l'"'''h'''" davanti alle voci del verbo ‘’vesser‘’(''vèss'' in ortografia milanesa - essere)
►'''E.''' Inserisci "'''v'''" intravocalica tra "o" e "a" o fra "a" e "o" o fra "u" e "i", quando c’è in qualcuno degli altri dialetti lomabardi (la maggioranza delle volte è sufficiente vedere se la stessa parola contiene una v in italiano)
::Esempio:
:::in '''ortografia milanese''': Gioann
:::In '''Nuova Ortografia Lombarda''': Giovann (italian: Giovanni)
►'''F.''' Aggiungi "l" in fondo ai sostantivi al singolare che finiscono con "'''oeu'''"
::Esempio:
:::In '''ortografia milanese''': "fieou"
:::In '''Nuova Ortografia Lombarda''': "fioeu'''l'''"
►'''G.''' Aggiungi "i" in fondo ai sostantivi al plurale che finiscono con "'''oeu'''"
::Esempio:
:::In '''ortografia milanese''': "fieou"
:::In '''Nuova Ortografia Lombarda''': "fioeu'''i'''"
►'''H.''' lascia scritto l’accento nei verbi all’infinito in [[Lombardo/Diatesi verbali|forma riflessiva]]
::Esempio:
:::In '''ortografia milanese''': "vardà" → forma riflessiva "vardass"
:::In '''Nuova Ortografia Lombarda''': "vardà" → forma riflessiva "vardàss"
[[Categoria:Lombardo]]
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Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi/Consulenti della clientela per il traffico merci
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2022-07-29T09:25:02Z
Cinianto
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{{Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi}}
[[File:Pubblicazione Servizio Commerciale e Traffico Edz. 1970|Left|miniatura|Tecniche dei rapporti con la Clientela]][[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto|disc.]])
Nell'anno 1970, l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato istituì la nuova attività dei "Consulenti della clientela per il traffico merci".<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Tecnica dei Rapporti con la Clientela - Roma 1970</ref>
La storia dell'avvio e degli sviluppi di quella nuova istituzione contribuisce a far conoscere quale era l'organizzazione e la gestione del trasporto ferroviario delle merci in Italia e i successivi risultati che il sistema innovato ha potuto ottenere nel tempo.
== Formazione professionale ==
I consulenti della clientela per il traffico merci, già presenti in altre ferrovie europee, costituirono per l'organizzazione del servizio ferroviario merci in Italia un importante avvenimento tale da prefigurare, in prospettiva, una totale riorganizzazione in forma mercatistica e più moderna.
Vennero organizzati un primo corso di formazione a Roma della durata di due mesi (giugno-luglio 1970) e uno successivo l'anno dopo.<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di realizzazione - Roma 1971</ref> Vi parteciparono complessivamente 60 ferrovieri, di circa 30 anni, provenienti da tutta Italia, con sufficiente esperienza lavorativa, tecnica e commerciale, maturata nell'ambito delle stazioni più importanti.
Lo studio delle leggi del mercato, la ricerca e il contatto con il cliente (invece della sua attesa passiva), le attività di pubbliche relazioni per la fidelizzazione del cliente, il controllo operativo delle attività di consulenza, le strategie aziendali di vendita, la cura del cliente ante e post vendita: tutte queste nuove competenze ebbero grande impatto sui partecipanti al corso di formazione. In particolare, i partecipanti interiorizzarono l'idea che fosse necessario promuovere la trasformazione dell'utilizzatore del trasporto ferroviario delle merci da utente a cliente.<ref>Cfr. Bibliografia: Istituto per gli gli Studi Economici ed Organizzativi - Le Relazioni Pubbliche - Franco Angeli Editore - Milano 1968</ref>
== Sviluppo dell'attività ==
I consulenti giunsero nelle sedi operative loro assegnate, ma gli inizi furono difficili. Nonostante le iniziali ritrosie interne, l'iniziativa fu accolta favorevolmente dalla clientela e fu riconosciuto il valore operativo dei consulenti all'esterno e all'interno, con il coinvolgimento sempre maggiore degli altri organismi ferroviari specializzati nei differenti settori <ref>Cfr. Amministrazione Ferroviaria - Agosto 1974 - Costantino Bagnai: I Consulenti della Clientela. Chi sono? Cosa fanno?</ref> Crebbe così nei consulenti la conoscenza graduale delle differenti necessità connesse al trasporto, partecipando alla ricerca delle soluzioni delle varie problematiche.
In quegli stessi anni le Ferrovie dello Stato italiane potenziarono le loro rappresentanze commerciali nei principali Stati europei. Parigi, Monaco di Baviera, Vienna, Bruxelles, Berna e Mainz furono le sedi più attive nel seguire i trasporti alla loro partenza o al loro arrivo, in simbiosi con i consulenti in Italia. Anche le principali Ferrovie europee attivarono le loro rappresentanze commerciali all'estero. In Italia, a Milano, le Ferrovie francesi, tedesche, svizzere, austriache e jugoslave aprirono gli uffici commerciali merci. Il ruolo di una rappresentanza era quello di facilitare le relazioni commerciali tra le differenti reti e creare tariffe bi-multilaterali. I contatti con la direzione generale e con le direzioni periferiche furono le attività in avvio ma poi, via via, le visite alla clientela, congiuntamente ai consulenti, divennero prassi ordinaria.
La clientela conseguì una più ampia e proficua utilizzazione del mezzo ferroviario tramite la spiegazione del servizio e delle varie opportunità da esso offerte, e non sempre colte fino ad allora dagli utilizzatori. Si ottennero pure imprevisti risultati quando, in alcune sedi, i consulenti riuscirono a farsi inserire ufficialmente, in qualità di rappresentanti dell'azienda Ferrovie dello Stato, in organismi istituzionali privati operanti nel mercato dei trasporti delle merci. In altre sedi si ricorse alla presenza di consulenti in commissioni di esami per la selezione di nuovo personale ferroviario. Altri consulenti parteciparono a commissioni plurisettoriali preposte all'adattamento delle normative esistenti alle nuove realtà operative che si stavano via via utilizzando.
In quel periodo ogni azione di fidelizzazione contrattuale delle aziende apportatrici di traffico era riservata all'esclusiva competenza della dirigenza ferroviaria centrale che stipulava specifiche convenzioni differenziate per tariffe e per modalità di trasporto. L'attività dei consulenti sul territorio permise di "scovare" nuovi traffici che, opportunamente segnalati, portarono a un ampliamento della quantità e del contenuto delle convenzioni.
Tutto questo si tradusse in una significativa acquisizione di traffico merci e una riqualificazione dello stesso. Si iniziò a puntare allo sviluppo dei trasporti intermodali, quali quelli di container e quelli combinati strada-rotaia, concentrandoli in apposite piattaforme logistiche denominate "interporti". Allo stesso tempo si incentivarono anche gli ausili alla specializzazione dei trasporti sviluppando la possibilità di far entrare i binari all'interno degli opifici produttivi e commerciali o anche di trasferire i vagoni dalla stazione agli stabilimenti lontani caricandoli su appositi veicoli stradali. I traffici costituiti da grandi quantità di merci furono trasformati in treni mono-aziendali mentre quelli di merci particolari, per le quali necessitavano di vagoni appositamente dedicati, si fornirono alle aziende incentivazioni all'acquisto di carri di proprietà esclusiva.<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di Realizzazione - Sessione di aggiornamento - Roma 1974</ref>
[[File:Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato edz. 1978|left!miniatura|Manuale pratico consulenza all clentela]][[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto|disc.]])
L'attività di consulente fu incrementata nel tempo. Agli iniziali primi due corsi di formazione se ne aggiunsero altri: uno, organizzato nell'anno 1978,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Senigallia 1978</ref> per sopperire ad alcune carenze di organico che si erano manifestate in qualche sede, e altri due, negli anni 1983 e 1984,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Gaeta 1984</ref> sia per incrementare l'organico complessivo sia per immettere consulenti più giovani in quanto la dirigenza aziendale aveva già intravisto la trasformazione dell'attività di consulenza e marketing in attività di vendita. Ma pure perché, nel medesimo periodo alcuni consulenti erano stati incaricati di presiedere differenti ambiti operativi ampliando così lo spazio ove portare la nuova mentalità acquisita prima nei corsi di formazione e poi realizzata nella realtà del lavoro quotidiano.
Queste modificazioni si completarono negli anni 1985-1986<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Corso di Formazione per Capi Intermedi - Roma 1986-1987</ref> e possono ritenersi la conclusione dell'idea originaria dell'attività di consulenza.
== Conclusione ==
All'inizio dell'anno 1989 furono attivate le Filiali Merci.<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Seminario di Formazione per il Personale delle Filiali - Roma 1988</ref> Erano più di 40 nuove istituzioni, composte da 4-5 addetti ciascuna, collocate sull'intero territorio nazionale, preposte alla vendita del prodotto ferroviario merci.
Alcuni consulenti vennero scelti per dirigerle. Ai direttori e ai venditori coadiuvanti fu assegnata capacità contrattuale propria per concordare e formalizzare, con i singoli clienti, prezzi e modalità di trasporto personalizzati. In quel preciso momento le convenzioni contrattuali precedentemente ricordate, vennero sostituite dai nuovi accordi particolari formalizzati nelle sedi decentrate e non più dall'alta dirigenza ferroviaria centrale.
Si realizzò così, in aggiunta alla trasformazione dell'"utente" in "cliente", anche la sostituzione della "tariffa" con il "prezzo" vendendo a catalogo i prodotti ferroviari ed eguagliando l'attività delle imprese in competizione operanti nel mercato di libera concorrenza.
== Note ==
<references/>
[[Categoria:Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi|Consulenti della clientela per il traffico merci]]
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Cinianto
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{{Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi}}
[[File:Pubblicazione Servizio Commerciale e Traffico Edz. 1970|Left|miniatura|Tecniche dei rapporti con la Clientela]][[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto|disc.]])
Nell'anno 1970, l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato istituì la nuova attività dei "Consulenti della clientela per il traffico merci".<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Tecnica dei Rapporti con la Clientela - Roma 1970</ref>
La storia dell'avvio e degli sviluppi di quella nuova istituzione contribuisce a far conoscere quale era l'organizzazione e la gestione del trasporto ferroviario delle merci in Italia e i successivi risultati che il sistema innovato ha potuto ottenere nel tempo.
== Formazione professionale ==
[[File:Pubblicazione Servizio Commerciale e Traffico Edz. 1970|left|miniatura|Tecnica dei rapporti con la Clientela]][[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto|disc.]])
I consulenti della clientela per il traffico merci, già presenti in altre ferrovie europee, costituirono per l'organizzazione del servizio ferroviario merci in Italia un importante avvenimento tale da prefigurare, in prospettiva, una totale riorganizzazione in forma mercatistica e più moderna.
Vennero organizzati un primo corso di formazione a Roma della durata di due mesi (giugno-luglio 1970) e uno successivo l'anno dopo.<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di realizzazione - Roma 1971</ref> Vi parteciparono complessivamente 60 ferrovieri, di circa 30 anni, provenienti da tutta Italia, con sufficiente esperienza lavorativa, tecnica e commerciale, maturata nell'ambito delle stazioni più importanti.
Lo studio delle leggi del mercato, la ricerca e il contatto con il cliente (invece della sua attesa passiva), le attività di pubbliche relazioni per la fidelizzazione del cliente, il controllo operativo delle attività di consulenza, le strategie aziendali di vendita, la cura del cliente ante e post vendita: tutte queste nuove competenze ebbero grande impatto sui partecipanti al corso di formazione. In particolare, i partecipanti interiorizzarono l'idea che fosse necessario promuovere la trasformazione dell'utilizzatore del trasporto ferroviario delle merci da utente a cliente.<ref>Cfr. Bibliografia: Istituto per gli gli Studi Economici ed Organizzativi - Le Relazioni Pubbliche - Franco Angeli Editore - Milano 1968</ref>
== Sviluppo dell'attività ==
I consulenti giunsero nelle sedi operative loro assegnate, ma gli inizi furono difficili. Nonostante le iniziali ritrosie interne, l'iniziativa fu accolta favorevolmente dalla clientela e fu riconosciuto il valore operativo dei consulenti all'esterno e all'interno, con il coinvolgimento sempre maggiore degli altri organismi ferroviari specializzati nei differenti settori <ref>Cfr. Amministrazione Ferroviaria - Agosto 1974 - Costantino Bagnai: I Consulenti della Clientela. Chi sono? Cosa fanno?</ref> Crebbe così nei consulenti la conoscenza graduale delle differenti necessità connesse al trasporto, partecipando alla ricerca delle soluzioni delle varie problematiche.
In quegli stessi anni le Ferrovie dello Stato italiane potenziarono le loro rappresentanze commerciali nei principali Stati europei. Parigi, Monaco di Baviera, Vienna, Bruxelles, Berna e Mainz furono le sedi più attive nel seguire i trasporti alla loro partenza o al loro arrivo, in simbiosi con i consulenti in Italia. Anche le principali Ferrovie europee attivarono le loro rappresentanze commerciali all'estero. In Italia, a Milano, le Ferrovie francesi, tedesche, svizzere, austriache e jugoslave aprirono gli uffici commerciali merci. Il ruolo di una rappresentanza era quello di facilitare le relazioni commerciali tra le differenti reti e creare tariffe bi-multilaterali. I contatti con la direzione generale e con le direzioni periferiche furono le attività in avvio ma poi, via via, le visite alla clientela, congiuntamente ai consulenti, divennero prassi ordinaria.
La clientela conseguì una più ampia e proficua utilizzazione del mezzo ferroviario tramite la spiegazione del servizio e delle varie opportunità da esso offerte, e non sempre colte fino ad allora dagli utilizzatori. Si ottennero pure imprevisti risultati quando, in alcune sedi, i consulenti riuscirono a farsi inserire ufficialmente, in qualità di rappresentanti dell'azienda Ferrovie dello Stato, in organismi istituzionali privati operanti nel mercato dei trasporti delle merci. In altre sedi si ricorse alla presenza di consulenti in commissioni di esami per la selezione di nuovo personale ferroviario. Altri consulenti parteciparono a commissioni plurisettoriali preposte all'adattamento delle normative esistenti alle nuove realtà operative che si stavano via via utilizzando.
In quel periodo ogni azione di fidelizzazione contrattuale delle aziende apportatrici di traffico era riservata all'esclusiva competenza della dirigenza ferroviaria centrale che stipulava specifiche convenzioni differenziate per tariffe e per modalità di trasporto. L'attività dei consulenti sul territorio permise di "scovare" nuovi traffici che, opportunamente segnalati, portarono a un ampliamento della quantità e del contenuto delle convenzioni.
Tutto questo si tradusse in una significativa acquisizione di traffico merci e una riqualificazione dello stesso. Si iniziò a puntare allo sviluppo dei trasporti intermodali, quali quelli di container e quelli combinati strada-rotaia, concentrandoli in apposite piattaforme logistiche denominate "interporti". Allo stesso tempo si incentivarono anche gli ausili alla specializzazione dei trasporti sviluppando la possibilità di far entrare i binari all'interno degli opifici produttivi e commerciali o anche di trasferire i vagoni dalla stazione agli stabilimenti lontani caricandoli su appositi veicoli stradali. I traffici costituiti da grandi quantità di merci furono trasformati in treni mono-aziendali mentre quelli di merci particolari, per le quali necessitavano di vagoni appositamente dedicati, si fornirono alle aziende incentivazioni all'acquisto di carri di proprietà esclusiva.<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di Realizzazione - Sessione di aggiornamento - Roma 1974</ref>
[[File:Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato edz. 1978|left!miniatura|Manuale pratico consulenza all clentela]][[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto|disc.]])
L'attività di consulente fu incrementata nel tempo. Agli iniziali primi due corsi di formazione se ne aggiunsero altri: uno, organizzato nell'anno 1978,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Senigallia 1978</ref> per sopperire ad alcune carenze di organico che si erano manifestate in qualche sede, e altri due, negli anni 1983 e 1984,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Gaeta 1984</ref> sia per incrementare l'organico complessivo sia per immettere consulenti più giovani in quanto la dirigenza aziendale aveva già intravisto la trasformazione dell'attività di consulenza e marketing in attività di vendita. Ma pure perché, nel medesimo periodo alcuni consulenti erano stati incaricati di presiedere differenti ambiti operativi ampliando così lo spazio ove portare la nuova mentalità acquisita prima nei corsi di formazione e poi realizzata nella realtà del lavoro quotidiano.
Queste modificazioni si completarono negli anni 1985-1986<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Corso di Formazione per Capi Intermedi - Roma 1986-1987</ref> e possono ritenersi la conclusione dell'idea originaria dell'attività di consulenza.
== Conclusione ==
All'inizio dell'anno 1989 furono attivate le Filiali Merci.<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Seminario di Formazione per il Personale delle Filiali - Roma 1988</ref> Erano più di 40 nuove istituzioni, composte da 4-5 addetti ciascuna, collocate sull'intero territorio nazionale, preposte alla vendita del prodotto ferroviario merci.
Alcuni consulenti vennero scelti per dirigerle. Ai direttori e ai venditori coadiuvanti fu assegnata capacità contrattuale propria per concordare e formalizzare, con i singoli clienti, prezzi e modalità di trasporto personalizzati. In quel preciso momento le convenzioni contrattuali precedentemente ricordate, vennero sostituite dai nuovi accordi particolari formalizzati nelle sedi decentrate e non più dall'alta dirigenza ferroviaria centrale.
Si realizzò così, in aggiunta alla trasformazione dell'"utente" in "cliente", anche la sostituzione della "tariffa" con il "prezzo" vendendo a catalogo i prodotti ferroviari ed eguagliando l'attività delle imprese in competizione operanti nel mercato di libera concorrenza.
== Note ==
<references/>
[[Categoria:Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi|Consulenti della clientela per il traffico merci]]
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[[File:Servizio Commerciale e Traffico edz. 1970.jpg|left!miniatura|Tecnica dei rapporti con la Clientela]]
{{Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi}}
Nell'anno 1970, l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato istituì la nuova attività dei "Consulenti della clientela per il traffico merci".<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Tecnica dei Rapporti con la Clientela - Roma 1970</ref>
La storia dell'avvio e degli sviluppi di quella nuova istituzione contribuisce a far conoscere quale era l'organizzazione e la gestione del trasporto ferroviario delle merci in Italia e i successivi risultati che il sistema innovato ha potuto ottenere nel tempo.
== Formazione professionale ==
[[File:Pubblicazione Servizio Commerciale e Traffico Edz. 1970|left|miniatura|Tecnica dei rapporti con la Clientela]][[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto|disc.]])
I consulenti della clientela per il traffico merci, già presenti in altre ferrovie europee, costituirono per l'organizzazione del servizio ferroviario merci in Italia un importante avvenimento tale da prefigurare, in prospettiva, una totale riorganizzazione in forma mercatistica e più moderna.
Vennero organizzati un primo corso di formazione a Roma della durata di due mesi (giugno-luglio 1970) e uno successivo l'anno dopo.<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di realizzazione - Roma 1971</ref> Vi parteciparono complessivamente 60 ferrovieri, di circa 30 anni, provenienti da tutta Italia, con sufficiente esperienza lavorativa, tecnica e commerciale, maturata nell'ambito delle stazioni più importanti.
Lo studio delle leggi del mercato, la ricerca e il contatto con il cliente (invece della sua attesa passiva), le attività di pubbliche relazioni per la fidelizzazione del cliente, il controllo operativo delle attività di consulenza, le strategie aziendali di vendita, la cura del cliente ante e post vendita: tutte queste nuove competenze ebbero grande impatto sui partecipanti al corso di formazione. In particolare, i partecipanti interiorizzarono l'idea che fosse necessario promuovere la trasformazione dell'utilizzatore del trasporto ferroviario delle merci da utente a cliente.<ref>Cfr. Bibliografia: Istituto per gli gli Studi Economici ed Organizzativi - Le Relazioni Pubbliche - Franco Angeli Editore - Milano 1968</ref>
== Sviluppo dell'attività ==
I consulenti giunsero nelle sedi operative loro assegnate, ma gli inizi furono difficili. Nonostante le iniziali ritrosie interne, l'iniziativa fu accolta favorevolmente dalla clientela e fu riconosciuto il valore operativo dei consulenti all'esterno e all'interno, con il coinvolgimento sempre maggiore degli altri organismi ferroviari specializzati nei differenti settori <ref>Cfr. Amministrazione Ferroviaria - Agosto 1974 - Costantino Bagnai: I Consulenti della Clientela. Chi sono? Cosa fanno?</ref> Crebbe così nei consulenti la conoscenza graduale delle differenti necessità connesse al trasporto, partecipando alla ricerca delle soluzioni delle varie problematiche.
In quegli stessi anni le Ferrovie dello Stato italiane potenziarono le loro rappresentanze commerciali nei principali Stati europei. Parigi, Monaco di Baviera, Vienna, Bruxelles, Berna e Mainz furono le sedi più attive nel seguire i trasporti alla loro partenza o al loro arrivo, in simbiosi con i consulenti in Italia. Anche le principali Ferrovie europee attivarono le loro rappresentanze commerciali all'estero. In Italia, a Milano, le Ferrovie francesi, tedesche, svizzere, austriache e jugoslave aprirono gli uffici commerciali merci. Il ruolo di una rappresentanza era quello di facilitare le relazioni commerciali tra le differenti reti e creare tariffe bi-multilaterali. I contatti con la direzione generale e con le direzioni periferiche furono le attività in avvio ma poi, via via, le visite alla clientela, congiuntamente ai consulenti, divennero prassi ordinaria.
La clientela conseguì una più ampia e proficua utilizzazione del mezzo ferroviario tramite la spiegazione del servizio e delle varie opportunità da esso offerte, e non sempre colte fino ad allora dagli utilizzatori. Si ottennero pure imprevisti risultati quando, in alcune sedi, i consulenti riuscirono a farsi inserire ufficialmente, in qualità di rappresentanti dell'azienda Ferrovie dello Stato, in organismi istituzionali privati operanti nel mercato dei trasporti delle merci. In altre sedi si ricorse alla presenza di consulenti in commissioni di esami per la selezione di nuovo personale ferroviario. Altri consulenti parteciparono a commissioni plurisettoriali preposte all'adattamento delle normative esistenti alle nuove realtà operative che si stavano via via utilizzando.
In quel periodo ogni azione di fidelizzazione contrattuale delle aziende apportatrici di traffico era riservata all'esclusiva competenza della dirigenza ferroviaria centrale che stipulava specifiche convenzioni differenziate per tariffe e per modalità di trasporto. L'attività dei consulenti sul territorio permise di "scovare" nuovi traffici che, opportunamente segnalati, portarono a un ampliamento della quantità e del contenuto delle convenzioni.
Tutto questo si tradusse in una significativa acquisizione di traffico merci e una riqualificazione dello stesso. Si iniziò a puntare allo sviluppo dei trasporti intermodali, quali quelli di container e quelli combinati strada-rotaia, concentrandoli in apposite piattaforme logistiche denominate "interporti". Allo stesso tempo si incentivarono anche gli ausili alla specializzazione dei trasporti sviluppando la possibilità di far entrare i binari all'interno degli opifici produttivi e commerciali o anche di trasferire i vagoni dalla stazione agli stabilimenti lontani caricandoli su appositi veicoli stradali. I traffici costituiti da grandi quantità di merci furono trasformati in treni mono-aziendali mentre quelli di merci particolari, per le quali necessitavano di vagoni appositamente dedicati, si fornirono alle aziende incentivazioni all'acquisto di carri di proprietà esclusiva.<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di Realizzazione - Sessione di aggiornamento - Roma 1974</ref>
[[File:Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato edz. 1978|left!miniatura|Manuale pratico consulenza all clentela]][[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto|disc.]])
L'attività di consulente fu incrementata nel tempo. Agli iniziali primi due corsi di formazione se ne aggiunsero altri: uno, organizzato nell'anno 1978,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Senigallia 1978</ref> per sopperire ad alcune carenze di organico che si erano manifestate in qualche sede, e altri due, negli anni 1983 e 1984,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Gaeta 1984</ref> sia per incrementare l'organico complessivo sia per immettere consulenti più giovani in quanto la dirigenza aziendale aveva già intravisto la trasformazione dell'attività di consulenza e marketing in attività di vendita. Ma pure perché, nel medesimo periodo alcuni consulenti erano stati incaricati di presiedere differenti ambiti operativi ampliando così lo spazio ove portare la nuova mentalità acquisita prima nei corsi di formazione e poi realizzata nella realtà del lavoro quotidiano.
Queste modificazioni si completarono negli anni 1985-1986<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Corso di Formazione per Capi Intermedi - Roma 1986-1987</ref> e possono ritenersi la conclusione dell'idea originaria dell'attività di consulenza.
== Conclusione ==
All'inizio dell'anno 1989 furono attivate le Filiali Merci.<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Seminario di Formazione per il Personale delle Filiali - Roma 1988</ref> Erano più di 40 nuove istituzioni, composte da 4-5 addetti ciascuna, collocate sull'intero territorio nazionale, preposte alla vendita del prodotto ferroviario merci.
Alcuni consulenti vennero scelti per dirigerle. Ai direttori e ai venditori coadiuvanti fu assegnata capacità contrattuale propria per concordare e formalizzare, con i singoli clienti, prezzi e modalità di trasporto personalizzati. In quel preciso momento le convenzioni contrattuali precedentemente ricordate, vennero sostituite dai nuovi accordi particolari formalizzati nelle sedi decentrate e non più dall'alta dirigenza ferroviaria centrale.
Si realizzò così, in aggiunta alla trasformazione dell'"utente" in "cliente", anche la sostituzione della "tariffa" con il "prezzo" vendendo a catalogo i prodotti ferroviari ed eguagliando l'attività delle imprese in competizione operanti nel mercato di libera concorrenza.
== Note ==
<references/>
[[Categoria:Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi|Consulenti della clientela per il traffico merci]]
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{{Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi}}
[[File:Servizio Commerciale e Traffico edz. 1970.jpg|left|200px|thumb|''Tecnica dei rapporti con la Clientela'' (ediz. 1970)]]
Nell'anno 1970, l'Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato istituì la nuova attività dei "Consulenti della clientela per il traffico merci".<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Tecnica dei Rapporti con la Clientela - Roma 1970</ref>
La storia dell'avvio e degli sviluppi di quella nuova istituzione contribuisce a far conoscere quale era l'organizzazione e la gestione del trasporto ferroviario delle merci in Italia e i successivi risultati che il sistema innovato ha potuto ottenere nel tempo.
== Formazione professionale ==
I consulenti della clientela per il traffico merci, già presenti in altre ferrovie europee, costituirono per l'organizzazione del servizio ferroviario merci in Italia un importante avvenimento tale da prefigurare, in prospettiva, una totale riorganizzazione in forma mercatistica e più moderna.
Vennero organizzati un primo corso di formazione a Roma della durata di due mesi (giugno-luglio 1970) e uno successivo l'anno dopo.<ref>Cfr. Bibliografia: Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di realizzazione - Roma 1971</ref> Vi parteciparono complessivamente 60 ferrovieri, di circa 30 anni, provenienti da tutta Italia, con sufficiente esperienza lavorativa, tecnica e commerciale, maturata nell'ambito delle stazioni più importanti.
Lo studio delle leggi del mercato, la ricerca e il contatto con il cliente (invece della sua attesa passiva), le attività di pubbliche relazioni per la fidelizzazione del cliente, il controllo operativo delle attività di consulenza, le strategie aziendali di vendita, la cura del cliente ante e post vendita: tutte queste nuove competenze ebbero grande impatto sui partecipanti al corso di formazione. In particolare, i partecipanti interiorizzarono l'idea che fosse necessario promuovere la trasformazione dell'utilizzatore del trasporto ferroviario delle merci da utente a cliente.<ref>Cfr. Bibliografia: Istituto per gli gli Studi Economici ed Organizzativi - Le Relazioni Pubbliche - Franco Angeli Editore - Milano 1968</ref>
== Sviluppo dell'attività ==
I consulenti giunsero nelle sedi operative loro assegnate, ma gli inizi furono difficili. Nonostante le iniziali ritrosie interne, l'iniziativa fu accolta favorevolmente dalla clientela e fu riconosciuto il valore operativo dei consulenti all'esterno e all'interno, con il coinvolgimento sempre maggiore degli altri organismi ferroviari specializzati nei differenti settori <ref>Cfr. Amministrazione Ferroviaria - Agosto 1974 - Costantino Bagnai: I Consulenti della Clientela. Chi sono? Cosa fanno?</ref> Crebbe così nei consulenti la conoscenza graduale delle differenti necessità connesse al trasporto, partecipando alla ricerca delle soluzioni delle varie problematiche.
In quegli stessi anni le Ferrovie dello Stato italiane potenziarono le loro rappresentanze commerciali nei principali Stati europei. Parigi, Monaco di Baviera, Vienna, Bruxelles, Berna e Mainz furono le sedi più attive nel seguire i trasporti alla loro partenza o al loro arrivo, in simbiosi con i consulenti in Italia. Anche le principali Ferrovie europee attivarono le loro rappresentanze commerciali all'estero. In Italia, a Milano, le Ferrovie francesi, tedesche, svizzere, austriache e jugoslave aprirono gli uffici commerciali merci. Il ruolo di una rappresentanza era quello di facilitare le relazioni commerciali tra le differenti reti e creare tariffe bi-multilaterali. I contatti con la direzione generale e con le direzioni periferiche furono le attività in avvio ma poi, via via, le visite alla clientela, congiuntamente ai consulenti, divennero prassi ordinaria.
La clientela conseguì una più ampia e proficua utilizzazione del mezzo ferroviario tramite la spiegazione del servizio e delle varie opportunità da esso offerte, e non sempre colte fino ad allora dagli utilizzatori. Si ottennero pure imprevisti risultati quando, in alcune sedi, i consulenti riuscirono a farsi inserire ufficialmente, in qualità di rappresentanti dell'azienda Ferrovie dello Stato, in organismi istituzionali privati operanti nel mercato dei trasporti delle merci. In altre sedi si ricorse alla presenza di consulenti in commissioni di esami per la selezione di nuovo personale ferroviario. Altri consulenti parteciparono a commissioni plurisettoriali preposte all'adattamento delle normative esistenti alle nuove realtà operative che si stavano via via utilizzando.
In quel periodo ogni azione di fidelizzazione contrattuale delle aziende apportatrici di traffico era riservata all'esclusiva competenza della dirigenza ferroviaria centrale che stipulava specifiche convenzioni differenziate per tariffe e per modalità di trasporto. L'attività dei consulenti sul territorio permise di "scovare" nuovi traffici che, opportunamente segnalati, portarono a un ampliamento della quantità e del contenuto delle convenzioni.
Tutto questo si tradusse in una significativa acquisizione di traffico merci e una riqualificazione dello stesso. Si iniziò a puntare allo sviluppo dei trasporti intermodali, quali quelli di container e quelli combinati strada-rotaia, concentrandoli in apposite piattaforme logistiche denominate "interporti". Allo stesso tempo si incentivarono anche gli ausili alla specializzazione dei trasporti sviluppando la possibilità di far entrare i binari all'interno degli opifici produttivi e commerciali o anche di trasferire i vagoni dalla stazione agli stabilimenti lontani caricandoli su appositi veicoli stradali. I traffici costituiti da grandi quantità di merci furono trasformati in treni mono-aziendali mentre quelli di merci particolari, per le quali necessitavano di vagoni appositamente dedicati, si fornirono alle aziende incentivazioni all'acquisto di carri di proprietà esclusiva.<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - La Consulenza alla Clientela: Psicologia e Tecniche di Realizzazione - Sessione di aggiornamento - Roma 1974</ref>
L'attività di consulente fu incrementata nel tempo. Agli iniziali primi due corsi di formazione se ne aggiunsero altri: uno, organizzato nell'anno 1978,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Senigallia 1978</ref> per sopperire ad alcune carenze di organico che si erano manifestate in qualche sede, e altri due, negli anni 1983 e 1984,<ref>Cfr. Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato - Manuale Pratico di Consulenza alla Clientela - Gaeta 1984</ref> sia per incrementare l'organico complessivo sia per immettere consulenti più giovani in quanto la dirigenza aziendale aveva già intravisto la trasformazione dell'attività di consulenza e marketing in attività di vendita. Ma pure perché, nel medesimo periodo alcuni consulenti erano stati incaricati di presiedere differenti ambiti operativi ampliando così lo spazio ove portare la nuova mentalità acquisita prima nei corsi di formazione e poi realizzata nella realtà del lavoro quotidiano.
Queste modificazioni si completarono negli anni 1985-1986<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Corso di Formazione per Capi Intermedi - Roma 1986-1987</ref> e possono ritenersi la conclusione dell'idea originaria dell'attività di consulenza.
== Conclusione ==
All'inizio dell'anno 1989 furono attivate le Filiali Merci.<ref>Cfr. Ente Ferrovie dello Stato - Seminario di Formazione per il Personale delle Filiali - Roma 1988</ref> Erano più di 40 nuove istituzioni, composte da 4-5 addetti ciascuna, collocate sull'intero territorio nazionale, preposte alla vendita del prodotto ferroviario merci.
Alcuni consulenti vennero scelti per dirigerle. Ai direttori e ai venditori coadiuvanti fu assegnata capacità contrattuale propria per concordare e formalizzare, con i singoli clienti, prezzi e modalità di trasporto personalizzati. In quel preciso momento le convenzioni contrattuali precedentemente ricordate, vennero sostituite dai nuovi accordi particolari formalizzati nelle sedi decentrate e non più dall'alta dirigenza ferroviaria centrale.
Si realizzò così, in aggiunta alla trasformazione dell'"utente" in "cliente", anche la sostituzione della "tariffa" con il "prezzo" vendendo a catalogo i prodotti ferroviari ed eguagliando l'attività delle imprese in competizione operanti nel mercato di libera concorrenza.
== Note ==
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[[Categoria:Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci dal 1970 a oggi|Consulenti della clientela per il traffico merci]]
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== Test ==
{{test|Le Ferrovie dello Stato italiane e il trasporto delle merci/Consulenti della clientela per il traffico merci}}
Esattamente cosa volevi fare, aggiungere un nuovo capitolo? Se serve, chiedi pure! — [[Utente:Hippias|<span style="font-family:Georgia, serif">Hippias</span>]] <sup>([[Discussioni utente:Hippias|msg]])</sup> 17:05, 3 gen 2022 (CET)
:Sig. Hippias buongiorno. Ho seguito le istruzioni di chi ha iniziato a scrivere il libro con tale contenuto non in stile perché sarebbe stato modificato. saluti e salute Cinianto [[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto#top|disc.]]) 08:17, 4 gen 2022 (CET)
::Buongiorno, ho spostato il nuovo testo in un nuovo capitolo. D'ora in poi, per aggiungere altro materiale a quel testo, puoi continuare su questa pagina: https://it.wikibooks.org/wiki/Le_Ferrovie_dello_Stato_italiane_e_il_trasporto_delle_merci/Controllo_centralizzato_rotabili — [[Utente:Hippias|<span style="font-family:Georgia, serif">Hippias</span>]] <sup>([[Discussioni utente:Hippias|msg]])</sup> 14:59, 4 gen 2022 (CET)
== r: Progetti scolastici ==
Buongiorno. Per quanto riguarda l'iniziativa DAD di cui mi parlavi, ti consiglio di provare su [[v:|Wikiversità]], un altro progetto wiki. Mentre Wikibooks è una biblioteca e raccoglie semplicemente manuali, Wikiversità è una comunità di apprendimento e probabilmente troverai qualcuno interessato all'iniziativa. Scrivi pure nella pagina che trovi a questo indirizzo: https://it.wikiversity.org/wiki/Wikiversit%C3%A0:Bar — [[Utente:Hippias|<span style="font-family:Georgia, serif">Hippias</span>]] <sup>([[Discussioni utente:Hippias|msg]])</sup> 14:49, 9 gen 2022 (CET)
Hippias grazie. Per me resta un dedalo grazie per ilfilo di Arianna, ma il dedalo mi rimandi. Saluti e salute Cinianto [[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto#top|disc.]]) 16:28, 11 gen 2022 (CET)
== Libro Ferrovie ==
A proposito del tuo secondo messaggio, devo dire che alcuni punti non mi sono chiari. Ma in ogni caso, tieni presente che non è possibile pubblicare su Wikibooks contenuti già pubblicati altrove, perché potrebbero insorgere problemi di diritto d'autore (non solo la pagina verrebbe cancellata, potresti incorrere in grane anche tu personalmente). Inoltre, quando si scrive su Wikibooks si deve tenere ''sempre'' un punto di vista neutrale, evitando le polemiche e le opinioni personali: chi leggerà, trarrà da sé le sue opinioni. Detto ciò, chiunque può contribuire a Wikibooks, purché rispetti le regole del progetto, quindi anche i tuoi ex colleghi possono intervenire. Per maggiori informazioni vedi anche: [[Wikibooks:Cosa mettere su Wikibooks]] e [[Wikibooks:Cosa non mettere su Wikibooks]]. --[[Utente:Hippias|<span style="font-family:Georgia, serif">Hippias</span>]] <sup>([[Discussioni utente:Hippias|msg]])</sup> 15:01, 9 gen 2022 (CET)
:Un titolo corretto per il capitolo su CCR potrebbe essere: ''Controllo Centralizzato Rotabili <u>negli</u> anni 70 e 80''? Nel caso, ci penso io a spostare la pagina. — [[Utente:Hippias|<span style="font-family:Georgia, serif">Hippias</span>]] <sup>([[Discussioni utente:Hippias|msg]])</sup> 17:05, 9 gen 2022 (CET)
:Sig. Hippias grazie.Cinianto [[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto#top|disc.]]) 20:35, 9 gen 2022 (CET)
:Sig. Hippias nello scritto del CCR mi sono tenuto neutrale tanto è vero ho lasciato dei punti interrogativi per non esprimere mie opinioni. Così come noi consulenti portavano all'interno del Commerciale la innovazione, così come lo portava il CCR dell'ing. Ciancio con la sua organizzazione nell'interno del Movimento. Ricordo che gli addetti al CCR nel Compartimento di Firenze trovarono loro la collocazione al di fuori del piano tutto riservato all'ufficio Movimento compartimentale. Questi impiegati erano indicato come quelli della Nasa. Anche noi consulenti nel compartimento di Firenze non fummo accolti in maniera amichevole stante che cercavamo di applicare quella empatia raccomandata al corso. La mia opinione era e rimane una lotta per esercitare il potere. Tutta la pletora di impiegati sia nel commerciale sia nel movimento temevano di perdere il loro posto perché in sostanza sarebbe venuto meno il loro incarico da passa carte disposizioni ricevute dei servizi che a loro volta erano comunicati agli impianti proprio con i "fogli disposizione". Così penso che il servizio movimento aveva la gestione del personale "Piante Organiche" Ora ritornando alla scritto ove fu tolto il personale alla notte nelle stazioni e la scorta ai treni avvenne per ottenere una percentuale di segnalare al Servizio Movimento. I cui dirigenti dei Servizi una volta attivato il CCR non avrebbero più ragione di prendere queste ed altre disposizioni perché sarebbero scaturite dai report del CCR medesimo. In sostanza avvenne una lotta di potere. questa era e rimane la mia opinione. Saluti e salute. Cinianto [[Utente:Cinianto|Cinianto]] ([[Discussioni utente:Cinianto#top|disc.]]) 21:33, 9 gen 2022 (CET)
== Formattazione ==
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Nahmanide teologo/Capitolo 7
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2022-07-28T16:19:31Z
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Портрет раввина.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di Franz Obermüller (c.1900)]]
== I Comandamenti ==
'''[7.1]''' Il nostro rapporto con Dio è fondato sulla fede. La fede (''emunah'') non è solo uno stato di coscienza; implica la pratica. Tutti i comandamenti della Torah sono atti di fede. La loro corretta esecuzione deve riconoscere Dio per Quello che è e accettarLo per Colui che è, il Dio che si è rivelato a Israele nei miracoli pubblici (''nissim mefursamim''). Poiché ciò che sappiamo di Dio viene dalla storia, il ''locus'' della fede è la memoria (Note sul ''Sefer ha-Mitsvot'' di Maimonide, pos. n. 1, p. 261). La fede si compie quando la memoria degli atti potenti di Dio è espressa nei comandamenti che commemorano quegli atti così come li ha sperimentati Israele:
{{citazione|Ci ha comandato di avere fede nelDio unico, che Egli sia esaltato: che esiste, che è Colui che comprende e può tutto. La nostra fede dovrebbe essere unita nell'intendere (''ye-she-niyyahed'') questi attributi, poiché ogni onore è Suo. Così ci ha comandato di onorare la menzione del suo Nome, di fare un segno e un ricordo perpetuo (''siman ve-zikaron tamid'') per farci sapere che Dio ha creato ogni cosa.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:8}} - I, 398}}
'''[7.2]''' L'accettazione dei comandamenti dipende dall'accoglienza della realtà di Dio e della Sua particolare provvidenza :
{{citazione|Dobbiamo credere che Dio conosce le persone individuali (''’ishim'') in tutte le loro particolarità, sia le persone celesti (''ha-‘elyonim'') che quelle terrene (''ve-ha-tahtonim''), le loro azioni e pensieri, passati, presenti e futuri. Perché egli è il loro creatore, il dispensatore dell'esistenza che ora hanno, il loro creatore dal nulla assoluto (''me-’afeisah muhletet'')... Da questo si passa alla fede nella provvidenza di Dio (''ha-hashgahah'')... donde noi possiamo affermare (''titkayyem'') la vera autorità della Torah e dei comandamenti. Poiché, fin quando crediamo che Dio ci conosce e si prende cura di noi, la nostra fede si estende alla profezia, e crediamo che Dio, sia Egli saltato, conosce e ama, comanda e ammonisce, cioè ci comanda di fare ciò che è buono e giusto e ci rimprovera di ciò che è male. Ci protegge e conserva per noi tutte le buone conseguenze menzionate nella Torah, e porterà sui trasgressori la punizione che ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
Per Nahmanide, "l'affermazione" (''qiyyum'') dell'autorità della Torah e dei comandamenti è un atto di fede, prima dell'adempimento di uno qualsiasi dei singoli comandamenti (CT: {{passo biblico2|Dt|27:26}} - II, 472; ''supra'', 2.24 ). È il lato cognitivo di ''kavvanah''. Emotivamente, bisogna dirigere il cuore a Dio. Dal punto di vista cognitivo, si deve conoscere quanto più umanamente possibile sul Dio a cui il proprio cuore è così diretto (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:2}} - I, 354-55 rif. ''Mekhilta'': Be-shalah, cur. Horovitz-Rabin, 128). Sia il lato cognitivo che quello emotivo della fede sono richiesti nella corretta osservanza dei comandamenti.
'''[7.3]''' Poiché tutti i comandamenti hanno ragioni, ciascuno con una funzione unica nell'economia divina del cosmo, si è obbligati a discernere la ragione di ogni comandamento e farne l'intenzione (''kavvanah'') della propria osservanza. Anche negli ambiti della vita che sono lasciati alla discrezione privata (''reshut''), si deve trovare la giusta intenzione verso il divino:
{{citazione|In effetti, si può essere miserabili (''naval'') mentre ci si conforma al comportamento consentito dalla Torah (''bi-reshut ha-Torah''). Così, specificati gli atti che proibisce assolutamente, la Scrittura ha comandato in termini più generali che si tenga le distanze anche da ciò che è permesso.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:1}} - II, 15}}
Nahmanides intende che si dovrebbe evitare l'eccesso e la volgarità anche nel mangiare, nel bere e nell'espressione sessuale consentiti. Perché il piacere fisico non è il ''summum bonum''. Nahmanide è favorevole all'opinione talmudica che il [[w:Nazireato|nazireo]] sia un santo, in contrasto con la visione talmudica alternativa secondo cui un tale asceta è un peccatore per aver negato a se stesso i piaceri che la Torah normalmente consente (B. Ta‘anit 10a e paralleli; per la critica dell'ascetismo, cfr. Y. Berakhot 2.9/5d; Y. Nedarim 9.1/41b; B. Baba Batra 60b; e soprattutto Maimonide, ''Shemonah Peraqim'', cap. 4, cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1965), 254 [cfr. ''Moreh'', 3.48]). Per Maimonide, la santità è in definitiva una collaborazione attiva con Dio, che cresce dal riconoscimento del governo creativo di Dio nel mondo (''Moreh'', 3.54, fine). Ciò che è richiesto per questo, come per tutta la pietà, non è l'ascesi, ma il ragionevole contenimento dell'eccesso (''Hilkhot De‘ot'', 1,4-6). Per Nahmanide, tuttavia, un ulteriore autocontrollo, per amore di Dio, può essere esso stesso un atto santo. L'ascetismo ha caratterizzato gran parte del misticismo ebraico, siano essi Cabala spagnola o Hasidut tedesco (cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 229ss.). La tendenza risale ai tempi del misticismo [[w:Gaon|Geonim]] e [[w:Heikhalot|Hekhalot]] (cfr. Scholem, ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 49-50). Anche se tale ascetismo molto precede Nahmanide, la sua approvazione gli ha conferito l'ulteriore autorità della sua statura di halakhista.
'''[7.4]''' Nahmanide considera il ritorno del nazireo nel mondo ordinario come una peccaminosa discesa da un piano spirituale superiore:
{{citazione|Il motivo dell'offerta per il peccato (''hat’at'') che il nazireo offre il giorno del compimento del suo voto nazireico non è stato spiegato. Secondo il significato semplice... è giusto che sia nazireo e sia santificato a Dio... Anzi, ha bisogno dell'espiazione per tornare nell'impurità dei piaceri del mondo.|CT: {{passo biblico2|Numeri|6:11}} - II, 215}}
'''[7.5]''' Nahmanide non può dire che ogni comandamento deve essere eseguito con la giusta intenzione per essere legalmente valido, ma indica che la piena realizzazione dei comandamenti richiede la giusta intenzione:
{{citazione|È noto che chi esegue un comandamento ma non lo comprende non lo ha adempiuto completamente (''bi-shlemut'')... Perché sei obbligato a ricordare il grande miracolo compiuto per te.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}}
Agire senza consapevolezza dell'intento dell'atto significa non soddisfare il requisito stesso del comandamento in questione. Per Nahmanide, l'intenzione qui non significa contemplazione astratta della divinità, ma concentrazione sul miracolo specifico che l'atto commemora.
'''[7.6]''' Il livello di intenzione (''kavvanah'') che si deve avere per adempiere un comandamento è oggetto di un lungo e inconcludente dibattito nel Talmud (B. Rosh Hashanah 28a ''et seq.''). Per Nahmanide l'intenzione è fondamentale nel permetterci di riconoscere la volontà di Dio come fonte di un comandamento e la sapienza di Dio nella specificazione del suo scopo. Attraverso l'intenzione, per così dire, si segue il proposito di Dio. Ammettendo che ci sono molte opinioni sull'argomento ''kavvanah'', Nahmanide fonda un argomento massimalista su un brano della Mishnah: "Se uno leggesse la Torah [Dt. 6:4-9, contenuto testuale dello Shema] e giungesse l'ora della recita liturgica dello [[w:Shemà|Shema]], se il cuore ha inteso questo comandamento specifico, lo ha adempiuto; se no, non l'ha adempiuto" [M. Berakhot 2.1].
{{citazione|Riguardo alla questione dell'intenzione nel suonare lo [[w:shofar|shofar]]: se lo si suona solo per fare un suono musicale, la questione è dibattuta nel Talmud e tra i Geonim... Rabbenu Hai scrisse che anche se è legge che se si esegue un comandamento senza l'intenzione lo ha comunque adempiuto, tuttavia, quando si eseguono i comandamenti, si abbia regolarmente intenzione di farlo. In tutta umiltà, abbiamo una prova per il punto di vista dell'autore di ''Halakhot Gedolot'' [che accetta la visione massimalista alla fine del suo trattamento delle leggi di [[w:Rosh haShana|Rosh haShanah]]] dalla legge all'inizio del secondo capitolo della Mishnah, Berakhot [riguardo allo ''Shema''].|KR: ''Sermone per Rosh HaShanah'' - I, 241}}
Nahmanide confessa di non poter presumere di aver risolto il dibattito pratico tra i Geonim, ma teologicamente ha certamente risolto la questione. Coloro che sono stati influenzati dalla tradizione cabalistica, di cui Nahmanide era una fonte così importante, sottolineavano la necessità della ''kavvanah'', non solo su basi teologiche generali, ma anche su basi halakhiche specifiche, ove possibile (cfr. sopecialm., Joseph Karo, ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4; anche, R. J. Z. Werblowsky, ''Joseph Karo: Lawyer and Mystic'' [Philadelphia: JPS, 1977], 162-63).
'''[7.7]''' Nel significato che assegna a ''kavvanah'', Nahmanide non è d'accordo con Maimonide sul versetto, "servirlo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}). Maimonide interpreta il commento rabbinico su questo versetto, "questa è preghiera... il servizio del cuore" (''Sifre'': Devarim, n. 41, ed. Finkelstein, 87-88; B. Ta‘anit 2a) come se vi trovasse un mandato letterale per la preghiera (''Sefer ha-Mitzvot'', pos. n. 5), sebbene il contenuto effettivo del culto formale sia formulato dai Rabbini (''Hilkhot Tefillah'', 1.1). Nahmanide vede il versetto come riferito a tutti i comandamenti della Torah. Per lui l'allusione alla preghiera è un'inferenza omiletica (''’asmakhta''):
{{citazione|Il significato essenziale del versetto "servendolo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}) è che è comandamento positivo che tutte le nostre opere siano per Dio, sia Egli esaltato, siano fatte con tutto il nostro cuore. Ciò significa con intenzione corretta e piena, per l'amor di Dio e senza alcun pensiero malvagio. Non dobbiamo eseguire i comandamenti senza intenzione o dubitare che abbiano qualche beneficio (''to‘elet'').|''Note a Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', pos. n. 5, p. 156}}
'''[7.8]''' L'intenzione è così centrale che l'adempimento di un comandamento per la ragione sbagliata può essere un peccato. Quindi la schiavitù egizia degli israeliti faceva parte del piano divino, ma comunque peccaminosa:
{{citazione|Così, quando Dio decretò la servitù di Israele in Egitto, essi andarono e li resero schiavi con la forza... Quando il decreto esce per mezzo di un profeta... c'è merito nell'eseguirlo... ma se uno udisse il comandamento [di uccidere] e allora uccidesse per odio o per saccheggio, sarebbe punito, poiché il suo intento è peccaminoso. Poiché gli [[w:Antico Egitto|egizi]] sapevano che era un comandamento del Signore [che Israele fosse reso schiavo da loro].|CT: {{passo biblico2|Genesi|15:14}} - I, 94}}
'''[7.9]''' Poiché il fondamento della Torah, che è la sovranità di Dio sull'universo, è noto attraverso l'esperienza storica, l'affermazione di tale esperienza ha la priorità anche sullo studio dei precetti della Torah. L'esperienza storica ''par excellence'' è la teofania al Sinai. Così i Rabbini chiariscono il versetto: "Soltanto, bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull'anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli" ({{passo biblico2|Dt|4:9}}) intendendo il dovere di educare la propria progenie ai precetti della Torah (B. Kiddushin 30a). Ma Nahmanide tratta questa glossa come omiletica (''asmakhta''). Trova il comandamento letterale a un livello molto più profondo:
{{citazione|Il secondo comandamento è che non dimentichiamo la teofania al Monte Sinai... perché è un principio fondamentale (''yesod gadol'') della Torah... Non commettere l'errore di interpretare questo versetto come una semplice omelia sull'insegnamento della Torah ai propri pronipoti. Perché la fede nella stessa Torah (''emunat ha-Torah'') è ciò che qui si intende per studio della Torah... Questo è ciò che deve essere trasmesso di generazione in generazione.|''Note su Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'': Addenda, neg. n. 2, p. 396}}
L'esistenza, la potenza e la volontà di Dio furono rivelate a Israele sul Sinai: "Essi sono coloro che conoscono e sono i testimoni (''‘edim'') di tutte queste cose" (CT: {{passo biblico2|Esodo|20:2}} - I, 388). La testimonianza di Israele è storica. Un testimone è colui che fu presente a un evento e lo segnala alla comunità. Gli eventi richiedono testimoni perché sono singolari. Coloro che non sono effettivamente presenti devono imparare dai resoconti di coloro di cui possono fidarsi. Con i processi ordinari della natura, non sono richiesti testimoni speciali. Perché questi sono accessibili a tutti. Nessuno ha bisogno di impararli da una storia raccontata da qualcun altro. La dimostrazione scientifica presuppone che ciò che riporta sia, almeno in linea di principio, accessibile a qualsiasi osservatore. Poiché i principi che mostra sono sempre presenti, anche se non lo sono i fenomeni che li manifestano.
La differenza tra testimonianza storica e dimostrazione scientifica è esemplificata nella discussione rabbinica sull'istituzione della determinazione dell'ora esatta del [[:en:w:New moon#Hebrew calendar|Novilunio]], punto di riferimento chiave nella regolazione del [[w:calendario ebraico|calendario ebraico]]. (Per il contesto storico, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' [New York, 1949] XIII). Per i Rabbini, l'obbligo di testimoni oculari per l'apparizione della Luna Nuova (M. Rosh Hashanah 1.6 ''et seq.'') non è un ''sine qua non'' per scopi calendariali (B. Betsah 4b). I testimoni sono preferiti quando il Sinedrio è effettivamente in funzione nella Terra d'Israele. Ma altrimenti i calcoli fatti dai Rabbini in epoca talmudica fissano il calendario ebraico (cfr. ''Note su Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', pos. n. 153, p. 214 e testo di Maimonide alle pp. 211-12): la questione è essenzialmente di dimostrazione scientifica (Maimonide, ''Hilkhot Qiddush ha-Hodesh'', 1.6; 5.2-3; 11.1-4; 17.24), non di esperienza singolare. Nel contesto storico i testimoni ''affermano'' ciò che deve essere conosciuto dagli altri; nel contesto scientifico i testimoni si limitano a ''confermare'' ciò che gli altri in linea di principio possono conoscere da soli.
Trattando il ruolo della testimonianza nella rivelazione, Nahmanide segue Judah Ha-Levi, per il quale l'ebraismo si basa in definitiva sulla teofania del Sinai e sulla testimonianza dell'intero popolo d'Israele, che l'ha vissuta (''Kuzari'', 1.48). La presenza di Dio si manifesta in eventi storici unici. Per Maimonide, invece, il contenuto stesso della teofania del Sinai è credibile perché i primi due comandamenti del decalogo sono verità razionalmente evidenti che fondano tutti gli altri comandamenti: quelli positivi sulla base di "Io sono il Signore Dio tuo"; il negativo, sulla base di "non ci saranno altri dèi" (''Moreh Nevukhim'', 2.33; ''Sefer ha-Mitsvot'', pos. n. 1, neg. n. 1; ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 1.6; cfr. la fonte talmudica di questa opinione, B. Makkot 24a, dove il fondamento di questi due comandamenti nella rivelazione è l'enfasi principale). Per Maimonide è la certezza razionale che esenta l'esperienza del Sinai dall'accusa che potrebbe essere stata un'illusione di massa (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 8.1-3). La realtà di Dio è conosciuta attraverso l'apprensione della natura da parte della ragione. Quindi la testimonianza storica ha il ruolo secondario che i testimoni svolgono nell'accertamento del [[w:Novilunio|Novilunio]]. Inoltre, sostiene Maimonide, la testimonianza non è di per sé dimostrabile razionalmente. È solo più o meno credibile. Così Maimonide designa l'intera istituzione giuridica della testimonianza (''‘edut'') come quella che ci è comandato di accettare, nonostante l'indimostrabilità di ciò che è testimoniato e la costante possibilità di inganno o illusione (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7,7; ''Hilkhot ‘Edut'', 18.3; ''Hilkhot Sanhedrin'', 18.6). Per Ha-Levi e Nahmanide l'evento della rivelazione è il fondamento del suo contenuto. Per Maimonide, l'evento della rivelazione è l'occasione in cui ciò che è sempre stato vero in linea di principio (''ratio per se'') viene da noi scoperto (''ratio quoad nos'').
'''[7.10]''' Per Nahmanide, l'esperienza umana del mondo si articola su tre livelli fondamentali: 1) esperienza ordinaria dell'ordine naturale familiare; 2) miracoli pubblici, dove la potenza di Dio sconvolge l'ordinario stato della natura, in modo da far balzare coloro che vivono questi grandi eventi ad una maggiore consapevolezza dell'opera di Dio nel mondo; e 3) miracoli segreti, che manifestano la costante provvidenza di Dio. L'azione umana, come strutturata dalla Torah nei suoi comandamenti, è correlata a questi tre livelli di esperienza; sono correlati, in quanto un comandamento può avere diverse ragioni.
{{citazione|Ciascuno dei comandamenti del Signore ha molte ragioni. Per ognuno ha molti benefici (''to‘elet''), sia per il corpo che per l'anima.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}} - I, 411}}
'''[7.11]''' Sebbene Nahmanide accetti molteplici ragioni per ogni comandamento, rifiuta le ragioni che considera pretestuose:
{{citazione|La motivazione di Maimonide per i sacrifici [''Moreh'', 3.46]... è vana speculazione (''divrei hav’ai'')... Meglio ascoltare la ragione di chi dice che è perché le azioni di un essere umano sono costituite da pensiero, parola e azione, così Dio ha comandato che quando qualcuno pecca, deve portare un sacrificio e premervi sopra le mani, per dar significato all'atto (''ke-neged ha-ma‘aseh''), confessare con la sua bocca, per significare la parola, e bruciare le viscere e i reni, che sono gli organi del pensiero e del desiderio... Queste parole sono facilmente accessibili e attirano il cuore come le parole dell'Aggadah [cfr. B. Shabbat 87a; B. Baba Batra 10a rif. {{passo biblico2|Proverbi|3:35}}]. Ma in termini di verità superiore (''‘al derekh ha’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') nei sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
Il punto di vista di Maimonide che Nahmanide critica qui è che i sacrifici erano storicamente necessari, come forma di culto a cui il popolo d'Israele era abituato. Erano un compromesso con la realtà culturale, ma accuratamente epurati da ogni associazione idolatrica. Nahmanide obietta che il culto sacrificale è troppo centrale nell'ebraismo perché una logica così storicamente contingente sia vera. Sarebbe preferibile una seconda linea di interpretazione (l'autore della quale non nomina, sebbene assomigli a un approccio suggerito nel ''Commentario alla Torah'' di Ibn Ezra: Lev. 1:4 dopo Vayiqra Rabbah 7.3): che i sacrifici simboleggiano la vera contrizione e uno spirito di sacrificio di sé nel presentarsi davanti a Dio. Lo stesso punto è poi sottolineato dallo ''[[Zohar]]'' (Vayiqra, 3:9b e dal ''Commentario alla Torah'' di Bahya ben Asher su questo stesso versetto). Ma Nahmanide trova il significato più profondo dei sacrifici in una realtà divina. In sostanza, sostiene, soddisfano i bisogni divini. Questo è il punto di vista della Cabala, e l'approccio di Nahmanide qui influenzò profondamente i cabalisti successivi (cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.194ss.)
'''[7.12]''' Nonostante il rifiuto da parte di Nahmanide della logica generale di Maimonide per il sistema sacrificale, egli concorda sul fatto che Maimonide avesse ragione nell'interpretare alcuni divieti del culto come anti-idolatrici nell'intento:
{{citazione|È plausibile (''yitakhen'') interpretare i divieti di lievito e miele sull'altare come fa Maimonide nel ''Moreh Nevukhim'' [3.46], quando afferma di aver trovato nei libri degli antichi idolatri che era loro abitudine, praticando l'adorazione pagana, offrire le loro offerte di cibo in forma lievitata e mescolare il miele in tutti i loro sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|2:2}} - II, 17-18}}
'''[7.13]''' Una teologia che trova ragioni per i comandamenti di Dio non può vederli come semplici decreti positivi. Piuttosto, devono essere visti come garantiti o dai benefici che apportano nel migliorare le relazioni umane, o dal bene che apportano alla relazione tra Dio e uomo. Quest'ultimo rapporto, costituito dalla rivelazione, è immutabile. Ma in fondo tutti i comandamenti costituiscono il rapporto tra Dio e uomo. Quindi tutti sono immutabili (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:26}} - I, 361). Non possono essere abrogati dalla mera autorità umana. Perché la determinazione divina di ciò che è bene per l'uomo ha sempre la precedenza sulle nozioni umane. Le proiezioni umane di ciò che è bene per gli esseri umani sono ancora essenzialmente umane, quindi sono soggette all'abrogazione umana. Nahmanide sottolinea la distinzione in un'analisi halakhica dei giuramenti:
{{citazione|Alcuni dicono che [il giuramento di accettare la Torah al Monte Sinai] sia stato fatto con il consenso divino (''‘al da‘at ha-Maqom'')... e che il consenso di Mosè non fosse necessario, se non in quanto si fece portavoce della corte [umana] al loro Padre celeste... C'è un interprete che dice che il testo talmudico corretto recita "per consenso divino e quello del suo entourage angelico (''u-famaliah shelo'')", ma ciò è errato... Un interprete dice che la regola che i giuramenti comunitari a Dio possono essere revocati non si applica a nessun comandamento di Dio, perché ciò che è giurato secondo la volontà di Dio (''‘al da‘ato'') non può essere annullato (''hafarah''), dato che i Suoi comandamenti sono per sempre. Perché "Dio non è un uomo, da poter mentire" ({{passo biblico2|Numeri|23:19}}). Ma ciò che la comunità fa voti in materie ritenute facoltative (''bi-dvar reshut''), dove hanno collegato il loro consenso con quello di Dio, può essere abrogato e possono accettare di consentirne la violazione... e Dio concorda con la loro decisione. A me sembra che la giusta formula legale per tali giuramenti debba essere: "Per consenso divino e quello della congregazione (''kenesset'') d'Israele con Lui"... Cioè, il consenso di molti. Tuttavia, ciò che la comunità giura invocando il consenso divino, quello lo possono abrogare (''yesh hetter''). Perché non si sono proibiti di cambiarla, in quanto loro stessi l'hanno iniziata.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Shevu‘ot 29b, pp. 112-13}}
{{citazione|Quando si dice nel Talmud [B. Shevu‘ot 29b] che "col consenso di Dio" significa ciò che non può essere abrogato, colui che ha affermato ciò presumeva che ciò si applicasse solo al giuramento implicato nell'accettazione della Torah. Poiché Dio non accetterebbe di annullare (''le-vattel'') nemmeno una lettera della Torah. Ma in una questione essenzialmente facoltativa, Dio riconoscerebbe la necessità di proibire qualcosa ora e poi permetterlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 287}}
Pertanto, sebbene Nahmanide veda la legislazione rabbinica come un'espressione della legge divina (''Note sul Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', shoresh 1), vede una differenza tra la legge scritturale e quella rabbinica, in quanto la legge rabbinica può essere abrogata.
'''[7.14]''' Per Nahmanide, quindi, Dio decreta nella Torah ciò che vede è necessario agli esseri umani. Ma permette alle autorità umane di emanare i propri, mutevoli decreti in quelle aree non determinate dai mandati della Torah. Dio non solo permette, ma ordina specificamente questa attività, impartendo così autorità divina alle leggi umane:
{{citazione|Inoltre, "per consenso divino" è annesso anche ai comandamenti rabbinici. Perché se si dovesse dire che il consenso divino è menzionato solo nel giuramento che Mosè fece fare a Israele... ma non è annesso ai nostri giuramenti e condanne (''ve-haramim''), allora perché i nostri antenati menzionarono il consenso divino in relazione a [ loro] proibizioni — a meno che Dio non fosse d'accordo? Egli, esaltato sia il Suo Nome, concorre a che facciamo ciò che è buono e giusto ai Suoi occhi e agli occhi degli esseri umani.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 299}}
'''[7.15]''' I comandamenti specifici non presuppongono miracoli né segreti né pubblici. La maggior parte presume l'ordine ordinario della natura. Si può vedere che un certo numero di comandamenti serve ai bisogni umani ordinari. Nahmanide, che è spesso considerato un anti-razionalista, trova la legge naturale nella stessa Torah. È abbastanza aperto su questo in un certo numero di punti, specialmente nel suo ''Commentario alla Torah''. Riguardo alla punizione della generazione del Diluvio, scrive:
{{citazione|Infatti contro di loro non fu decretata punizione se non per la violenza (''hamas''). Per questo [l'inaccettabilità dell'illegalità] è una questione razionale (''‘inyan muskal'') che non dipende dalla rivelazione (Torah).|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}} - I, 48}}
'''[7.16]''' Seguendo una tendenza evidente nella teoria della legge naturale sin dai tempi dei filosofi stoici e dei giuristi romani, Nahmanide considera il divieto della violenza anarchica riconosciuto dal pubblico consenso e ben noto alla ragione:
{{citazione|La violenza è rapina e oppressione... un peccato che è noto e pubblicamente riconosciuto (''mefursam'')... perché è un comandamento razionale (''mitsvah muskelet''), la cui proibizione non ha bisogno di un comandamento profetico.|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - I, 52}}
'''[7.17]''' Per quanto riguarda le regole razionali, Nahmanide trova a volte un precedente negli standard morali degli antichi (CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119). Egli vede persino contenuti razionali in ''mitsvot'' non solitamente ritenute comandamenti razionali:
{{citazione|Infatti gli antichi saggi, prima del dono della Torah, sapevano che c'è una grande utilità (''to‘elet'') nel [[w:levirato |matrimonio levirato]].|CT: {{passo biblico2|Genesi|29:27}} - I, 215}}
'''[7.18]''' La legge naturale universalmente accettata è il requisito minimo per gli ebrei, notevolmente integrato dalla legge rivelata della Torah:
{{citazione|Così trovi che i patriarchi e i profeti si comportarono in modo morale universalmente accettato (''derekh erets'')... se i patriarchi e i profeti che vennero a fare la volontà di Dio si comportarono in modo morale universalmente accettato, quanto più dovrebbero le persone ordinarie.|CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} - I, 334}}
'''[7.19]''' La rivelazione ebraica condivide molti punti generali con la legge naturale e con la legge noachica. Il suo vantaggio sta nelle sue particolarità rivelate. Proprio come la superiorità degli esseri umani sugli animali è evidenziata dalla speciale provvidenza di cui godono, così le particolarità della legge rivelata mostrano la superiorità di Israele sulle altre nazioni:
{{citazione|Da ciò si vede [la presentazione delle leggi noachiche in B. Sanhedrin 56b] che ai noachidi furono dati i loro comandamenti in generale (''bi-khelalut'') non in termini specifici... Quindi il popolo aveva solo comandamenti generali fino a quando non giunse al Monte Sinai, dove i comandamenti furono esplicitati per loro nelle particolarità... Ora tutte queste questioni [leggi civili e penali] sono raggruppate in una categoria generale, ''mishpat''.|''Note al Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', shoresh 14, p. 143}}
Il teologo ebreo spagnolo del XV secolo, [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], fece più o meno lo stesso punto sulla superiorità della legge divina sulla legge naturale e sulla legge umana positiva (''Sefer ha-‘Iqqarim'', 1.8; cfr. [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]], ''[[w:Summa Theologiae|Summa Theologiae]]'', 2-1, q. 99, a. 2). Ma non menziona Nahmanide come fonte del suo punto di vista. Nel mantenere la suprema superiorità di un ricco sistema di precetti specifici su un corpo di generalità morali, Nahmanide fu sicuramente influenzato dall'apertura di ''Kuzari'' (1, intro.) di Judah Ha-Levi, dove al re dei Khazari dalla mentalità filosofica vien detto in un sogno che Dio approva le sue intenzioni generali ma non le sue azioni specifiche. È questa critica che lancia la ricerca che infine porta il re all'ebraismo.
'''[7.20]''' Anche se la giustizia naturale sembra essere una realtà essenzialmente umana, gli esseri umani sono capaci di giustizia solo in virtù di un ''telos'' unico, che è l'essere vicini a Dio. Quindi, ci distinguiamo dagli animali sia teologicamente che moralmente. Delucidando l'osservazione di Elihu nel [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]] secondo cui Dio " ci rende più istruiti delle bestie selvatiche e ci rende più saggi degli uccelli del cielo" ({{passo biblico2|Giobbe|35:11}}), Nahmanide spiega:
{{citazione|Elihu dice che Dio ci ha insegnato a conoscerLo e a diventare saggi riguardo alle Sue azioni in modi che gli animali non lo sono. Per questo non ha voluto che ci danneggiassimo a vicenda, istinto che ha posto negli animali, in modo che si sbranino a vicenda... Elihu disse questo per spiegare il motivo della provvidenza individuale: perché riconosciamo il nostro Creatore e acquisiamo saggezza riguardo alle Sue azioni, siamo soggetti ai Suoi comandamenti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 35:11 - I, 106-07}}
L'argomentazione presuppone che anche prima della consegna della Torah vi fosse un naturale riconoscimento umano di giustizia elementare, basato sul riconoscimento dell'ordine della creazione, che era riconosciuto come opera di Dio.
'''[7.21]''' Nahmanide sottolinea che i comandamenti dati poco prima della rivelazione della Torah al Sinai non sono la Torah in senso stretto, ma una sorta di preparazione morale. Non sono nemmeno distintamente ebraici:
{{citazione|Questi erano ammonimenti morali, affinché non diventassero come i campi dei predoni che commettono spudoratamente ogni tipo di atrocità... Questi non sono gli statuti e le ordinanze della Torah. Sono regolamenti civili (''hanhagot ve-yishuv ha-medinot'') simili ai termini stabiliti da Giosuè, come ricordavano i saggi.|CT: {{passo biblico2|Esodo|15:25}} - I, 359}}
Sebbene i termini stabiliti da Giosuè fossero chiaramente stipulati in relazione all'ingresso degli israeliti nella Terra d'Israele (B. Baba Kama 80b-81a), Maimonide dice che si applicano ovunque (''Hilkhot Nizqei Mamon'', 5.5). In tal caso, il loro appello deve essere rivolto al ragionamento universale. Qui Nahmanide segue il punto di vista di [[Maimonide]].
'''[7.22]'' Ancora, come Maimonide, sottolinea che il diritto civile e penale servono a mantenere una società armoniosa:
{{citazione|In un senso letterale, "i miei giudizi" (''mishpatai'') significa proprio diritto civile e penale (''ha-dinin'')... Pertanto, dice, "che un uomo compie e quindi vive". Poiché queste leggi furono date per la vita dell'uomo, per favorire la sua vita civile e per amore della pace.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:4}} - II, 99-100}}
'''[7.23]''' Nahmanide ritorna a questo punto distinguendo queste leggi, le cui ragioni sono evidenti a tutti, dagli statuti (''huqqim'') le cui ragioni sono evidenti solo attraverso la conoscenza esoterica:
{{citazione|Perché gli satuti (''huqqim'') sono comandamenti le cui ragioni non sono state rivelate alle masse, gli sciocchi li disprezzano... ma le ordinanze (''mishpatim'') sono qualcosa che tutti vogliono e necessitano, perché le persone non hanno civiltà o società senza lo stato di diritto (''mishpat'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}} - II, 187}}
'''[7.24]''' I Sette Comandamenti Noachici appartengono alla legge naturale; sono razionalmente evidenti:
{{citazione|Queste questioni [immoralità sessuale e rapina] e il resto dei Sette Comandamenti furono comandati dal tempo del primo essere umano. I rabbini li derivarono da accenni nel versetto ({{passo biblico2|Genesi|2:16}}) "E il Signore Dio comandò agli umani [''ha-’adam''] dicendo [di ogni albero del giardino puoi mangiare, ma dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male non devi mangiare]". Ma Dio non elaborò loro tali questioni, perché le elaborazioni ci furono date al Sinai. A prima vista, questi comandamenti sono razionali (''sikhliyot''). E ogni creatura che riconosce il suo Creatore dovrebbe considerarsi vincolata da loro (''lee-zaher'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 173}}
La distinzione dei "comandamenti razionali" (''sikhliyot'') da quelli conosciuti solo dalla rivelazione (''shim‘iyot'') è operata da Saadyah Gaon (''ED'', 3.3; vedere J. Faur, ''‘Iyyunim be-Mishneh Torah le-ha-Rambam'' [Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1978], 115ss.). Ma per Saadyah i comandamenti razionali riguardano sia i rapporti umani che il nostro rapporto con Dio (''ED'', 3.1). Ogni area dell'esistenza umana ammette una comprensione razionale. Non vi è alcuna differenza oggettiva tra ciò che viene dalla ragione e ciò che viene dalla rivelazione (''ED'', Introduzione, 6). La differenza tra ragione e rivelazione sta nel modo in cui essenzialmente si raggiunge la stessa verità. Con la ragione, il conoscitore umano è lo scopritore attivo della verità; con la rivelazione, il conoscitore umano è più passivo, un destinatario della verità. Ma per Nahmanide i comandamenti razionali riguardano solo le relazioni umane, e anche lì solo in parte. Per quanto riguarda la nostra relazione con Dio, la rivelazione non solo svela ciò che è già presente, ma stabilisce la relazione. Come la creazione, istituisce una nuova realtà piuttosto che descriverne una vecchia. Così Nahmanide trae l'etimologia della parola "alleanza" (''berit'') da "creazione" (''beriyyato shel ‘olam'') [CT:intro. - I, 4 secondo Shir ha-Shirim Rabbah 1.29 rif. {{passo biblico2|Dt|4:13}}].
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 7]]
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Портрет раввина.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di Franz Obermüller (c.1900)]]
== I Comandamenti ==
'''[7.1]''' Il nostro rapporto con Dio è fondato sulla fede. La fede (''emunah'') non è solo uno stato di coscienza; implica la pratica. Tutti i comandamenti della Torah sono atti di fede. La loro corretta esecuzione deve riconoscere Dio per Quello che è e accettarLo per Colui che è, il Dio che si è rivelato a Israele nei miracoli pubblici (''nissim mefursamim''). Poiché ciò che sappiamo di Dio viene dalla storia, il ''locus'' della fede è la memoria (Note sul ''Sefer ha-Mitsvot'' di Maimonide, pos. n. 1, p. 261). La fede si compie quando la memoria degli atti potenti di Dio è espressa nei comandamenti che commemorano quegli atti così come li ha sperimentati Israele:
{{citazione|Ci ha comandato di avere fede nelDio unico, che Egli sia esaltato: che esiste, che è Colui che comprende e può tutto. La nostra fede dovrebbe essere unita nell'intendere (''ye-she-niyyahed'') questi attributi, poiché ogni onore è Suo. Così ci ha comandato di onorare la menzione del suo Nome, di fare un segno e un ricordo perpetuo (''siman ve-zikaron tamid'') per farci sapere che Dio ha creato ogni cosa.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:8}} - I, 398}}
'''[7.2]''' L'accettazione dei comandamenti dipende dall'accoglienza della realtà di Dio e della Sua particolare provvidenza :
{{citazione|Dobbiamo credere che Dio conosce le persone individuali (''’ishim'') in tutte le loro particolarità, sia le persone celesti (''ha-‘elyonim'') che quelle terrene (''ve-ha-tahtonim''), le loro azioni e pensieri, passati, presenti e futuri. Perché egli è il loro creatore, il dispensatore dell'esistenza che ora hanno, il loro creatore dal nulla assoluto (''me-’afeisah muhletet'')... Da questo si passa alla fede nella provvidenza di Dio (''ha-hashgahah'')... donde noi possiamo affermare (''titkayyem'') la vera autorità della Torah e dei comandamenti. Poiché, fin quando crediamo che Dio ci conosce e si prende cura di noi, la nostra fede si estende alla profezia, e crediamo che Dio, sia Egli saltato, conosce e ama, comanda e ammonisce, cioè ci comanda di fare ciò che è buono e giusto e ci rimprovera di ciò che è male. Ci protegge e conserva per noi tutte le buone conseguenze menzionate nella Torah, e porterà sui trasgressori la punizione che ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
Per Nahmanide, "l'affermazione" (''qiyyum'') dell'autorità della Torah e dei comandamenti è un atto di fede, prima dell'adempimento di uno qualsiasi dei singoli comandamenti (CT: {{passo biblico2|Dt|27:26}} - II, 472; ''supra'', 2.24 ). È il lato cognitivo di ''kavvanah''. Emotivamente, bisogna dirigere il cuore a Dio. Dal punto di vista cognitivo, si deve conoscere quanto più umanamente possibile sul Dio a cui il proprio cuore è così diretto (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:2}} - I, 354-55 rif. ''Mekhilta'': Be-shalah, cur. Horovitz-Rabin, 128). Sia il lato cognitivo che quello emotivo della fede sono richiesti nella corretta osservanza dei comandamenti.
'''[7.3]''' Poiché tutti i comandamenti hanno ragioni, ciascuno con una funzione unica nell'economia divina del cosmo, si è obbligati a discernere la ragione di ogni comandamento e farne l'intenzione (''kavvanah'') della propria osservanza. Anche negli ambiti della vita che sono lasciati alla discrezione privata (''reshut''), si deve trovare la giusta intenzione verso il divino:
{{citazione|In effetti, si può essere miserabili (''naval'') mentre ci si conforma al comportamento consentito dalla Torah (''bi-reshut ha-Torah''). Così, specificati gli atti che proibisce assolutamente, la Scrittura ha comandato in termini più generali che si tenga le distanze anche da ciò che è permesso.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:1}} - II, 15}}
Nahmanides intende che si dovrebbe evitare l'eccesso e la volgarità anche nel mangiare, nel bere e nell'espressione sessuale consentiti. Perché il piacere fisico non è il ''summum bonum''. Nahmanide è favorevole all'opinione talmudica che il [[w:Nazireato|nazireo]] sia un santo, in contrasto con la visione talmudica alternativa secondo cui un tale asceta è un peccatore per aver negato a se stesso i piaceri che la Torah normalmente consente (B. Ta‘anit 10a e paralleli; per la critica dell'ascetismo, cfr. Y. Berakhot 2.9/5d; Y. Nedarim 9.1/41b; B. Baba Batra 60b; e soprattutto Maimonide, ''Shemonah Peraqim'', cap. 4, cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1965), 254 [cfr. ''Moreh'', 3.48]). Per Maimonide, la santità è in definitiva una collaborazione attiva con Dio, che cresce dal riconoscimento del governo creativo di Dio nel mondo (''Moreh'', 3.54, fine). Ciò che è richiesto per questo, come per tutta la pietà, non è l'ascesi, ma il ragionevole contenimento dell'eccesso (''Hilkhot De‘ot'', 1,4-6). Per Nahmanide, tuttavia, un ulteriore autocontrollo, per amore di Dio, può essere esso stesso un atto santo. L'ascetismo ha caratterizzato gran parte del misticismo ebraico, siano essi Cabala spagnola o Hasidut tedesco (cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 229ss.). La tendenza risale ai tempi del misticismo [[w:Gaon|Geonim]] e [[w:Heikhalot|Hekhalot]] (cfr. Scholem, ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 49-50). Anche se tale ascetismo molto precede Nahmanide, la sua approvazione gli ha conferito l'ulteriore autorità della sua statura di halakhista.
'''[7.4]''' Nahmanide considera il ritorno del nazireo nel mondo ordinario come una peccaminosa discesa da un piano spirituale superiore:
{{citazione|Il motivo dell'offerta per il peccato (''hat’at'') che il nazireo offre il giorno del compimento del suo voto nazireico non è stato spiegato. Secondo il significato semplice... è giusto che sia nazireo e sia santificato a Dio... Anzi, ha bisogno dell'espiazione per tornare nell'impurità dei piaceri del mondo.|CT: {{passo biblico2|Numeri|6:11}} - II, 215}}
'''[7.5]''' Nahmanide non può dire che ogni comandamento deve essere eseguito con la giusta intenzione per essere legalmente valido, ma indica che la piena realizzazione dei comandamenti richiede la giusta intenzione:
{{citazione|È noto che chi esegue un comandamento ma non lo comprende non lo ha adempiuto completamente (''bi-shlemut'')... Perché sei obbligato a ricordare il grande miracolo compiuto per te.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}}
Agire senza consapevolezza dell'intento dell'atto significa non soddisfare il requisito stesso del comandamento in questione. Per Nahmanide, l'intenzione qui non significa contemplazione astratta della divinità, ma concentrazione sul miracolo specifico che l'atto commemora.
'''[7.6]''' Il livello di intenzione (''kavvanah'') che si deve avere per adempiere un comandamento è oggetto di un lungo e inconcludente dibattito nel Talmud (B. Rosh Hashanah 28a ''et seq.''). Per Nahmanide l'intenzione è fondamentale nel permetterci di riconoscere la volontà di Dio come fonte di un comandamento e la sapienza di Dio nella specificazione del suo scopo. Attraverso l'intenzione, per così dire, si segue il proposito di Dio. Ammettendo che ci sono molte opinioni sull'argomento ''kavvanah'', Nahmanide fonda un argomento massimalista su un brano della Mishnah: "Se uno leggesse la Torah [Dt. 6:4-9, contenuto testuale dello Shema] e giungesse l'ora della recita liturgica dello [[w:Shemà|Shema]], se il cuore ha inteso questo comandamento specifico, lo ha adempiuto; se no, non l'ha adempiuto" [M. Berakhot 2.1].
{{citazione|Riguardo alla questione dell'intenzione nel suonare lo [[w:shofar|shofar]]: se lo si suona solo per fare un suono musicale, la questione è dibattuta nel Talmud e tra i Geonim... Rabbenu Hai scrisse che anche se è legge che se si esegue un comandamento senza l'intenzione lo ha comunque adempiuto, tuttavia, quando si eseguono i comandamenti, si abbia regolarmente intenzione di farlo. In tutta umiltà, abbiamo una prova per il punto di vista dell'autore di ''Halakhot Gedolot'' [che accetta la visione massimalista alla fine del suo trattamento delle leggi di [[w:Rosh haShana|Rosh haShanah]]] dalla legge all'inizio del secondo capitolo della Mishnah, Berakhot [riguardo allo ''Shema''].|KR: ''Sermone per Rosh HaShanah'' - I, 241}}
Nahmanide confessa di non poter presumere di aver risolto il dibattito pratico tra i Geonim, ma teologicamente ha certamente risolto la questione. Coloro che sono stati influenzati dalla tradizione cabalistica, di cui Nahmanide era una fonte così importante, sottolineavano la necessità della ''kavvanah'', non solo su basi teologiche generali, ma anche su basi halakhiche specifiche, ove possibile (cfr. sopecialm., Joseph Karo, ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4; anche, R. J. Z. Werblowsky, ''Joseph Karo: Lawyer and Mystic'' [Philadelphia: JPS, 1977], 162-63).
'''[7.7]''' Nel significato che assegna a ''kavvanah'', Nahmanide non è d'accordo con Maimonide sul versetto, "servirlo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}). Maimonide interpreta il commento rabbinico su questo versetto, "questa è preghiera... il servizio del cuore" (''Sifre'': Devarim, n. 41, ed. Finkelstein, 87-88; B. Ta‘anit 2a) come se vi trovasse un mandato letterale per la preghiera (''Sefer ha-Mitzvot'', pos. n. 5), sebbene il contenuto effettivo del culto formale sia formulato dai Rabbini (''Hilkhot Tefillah'', 1.1). Nahmanide vede il versetto come riferito a tutti i comandamenti della Torah. Per lui l'allusione alla preghiera è un'inferenza omiletica (''’asmakhta''):
{{citazione|Il significato essenziale del versetto "servendolo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}) è che è comandamento positivo che tutte le nostre opere siano per Dio, sia Egli esaltato, siano fatte con tutto il nostro cuore. Ciò significa con intenzione corretta e piena, per l'amor di Dio e senza alcun pensiero malvagio. Non dobbiamo eseguire i comandamenti senza intenzione o dubitare che abbiano qualche beneficio (''to‘elet'').|''Note a Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', pos. n. 5, p. 156}}
'''[7.8]''' L'intenzione è così centrale che l'adempimento di un comandamento per la ragione sbagliata può essere un peccato. Quindi la schiavitù egizia degli israeliti faceva parte del piano divino, ma comunque peccaminosa:
{{citazione|Così, quando Dio decretò la servitù di Israele in Egitto, essi andarono e li resero schiavi con la forza... Quando il decreto esce per mezzo di un profeta... c'è merito nell'eseguirlo... ma se uno udisse il comandamento [di uccidere] e allora uccidesse per odio o per saccheggio, sarebbe punito, poiché il suo intento è peccaminoso. Poiché gli [[w:Antico Egitto|egizi]] sapevano che era un comandamento del Signore [che Israele fosse reso schiavo da loro].|CT: {{passo biblico2|Genesi|15:14}} - I, 94}}
'''[7.9]''' Poiché il fondamento della Torah, che è la sovranità di Dio sull'universo, è noto attraverso l'esperienza storica, l'affermazione di tale esperienza ha la priorità anche sullo studio dei precetti della Torah. L'esperienza storica ''par excellence'' è la teofania al Sinai. Così i Rabbini chiariscono il versetto: "Soltanto, bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull'anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli" ({{passo biblico2|Dt|4:9}}) intendendo il dovere di educare la propria progenie ai precetti della Torah (B. Kiddushin 30a). Ma Nahmanide tratta questa glossa come omiletica (''asmakhta''). Trova il comandamento letterale a un livello molto più profondo:
{{citazione|Il secondo comandamento è che non dimentichiamo la teofania al Monte Sinai... perché è un principio fondamentale (''yesod gadol'') della Torah... Non commettere l'errore di interpretare questo versetto come una semplice omelia sull'insegnamento della Torah ai propri pronipoti. Perché la fede nella stessa Torah (''emunat ha-Torah'') è ciò che qui si intende per studio della Torah... Questo è ciò che deve essere trasmesso di generazione in generazione.|''Note su Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'': Addenda, neg. n. 2, p. 396}}
L'esistenza, la potenza e la volontà di Dio furono rivelate a Israele sul Sinai: "Essi sono coloro che conoscono e sono i testimoni (''‘edim'') di tutte queste cose" (CT: {{passo biblico2|Esodo|20:2}} - I, 388). La testimonianza di Israele è storica. Un testimone è colui che fu presente a un evento e lo segnala alla comunità. Gli eventi richiedono testimoni perché sono singolari. Coloro che non sono effettivamente presenti devono imparare dai resoconti di coloro di cui possono fidarsi. Con i processi ordinari della natura, non sono richiesti testimoni speciali. Perché questi sono accessibili a tutti. Nessuno ha bisogno di impararli da una storia raccontata da qualcun altro. La dimostrazione scientifica presuppone che ciò che riporta sia, almeno in linea di principio, accessibile a qualsiasi osservatore. Poiché i principi che mostra sono sempre presenti, anche se non lo sono i fenomeni che li manifestano.
La differenza tra testimonianza storica e dimostrazione scientifica è esemplificata nella discussione rabbinica sull'istituzione della determinazione dell'ora esatta del [[:en:w:New moon#Hebrew calendar|Novilunio]], punto di riferimento chiave nella regolazione del [[w:calendario ebraico|calendario ebraico]]. (Per il contesto storico, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' [New York, 1949] XIII). Per i Rabbini, l'obbligo di testimoni oculari per l'apparizione della Luna Nuova (M. Rosh Hashanah 1.6 ''et seq.'') non è un ''sine qua non'' per scopi calendariali (B. Betsah 4b). I testimoni sono preferiti quando il Sinedrio è effettivamente in funzione nella Terra d'Israele. Ma altrimenti i calcoli fatti dai Rabbini in epoca talmudica fissano il calendario ebraico (cfr. ''Note su Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', pos. n. 153, p. 214 e testo di Maimonide alle pp. 211-12): la questione è essenzialmente di dimostrazione scientifica (Maimonide, ''Hilkhot Qiddush ha-Hodesh'', 1.6; 5.2-3; 11.1-4; 17.24), non di esperienza singolare. Nel contesto storico i testimoni ''affermano'' ciò che deve essere conosciuto dagli altri; nel contesto scientifico i testimoni si limitano a ''confermare'' ciò che gli altri in linea di principio possono conoscere da soli.
Trattando il ruolo della testimonianza nella rivelazione, Nahmanide segue Judah Ha-Levi, per il quale l'ebraismo si basa in definitiva sulla teofania del Sinai e sulla testimonianza dell'intero popolo d'Israele, che l'ha vissuta (''Kuzari'', 1.48). La presenza di Dio si manifesta in eventi storici unici. Per Maimonide, invece, il contenuto stesso della teofania del Sinai è credibile perché i primi due comandamenti del decalogo sono verità razionalmente evidenti che fondano tutti gli altri comandamenti: quelli positivi sulla base di "Io sono il Signore Dio tuo"; il negativo, sulla base di "non ci saranno altri dèi" (''Moreh Nevukhim'', 2.33; ''Sefer ha-Mitsvot'', pos. n. 1, neg. n. 1; ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 1.6; cfr. la fonte talmudica di questa opinione, B. Makkot 24a, dove il fondamento di questi due comandamenti nella rivelazione è l'enfasi principale). Per Maimonide è la certezza razionale che esenta l'esperienza del Sinai dall'accusa che potrebbe essere stata un'illusione di massa (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 8.1-3). La realtà di Dio è conosciuta attraverso l'apprensione della natura da parte della ragione. Quindi la testimonianza storica ha il ruolo secondario che i testimoni svolgono nell'accertamento del [[w:Novilunio|Novilunio]]. Inoltre, sostiene Maimonide, la testimonianza non è di per sé dimostrabile razionalmente. È solo più o meno credibile. Così Maimonide designa l'intera istituzione giuridica della testimonianza (''‘edut'') come quella che ci è comandato di accettare, nonostante l'indimostrabilità di ciò che è testimoniato e la costante possibilità di inganno o illusione (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7,7; ''Hilkhot ‘Edut'', 18.3; ''Hilkhot Sanhedrin'', 18.6). Per Ha-Levi e Nahmanide l'evento della rivelazione è il fondamento del suo contenuto. Per Maimonide, l'evento della rivelazione è l'occasione in cui ciò che è sempre stato vero in linea di principio (''ratio per se'') viene da noi scoperto (''ratio quoad nos'').
'''[7.10]''' Per Nahmanide, l'esperienza umana del mondo si articola su tre livelli fondamentali: 1) esperienza ordinaria dell'ordine naturale familiare; 2) miracoli pubblici, dove la potenza di Dio sconvolge l'ordinario stato della natura, in modo da far balzare coloro che vivono questi grandi eventi ad una maggiore consapevolezza dell'opera di Dio nel mondo; e 3) miracoli segreti, che manifestano la costante provvidenza di Dio. L'azione umana, come strutturata dalla Torah nei suoi comandamenti, è correlata a questi tre livelli di esperienza; sono correlati, in quanto un comandamento può avere diverse ragioni.
{{citazione|Ciascuno dei comandamenti del Signore ha molte ragioni. Per ognuno ha molti benefici (''to‘elet''), sia per il corpo che per l'anima.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}} - I, 411}}
'''[7.11]''' Sebbene Nahmanide accetti molteplici ragioni per ogni comandamento, rifiuta le ragioni che considera pretestuose:
{{citazione|La motivazione di Maimonide per i sacrifici [''Moreh'', 3.46]... è vana speculazione (''divrei hav’ai'')... Meglio ascoltare la ragione di chi dice che è perché le azioni di un essere umano sono costituite da pensiero, parola e azione, così Dio ha comandato che quando qualcuno pecca, deve portare un sacrificio e premervi sopra le mani, per dar significato all'atto (''ke-neged ha-ma‘aseh''), confessare con la sua bocca, per significare la parola, e bruciare le viscere e i reni, che sono gli organi del pensiero e del desiderio... Queste parole sono facilmente accessibili e attirano il cuore come le parole dell'Aggadah [cfr. B. Shabbat 87a; B. Baba Batra 10a rif. {{passo biblico2|Proverbi|3:35}}]. Ma in termini di verità superiore (''‘al derekh ha’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') nei sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
Il punto di vista di Maimonide che Nahmanide critica qui è che i sacrifici erano storicamente necessari, come forma di culto a cui il popolo d'Israele era abituato. Erano un compromesso con la realtà culturale, ma accuratamente epurati da ogni associazione idolatrica. Nahmanide obietta che il culto sacrificale è troppo centrale nell'ebraismo perché una logica così storicamente contingente sia vera. Sarebbe preferibile una seconda linea di interpretazione (l'autore della quale non nomina, sebbene assomigli a un approccio suggerito nel ''Commentario alla Torah'' di Ibn Ezra: Lev. 1:4 dopo Vayiqra Rabbah 7.3): che i sacrifici simboleggiano la vera contrizione e uno spirito di sacrificio di sé nel presentarsi davanti a Dio. Lo stesso punto è poi sottolineato dallo ''[[Zohar]]'' (Vayiqra, 3:9b e dal ''Commentario alla Torah'' di Bahya ben Asher su questo stesso versetto). Ma Nahmanide trova il significato più profondo dei sacrifici in una realtà divina. In sostanza, sostiene, soddisfano i bisogni divini. Questo è il punto di vista della Cabala, e l'approccio di Nahmanide qui influenzò profondamente i cabalisti successivi (cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.194ss.)
'''[7.12]''' Nonostante il rifiuto da parte di Nahmanide della logica generale di Maimonide per il sistema sacrificale, egli concorda sul fatto che Maimonide avesse ragione nell'interpretare alcuni divieti del culto come anti-idolatrici nell'intento:
{{citazione|È plausibile (''yitakhen'') interpretare i divieti di lievito e miele sull'altare come fa Maimonide nel ''Moreh Nevukhim'' [3.46], quando afferma di aver trovato nei libri degli antichi idolatri che era loro abitudine, praticando l'adorazione pagana, offrire le loro offerte di cibo in forma lievitata e mescolare il miele in tutti i loro sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|2:2}} - II, 17-18}}
'''[7.13]''' Una teologia che trova ragioni per i comandamenti di Dio non può vederli come semplici decreti positivi. Piuttosto, devono essere visti come garantiti o dai benefici che apportano nel migliorare le relazioni umane, o dal bene che apportano alla relazione tra Dio e uomo. Quest'ultimo rapporto, costituito dalla rivelazione, è immutabile. Ma in fondo tutti i comandamenti costituiscono il rapporto tra Dio e uomo. Quindi tutti sono immutabili (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:26}} - I, 361). Non possono essere abrogati dalla mera autorità umana. Perché la determinazione divina di ciò che è bene per l'uomo ha sempre la precedenza sulle nozioni umane. Le proiezioni umane di ciò che è bene per gli esseri umani sono ancora essenzialmente umane, quindi sono soggette all'abrogazione umana. Nahmanide sottolinea la distinzione in un'analisi halakhica dei giuramenti:
{{citazione|Alcuni dicono che [il giuramento di accettare la Torah al Monte Sinai] sia stato fatto con il consenso divino (''‘al da‘at ha-Maqom'')... e che il consenso di Mosè non fosse necessario, se non in quanto si fece portavoce della corte [umana] al loro Padre celeste... C'è un interprete che dice che il testo talmudico corretto recita "per consenso divino e quello del suo entourage angelico (''u-famaliah shelo'')", ma ciò è errato... Un interprete dice che la regola che i giuramenti comunitari a Dio possono essere revocati non si applica a nessun comandamento di Dio, perché ciò che è giurato secondo la volontà di Dio (''‘al da‘ato'') non può essere annullato (''hafarah''), dato che i Suoi comandamenti sono per sempre. Perché "Dio non è un uomo, da poter mentire" ({{passo biblico2|Numeri|23:19}}). Ma ciò che la comunità fa voti in materie ritenute facoltative (''bi-dvar reshut''), dove hanno collegato il loro consenso con quello di Dio, può essere abrogato e possono accettare di consentirne la violazione... e Dio concorda con la loro decisione. A me sembra che la giusta formula legale per tali giuramenti debba essere: "Per consenso divino e quello della congregazione (''kenesset'') d'Israele con Lui"... Cioè, il consenso di molti. Tuttavia, ciò che la comunità giura invocando il consenso divino, quello lo possono abrogare (''yesh hetter''). Perché non si sono proibiti di cambiarla, in quanto loro stessi l'hanno iniziata.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Shevu‘ot 29b, pp. 112-13}}
{{citazione|Quando si dice nel Talmud [B. Shevu‘ot 29b] che "col consenso di Dio" significa ciò che non può essere abrogato, colui che ha affermato ciò presumeva che ciò si applicasse solo al giuramento implicato nell'accettazione della Torah. Poiché Dio non accetterebbe di annullare (''le-vattel'') nemmeno una lettera della Torah. Ma in una questione essenzialmente facoltativa, Dio riconoscerebbe la necessità di proibire qualcosa ora e poi permetterlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 287}}
Pertanto, sebbene Nahmanide veda la legislazione rabbinica come un'espressione della legge divina (''Note sul Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', shoresh 1), vede una differenza tra la legge scritturale e quella rabbinica, in quanto la legge rabbinica può essere abrogata.
'''[7.14]''' Per Nahmanide, quindi, Dio decreta nella Torah ciò che vede è necessario agli esseri umani. Ma permette alle autorità umane di emanare i propri, mutevoli decreti in quelle aree non determinate dai mandati della Torah. Dio non solo permette, ma ordina specificamente questa attività, impartendo così autorità divina alle leggi umane:
{{citazione|Inoltre, "per consenso divino" è annesso anche ai comandamenti rabbinici. Perché se si dovesse dire che il consenso divino è menzionato solo nel giuramento che Mosè fece fare a Israele... ma non è annesso ai nostri giuramenti e condanne (''ve-haramim''), allora perché i nostri antenati menzionarono il consenso divino in relazione a [ loro] proibizioni — a meno che Dio non fosse d'accordo? Egli, esaltato sia il Suo Nome, concorre a che facciamo ciò che è buono e giusto ai Suoi occhi e agli occhi degli esseri umani.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 299}}
'''[7.15]''' I comandamenti specifici non presuppongono miracoli né segreti né pubblici. La maggior parte presume l'ordine ordinario della natura. Si può vedere che un certo numero di comandamenti serve ai bisogni umani ordinari. Nahmanide, che è spesso considerato un anti-razionalista, trova la legge naturale nella stessa Torah. È abbastanza aperto su questo in un certo numero di punti, specialmente nel suo ''Commentario alla Torah''. Riguardo alla punizione della generazione del Diluvio, scrive:
{{citazione|Infatti contro di loro non fu decretata punizione se non per la violenza (''hamas''). Per questo [l'inaccettabilità dell'illegalità] è una questione razionale (''‘inyan muskal'') che non dipende dalla rivelazione (Torah).|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}} - I, 48}}
'''[7.16]''' Seguendo una tendenza evidente nella teoria della legge naturale sin dai tempi dei filosofi stoici e dei giuristi romani, Nahmanide considera il divieto della violenza anarchica riconosciuto dal pubblico consenso e ben noto alla ragione:
{{citazione|La violenza è rapina e oppressione... un peccato che è noto e pubblicamente riconosciuto (''mefursam'')... perché è un comandamento razionale (''mitsvah muskelet''), la cui proibizione non ha bisogno di un comandamento profetico.|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - I, 52}}
'''[7.17]''' Per quanto riguarda le regole razionali, Nahmanide trova a volte un precedente negli standard morali degli antichi (CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119). Egli vede persino contenuti razionali in ''mitsvot'' non solitamente ritenute comandamenti razionali:
{{citazione|Infatti gli antichi saggi, prima del dono della Torah, sapevano che c'è una grande utilità (''to‘elet'') nel [[w:levirato |matrimonio levirato]].|CT: {{passo biblico2|Genesi|29:27}} - I, 215}}
'''[7.18]''' La legge naturale universalmente accettata è il requisito minimo per gli ebrei, notevolmente integrato dalla legge rivelata della Torah:
{{citazione|Così trovi che i patriarchi e i profeti si comportarono in modo morale universalmente accettato (''derekh erets'')... se i patriarchi e i profeti che vennero a fare la volontà di Dio si comportarono in modo morale universalmente accettato, quanto più dovrebbero le persone ordinarie.|CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} - I, 334}}
'''[7.19]''' La rivelazione ebraica condivide molti punti generali con la legge naturale e con la legge noachica. Il suo vantaggio sta nelle sue particolarità rivelate. Proprio come la superiorità degli esseri umani sugli animali è evidenziata dalla speciale provvidenza di cui godono, così le particolarità della legge rivelata mostrano la superiorità di Israele sulle altre nazioni:
{{citazione|Da ciò si vede [la presentazione delle leggi noachiche in B. Sanhedrin 56b] che ai noachidi furono dati i loro comandamenti in generale (''bi-khelalut'') non in termini specifici... Quindi il popolo aveva solo comandamenti generali fino a quando non giunse al Monte Sinai, dove i comandamenti furono esplicitati per loro nelle particolarità... Ora tutte queste questioni [leggi civili e penali] sono raggruppate in una categoria generale, ''mishpat''.|''Note al Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', shoresh 14, p. 143}}
Il teologo ebreo spagnolo del XV secolo, [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], fece più o meno lo stesso punto sulla superiorità della legge divina sulla legge naturale e sulla legge umana positiva (''Sefer ha-‘Iqqarim'', 1.8; cfr. [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]], ''[[w:Summa Theologiae|Summa Theologiae]]'', 2-1, q. 99, a. 2). Ma non menziona Nahmanide come fonte del suo punto di vista. Nel mantenere la suprema superiorità di un ricco sistema di precetti specifici su un corpo di generalità morali, Nahmanide fu sicuramente influenzato dall'apertura di ''Kuzari'' (1, intro.) di Judah Ha-Levi, dove al re dei Khazari dalla mentalità filosofica vien detto in un sogno che Dio approva le sue intenzioni generali ma non le sue azioni specifiche. È questa critica che lancia la ricerca che infine porta il re all'ebraismo.
'''[7.20]''' Anche se la giustizia naturale sembra essere una realtà essenzialmente umana, gli esseri umani sono capaci di giustizia solo in virtù di un ''telos'' unico, che è l'essere vicini a Dio. Quindi, ci distinguiamo dagli animali sia teologicamente che moralmente. Delucidando l'osservazione di Elihu nel [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]] secondo cui Dio " ci rende più istruiti delle bestie selvatiche e ci rende più saggi degli uccelli del cielo" ({{passo biblico2|Giobbe|35:11}}), Nahmanide spiega:
{{citazione|Elihu dice che Dio ci ha insegnato a conoscerLo e a diventare saggi riguardo alle Sue azioni in modi che gli animali non lo sono. Per questo non ha voluto che ci danneggiassimo a vicenda, istinto che ha posto negli animali, in modo che si sbranino a vicenda... Elihu disse questo per spiegare il motivo della provvidenza individuale: perché riconosciamo il nostro Creatore e acquisiamo saggezza riguardo alle Sue azioni, siamo soggetti ai Suoi comandamenti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 35:11 - I, 106-07}}
L'argomentazione presuppone che anche prima della consegna della Torah vi fosse un naturale riconoscimento umano di giustizia elementare, basato sul riconoscimento dell'ordine della creazione, che era riconosciuto come opera di Dio.
'''[7.21]''' Nahmanide sottolinea che i comandamenti dati poco prima della rivelazione della Torah al Sinai non sono la Torah in senso stretto, ma una sorta di preparazione morale. Non sono nemmeno distintamente ebraici:
{{citazione|Questi erano ammonimenti morali, affinché non diventassero come i campi dei predoni che commettono spudoratamente ogni tipo di atrocità... Questi non sono gli statuti e le ordinanze della Torah. Sono regolamenti civili (''hanhagot ve-yishuv ha-medinot'') simili ai termini stabiliti da Giosuè, come ricordavano i saggi.|CT: {{passo biblico2|Esodo|15:25}} - I, 359}}
Sebbene i termini stabiliti da Giosuè fossero chiaramente stipulati in relazione all'ingresso degli israeliti nella Terra d'Israele (B. Baba Kama 80b-81a), Maimonide dice che si applicano ovunque (''Hilkhot Nizqei Mamon'', 5.5). In tal caso, il loro appello deve essere rivolto al ragionamento universale. Qui Nahmanide segue il punto di vista di [[Maimonide]].
'''[7.22]'' Ancora, come Maimonide, sottolinea che il diritto civile e penale servono a mantenere una società armoniosa:
{{citazione|In un senso letterale, "i miei giudizi" (''mishpatai'') significa proprio diritto civile e penale (''ha-dinin'')... Pertanto, dice, "che un uomo compie e quindi vive". Poiché queste leggi furono date per la vita dell'uomo, per favorire la sua vita civile e per amore della pace.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:4}} - II, 99-100}}
'''[7.23]''' Nahmanide ritorna a questo punto distinguendo queste leggi, le cui ragioni sono evidenti a tutti, dagli statuti (''huqqim'') le cui ragioni sono evidenti solo attraverso la conoscenza esoterica:
{{citazione|Perché gli satuti (''huqqim'') sono comandamenti le cui ragioni non sono state rivelate alle masse, gli sciocchi li disprezzano... ma le ordinanze (''mishpatim'') sono qualcosa che tutti vogliono e necessitano, perché le persone non hanno civiltà o società senza lo stato di diritto (''mishpat'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}} - II, 187}}
'''[7.24]''' I Sette Comandamenti Noachici appartengono alla legge naturale; sono razionalmente evidenti:
{{citazione|Queste questioni [immoralità sessuale e rapina] e il resto dei Sette Comandamenti furono comandati dal tempo del primo essere umano. I rabbini li derivarono da accenni nel versetto ({{passo biblico2|Genesi|2:16}}) "E il Signore Dio comandò agli umani [''ha-’adam''] dicendo [di ogni albero del giardino puoi mangiare, ma dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male non devi mangiare]". Ma Dio non elaborò loro tali questioni, perché le elaborazioni ci furono date al Sinai. A prima vista, questi comandamenti sono razionali (''sikhliyot''). E ogni creatura che riconosce il suo Creatore dovrebbe considerarsi vincolata da loro (''lee-zaher'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 173}}
La distinzione dei "comandamenti razionali" (''sikhliyot'') da quelli conosciuti solo dalla rivelazione (''shim‘iyot'') è operata da Saadyah Gaon (''ED'', 3.3; vedere J. Faur, ''‘Iyyunim be-Mishneh Torah le-ha-Rambam'' [Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1978], 115ss.). Ma per Saadyah i comandamenti razionali riguardano sia i rapporti umani che il nostro rapporto con Dio (''ED'', 3.1). Ogni area dell'esistenza umana ammette una comprensione razionale. Non vi è alcuna differenza oggettiva tra ciò che viene dalla ragione e ciò che viene dalla rivelazione (''ED'', Introduzione, 6). La differenza tra ragione e rivelazione sta nel modo in cui essenzialmente si raggiunge la stessa verità. Con la ragione, il conoscitore umano è lo scopritore attivo della verità; con la rivelazione, il conoscitore umano è più passivo, un destinatario della verità. Ma per Nahmanide i comandamenti razionali riguardano solo le relazioni umane, e anche lì solo in parte. Per quanto riguarda la nostra relazione con Dio, la rivelazione non solo svela ciò che è già presente, ma stabilisce la relazione. Come la creazione, istituisce una nuova realtà piuttosto che descriverne una vecchia. Così Nahmanide trae l'etimologia della parola "alleanza" (''berit'') da "creazione" (''beriyyato shel ‘olam'') [CT:intro. - I, 4 secondo Shir ha-Shirim Rabbah 1.29 rif. {{passo biblico2|Dt|4:13}}].
Questa enfasi storica non è in definitiva coerente con la dottrina cabalistica secondo cui la Torah è la rivelazione dell'essere ''primordiale'' di Dio. Perché nella dottrina cabalistica, tutti i comandamenti sono partecipazioni a quella vita divina, quindi possono essere radicalmente nuovi e nessuno riguarda essenzialmente una realtà interumana. Per quanto ne so, Nahmanide non è mai riuscito a superare l'inconsistenzaè nella sua teologia, come fece invece l'autore dello ''[[Zohar]]'', in effetti, eliminando del tutto la categoria dei comandamenti razionali. Maimonide, d'altra parte, eliminò anche la distinzione, per così dire dalla direzione opposta, vedendo tutti i comandamenti come razionali in sostanza. Cfr. I. Twersky, ''Introduction to the Code of Maimonides'' (New Haven: Yale University Press, 1980) 458-59.
'''[7.25]''' Nahmanide fa la stessa distinzione nel differenziare un [[w:Noachismo|noachide]] ordinario da un residente-alieno (''ger toshav''), uno che osserva come rivelazione divina i Sette Comandamenti come intesi dalle autorità ebraiche. Il noachide ordinario li osserva semplicemente perché sono razionali (cfr. Maimonide, ''Hilkhot Melkahim'', 8.10-11).
{{citazione|Sia ben noto che il noachide menzionato in tutto il Talmud ''è'' un residente-alieno, a parte i fatto che un noachide è colui che si comporta semplicemente in modo appropriato (''ke-hogan'') verso i suoi simili secondo questi comandamenti, mentre un residente-alieno in realtà venne in una corte ebraica e l'accettò formalmente. Questo va oltre la pratica di altri noachidi, che non l'accettarono formalmente. È più puntiglioso (''medaqdeq'') su di loro... Gli altri noachidi sono nella categoria di coloro che osservano anche se in realtà non vien loro comandato di farlo [B. ‘Avodah Zarah 2b-3a]. Ma il residente-alieno, che li ha accettati in una corte ebraica, è colui che osserva questi comandamenti come comandamenti.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': B. Makkot 9a, p. 61}}
'''[7.26]''' Anche la legge naturale per Nahmanide non è semplicemente naturale. Fa parte del piano di Dio per l'ordine creato:
{{citazione|È scopo di Dio comandare che sia fatta giustizia tra le Sue creature. Poiché questo è il motivo per cui le ha create: che ci debba essere giustizia ed equità tra loro... Se ti fai prendere dal panico e fai violenza, hai peccato contro il Signore e hai violato il Suo mandato.|CT: {{passo biblico2|Dt|1:17}} - II, 349}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 7]]
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Портрет раввина.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di Franz Obermüller (c.1900)]]
== I Comandamenti ==
'''[7.1]''' Il nostro rapporto con Dio è fondato sulla fede. La fede (''emunah'') non è solo uno stato di coscienza; implica la pratica. Tutti i comandamenti della Torah sono atti di fede. La loro corretta esecuzione deve riconoscere Dio per Quello che è e accettarLo per Colui che è, il Dio che si è rivelato a Israele nei miracoli pubblici (''nissim mefursamim''). Poiché ciò che sappiamo di Dio viene dalla storia, il ''locus'' della fede è la memoria (Note sul ''Sefer ha-Mitsvot'' di Maimonide, pos. n. 1, p. 261). La fede si compie quando la memoria degli atti potenti di Dio è espressa nei comandamenti che commemorano quegli atti così come li ha sperimentati Israele:
{{citazione|Ci ha comandato di avere fede nelDio unico, che Egli sia esaltato: che esiste, che è Colui che comprende e può tutto. La nostra fede dovrebbe essere unita nell'intendere (''ye-she-niyyahed'') questi attributi, poiché ogni onore è Suo. Così ci ha comandato di onorare la menzione del suo Nome, di fare un segno e un ricordo perpetuo (''siman ve-zikaron tamid'') per farci sapere che Dio ha creato ogni cosa.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:8}} - I, 398}}
'''[7.2]''' L'accettazione dei comandamenti dipende dall'accoglienza della realtà di Dio e della Sua particolare provvidenza :
{{citazione|Dobbiamo credere che Dio conosce le persone individuali (''’ishim'') in tutte le loro particolarità, sia le persone celesti (''ha-‘elyonim'') che quelle terrene (''ve-ha-tahtonim''), le loro azioni e pensieri, passati, presenti e futuri. Perché egli è il loro creatore, il dispensatore dell'esistenza che ora hanno, il loro creatore dal nulla assoluto (''me-’afeisah muhletet'')... Da questo si passa alla fede nella provvidenza di Dio (''ha-hashgahah'')... donde noi possiamo affermare (''titkayyem'') la vera autorità della Torah e dei comandamenti. Poiché, fin quando crediamo che Dio ci conosce e si prende cura di noi, la nostra fede si estende alla profezia, e crediamo che Dio, sia Egli saltato, conosce e ama, comanda e ammonisce, cioè ci comanda di fare ciò che è buono e giusto e ci rimprovera di ciò che è male. Ci protegge e conserva per noi tutte le buone conseguenze menzionate nella Torah, e porterà sui trasgressori la punizione che ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
Per Nahmanide, "l'affermazione" (''qiyyum'') dell'autorità della Torah e dei comandamenti è un atto di fede, prima dell'adempimento di uno qualsiasi dei singoli comandamenti (CT: {{passo biblico2|Dt|27:26}} - II, 472; ''supra'', 2.24 ). È il lato cognitivo di ''kavvanah''. Emotivamente, bisogna dirigere il cuore a Dio. Dal punto di vista cognitivo, si deve conoscere quanto più umanamente possibile sul Dio a cui il proprio cuore è così diretto (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:2}} - I, 354-55 rif. ''Mekhilta'': Be-shalah, cur. Horovitz-Rabin, 128). Sia il lato cognitivo che quello emotivo della fede sono richiesti nella corretta osservanza dei comandamenti.
'''[7.3]''' Poiché tutti i comandamenti hanno ragioni, ciascuno con una funzione unica nell'economia divina del cosmo, si è obbligati a discernere la ragione di ogni comandamento e farne l'intenzione (''kavvanah'') della propria osservanza. Anche negli ambiti della vita che sono lasciati alla discrezione privata (''reshut''), si deve trovare la giusta intenzione verso il divino:
{{citazione|In effetti, si può essere miserabili (''naval'') mentre ci si conforma al comportamento consentito dalla Torah (''bi-reshut ha-Torah''). Così, specificati gli atti che proibisce assolutamente, la Scrittura ha comandato in termini più generali che si tenga le distanze anche da ciò che è permesso.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:1}} - II, 15}}
Nahmanides intende che si dovrebbe evitare l'eccesso e la volgarità anche nel mangiare, nel bere e nell'espressione sessuale consentiti. Perché il piacere fisico non è il ''summum bonum''. Nahmanide è favorevole all'opinione talmudica che il [[w:Nazireato|nazireo]] sia un santo, in contrasto con la visione talmudica alternativa secondo cui un tale asceta è un peccatore per aver negato a se stesso i piaceri che la Torah normalmente consente (B. Ta‘anit 10a e paralleli; per la critica dell'ascetismo, cfr. Y. Berakhot 2.9/5d; Y. Nedarim 9.1/41b; B. Baba Batra 60b; e soprattutto Maimonide, ''Shemonah Peraqim'', cap. 4, cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1965), 254 [cfr. ''Moreh'', 3.48]). Per Maimonide, la santità è in definitiva una collaborazione attiva con Dio, che cresce dal riconoscimento del governo creativo di Dio nel mondo (''Moreh'', 3.54, fine). Ciò che è richiesto per questo, come per tutta la pietà, non è l'ascesi, ma il ragionevole contenimento dell'eccesso (''Hilkhot De‘ot'', 1,4-6). Per Nahmanide, tuttavia, un ulteriore autocontrollo, per amore di Dio, può essere esso stesso un atto santo. L'ascetismo ha caratterizzato gran parte del misticismo ebraico, siano essi Cabala spagnola o Hasidut tedesco (cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 229ss.). La tendenza risale ai tempi del misticismo [[w:Gaon|Geonim]] e [[w:Heikhalot|Hekhalot]] (cfr. Scholem, ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 49-50). Anche se tale ascetismo molto precede Nahmanide, la sua approvazione gli ha conferito l'ulteriore autorità della sua statura di halakhista.
'''[7.4]''' Nahmanide considera il ritorno del nazireo nel mondo ordinario come una peccaminosa discesa da un piano spirituale superiore:
{{citazione|Il motivo dell'offerta per il peccato (''hat’at'') che il nazireo offre il giorno del compimento del suo voto nazireico non è stato spiegato. Secondo il significato semplice... è giusto che sia nazireo e sia santificato a Dio... Anzi, ha bisogno dell'espiazione per tornare nell'impurità dei piaceri del mondo.|CT: {{passo biblico2|Numeri|6:11}} - II, 215}}
'''[7.5]''' Nahmanide non può dire che ogni comandamento deve essere eseguito con la giusta intenzione per essere legalmente valido, ma indica che la piena realizzazione dei comandamenti richiede la giusta intenzione:
{{citazione|È noto che chi esegue un comandamento ma non lo comprende non lo ha adempiuto completamente (''bi-shlemut'')... Perché sei obbligato a ricordare il grande miracolo compiuto per te.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}}
Agire senza consapevolezza dell'intento dell'atto significa non soddisfare il requisito stesso del comandamento in questione. Per Nahmanide, l'intenzione qui non significa contemplazione astratta della divinità, ma concentrazione sul miracolo specifico che l'atto commemora.
'''[7.6]''' Il livello di intenzione (''kavvanah'') che si deve avere per adempiere un comandamento è oggetto di un lungo e inconcludente dibattito nel Talmud (B. Rosh Hashanah 28a ''et seq.''). Per Nahmanide l'intenzione è fondamentale nel permetterci di riconoscere la volontà di Dio come fonte di un comandamento e la sapienza di Dio nella specificazione del suo scopo. Attraverso l'intenzione, per così dire, si segue il proposito di Dio. Ammettendo che ci sono molte opinioni sull'argomento ''kavvanah'', Nahmanide fonda un argomento massimalista su un brano della Mishnah: "Se uno leggesse la Torah [Dt. 6:4-9, contenuto testuale dello Shema] e giungesse l'ora della recita liturgica dello [[w:Shemà|Shema]], se il cuore ha inteso questo comandamento specifico, lo ha adempiuto; se no, non l'ha adempiuto" [M. Berakhot 2.1].
{{citazione|Riguardo alla questione dell'intenzione nel suonare lo [[w:shofar|shofar]]: se lo si suona solo per fare un suono musicale, la questione è dibattuta nel Talmud e tra i Geonim... Rabbenu Hai scrisse che anche se è legge che se si esegue un comandamento senza l'intenzione lo ha comunque adempiuto, tuttavia, quando si eseguono i comandamenti, si abbia regolarmente intenzione di farlo. In tutta umiltà, abbiamo una prova per il punto di vista dell'autore di ''Halakhot Gedolot'' [che accetta la visione massimalista alla fine del suo trattamento delle leggi di [[w:Rosh haShana|Rosh haShanah]]] dalla legge all'inizio del secondo capitolo della Mishnah, Berakhot [riguardo allo ''Shema''].|KR: ''Sermone per Rosh HaShanah'' - I, 241}}
Nahmanide confessa di non poter presumere di aver risolto il dibattito pratico tra i Geonim, ma teologicamente ha certamente risolto la questione. Coloro che sono stati influenzati dalla tradizione cabalistica, di cui Nahmanide era una fonte così importante, sottolineavano la necessità della ''kavvanah'', non solo su basi teologiche generali, ma anche su basi halakhiche specifiche, ove possibile (cfr. sopecialm., Joseph Karo, ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4; anche, R. J. Z. Werblowsky, ''Joseph Karo: Lawyer and Mystic'' [Philadelphia: JPS, 1977], 162-63).
'''[7.7]''' Nel significato che assegna a ''kavvanah'', Nahmanide non è d'accordo con Maimonide sul versetto, "servirlo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}). Maimonide interpreta il commento rabbinico su questo versetto, "questa è preghiera... il servizio del cuore" (''Sifre'': Devarim, n. 41, ed. Finkelstein, 87-88; B. Ta‘anit 2a) come se vi trovasse un mandato letterale per la preghiera (''Sefer ha-Mitzvot'', pos. n. 5), sebbene il contenuto effettivo del culto formale sia formulato dai Rabbini (''Hilkhot Tefillah'', 1.1). Nahmanide vede il versetto come riferito a tutti i comandamenti della Torah. Per lui l'allusione alla preghiera è un'inferenza omiletica (''’asmakhta''):
{{citazione|Il significato essenziale del versetto "servendolo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}) è che è comandamento positivo che tutte le nostre opere siano per Dio, sia Egli esaltato, siano fatte con tutto il nostro cuore. Ciò significa con intenzione corretta e piena, per l'amor di Dio e senza alcun pensiero malvagio. Non dobbiamo eseguire i comandamenti senza intenzione o dubitare che abbiano qualche beneficio (''to‘elet'').|''Note a Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', pos. n. 5, p. 156}}
'''[7.8]''' L'intenzione è così centrale che l'adempimento di un comandamento per la ragione sbagliata può essere un peccato. Quindi la schiavitù egizia degli israeliti faceva parte del piano divino, ma comunque peccaminosa:
{{citazione|Così, quando Dio decretò la servitù di Israele in Egitto, essi andarono e li resero schiavi con la forza... Quando il decreto esce per mezzo di un profeta... c'è merito nell'eseguirlo... ma se uno udisse il comandamento [di uccidere] e allora uccidesse per odio o per saccheggio, sarebbe punito, poiché il suo intento è peccaminoso. Poiché gli [[w:Antico Egitto|egizi]] sapevano che era un comandamento del Signore [che Israele fosse reso schiavo da loro].|CT: {{passo biblico2|Genesi|15:14}} - I, 94}}
'''[7.9]''' Poiché il fondamento della Torah, che è la sovranità di Dio sull'universo, è noto attraverso l'esperienza storica, l'affermazione di tale esperienza ha la priorità anche sullo studio dei precetti della Torah. L'esperienza storica ''par excellence'' è la teofania al Sinai. Così i Rabbini chiariscono il versetto: "Soltanto, bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull'anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli" ({{passo biblico2|Dt|4:9}}) intendendo il dovere di educare la propria progenie ai precetti della Torah (B. Kiddushin 30a). Ma Nahmanide tratta questa glossa come omiletica (''asmakhta''). Trova il comandamento letterale a un livello molto più profondo:
{{citazione|Il secondo comandamento è che non dimentichiamo la teofania al Monte Sinai... perché è un principio fondamentale (''yesod gadol'') della Torah... Non commettere l'errore di interpretare questo versetto come una semplice omelia sull'insegnamento della Torah ai propri pronipoti. Perché la fede nella stessa Torah (''emunat ha-Torah'') è ciò che qui si intende per studio della Torah... Questo è ciò che deve essere trasmesso di generazione in generazione.|''Note su Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'': Addenda, neg. n. 2, p. 396}}
L'esistenza, la potenza e la volontà di Dio furono rivelate a Israele sul Sinai: "Essi sono coloro che conoscono e sono i testimoni (''‘edim'') di tutte queste cose" (CT: {{passo biblico2|Esodo|20:2}} - I, 388). La testimonianza di Israele è storica. Un testimone è colui che fu presente a un evento e lo segnala alla comunità. Gli eventi richiedono testimoni perché sono singolari. Coloro che non sono effettivamente presenti devono imparare dai resoconti di coloro di cui possono fidarsi. Con i processi ordinari della natura, non sono richiesti testimoni speciali. Perché questi sono accessibili a tutti. Nessuno ha bisogno di impararli da una storia raccontata da qualcun altro. La dimostrazione scientifica presuppone che ciò che riporta sia, almeno in linea di principio, accessibile a qualsiasi osservatore. Poiché i principi che mostra sono sempre presenti, anche se non lo sono i fenomeni che li manifestano.
La differenza tra testimonianza storica e dimostrazione scientifica è esemplificata nella discussione rabbinica sull'istituzione della determinazione dell'ora esatta del [[:en:w:New moon#Hebrew calendar|Novilunio]], punto di riferimento chiave nella regolazione del [[w:calendario ebraico|calendario ebraico]]. (Per il contesto storico, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' [New York, 1949] XIII). Per i Rabbini, l'obbligo di testimoni oculari per l'apparizione della Luna Nuova (M. Rosh Hashanah 1.6 ''et seq.'') non è un ''sine qua non'' per scopi calendariali (B. Betsah 4b). I testimoni sono preferiti quando il Sinedrio è effettivamente in funzione nella Terra d'Israele. Ma altrimenti i calcoli fatti dai Rabbini in epoca talmudica fissano il calendario ebraico (cfr. ''Note su Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', pos. n. 153, p. 214 e testo di Maimonide alle pp. 211-12): la questione è essenzialmente di dimostrazione scientifica (Maimonide, ''Hilkhot Qiddush ha-Hodesh'', 1.6; 5.2-3; 11.1-4; 17.24), non di esperienza singolare. Nel contesto storico i testimoni ''affermano'' ciò che deve essere conosciuto dagli altri; nel contesto scientifico i testimoni si limitano a ''confermare'' ciò che gli altri in linea di principio possono conoscere da soli.
Trattando il ruolo della testimonianza nella rivelazione, Nahmanide segue Judah Ha-Levi, per il quale l'ebraismo si basa in definitiva sulla teofania del Sinai e sulla testimonianza dell'intero popolo d'Israele, che l'ha vissuta (''Kuzari'', 1.48). La presenza di Dio si manifesta in eventi storici unici. Per Maimonide, invece, il contenuto stesso della teofania del Sinai è credibile perché i primi due comandamenti del decalogo sono verità razionalmente evidenti che fondano tutti gli altri comandamenti: quelli positivi sulla base di "Io sono il Signore Dio tuo"; il negativo, sulla base di "non ci saranno altri dèi" (''Moreh Nevukhim'', 2.33; ''Sefer ha-Mitsvot'', pos. n. 1, neg. n. 1; ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 1.6; cfr. la fonte talmudica di questa opinione, B. Makkot 24a, dove il fondamento di questi due comandamenti nella rivelazione è l'enfasi principale). Per Maimonide è la certezza razionale che esenta l'esperienza del Sinai dall'accusa che potrebbe essere stata un'illusione di massa (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 8.1-3). La realtà di Dio è conosciuta attraverso l'apprensione della natura da parte della ragione. Quindi la testimonianza storica ha il ruolo secondario che i testimoni svolgono nell'accertamento del [[w:Novilunio|Novilunio]]. Inoltre, sostiene Maimonide, la testimonianza non è di per sé dimostrabile razionalmente. È solo più o meno credibile. Così Maimonide designa l'intera istituzione giuridica della testimonianza (''‘edut'') come quella che ci è comandato di accettare, nonostante l'indimostrabilità di ciò che è testimoniato e la costante possibilità di inganno o illusione (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7,7; ''Hilkhot ‘Edut'', 18.3; ''Hilkhot Sanhedrin'', 18.6). Per Ha-Levi e Nahmanide l'evento della rivelazione è il fondamento del suo contenuto. Per Maimonide, l'evento della rivelazione è l'occasione in cui ciò che è sempre stato vero in linea di principio (''ratio per se'') viene da noi scoperto (''ratio quoad nos'').
'''[7.10]''' Per Nahmanide, l'esperienza umana del mondo si articola su tre livelli fondamentali: 1) esperienza ordinaria dell'ordine naturale familiare; 2) miracoli pubblici, dove la potenza di Dio sconvolge l'ordinario stato della natura, in modo da far balzare coloro che vivono questi grandi eventi ad una maggiore consapevolezza dell'opera di Dio nel mondo; e 3) miracoli segreti, che manifestano la costante provvidenza di Dio. L'azione umana, come strutturata dalla Torah nei suoi comandamenti, è correlata a questi tre livelli di esperienza; sono correlati, in quanto un comandamento può avere diverse ragioni.
{{citazione|Ciascuno dei comandamenti del Signore ha molte ragioni. Per ognuno ha molti benefici (''to‘elet''), sia per il corpo che per l'anima.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}} - I, 411}}
'''[7.11]''' Sebbene Nahmanide accetti molteplici ragioni per ogni comandamento, rifiuta le ragioni che considera pretestuose:
{{citazione|La motivazione di Maimonide per i sacrifici [''Moreh'', 3.46]... è vana speculazione (''divrei hav’ai'')... Meglio ascoltare la ragione di chi dice che è perché le azioni di un essere umano sono costituite da pensiero, parola e azione, così Dio ha comandato che quando qualcuno pecca, deve portare un sacrificio e premervi sopra le mani, per dar significato all'atto (''ke-neged ha-ma‘aseh''), confessare con la sua bocca, per significare la parola, e bruciare le viscere e i reni, che sono gli organi del pensiero e del desiderio... Queste parole sono facilmente accessibili e attirano il cuore come le parole dell'Aggadah [cfr. B. Shabbat 87a; B. Baba Batra 10a rif. {{passo biblico2|Proverbi|3:35}}]. Ma in termini di verità superiore (''‘al derekh ha’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') nei sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
Il punto di vista di Maimonide che Nahmanide critica qui è che i sacrifici erano storicamente necessari, come forma di culto a cui il popolo d'Israele era abituato. Erano un compromesso con la realtà culturale, ma accuratamente epurati da ogni associazione idolatrica. Nahmanide obietta che il culto sacrificale è troppo centrale nell'ebraismo perché una logica così storicamente contingente sia vera. Sarebbe preferibile una seconda linea di interpretazione (l'autore della quale non nomina, sebbene assomigli a un approccio suggerito nel ''Commentario alla Torah'' di Ibn Ezra: Lev. 1:4 dopo Vayiqra Rabbah 7.3): che i sacrifici simboleggiano la vera contrizione e uno spirito di sacrificio di sé nel presentarsi davanti a Dio. Lo stesso punto è poi sottolineato dallo ''[[Zohar]]'' (Vayiqra, 3:9b e dal ''Commentario alla Torah'' di Bahya ben Asher su questo stesso versetto). Ma Nahmanide trova il significato più profondo dei sacrifici in una realtà divina. In sostanza, sostiene, soddisfano i bisogni divini. Questo è il punto di vista della Cabala, e l'approccio di Nahmanide qui influenzò profondamente i cabalisti successivi (cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.194ss.)
'''[7.12]''' Nonostante il rifiuto da parte di Nahmanide della logica generale di Maimonide per il sistema sacrificale, egli concorda sul fatto che Maimonide avesse ragione nell'interpretare alcuni divieti del culto come anti-idolatrici nell'intento:
{{citazione|È plausibile (''yitakhen'') interpretare i divieti di lievito e miele sull'altare come fa Maimonide nel ''Moreh Nevukhim'' [3.46], quando afferma di aver trovato nei libri degli antichi idolatri che era loro abitudine, praticando l'adorazione pagana, offrire le loro offerte di cibo in forma lievitata e mescolare il miele in tutti i loro sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|2:2}} - II, 17-18}}
'''[7.13]''' Una teologia che trova ragioni per i comandamenti di Dio non può vederli come semplici decreti positivi. Piuttosto, devono essere visti come garantiti o dai benefici che apportano nel migliorare le relazioni umane, o dal bene che apportano alla relazione tra Dio e uomo. Quest'ultimo rapporto, costituito dalla rivelazione, è immutabile. Ma in fondo tutti i comandamenti costituiscono il rapporto tra Dio e uomo. Quindi tutti sono immutabili (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:26}} - I, 361). Non possono essere abrogati dalla mera autorità umana. Perché la determinazione divina di ciò che è bene per l'uomo ha sempre la precedenza sulle nozioni umane. Le proiezioni umane di ciò che è bene per gli esseri umani sono ancora essenzialmente umane, quindi sono soggette all'abrogazione umana. Nahmanide sottolinea la distinzione in un'analisi halakhica dei giuramenti:
{{citazione|Alcuni dicono che [il giuramento di accettare la Torah al Monte Sinai] sia stato fatto con il consenso divino (''‘al da‘at ha-Maqom'')... e che il consenso di Mosè non fosse necessario, se non in quanto si fece portavoce della corte [umana] al loro Padre celeste... C'è un interprete che dice che il testo talmudico corretto recita "per consenso divino e quello del suo entourage angelico (''u-famaliah shelo'')", ma ciò è errato... Un interprete dice che la regola che i giuramenti comunitari a Dio possono essere revocati non si applica a nessun comandamento di Dio, perché ciò che è giurato secondo la volontà di Dio (''‘al da‘ato'') non può essere annullato (''hafarah''), dato che i Suoi comandamenti sono per sempre. Perché "Dio non è un uomo, da poter mentire" ({{passo biblico2|Numeri|23:19}}). Ma ciò che la comunità fa voti in materie ritenute facoltative (''bi-dvar reshut''), dove hanno collegato il loro consenso con quello di Dio, può essere abrogato e possono accettare di consentirne la violazione... e Dio concorda con la loro decisione. A me sembra che la giusta formula legale per tali giuramenti debba essere: "Per consenso divino e quello della congregazione (''kenesset'') d'Israele con Lui"... Cioè, il consenso di molti. Tuttavia, ciò che la comunità giura invocando il consenso divino, quello lo possono abrogare (''yesh hetter''). Perché non si sono proibiti di cambiarla, in quanto loro stessi l'hanno iniziata.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Shevu‘ot 29b, pp. 112-13}}
{{citazione|Quando si dice nel Talmud [B. Shevu‘ot 29b] che "col consenso di Dio" significa ciò che non può essere abrogato, colui che ha affermato ciò presumeva che ciò si applicasse solo al giuramento implicato nell'accettazione della Torah. Poiché Dio non accetterebbe di annullare (''le-vattel'') nemmeno una lettera della Torah. Ma in una questione essenzialmente facoltativa, Dio riconoscerebbe la necessità di proibire qualcosa ora e poi permetterlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 287}}
Pertanto, sebbene Nahmanide veda la legislazione rabbinica come un'espressione della legge divina (''Note sul Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', shoresh 1), vede una differenza tra la legge scritturale e quella rabbinica, in quanto la legge rabbinica può essere abrogata.
'''[7.14]''' Per Nahmanide, quindi, Dio decreta nella Torah ciò che vede è necessario agli esseri umani. Ma permette alle autorità umane di emanare i propri, mutevoli decreti in quelle aree non determinate dai mandati della Torah. Dio non solo permette, ma ordina specificamente questa attività, impartendo così autorità divina alle leggi umane:
{{citazione|Inoltre, "per consenso divino" è annesso anche ai comandamenti rabbinici. Perché se si dovesse dire che il consenso divino è menzionato solo nel giuramento che Mosè fece fare a Israele... ma non è annesso ai nostri giuramenti e condanne (''ve-haramim''), allora perché i nostri antenati menzionarono il consenso divino in relazione a [ loro] proibizioni — a meno che Dio non fosse d'accordo? Egli, esaltato sia il Suo Nome, concorre a che facciamo ciò che è buono e giusto ai Suoi occhi e agli occhi degli esseri umani.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 299}}
'''[7.15]''' I comandamenti specifici non presuppongono miracoli né segreti né pubblici. La maggior parte presume l'ordine ordinario della natura. Si può vedere che un certo numero di comandamenti serve ai bisogni umani ordinari. Nahmanide, che è spesso considerato un anti-razionalista, trova la legge naturale nella stessa Torah. È abbastanza aperto su questo in un certo numero di punti, specialmente nel suo ''Commentario alla Torah''. Riguardo alla punizione della generazione del Diluvio, scrive:
{{citazione|Infatti contro di loro non fu decretata punizione se non per la violenza (''hamas''). Per questo [l'inaccettabilità dell'illegalità] è una questione razionale (''‘inyan muskal'') che non dipende dalla rivelazione (Torah).|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}} - I, 48}}
'''[7.16]''' Seguendo una tendenza evidente nella teoria della legge naturale sin dai tempi dei filosofi stoici e dei giuristi romani, Nahmanide considera il divieto della violenza anarchica riconosciuto dal pubblico consenso e ben noto alla ragione:
{{citazione|La violenza è rapina e oppressione... un peccato che è noto e pubblicamente riconosciuto (''mefursam'')... perché è un comandamento razionale (''mitsvah muskelet''), la cui proibizione non ha bisogno di un comandamento profetico.|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - I, 52}}
'''[7.17]''' Per quanto riguarda le regole razionali, Nahmanide trova a volte un precedente negli standard morali degli antichi (CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119). Egli vede persino contenuti razionali in ''mitsvot'' non solitamente ritenute comandamenti razionali:
{{citazione|Infatti gli antichi saggi, prima del dono della Torah, sapevano che c'è una grande utilità (''to‘elet'') nel [[w:levirato |matrimonio levirato]].|CT: {{passo biblico2|Genesi|29:27}} - I, 215}}
'''[7.18]''' La legge naturale universalmente accettata è il requisito minimo per gli ebrei, notevolmente integrato dalla legge rivelata della Torah:
{{citazione|Così trovi che i patriarchi e i profeti si comportarono in modo morale universalmente accettato (''derekh erets'')... se i patriarchi e i profeti che vennero a fare la volontà di Dio si comportarono in modo morale universalmente accettato, quanto più dovrebbero le persone ordinarie.|CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} - I, 334}}
'''[7.19]''' La rivelazione ebraica condivide molti punti generali con la legge naturale e con la legge noachica. Il suo vantaggio sta nelle sue particolarità rivelate. Proprio come la superiorità degli esseri umani sugli animali è evidenziata dalla speciale provvidenza di cui godono, così le particolarità della legge rivelata mostrano la superiorità di Israele sulle altre nazioni:
{{citazione|Da ciò si vede [la presentazione delle leggi noachiche in B. Sanhedrin 56b] che ai noachidi furono dati i loro comandamenti in generale (''bi-khelalut'') non in termini specifici... Quindi il popolo aveva solo comandamenti generali fino a quando non giunse al Monte Sinai, dove i comandamenti furono esplicitati per loro nelle particolarità... Ora tutte queste questioni [leggi civili e penali] sono raggruppate in una categoria generale, ''mishpat''.|''Note al Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', shoresh 14, p. 143}}
Il teologo ebreo spagnolo del XV secolo, [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], fece più o meno lo stesso punto sulla superiorità della legge divina sulla legge naturale e sulla legge umana positiva (''Sefer ha-‘Iqqarim'', 1.8; cfr. [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]], ''[[w:Summa Theologiae|Summa Theologiae]]'', 2-1, q. 99, a. 2). Ma non menziona Nahmanide come fonte del suo punto di vista. Nel mantenere la suprema superiorità di un ricco sistema di precetti specifici su un corpo di generalità morali, Nahmanide fu sicuramente influenzato dall'apertura di ''Kuzari'' (1, intro.) di Judah Ha-Levi, dove al re dei Khazari dalla mentalità filosofica vien detto in un sogno che Dio approva le sue intenzioni generali ma non le sue azioni specifiche. È questa critica che lancia la ricerca che infine porta il re all'ebraismo.
'''[7.20]''' Anche se la giustizia naturale sembra essere una realtà essenzialmente umana, gli esseri umani sono capaci di giustizia solo in virtù di un ''telos'' unico, che è l'essere vicini a Dio. Quindi, ci distinguiamo dagli animali sia teologicamente che moralmente. Delucidando l'osservazione di Elihu nel [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]] secondo cui Dio " ci rende più istruiti delle bestie selvatiche e ci rende più saggi degli uccelli del cielo" ({{passo biblico2|Giobbe|35:11}}), Nahmanide spiega:
{{citazione|Elihu dice che Dio ci ha insegnato a conoscerLo e a diventare saggi riguardo alle Sue azioni in modi che gli animali non lo sono. Per questo non ha voluto che ci danneggiassimo a vicenda, istinto che ha posto negli animali, in modo che si sbranino a vicenda... Elihu disse questo per spiegare il motivo della provvidenza individuale: perché riconosciamo il nostro Creatore e acquisiamo saggezza riguardo alle Sue azioni, siamo soggetti ai Suoi comandamenti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 35:11 - I, 106-07}}
L'argomentazione presuppone che anche prima della consegna della Torah vi fosse un naturale riconoscimento umano di giustizia elementare, basato sul riconoscimento dell'ordine della creazione, che era riconosciuto come opera di Dio.
'''[7.21]''' Nahmanide sottolinea che i comandamenti dati poco prima della rivelazione della Torah al Sinai non sono la Torah in senso stretto, ma una sorta di preparazione morale. Non sono nemmeno distintamente ebraici:
{{citazione|Questi erano ammonimenti morali, affinché non diventassero come i campi dei predoni che commettono spudoratamente ogni tipo di atrocità... Questi non sono gli statuti e le ordinanze della Torah. Sono regolamenti civili (''hanhagot ve-yishuv ha-medinot'') simili ai termini stabiliti da Giosuè, come ricordavano i saggi.|CT: {{passo biblico2|Esodo|15:25}} - I, 359}}
Sebbene i termini stabiliti da Giosuè fossero chiaramente stipulati in relazione all'ingresso degli israeliti nella Terra d'Israele (B. Baba Kama 80b-81a), Maimonide dice che si applicano ovunque (''Hilkhot Nizqei Mamon'', 5.5). In tal caso, il loro appello deve essere rivolto al ragionamento universale. Qui Nahmanide segue il punto di vista di [[Maimonide]].
'''[7.22]''' Ancora, come Maimonide, sottolinea che il diritto civile e penale servono a mantenere una società armoniosa:
{{citazione|In un senso letterale, "i miei giudizi" (''mishpatai'') significa proprio diritto civile e penale (''ha-dinin'')... Pertanto, dice, "che un uomo compie e quindi vive". Poiché queste leggi furono date per la vita dell'uomo, per favorire la sua vita civile e per amore della pace.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:4}} - II, 99-100}}
'''[7.23]''' Nahmanide ritorna a questo punto distinguendo queste leggi, le cui ragioni sono evidenti a tutti, dagli statuti (''huqqim'') le cui ragioni sono evidenti solo attraverso la conoscenza esoterica:
{{citazione|Perché gli satuti (''huqqim'') sono comandamenti le cui ragioni non sono state rivelate alle masse, gli sciocchi li disprezzano... ma le ordinanze (''mishpatim'') sono qualcosa che tutti vogliono e necessitano, perché le persone non hanno civiltà o società senza lo stato di diritto (''mishpat'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}} - II, 187}}
'''[7.24]''' I Sette Comandamenti Noachici appartengono alla legge naturale; sono razionalmente evidenti:
{{citazione|Queste questioni [immoralità sessuale e rapina] e il resto dei Sette Comandamenti furono comandati dal tempo del primo essere umano. I rabbini li derivarono da accenni nel versetto ({{passo biblico2|Genesi|2:16}}) "E il Signore Dio comandò agli umani [''ha-’adam''] dicendo [di ogni albero del giardino puoi mangiare, ma dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male non devi mangiare]". Ma Dio non elaborò loro tali questioni, perché le elaborazioni ci furono date al Sinai. A prima vista, questi comandamenti sono razionali (''sikhliyot''). E ogni creatura che riconosce il suo Creatore dovrebbe considerarsi vincolata da loro (''lee-zaher'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 173}}
La distinzione dei "comandamenti razionali" (''sikhliyot'') da quelli conosciuti solo dalla rivelazione (''shim‘iyot'') è operata da Saadyah Gaon (''ED'', 3.3; vedere J. Faur, ''‘Iyyunim be-Mishneh Torah le-ha-Rambam'' [Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1978], 115ss.). Ma per Saadyah i comandamenti razionali riguardano sia i rapporti umani che il nostro rapporto con Dio (''ED'', 3.1). Ogni area dell'esistenza umana ammette una comprensione razionale. Non vi è alcuna differenza oggettiva tra ciò che viene dalla ragione e ciò che viene dalla rivelazione (''ED'', Introduzione, 6). La differenza tra ragione e rivelazione sta nel modo in cui essenzialmente si raggiunge la stessa verità. Con la ragione, il conoscitore umano è lo scopritore attivo della verità; con la rivelazione, il conoscitore umano è più passivo, un destinatario della verità. Ma per Nahmanide i comandamenti razionali riguardano solo le relazioni umane, e anche lì solo in parte. Per quanto riguarda la nostra relazione con Dio, la rivelazione non solo svela ciò che è già presente, ma stabilisce la relazione. Come la creazione, istituisce una nuova realtà piuttosto che descriverne una vecchia. Così Nahmanide trae l'etimologia della parola "alleanza" (''berit'') da "creazione" (''beriyyato shel ‘olam'') [CT:intro. - I, 4 secondo Shir ha-Shirim Rabbah 1.29 rif. {{passo biblico2|Dt|4:13}}].
Questa enfasi storica non è in definitiva coerente con la dottrina cabalistica secondo cui la Torah è la rivelazione dell'essere ''primordiale'' di Dio. Perché nella dottrina cabalistica, tutti i comandamenti sono partecipazioni a quella vita divina, quindi possono essere radicalmente nuovi e nessuno riguarda essenzialmente una realtà interumana. Per quanto ne so, Nahmanide non è mai riuscito a superare l'inconsistenzaè nella sua teologia, come fece invece l'autore dello ''[[Zohar]]'', in effetti, eliminando del tutto la categoria dei comandamenti razionali. Maimonide, d'altra parte, eliminò anche la distinzione, per così dire dalla direzione opposta, vedendo tutti i comandamenti come razionali in sostanza. Cfr. I. Twersky, ''Introduction to the Code of Maimonides'' (New Haven: Yale University Press, 1980) 458-59.
'''[7.25]''' Nahmanide fa la stessa distinzione nel differenziare un [[w:Noachismo|noachide]] ordinario da un residente-alieno (''ger toshav''), uno che osserva come rivelazione divina i Sette Comandamenti come intesi dalle autorità ebraiche. Il noachide ordinario li osserva semplicemente perché sono razionali (cfr. Maimonide, ''Hilkhot Melkahim'', 8.10-11).
{{citazione|Sia ben noto che il noachide menzionato in tutto il Talmud ''è'' un residente-alieno, a parte i fatto che un noachide è colui che si comporta semplicemente in modo appropriato (''ke-hogan'') verso i suoi simili secondo questi comandamenti, mentre un residente-alieno in realtà venne in una corte ebraica e l'accettò formalmente. Questo va oltre la pratica di altri noachidi, che non l'accettarono formalmente. È più puntiglioso (''medaqdeq'') su di loro... Gli altri noachidi sono nella categoria di coloro che osservano anche se in realtà non vien loro comandato di farlo [B. ‘Avodah Zarah 2b-3a]. Ma il residente-alieno, che li ha accettati in una corte ebraica, è colui che osserva questi comandamenti come comandamenti.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': B. Makkot 9a, p. 61}}
'''[7.26]''' Anche la legge naturale per Nahmanide non è semplicemente naturale. Fa parte del piano di Dio per l'ordine creato:
{{citazione|È scopo di Dio comandare che sia fatta giustizia tra le Sue creature. Poiché questo è il motivo per cui le ha create: che ci debba essere giustizia ed equità tra loro... Se ti fai prendere dal panico e fai violenza, hai peccato contro il Signore e hai violato il Suo mandato.|CT: {{passo biblico2|Dt|1:17}} - II, 349}}
'''[7.27]''' ''Imitatio Dei'', inoltre, richiede un'applicazione visionaria in circostanze concrete, specifiche, dei principi generali di giustizia ed equità enunciati nella Torah:
{{citazione|Anche quando Dio non ti ha comandato in modo specifico, dovrebbe comunque essere tua intenzione fare ciò che è buono e giusto (''yashar'') ai Suoi occhi. Perché Egli ama il bene e il giusto. Questo è un principio fondamentale. Perché è impossibile per la Torah comandare tutte le azioni umane e ordinare ogni singola interazione di un essere umano con un altro, regolare ogni transazione commerciale e migliorare ogni questione sociale e politica.|CT: {{passo biblico2|Dt|6:18}} - II, 376}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
{{Avanzamento|75%|28 luglio 2022}}
[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 7]]
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Портрет раввина.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di Franz Obermüller (c.1900)]]
== I Comandamenti ==
'''[7.1]''' Il nostro rapporto con Dio è fondato sulla fede. La fede (''emunah'') non è solo uno stato di coscienza; implica la pratica. Tutti i comandamenti della Torah sono atti di fede. La loro corretta esecuzione deve riconoscere Dio per Quello che è e accettarLo per Colui che è, il Dio che si è rivelato a Israele nei miracoli pubblici (''nissim mefursamim''). Poiché ciò che sappiamo di Dio viene dalla storia, il ''locus'' della fede è la memoria (Note sul ''Sefer ha-Mitsvot'' di Maimonide, pos. n. 1, p. 261). La fede si compie quando la memoria degli atti potenti di Dio è espressa nei comandamenti che commemorano quegli atti così come li ha sperimentati Israele:
{{citazione|Ci ha comandato di avere fede nelDio unico, che Egli sia esaltato: che esiste, che è Colui che comprende e può tutto. La nostra fede dovrebbe essere unita nell'intendere (''ye-she-niyyahed'') questi attributi, poiché ogni onore è Suo. Così ci ha comandato di onorare la menzione del suo Nome, di fare un segno e un ricordo perpetuo (''siman ve-zikaron tamid'') per farci sapere che Dio ha creato ogni cosa.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:8}} - I, 398}}
'''[7.2]''' L'accettazione dei comandamenti dipende dall'accoglienza della realtà di Dio e della Sua particolare provvidenza :
{{citazione|Dobbiamo credere che Dio conosce le persone individuali (''’ishim'') in tutte le loro particolarità, sia le persone celesti (''ha-‘elyonim'') che quelle terrene (''ve-ha-tahtonim''), le loro azioni e pensieri, passati, presenti e futuri. Perché egli è il loro creatore, il dispensatore dell'esistenza che ora hanno, il loro creatore dal nulla assoluto (''me-’afeisah muhletet'')... Da questo si passa alla fede nella provvidenza di Dio (''ha-hashgahah'')... donde noi possiamo affermare (''titkayyem'') la vera autorità della Torah e dei comandamenti. Poiché, fin quando crediamo che Dio ci conosce e si prende cura di noi, la nostra fede si estende alla profezia, e crediamo che Dio, sia Egli saltato, conosce e ama, comanda e ammonisce, cioè ci comanda di fare ciò che è buono e giusto e ci rimprovera di ciò che è male. Ci protegge e conserva per noi tutte le buone conseguenze menzionate nella Torah, e porterà sui trasgressori la punizione che ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
Per Nahmanide, "l'affermazione" (''qiyyum'') dell'autorità della Torah e dei comandamenti è un atto di fede, prima dell'adempimento di uno qualsiasi dei singoli comandamenti (CT: {{passo biblico2|Dt|27:26}} - II, 472; ''supra'', 2.24 ). È il lato cognitivo di ''kavvanah''. Emotivamente, bisogna dirigere il cuore a Dio. Dal punto di vista cognitivo, si deve conoscere quanto più umanamente possibile sul Dio a cui il proprio cuore è così diretto (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:2}} - I, 354-55 rif. ''Mekhilta'': Be-shalah, cur. Horovitz-Rabin, 128). Sia il lato cognitivo che quello emotivo della fede sono richiesti nella corretta osservanza dei comandamenti.
'''[7.3]''' Poiché tutti i comandamenti hanno ragioni, ciascuno con una funzione unica nell'economia divina del cosmo, si è obbligati a discernere la ragione di ogni comandamento e farne l'intenzione (''kavvanah'') della propria osservanza. Anche negli ambiti della vita che sono lasciati alla discrezione privata (''reshut''), si deve trovare la giusta intenzione verso il divino:
{{citazione|In effetti, si può essere miserabili (''naval'') mentre ci si conforma al comportamento consentito dalla Torah (''bi-reshut ha-Torah''). Così, specificati gli atti che proibisce assolutamente, la Scrittura ha comandato in termini più generali che si tenga le distanze anche da ciò che è permesso.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:1}} - II, 15}}
Nahmanides intende che si dovrebbe evitare l'eccesso e la volgarità anche nel mangiare, nel bere e nell'espressione sessuale consentiti. Perché il piacere fisico non è il ''summum bonum''. Nahmanide è favorevole all'opinione talmudica che il [[w:Nazireato|nazireo]] sia un santo, in contrasto con la visione talmudica alternativa secondo cui un tale asceta è un peccatore per aver negato a se stesso i piaceri che la Torah normalmente consente (B. Ta‘anit 10a e paralleli; per la critica dell'ascetismo, cfr. Y. Berakhot 2.9/5d; Y. Nedarim 9.1/41b; B. Baba Batra 60b; e soprattutto Maimonide, ''Shemonah Peraqim'', cap. 4, cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1965), 254 [cfr. ''Moreh'', 3.48]). Per Maimonide, la santità è in definitiva una collaborazione attiva con Dio, che cresce dal riconoscimento del governo creativo di Dio nel mondo (''Moreh'', 3.54, fine). Ciò che è richiesto per questo, come per tutta la pietà, non è l'ascesi, ma il ragionevole contenimento dell'eccesso (''Hilkhot De‘ot'', 1,4-6). Per Nahmanide, tuttavia, un ulteriore autocontrollo, per amore di Dio, può essere esso stesso un atto santo. L'ascetismo ha caratterizzato gran parte del misticismo ebraico, siano essi Cabala spagnola o Hasidut tedesco (cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 229ss.). La tendenza risale ai tempi del misticismo [[w:Gaon|Geonim]] e [[w:Heikhalot|Hekhalot]] (cfr. Scholem, ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 49-50). Anche se tale ascetismo molto precede Nahmanide, la sua approvazione gli ha conferito l'ulteriore autorità della sua statura di halakhista.
'''[7.4]''' Nahmanide considera il ritorno del nazireo nel mondo ordinario come una peccaminosa discesa da un piano spirituale superiore:
{{citazione|Il motivo dell'offerta per il peccato (''hat’at'') che il nazireo offre il giorno del compimento del suo voto nazireico non è stato spiegato. Secondo il significato semplice... è giusto che sia nazireo e sia santificato a Dio... Anzi, ha bisogno dell'espiazione per tornare nell'impurità dei piaceri del mondo.|CT: {{passo biblico2|Numeri|6:11}} - II, 215}}
'''[7.5]''' Nahmanide non può dire che ogni comandamento deve essere eseguito con la giusta intenzione per essere legalmente valido, ma indica che la piena realizzazione dei comandamenti richiede la giusta intenzione:
{{citazione|È noto che chi esegue un comandamento ma non lo comprende non lo ha adempiuto completamente (''bi-shlemut'')... Perché sei obbligato a ricordare il grande miracolo compiuto per te.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}}
Agire senza consapevolezza dell'intento dell'atto significa non soddisfare il requisito stesso del comandamento in questione. Per Nahmanide, l'intenzione qui non significa contemplazione astratta della divinità, ma concentrazione sul miracolo specifico che l'atto commemora.
'''[7.6]''' Il livello di intenzione (''kavvanah'') che si deve avere per adempiere un comandamento è oggetto di un lungo e inconcludente dibattito nel Talmud (B. Rosh Hashanah 28a ''et seq.''). Per Nahmanide l'intenzione è fondamentale nel permetterci di riconoscere la volontà di Dio come fonte di un comandamento e la sapienza di Dio nella specificazione del suo scopo. Attraverso l'intenzione, per così dire, si segue il proposito di Dio. Ammettendo che ci sono molte opinioni sull'argomento ''kavvanah'', Nahmanide fonda un argomento massimalista su un brano della Mishnah: "Se uno leggesse la Torah [Dt. 6:4-9, contenuto testuale dello Shema] e giungesse l'ora della recita liturgica dello [[w:Shemà|Shema]], se il cuore ha inteso questo comandamento specifico, lo ha adempiuto; se no, non l'ha adempiuto" [M. Berakhot 2.1].
{{citazione|Riguardo alla questione dell'intenzione nel suonare lo [[w:shofar|shofar]]: se lo si suona solo per fare un suono musicale, la questione è dibattuta nel Talmud e tra i Geonim... Rabbenu Hai scrisse che anche se è legge che se si esegue un comandamento senza l'intenzione lo ha comunque adempiuto, tuttavia, quando si eseguono i comandamenti, si abbia regolarmente intenzione di farlo. In tutta umiltà, abbiamo una prova per il punto di vista dell'autore di ''Halakhot Gedolot'' [che accetta la visione massimalista alla fine del suo trattamento delle leggi di [[w:Rosh haShana|Rosh haShanah]]] dalla legge all'inizio del secondo capitolo della Mishnah, Berakhot [riguardo allo ''Shema''].|KR: ''Sermone per Rosh HaShanah'' - I, 241}}
Nahmanide confessa di non poter presumere di aver risolto il dibattito pratico tra i Geonim, ma teologicamente ha certamente risolto la questione. Coloro che sono stati influenzati dalla tradizione cabalistica, di cui Nahmanide era una fonte così importante, sottolineavano la necessità della ''kavvanah'', non solo su basi teologiche generali, ma anche su basi halakhiche specifiche, ove possibile (cfr. sopecialm., Joseph Karo, ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4; anche, R. J. Z. Werblowsky, ''Joseph Karo: Lawyer and Mystic'' [Philadelphia: JPS, 1977], 162-63).
'''[7.7]''' Nel significato che assegna a ''kavvanah'', Nahmanide non è d'accordo con Maimonide sul versetto, "servirlo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}). Maimonide interpreta il commento rabbinico su questo versetto, "questa è preghiera... il servizio del cuore" (''Sifre'': Devarim, n. 41, ed. Finkelstein, 87-88; B. Ta‘anit 2a) come se vi trovasse un mandato letterale per la preghiera (''Sefer ha-Mitzvot'', pos. n. 5), sebbene il contenuto effettivo del culto formale sia formulato dai Rabbini (''Hilkhot Tefillah'', 1.1). Nahmanide vede il versetto come riferito a tutti i comandamenti della Torah. Per lui l'allusione alla preghiera è un'inferenza omiletica (''’asmakhta''):
{{citazione|Il significato essenziale del versetto "servendolo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}) è che è comandamento positivo che tutte le nostre opere siano per Dio, sia Egli esaltato, siano fatte con tutto il nostro cuore. Ciò significa con intenzione corretta e piena, per l'amor di Dio e senza alcun pensiero malvagio. Non dobbiamo eseguire i comandamenti senza intenzione o dubitare che abbiano qualche beneficio (''to‘elet'').|''Note a Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', pos. n. 5, p. 156}}
'''[7.8]''' L'intenzione è così centrale che l'adempimento di un comandamento per la ragione sbagliata può essere un peccato. Quindi la schiavitù egizia degli israeliti faceva parte del piano divino, ma comunque peccaminosa:
{{citazione|Così, quando Dio decretò la servitù di Israele in Egitto, essi andarono e li resero schiavi con la forza... Quando il decreto esce per mezzo di un profeta... c'è merito nell'eseguirlo... ma se uno udisse il comandamento [di uccidere] e allora uccidesse per odio o per saccheggio, sarebbe punito, poiché il suo intento è peccaminoso. Poiché gli [[w:Antico Egitto|egizi]] sapevano che era un comandamento del Signore [che Israele fosse reso schiavo da loro].|CT: {{passo biblico2|Genesi|15:14}} - I, 94}}
'''[7.9]''' Poiché il fondamento della Torah, che è la sovranità di Dio sull'universo, è noto attraverso l'esperienza storica, l'affermazione di tale esperienza ha la priorità anche sullo studio dei precetti della Torah. L'esperienza storica ''par excellence'' è la teofania al Sinai. Così i Rabbini chiariscono il versetto: "Soltanto, bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull'anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli" ({{passo biblico2|Dt|4:9}}) intendendo il dovere di educare la propria progenie ai precetti della Torah (B. Kiddushin 30a). Ma Nahmanide tratta questa glossa come omiletica (''asmakhta''). Trova il comandamento letterale a un livello molto più profondo:
{{citazione|Il secondo comandamento è che non dimentichiamo la teofania al Monte Sinai... perché è un principio fondamentale (''yesod gadol'') della Torah... Non commettere l'errore di interpretare questo versetto come una semplice omelia sull'insegnamento della Torah ai propri pronipoti. Perché la fede nella stessa Torah (''emunat ha-Torah'') è ciò che qui si intende per studio della Torah... Questo è ciò che deve essere trasmesso di generazione in generazione.|''Note su Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'': Addenda, neg. n. 2, p. 396}}
L'esistenza, la potenza e la volontà di Dio furono rivelate a Israele sul Sinai: "Essi sono coloro che conoscono e sono i testimoni (''‘edim'') di tutte queste cose" (CT: {{passo biblico2|Esodo|20:2}} - I, 388). La testimonianza di Israele è storica. Un testimone è colui che fu presente a un evento e lo segnala alla comunità. Gli eventi richiedono testimoni perché sono singolari. Coloro che non sono effettivamente presenti devono imparare dai resoconti di coloro di cui possono fidarsi. Con i processi ordinari della natura, non sono richiesti testimoni speciali. Perché questi sono accessibili a tutti. Nessuno ha bisogno di impararli da una storia raccontata da qualcun altro. La dimostrazione scientifica presuppone che ciò che riporta sia, almeno in linea di principio, accessibile a qualsiasi osservatore. Poiché i principi che mostra sono sempre presenti, anche se non lo sono i fenomeni che li manifestano.
La differenza tra testimonianza storica e dimostrazione scientifica è esemplificata nella discussione rabbinica sull'istituzione della determinazione dell'ora esatta del [[:en:w:New moon#Hebrew calendar|Novilunio]], punto di riferimento chiave nella regolazione del [[w:calendario ebraico|calendario ebraico]]. (Per il contesto storico, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' [New York, 1949] XIII). Per i Rabbini, l'obbligo di testimoni oculari per l'apparizione della Luna Nuova (M. Rosh Hashanah 1.6 ''et seq.'') non è un ''sine qua non'' per scopi calendariali (B. Betsah 4b). I testimoni sono preferiti quando il Sinedrio è effettivamente in funzione nella Terra d'Israele. Ma altrimenti i calcoli fatti dai Rabbini in epoca talmudica fissano il calendario ebraico (cfr. ''Note su Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', pos. n. 153, p. 214 e testo di Maimonide alle pp. 211-12): la questione è essenzialmente di dimostrazione scientifica (Maimonide, ''Hilkhot Qiddush ha-Hodesh'', 1.6; 5.2-3; 11.1-4; 17.24), non di esperienza singolare. Nel contesto storico i testimoni ''affermano'' ciò che deve essere conosciuto dagli altri; nel contesto scientifico i testimoni si limitano a ''confermare'' ciò che gli altri in linea di principio possono conoscere da soli.
Trattando il ruolo della testimonianza nella rivelazione, Nahmanide segue Judah Ha-Levi, per il quale l'ebraismo si basa in definitiva sulla teofania del Sinai e sulla testimonianza dell'intero popolo d'Israele, che l'ha vissuta (''Kuzari'', 1.48). La presenza di Dio si manifesta in eventi storici unici. Per Maimonide, invece, il contenuto stesso della teofania del Sinai è credibile perché i primi due comandamenti del decalogo sono verità razionalmente evidenti che fondano tutti gli altri comandamenti: quelli positivi sulla base di "Io sono il Signore Dio tuo"; il negativo, sulla base di "non ci saranno altri dèi" (''Moreh Nevukhim'', 2.33; ''Sefer ha-Mitsvot'', pos. n. 1, neg. n. 1; ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 1.6; cfr. la fonte talmudica di questa opinione, B. Makkot 24a, dove il fondamento di questi due comandamenti nella rivelazione è l'enfasi principale). Per Maimonide è la certezza razionale che esenta l'esperienza del Sinai dall'accusa che potrebbe essere stata un'illusione di massa (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 8.1-3). La realtà di Dio è conosciuta attraverso l'apprensione della natura da parte della ragione. Quindi la testimonianza storica ha il ruolo secondario che i testimoni svolgono nell'accertamento del [[w:Novilunio|Novilunio]]. Inoltre, sostiene Maimonide, la testimonianza non è di per sé dimostrabile razionalmente. È solo più o meno credibile. Così Maimonide designa l'intera istituzione giuridica della testimonianza (''‘edut'') come quella che ci è comandato di accettare, nonostante l'indimostrabilità di ciò che è testimoniato e la costante possibilità di inganno o illusione (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7,7; ''Hilkhot ‘Edut'', 18.3; ''Hilkhot Sanhedrin'', 18.6). Per Ha-Levi e Nahmanide l'evento della rivelazione è il fondamento del suo contenuto. Per Maimonide, l'evento della rivelazione è l'occasione in cui ciò che è sempre stato vero in linea di principio (''ratio per se'') viene da noi scoperto (''ratio quoad nos'').
'''[7.10]''' Per Nahmanide, l'esperienza umana del mondo si articola su tre livelli fondamentali: 1) esperienza ordinaria dell'ordine naturale familiare; 2) miracoli pubblici, dove la potenza di Dio sconvolge l'ordinario stato della natura, in modo da far balzare coloro che vivono questi grandi eventi ad una maggiore consapevolezza dell'opera di Dio nel mondo; e 3) miracoli segreti, che manifestano la costante provvidenza di Dio. L'azione umana, come strutturata dalla Torah nei suoi comandamenti, è correlata a questi tre livelli di esperienza; sono correlati, in quanto un comandamento può avere diverse ragioni.
{{citazione|Ciascuno dei comandamenti del Signore ha molte ragioni. Per ognuno ha molti benefici (''to‘elet''), sia per il corpo che per l'anima.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}} - I, 411}}
'''[7.11]''' Sebbene Nahmanide accetti molteplici ragioni per ogni comandamento, rifiuta le ragioni che considera pretestuose:
{{citazione|La motivazione di Maimonide per i sacrifici [''Moreh'', 3.46]... è vana speculazione (''divrei hav’ai'')... Meglio ascoltare la ragione di chi dice che è perché le azioni di un essere umano sono costituite da pensiero, parola e azione, così Dio ha comandato che quando qualcuno pecca, deve portare un sacrificio e premervi sopra le mani, per dar significato all'atto (''ke-neged ha-ma‘aseh''), confessare con la sua bocca, per significare la parola, e bruciare le viscere e i reni, che sono gli organi del pensiero e del desiderio... Queste parole sono facilmente accessibili e attirano il cuore come le parole dell'Aggadah [cfr. B. Shabbat 87a; B. Baba Batra 10a rif. {{passo biblico2|Proverbi|3:35}}]. Ma in termini di verità superiore (''‘al derekh ha’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') nei sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
Il punto di vista di Maimonide che Nahmanide critica qui è che i sacrifici erano storicamente necessari, come forma di culto a cui il popolo d'Israele era abituato. Erano un compromesso con la realtà culturale, ma accuratamente epurati da ogni associazione idolatrica. Nahmanide obietta che il culto sacrificale è troppo centrale nell'ebraismo perché una logica così storicamente contingente sia vera. Sarebbe preferibile una seconda linea di interpretazione (l'autore della quale non nomina, sebbene assomigli a un approccio suggerito nel ''Commentario alla Torah'' di Ibn Ezra: Lev. 1:4 dopo Vayiqra Rabbah 7.3): che i sacrifici simboleggiano la vera contrizione e uno spirito di sacrificio di sé nel presentarsi davanti a Dio. Lo stesso punto è poi sottolineato dallo ''[[Zohar]]'' (Vayiqra, 3:9b e dal ''Commentario alla Torah'' di Bahya ben Asher su questo stesso versetto). Ma Nahmanide trova il significato più profondo dei sacrifici in una realtà divina. In sostanza, sostiene, soddisfano i bisogni divini. Questo è il punto di vista della Cabala, e l'approccio di Nahmanide qui influenzò profondamente i cabalisti successivi (cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.194ss.)
'''[7.12]''' Nonostante il rifiuto da parte di Nahmanide della logica generale di Maimonide per il sistema sacrificale, egli concorda sul fatto che Maimonide avesse ragione nell'interpretare alcuni divieti del culto come anti-idolatrici nell'intento:
{{citazione|È plausibile (''yitakhen'') interpretare i divieti di lievito e miele sull'altare come fa Maimonide nel ''Moreh Nevukhim'' [3.46], quando afferma di aver trovato nei libri degli antichi idolatri che era loro abitudine, praticando l'adorazione pagana, offrire le loro offerte di cibo in forma lievitata e mescolare il miele in tutti i loro sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|2:2}} - II, 17-18}}
'''[7.13]''' Una teologia che trova ragioni per i comandamenti di Dio non può vederli come semplici decreti positivi. Piuttosto, devono essere visti come garantiti o dai benefici che apportano nel migliorare le relazioni umane, o dal bene che apportano alla relazione tra Dio e uomo. Quest'ultimo rapporto, costituito dalla rivelazione, è immutabile. Ma in fondo tutti i comandamenti costituiscono il rapporto tra Dio e uomo. Quindi tutti sono immutabili (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:26}} - I, 361). Non possono essere abrogati dalla mera autorità umana. Perché la determinazione divina di ciò che è bene per l'uomo ha sempre la precedenza sulle nozioni umane. Le proiezioni umane di ciò che è bene per gli esseri umani sono ancora essenzialmente umane, quindi sono soggette all'abrogazione umana. Nahmanide sottolinea la distinzione in un'analisi halakhica dei giuramenti:
{{citazione|Alcuni dicono che [il giuramento di accettare la Torah al Monte Sinai] sia stato fatto con il consenso divino (''‘al da‘at ha-Maqom'')... e che il consenso di Mosè non fosse necessario, se non in quanto si fece portavoce della corte [umana] al loro Padre celeste... C'è un interprete che dice che il testo talmudico corretto recita "per consenso divino e quello del suo entourage angelico (''u-famaliah shelo'')", ma ciò è errato... Un interprete dice che la regola che i giuramenti comunitari a Dio possono essere revocati non si applica a nessun comandamento di Dio, perché ciò che è giurato secondo la volontà di Dio (''‘al da‘ato'') non può essere annullato (''hafarah''), dato che i Suoi comandamenti sono per sempre. Perché "Dio non è un uomo, da poter mentire" ({{passo biblico2|Numeri|23:19}}). Ma ciò che la comunità fa voti in materie ritenute facoltative (''bi-dvar reshut''), dove hanno collegato il loro consenso con quello di Dio, può essere abrogato e possono accettare di consentirne la violazione... e Dio concorda con la loro decisione. A me sembra che la giusta formula legale per tali giuramenti debba essere: "Per consenso divino e quello della congregazione (''kenesset'') d'Israele con Lui"... Cioè, il consenso di molti. Tuttavia, ciò che la comunità giura invocando il consenso divino, quello lo possono abrogare (''yesh hetter''). Perché non si sono proibiti di cambiarla, in quanto loro stessi l'hanno iniziata.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Shevu‘ot 29b, pp. 112-13}}
{{citazione|Quando si dice nel Talmud [B. Shevu‘ot 29b] che "col consenso di Dio" significa ciò che non può essere abrogato, colui che ha affermato ciò presumeva che ciò si applicasse solo al giuramento implicato nell'accettazione della Torah. Poiché Dio non accetterebbe di annullare (''le-vattel'') nemmeno una lettera della Torah. Ma in una questione essenzialmente facoltativa, Dio riconoscerebbe la necessità di proibire qualcosa ora e poi permetterlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 287}}
Pertanto, sebbene Nahmanide veda la legislazione rabbinica come un'espressione della legge divina (''Note sul Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', shoresh 1), vede una differenza tra la legge scritturale e quella rabbinica, in quanto la legge rabbinica può essere abrogata.
'''[7.14]''' Per Nahmanide, quindi, Dio decreta nella Torah ciò che vede è necessario agli esseri umani. Ma permette alle autorità umane di emanare i propri, mutevoli decreti in quelle aree non determinate dai mandati della Torah. Dio non solo permette, ma ordina specificamente questa attività, impartendo così autorità divina alle leggi umane:
{{citazione|Inoltre, "per consenso divino" è annesso anche ai comandamenti rabbinici. Perché se si dovesse dire che il consenso divino è menzionato solo nel giuramento che Mosè fece fare a Israele... ma non è annesso ai nostri giuramenti e condanne (''ve-haramim''), allora perché i nostri antenati menzionarono il consenso divino in relazione a [ loro] proibizioni — a meno che Dio non fosse d'accordo? Egli, esaltato sia il Suo Nome, concorre a che facciamo ciò che è buono e giusto ai Suoi occhi e agli occhi degli esseri umani.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 299}}
'''[7.15]''' I comandamenti specifici non presuppongono miracoli né segreti né pubblici. La maggior parte presume l'ordine ordinario della natura. Si può vedere che un certo numero di comandamenti serve ai bisogni umani ordinari. Nahmanide, che è spesso considerato un anti-razionalista, trova la legge naturale nella stessa Torah. È abbastanza aperto su questo in un certo numero di punti, specialmente nel suo ''Commentario alla Torah''. Riguardo alla punizione della generazione del Diluvio, scrive:
{{citazione|Infatti contro di loro non fu decretata punizione se non per la violenza (''hamas''). Per questo [l'inaccettabilità dell'illegalità] è una questione razionale (''‘inyan muskal'') che non dipende dalla rivelazione (Torah).|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}} - I, 48}}
'''[7.16]''' Seguendo una tendenza evidente nella teoria della legge naturale sin dai tempi dei filosofi stoici e dei giuristi romani, Nahmanide considera il divieto della violenza anarchica riconosciuto dal pubblico consenso e ben noto alla ragione:
{{citazione|La violenza è rapina e oppressione... un peccato che è noto e pubblicamente riconosciuto (''mefursam'')... perché è un comandamento razionale (''mitsvah muskelet''), la cui proibizione non ha bisogno di un comandamento profetico.|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - I, 52}}
'''[7.17]''' Per quanto riguarda le regole razionali, Nahmanide trova a volte un precedente negli standard morali degli antichi (CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119). Egli vede persino contenuti razionali in ''mitsvot'' non solitamente ritenute comandamenti razionali:
{{citazione|Infatti gli antichi saggi, prima del dono della Torah, sapevano che c'è una grande utilità (''to‘elet'') nel [[w:levirato |matrimonio levirato]].|CT: {{passo biblico2|Genesi|29:27}} - I, 215}}
'''[7.18]''' La legge naturale universalmente accettata è il requisito minimo per gli ebrei, notevolmente integrato dalla legge rivelata della Torah:
{{citazione|Così trovi che i patriarchi e i profeti si comportarono in modo morale universalmente accettato (''derekh erets'')... se i patriarchi e i profeti che vennero a fare la volontà di Dio si comportarono in modo morale universalmente accettato, quanto più dovrebbero le persone ordinarie.|CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} - I, 334}}
'''[7.19]''' La rivelazione ebraica condivide molti punti generali con la legge naturale e con la legge noachica. Il suo vantaggio sta nelle sue particolarità rivelate. Proprio come la superiorità degli esseri umani sugli animali è evidenziata dalla speciale provvidenza di cui godono, così le particolarità della legge rivelata mostrano la superiorità di Israele sulle altre nazioni:
{{citazione|Da ciò si vede [la presentazione delle leggi noachiche in B. Sanhedrin 56b] che ai noachidi furono dati i loro comandamenti in generale (''bi-khelalut'') non in termini specifici... Quindi il popolo aveva solo comandamenti generali fino a quando non giunse al Monte Sinai, dove i comandamenti furono esplicitati per loro nelle particolarità... Ora tutte queste questioni [leggi civili e penali] sono raggruppate in una categoria generale, ''mishpat''.|''Note al Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', shoresh 14, p. 143}}
Il teologo ebreo spagnolo del XV secolo, [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], fece più o meno lo stesso punto sulla superiorità della legge divina sulla legge naturale e sulla legge umana positiva (''Sefer ha-‘Iqqarim'', 1.8; cfr. [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]], ''[[w:Summa Theologiae|Summa Theologiae]]'', 2-1, q. 99, a. 2). Ma non menziona Nahmanide come fonte del suo punto di vista. Nel mantenere la suprema superiorità di un ricco sistema di precetti specifici su un corpo di generalità morali, Nahmanide fu sicuramente influenzato dall'apertura di ''Kuzari'' (1, intro.) di Judah Ha-Levi, dove al re dei Khazari dalla mentalità filosofica vien detto in un sogno che Dio approva le sue intenzioni generali ma non le sue azioni specifiche. È questa critica che lancia la ricerca che infine porta il re all'ebraismo.
'''[7.20]''' Anche se la giustizia naturale sembra essere una realtà essenzialmente umana, gli esseri umani sono capaci di giustizia solo in virtù di un ''telos'' unico, che è l'essere vicini a Dio. Quindi, ci distinguiamo dagli animali sia teologicamente che moralmente. Delucidando l'osservazione di Elihu nel [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]] secondo cui Dio " ci rende più istruiti delle bestie selvatiche e ci rende più saggi degli uccelli del cielo" ({{passo biblico2|Giobbe|35:11}}), Nahmanide spiega:
{{citazione|Elihu dice che Dio ci ha insegnato a conoscerLo e a diventare saggi riguardo alle Sue azioni in modi che gli animali non lo sono. Per questo non ha voluto che ci danneggiassimo a vicenda, istinto che ha posto negli animali, in modo che si sbranino a vicenda... Elihu disse questo per spiegare il motivo della provvidenza individuale: perché riconosciamo il nostro Creatore e acquisiamo saggezza riguardo alle Sue azioni, siamo soggetti ai Suoi comandamenti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 35:11 - I, 106-07}}
L'argomentazione presuppone che anche prima della consegna della Torah vi fosse un naturale riconoscimento umano di giustizia elementare, basato sul riconoscimento dell'ordine della creazione, che era riconosciuto come opera di Dio.
'''[7.21]''' Nahmanide sottolinea che i comandamenti dati poco prima della rivelazione della Torah al Sinai non sono la Torah in senso stretto, ma una sorta di preparazione morale. Non sono nemmeno distintamente ebraici:
{{citazione|Questi erano ammonimenti morali, affinché non diventassero come i campi dei predoni che commettono spudoratamente ogni tipo di atrocità... Questi non sono gli statuti e le ordinanze della Torah. Sono regolamenti civili (''hanhagot ve-yishuv ha-medinot'') simili ai termini stabiliti da Giosuè, come ricordavano i saggi.|CT: {{passo biblico2|Esodo|15:25}} - I, 359}}
Sebbene i termini stabiliti da Giosuè fossero chiaramente stipulati in relazione all'ingresso degli israeliti nella Terra d'Israele (B. Baba Kama 80b-81a), Maimonide dice che si applicano ovunque (''Hilkhot Nizqei Mamon'', 5.5). In tal caso, il loro appello deve essere rivolto al ragionamento universale. Qui Nahmanide segue il punto di vista di [[Maimonide]].
'''[7.22]''' Ancora, come Maimonide, sottolinea che il diritto civile e penale servono a mantenere una società armoniosa:
{{citazione|In un senso letterale, "i miei giudizi" (''mishpatai'') significa proprio diritto civile e penale (''ha-dinin'')... Pertanto, dice, "che un uomo compie e quindi vive". Poiché queste leggi furono date per la vita dell'uomo, per favorire la sua vita civile e per amore della pace.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:4}} - II, 99-100}}
'''[7.23]''' Nahmanide ritorna a questo punto distinguendo queste leggi, le cui ragioni sono evidenti a tutti, dagli statuti (''huqqim'') le cui ragioni sono evidenti solo attraverso la conoscenza esoterica:
{{citazione|Perché gli satuti (''huqqim'') sono comandamenti le cui ragioni non sono state rivelate alle masse, gli sciocchi li disprezzano... ma le ordinanze (''mishpatim'') sono qualcosa che tutti vogliono e necessitano, perché le persone non hanno civiltà o società senza lo stato di diritto (''mishpat'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}} - II, 187}}
'''[7.24]''' I Sette Comandamenti Noachici appartengono alla legge naturale; sono razionalmente evidenti:
{{citazione|Queste questioni [immoralità sessuale e rapina] e il resto dei Sette Comandamenti furono comandati dal tempo del primo essere umano. I rabbini li derivarono da accenni nel versetto ({{passo biblico2|Genesi|2:16}}) "E il Signore Dio comandò agli umani [''ha-’adam''] dicendo [di ogni albero del giardino puoi mangiare, ma dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male non devi mangiare]". Ma Dio non elaborò loro tali questioni, perché le elaborazioni ci furono date al Sinai. A prima vista, questi comandamenti sono razionali (''sikhliyot''). E ogni creatura che riconosce il suo Creatore dovrebbe considerarsi vincolata da loro (''lee-zaher'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 173}}
La distinzione dei "comandamenti razionali" (''sikhliyot'') da quelli conosciuti solo dalla rivelazione (''shim‘iyot'') è operata da Saadyah Gaon (''ED'', 3.3; vedere J. Faur, ''‘Iyyunim be-Mishneh Torah le-ha-Rambam'' [Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1978], 115ss.). Ma per Saadyah i comandamenti razionali riguardano sia i rapporti umani che il nostro rapporto con Dio (''ED'', 3.1). Ogni area dell'esistenza umana ammette una comprensione razionale. Non vi è alcuna differenza oggettiva tra ciò che viene dalla ragione e ciò che viene dalla rivelazione (''ED'', Introduzione, 6). La differenza tra ragione e rivelazione sta nel modo in cui essenzialmente si raggiunge la stessa verità. Con la ragione, il conoscitore umano è lo scopritore attivo della verità; con la rivelazione, il conoscitore umano è più passivo, un destinatario della verità. Ma per Nahmanide i comandamenti razionali riguardano solo le relazioni umane, e anche lì solo in parte. Per quanto riguarda la nostra relazione con Dio, la rivelazione non solo svela ciò che è già presente, ma stabilisce la relazione. Come la creazione, istituisce una nuova realtà piuttosto che descriverne una vecchia. Così Nahmanide trae l'etimologia della parola "alleanza" (''berit'') da "creazione" (''beriyyato shel ‘olam'') [CT:intro. - I, 4 secondo Shir ha-Shirim Rabbah 1.29 rif. {{passo biblico2|Dt|4:13}}].
Questa enfasi storica non è in definitiva coerente con la dottrina cabalistica secondo cui la Torah è la rivelazione dell'essere ''primordiale'' di Dio. Perché nella dottrina cabalistica, tutti i comandamenti sono partecipazioni a quella vita divina, quindi possono essere radicalmente nuovi e nessuno riguarda essenzialmente una realtà interumana. Per quanto ne so, Nahmanide non è mai riuscito a superare l'inconsistenzaè nella sua teologia, come fece invece l'autore dello ''[[Zohar]]'', in effetti, eliminando del tutto la categoria dei comandamenti razionali. Maimonide, d'altra parte, eliminò anche la distinzione, per così dire dalla direzione opposta, vedendo tutti i comandamenti come razionali in sostanza. Cfr. I. Twersky, ''Introduction to the Code of Maimonides'' (New Haven: Yale University Press, 1980) 458-59.
'''[7.25]''' Nahmanide fa la stessa distinzione nel differenziare un [[w:Noachismo|noachide]] ordinario da un residente-alieno (''ger toshav''), uno che osserva come rivelazione divina i Sette Comandamenti come intesi dalle autorità ebraiche. Il noachide ordinario li osserva semplicemente perché sono razionali (cfr. Maimonide, ''Hilkhot Melkahim'', 8.10-11).
{{citazione|Sia ben noto che il noachide menzionato in tutto il Talmud ''è'' un residente-alieno, a parte i fatto che un noachide è colui che si comporta semplicemente in modo appropriato (''ke-hogan'') verso i suoi simili secondo questi comandamenti, mentre un residente-alieno in realtà venne in una corte ebraica e l'accettò formalmente. Questo va oltre la pratica di altri noachidi, che non l'accettarono formalmente. È più puntiglioso (''medaqdeq'') su di loro... Gli altri noachidi sono nella categoria di coloro che osservano anche se in realtà non vien loro comandato di farlo [B. ‘Avodah Zarah 2b-3a]. Ma il residente-alieno, che li ha accettati in una corte ebraica, è colui che osserva questi comandamenti come comandamenti.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': B. Makkot 9a, p. 61}}
'''[7.26]''' Anche la legge naturale per Nahmanide non è semplicemente naturale. Fa parte del piano di Dio per l'ordine creato:
{{citazione|È scopo di Dio comandare che sia fatta giustizia tra le Sue creature. Poiché questo è il motivo per cui le ha create: che ci debba essere giustizia ed equità tra loro... Se ti fai prendere dal panico e fai violenza, hai peccato contro il Signore e hai violato il Suo mandato.|CT: {{passo biblico2|Dt|1:17}} - II, 349}}
'''[7.27]''' ''Imitatio Dei'', inoltre, richiede un'applicazione visionaria in circostanze concrete, specifiche, dei principi generali di giustizia ed equità enunciati nella Torah:
{{citazione|Anche quando Dio non ti ha comandato in modo specifico, dovrebbe comunque essere tua intenzione fare ciò che è buono e giusto (''yashar'') ai Suoi occhi. Perché Egli ama il bene e il giusto. Questo è un principio fondamentale. Perché è impossibile per la Torah comandare tutte le azioni umane e ordinare ogni singola interazione di un essere umano con un altro, regolare ogni transazione commerciale e migliorare ogni questione sociale e politica.|CT: {{passo biblico2|Dt|6:18}} - II, 376}}
In CT: {{passo biblico2|Levitico|19:2}} (II, 115) Nahmanide espose la necessità di un ordinamento delle pratiche sessuali e rituali consentite, secondo il fine più ampio della santità. Qui spiega l'ordinamento delle pratiche sociali e commerciali consentite, ai sensi del fine generale della giustizia. La legge naturale è vista come una partecipazione alla sapienza creatrice di Dio, che governa l'universo.
'''[7.28]''' Anche l'osservanza di tali "leggi naturali" implica la divina provvidenza:
{{citazione|In verità, tutto questo è un grande privilegio dei giudici d'Israele e l'assicurazione che Dio conferma la loro autorità [''maskeem ‘al yadam''] ed è con loro in materia di vero giudizio.|CT: {{passo biblico2|Dt|19:19}} - II, 434}}
L'espressione "conferma la loro autorità" riecheggia il detto talmudico secondo cui Dio, dopo il fatto, confermò la decisione di Mosè di infrangere le prime tavole dei Dieci Comandamenti ({{passo biblico2|Esodo|32:19}}). Mosè aveva agito in base alla propria valutazione dei "bisogni dell'ora", non sulla base di un decreto divino, quando vide il popolo adorare il [[w:Vitello d'oro|Vitello d'oro]] (B. Shabbat 87a). C'è molta discussione nelle fonti rabbiniche su tali giudizi personali in tempi di crisi: l'integrità giudiziaria e la discrezione devono essere considerate affidabili nei casi che la legge non può coprire in modo specifico (B. Sanhedrin 46a). Ma c'è il pericolo sempre presente di abusi di potere e una mentalità ''vigilante'' che mette a repentaglio lo stato di diritto (B. Sanhedrin 82a; Maimonide, ''Hilkhot Sanhedrin'', 24.4, 10). Per Nahmanide, a quanto pare, la migliore garanzia che i giudici useranno la loro discrezione in modo responsabile è che siano pienamente consapevoli che il loro ruolo è di ''imitatio Dei'' (KR: ''Torat ha-’Adam'' - II, 41).
'''[7.29]''' La continuità tra i beni naturali e soprannaturali si vede nel modo in cui i comandamenti servono a fini sia corporali che spirituali:
{{citazione|Ancora una volta la Torah illumina i nostri occhi sul mistero della generazione... e così è con tutte le vie della Torah. Infatti comanda tutte le cose buone per il corpo secondo l'ordine familiare del mondo, e tutte le cose buone per l'anima in relazione alla sua natura e all'osservanza dei comandamenti. Poiché è noto che questi alimenti sono buoni per la salute e per la guarigione. Altri cibi sono dannosi per l'anima a causa dei tratti che generano... I rapaci sono crudeli e il loro sangue e la loro carne generano crudeltà nell'anima. A Israele è comandato di essere compassionevoli e amarsi gli uni con gli altri. Quindi fu giusto (''ra’ui'') che questo fosse loro proibito... Perché tutte le vie della Torah forniscono un beneficio (''to‘elet) al corpo e all'anima. Questo ordinò il Medico che sa come si formano le creature.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 166-67}}
Il medico, ovviamente, è Dio.
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 7]]
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Портрет раввина.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di Franz Obermüller (c.1900)]]
== I Comandamenti ==
'''[7.1]''' Il nostro rapporto con Dio è fondato sulla fede. La fede (''emunah'') non è solo uno stato di coscienza; implica la pratica. Tutti i comandamenti della Torah sono atti di fede. La loro corretta esecuzione deve riconoscere Dio per Quello che è e accettarLo per Colui che è, il Dio che si è rivelato a Israele nei miracoli pubblici (''nissim mefursamim''). Poiché ciò che sappiamo di Dio viene dalla storia, il ''locus'' della fede è la memoria (Note sul ''Sefer ha-Mitsvot'' di Maimonide, pos. n. 1, p. 261). La fede si compie quando la memoria degli atti potenti di Dio è espressa nei comandamenti che commemorano quegli atti così come li ha sperimentati Israele:
{{citazione|Ci ha comandato di avere fede nelDio unico, che Egli sia esaltato: che esiste, che è Colui che comprende e può tutto. La nostra fede dovrebbe essere unita nell'intendere (''ye-she-niyyahed'') questi attributi, poiché ogni onore è Suo. Così ci ha comandato di onorare la menzione del suo Nome, di fare un segno e un ricordo perpetuo (''siman ve-zikaron tamid'') per farci sapere che Dio ha creato ogni cosa.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:8}} - I, 398}}
'''[7.2]''' L'accettazione dei comandamenti dipende dall'accoglienza della realtà di Dio e della Sua particolare provvidenza :
{{citazione|Dobbiamo credere che Dio conosce le persone individuali (''’ishim'') in tutte le loro particolarità, sia le persone celesti (''ha-‘elyonim'') che quelle terrene (''ve-ha-tahtonim''), le loro azioni e pensieri, passati, presenti e futuri. Perché egli è il loro creatore, il dispensatore dell'esistenza che ora hanno, il loro creatore dal nulla assoluto (''me-’afeisah muhletet'')... Da questo si passa alla fede nella provvidenza di Dio (''ha-hashgahah'')... donde noi possiamo affermare (''titkayyem'') la vera autorità della Torah e dei comandamenti. Poiché, fin quando crediamo che Dio ci conosce e si prende cura di noi, la nostra fede si estende alla profezia, e crediamo che Dio, sia Egli saltato, conosce e ama, comanda e ammonisce, cioè ci comanda di fare ciò che è buono e giusto e ci rimprovera di ciò che è male. Ci protegge e conserva per noi tutte le buone conseguenze menzionate nella Torah, e porterà sui trasgressori la punizione che ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
Per Nahmanide, "l'affermazione" (''qiyyum'') dell'autorità della Torah e dei comandamenti è un atto di fede, prima dell'adempimento di uno qualsiasi dei singoli comandamenti (CT: {{passo biblico2|Dt|27:26}} - II, 472; ''supra'', 2.24 ). È il lato cognitivo di ''kavvanah''. Emotivamente, bisogna dirigere il cuore a Dio. Dal punto di vista cognitivo, si deve conoscere quanto più umanamente possibile sul Dio a cui il proprio cuore è così diretto (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:2}} - I, 354-55 rif. ''Mekhilta'': Be-shalah, cur. Horovitz-Rabin, 128). Sia il lato cognitivo che quello emotivo della fede sono richiesti nella corretta osservanza dei comandamenti.
'''[7.3]''' Poiché tutti i comandamenti hanno ragioni, ciascuno con una funzione unica nell'economia divina del cosmo, si è obbligati a discernere la ragione di ogni comandamento e farne l'intenzione (''kavvanah'') della propria osservanza. Anche negli ambiti della vita che sono lasciati alla discrezione privata (''reshut''), si deve trovare la giusta intenzione verso il divino:
{{citazione|In effetti, si può essere miserabili (''naval'') mentre ci si conforma al comportamento consentito dalla Torah (''bi-reshut ha-Torah''). Così, specificati gli atti che proibisce assolutamente, la Scrittura ha comandato in termini più generali che si tenga le distanze anche da ciò che è permesso.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:1}} - II, 15}}
Nahmanides intende che si dovrebbe evitare l'eccesso e la volgarità anche nel mangiare, nel bere e nell'espressione sessuale consentiti. Perché il piacere fisico non è il ''summum bonum''. Nahmanide è favorevole all'opinione talmudica che il [[w:Nazireato|nazireo]] sia un santo, in contrasto con la visione talmudica alternativa secondo cui un tale asceta è un peccatore per aver negato a se stesso i piaceri che la Torah normalmente consente (B. Ta‘anit 10a e paralleli; per la critica dell'ascetismo, cfr. Y. Berakhot 2.9/5d; Y. Nedarim 9.1/41b; B. Baba Batra 60b; e soprattutto Maimonide, ''Shemonah Peraqim'', cap. 4, cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1965), 254 [cfr. ''Moreh'', 3.48]). Per Maimonide, la santità è in definitiva una collaborazione attiva con Dio, che cresce dal riconoscimento del governo creativo di Dio nel mondo (''Moreh'', 3.54, fine). Ciò che è richiesto per questo, come per tutta la pietà, non è l'ascesi, ma il ragionevole contenimento dell'eccesso (''Hilkhot De‘ot'', 1,4-6). Per Nahmanide, tuttavia, un ulteriore autocontrollo, per amore di Dio, può essere esso stesso un atto santo. L'ascetismo ha caratterizzato gran parte del misticismo ebraico, siano essi Cabala spagnola o Hasidut tedesco (cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 229ss.). La tendenza risale ai tempi del misticismo [[w:Gaon|Geonim]] e [[w:Heikhalot|Hekhalot]] (cfr. Scholem, ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 49-50). Anche se tale ascetismo molto precede Nahmanide, la sua approvazione gli ha conferito l'ulteriore autorità della sua statura di halakhista.
'''[7.4]''' Nahmanide considera il ritorno del nazireo nel mondo ordinario come una peccaminosa discesa da un piano spirituale superiore:
{{citazione|Il motivo dell'offerta per il peccato (''hat’at'') che il nazireo offre il giorno del compimento del suo voto nazireico non è stato spiegato. Secondo il significato semplice... è giusto che sia nazireo e sia santificato a Dio... Anzi, ha bisogno dell'espiazione per tornare nell'impurità dei piaceri del mondo.|CT: {{passo biblico2|Numeri|6:11}} - II, 215}}
'''[7.5]''' Nahmanide non può dire che ogni comandamento deve essere eseguito con la giusta intenzione per essere legalmente valido, ma indica che la piena realizzazione dei comandamenti richiede la giusta intenzione:
{{citazione|È noto che chi esegue un comandamento ma non lo comprende non lo ha adempiuto completamente (''bi-shlemut'')... Perché sei obbligato a ricordare il grande miracolo compiuto per te.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}}
Agire senza consapevolezza dell'intento dell'atto significa non soddisfare il requisito stesso del comandamento in questione. Per Nahmanide, l'intenzione qui non significa contemplazione astratta della divinità, ma concentrazione sul miracolo specifico che l'atto commemora.
'''[7.6]''' Il livello di intenzione (''kavvanah'') che si deve avere per adempiere un comandamento è oggetto di un lungo e inconcludente dibattito nel Talmud (B. Rosh Hashanah 28a ''et seq.''). Per Nahmanide l'intenzione è fondamentale nel permetterci di riconoscere la volontà di Dio come fonte di un comandamento e la sapienza di Dio nella specificazione del suo scopo. Attraverso l'intenzione, per così dire, si segue il proposito di Dio. Ammettendo che ci sono molte opinioni sull'argomento ''kavvanah'', Nahmanide fonda un argomento massimalista su un brano della Mishnah: "Se uno leggesse la Torah [Dt. 6:4-9, contenuto testuale dello Shema] e giungesse l'ora della recita liturgica dello [[w:Shemà|Shema]], se il cuore ha inteso questo comandamento specifico, lo ha adempiuto; se no, non l'ha adempiuto" [M. Berakhot 2.1].
{{citazione|Riguardo alla questione dell'intenzione nel suonare lo [[w:shofar|shofar]]: se lo si suona solo per fare un suono musicale, la questione è dibattuta nel Talmud e tra i Geonim... Rabbenu Hai scrisse che anche se è legge che se si esegue un comandamento senza l'intenzione lo ha comunque adempiuto, tuttavia, quando si eseguono i comandamenti, si abbia regolarmente intenzione di farlo. In tutta umiltà, abbiamo una prova per il punto di vista dell'autore di ''Halakhot Gedolot'' [che accetta la visione massimalista alla fine del suo trattamento delle leggi di [[w:Rosh haShana|Rosh haShanah]]] dalla legge all'inizio del secondo capitolo della Mishnah, Berakhot [riguardo allo ''Shema''].|KR: ''Sermone per Rosh HaShanah'' - I, 241}}
Nahmanide confessa di non poter presumere di aver risolto il dibattito pratico tra i Geonim, ma teologicamente ha certamente risolto la questione. Coloro che sono stati influenzati dalla tradizione cabalistica, di cui Nahmanide era una fonte così importante, sottolineavano la necessità della ''kavvanah'', non solo su basi teologiche generali, ma anche su basi halakhiche specifiche, ove possibile (cfr. sopecialm., Joseph Karo, ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4; anche, R. J. Z. Werblowsky, ''Joseph Karo: Lawyer and Mystic'' [Philadelphia: JPS, 1977], 162-63).
'''[7.7]''' Nel significato che assegna a ''kavvanah'', Nahmanide non è d'accordo con Maimonide sul versetto, "servirlo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}). Maimonide interpreta il commento rabbinico su questo versetto, "questa è preghiera... il servizio del cuore" (''Sifre'': Devarim, n. 41, ed. Finkelstein, 87-88; B. Ta‘anit 2a) come se vi trovasse un mandato letterale per la preghiera (''Sefer ha-Mitzvot'', pos. n. 5), sebbene il contenuto effettivo del culto formale sia formulato dai Rabbini (''Hilkhot Tefillah'', 1.1). Nahmanide vede il versetto come riferito a tutti i comandamenti della Torah. Per lui l'allusione alla preghiera è un'inferenza omiletica (''’asmakhta''):
{{citazione|Il significato essenziale del versetto "servendolo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}) è che è comandamento positivo che tutte le nostre opere siano per Dio, sia Egli esaltato, siano fatte con tutto il nostro cuore. Ciò significa con intenzione corretta e piena, per l'amor di Dio e senza alcun pensiero malvagio. Non dobbiamo eseguire i comandamenti senza intenzione o dubitare che abbiano qualche beneficio (''to‘elet'').|''Note a Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', pos. n. 5, p. 156}}
'''[7.8]''' L'intenzione è così centrale che l'adempimento di un comandamento per la ragione sbagliata può essere un peccato. Quindi la schiavitù egizia degli israeliti faceva parte del piano divino, ma comunque peccaminosa:
{{citazione|Così, quando Dio decretò la servitù di Israele in Egitto, essi andarono e li resero schiavi con la forza... Quando il decreto esce per mezzo di un profeta... c'è merito nell'eseguirlo... ma se uno udisse il comandamento [di uccidere] e allora uccidesse per odio o per saccheggio, sarebbe punito, poiché il suo intento è peccaminoso. Poiché gli [[w:Antico Egitto|egizi]] sapevano che era un comandamento del Signore [che Israele fosse reso schiavo da loro].|CT: {{passo biblico2|Genesi|15:14}} - I, 94}}
'''[7.9]''' Poiché il fondamento della Torah, che è la sovranità di Dio sull'universo, è noto attraverso l'esperienza storica, l'affermazione di tale esperienza ha la priorità anche sullo studio dei precetti della Torah. L'esperienza storica ''par excellence'' è la teofania al Sinai. Così i Rabbini chiariscono il versetto: "Soltanto, bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull'anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli" ({{passo biblico2|Dt|4:9}}) intendendo il dovere di educare la propria progenie ai precetti della Torah (B. Kiddushin 30a). Ma Nahmanide tratta questa glossa come omiletica (''asmakhta''). Trova il comandamento letterale a un livello molto più profondo:
{{citazione|Il secondo comandamento è che non dimentichiamo la teofania al Monte Sinai... perché è un principio fondamentale (''yesod gadol'') della Torah... Non commettere l'errore di interpretare questo versetto come una semplice omelia sull'insegnamento della Torah ai propri pronipoti. Perché la fede nella stessa Torah (''emunat ha-Torah'') è ciò che qui si intende per studio della Torah... Questo è ciò che deve essere trasmesso di generazione in generazione.|''Note su Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'': Addenda, neg. n. 2, p. 396}}
L'esistenza, la potenza e la volontà di Dio furono rivelate a Israele sul Sinai: "Essi sono coloro che conoscono e sono i testimoni (''‘edim'') di tutte queste cose" (CT: {{passo biblico2|Esodo|20:2}} - I, 388). La testimonianza di Israele è storica. Un testimone è colui che fu presente a un evento e lo segnala alla comunità. Gli eventi richiedono testimoni perché sono singolari. Coloro che non sono effettivamente presenti devono imparare dai resoconti di coloro di cui possono fidarsi. Con i processi ordinari della natura, non sono richiesti testimoni speciali. Perché questi sono accessibili a tutti. Nessuno ha bisogno di impararli da una storia raccontata da qualcun altro. La dimostrazione scientifica presuppone che ciò che riporta sia, almeno in linea di principio, accessibile a qualsiasi osservatore. Poiché i principi che mostra sono sempre presenti, anche se non lo sono i fenomeni che li manifestano.
La differenza tra testimonianza storica e dimostrazione scientifica è esemplificata nella discussione rabbinica sull'istituzione della determinazione dell'ora esatta del [[:en:w:New moon#Hebrew calendar|Novilunio]], punto di riferimento chiave nella regolazione del [[w:calendario ebraico|calendario ebraico]]. (Per il contesto storico, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' [New York, 1949] XIII). Per i Rabbini, l'obbligo di testimoni oculari per l'apparizione della Luna Nuova (M. Rosh Hashanah 1.6 ''et seq.'') non è un ''sine qua non'' per scopi calendariali (B. Betsah 4b). I testimoni sono preferiti quando il Sinedrio è effettivamente in funzione nella Terra d'Israele. Ma altrimenti i calcoli fatti dai Rabbini in epoca talmudica fissano il calendario ebraico (cfr. ''Note su Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', pos. n. 153, p. 214 e testo di Maimonide alle pp. 211-12): la questione è essenzialmente di dimostrazione scientifica (Maimonide, ''Hilkhot Qiddush ha-Hodesh'', 1.6; 5.2-3; 11.1-4; 17.24), non di esperienza singolare. Nel contesto storico i testimoni ''affermano'' ciò che deve essere conosciuto dagli altri; nel contesto scientifico i testimoni si limitano a ''confermare'' ciò che gli altri in linea di principio possono conoscere da soli.
Trattando il ruolo della testimonianza nella rivelazione, Nahmanide segue Judah Ha-Levi, per il quale l'ebraismo si basa in definitiva sulla teofania del Sinai e sulla testimonianza dell'intero popolo d'Israele, che l'ha vissuta (''Kuzari'', 1.48). La presenza di Dio si manifesta in eventi storici unici. Per Maimonide, invece, il contenuto stesso della teofania del Sinai è credibile perché i primi due comandamenti del decalogo sono verità razionalmente evidenti che fondano tutti gli altri comandamenti: quelli positivi sulla base di "Io sono il Signore Dio tuo"; il negativo, sulla base di "non ci saranno altri dèi" (''Moreh Nevukhim'', 2.33; ''Sefer ha-Mitsvot'', pos. n. 1, neg. n. 1; ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 1.6; cfr. la fonte talmudica di questa opinione, B. Makkot 24a, dove il fondamento di questi due comandamenti nella rivelazione è l'enfasi principale). Per Maimonide è la certezza razionale che esenta l'esperienza del Sinai dall'accusa che potrebbe essere stata un'illusione di massa (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 8.1-3). La realtà di Dio è conosciuta attraverso l'apprensione della natura da parte della ragione. Quindi la testimonianza storica ha il ruolo secondario che i testimoni svolgono nell'accertamento del [[w:Novilunio|Novilunio]]. Inoltre, sostiene Maimonide, la testimonianza non è di per sé dimostrabile razionalmente. È solo più o meno credibile. Così Maimonide designa l'intera istituzione giuridica della testimonianza (''‘edut'') come quella che ci è comandato di accettare, nonostante l'indimostrabilità di ciò che è testimoniato e la costante possibilità di inganno o illusione (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7,7; ''Hilkhot ‘Edut'', 18.3; ''Hilkhot Sanhedrin'', 18.6). Per Ha-Levi e Nahmanide l'evento della rivelazione è il fondamento del suo contenuto. Per Maimonide, l'evento della rivelazione è l'occasione in cui ciò che è sempre stato vero in linea di principio (''ratio per se'') viene da noi scoperto (''ratio quoad nos'').
'''[7.10]''' Per Nahmanide, l'esperienza umana del mondo si articola su tre livelli fondamentali: 1) esperienza ordinaria dell'ordine naturale familiare; 2) miracoli pubblici, dove la potenza di Dio sconvolge l'ordinario stato della natura, in modo da far balzare coloro che vivono questi grandi eventi ad una maggiore consapevolezza dell'opera di Dio nel mondo; e 3) miracoli segreti, che manifestano la costante provvidenza di Dio. L'azione umana, come strutturata dalla Torah nei suoi comandamenti, è correlata a questi tre livelli di esperienza; sono correlati, in quanto un comandamento può avere diverse ragioni.
{{citazione|Ciascuno dei comandamenti del Signore ha molte ragioni. Per ognuno ha molti benefici (''to‘elet''), sia per il corpo che per l'anima.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}} - I, 411}}
'''[7.11]''' Sebbene Nahmanide accetti molteplici ragioni per ogni comandamento, rifiuta le ragioni che considera pretestuose:
{{citazione|La motivazione di Maimonide per i sacrifici [''Moreh'', 3.46]... è vana speculazione (''divrei hav’ai'')... Meglio ascoltare la ragione di chi dice che è perché le azioni di un essere umano sono costituite da pensiero, parola e azione, così Dio ha comandato che quando qualcuno pecca, deve portare un sacrificio e premervi sopra le mani, per dar significato all'atto (''ke-neged ha-ma‘aseh''), confessare con la sua bocca, per significare la parola, e bruciare le viscere e i reni, che sono gli organi del pensiero e del desiderio... Queste parole sono facilmente accessibili e attirano il cuore come le parole dell'Aggadah [cfr. B. Shabbat 87a; B. Baba Batra 10a rif. {{passo biblico2|Proverbi|3:35}}]. Ma in termini di verità superiore (''‘al derekh ha’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') nei sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
Il punto di vista di Maimonide che Nahmanide critica qui è che i sacrifici erano storicamente necessari, come forma di culto a cui il popolo d'Israele era abituato. Erano un compromesso con la realtà culturale, ma accuratamente epurati da ogni associazione idolatrica. Nahmanide obietta che il culto sacrificale è troppo centrale nell'ebraismo perché una logica così storicamente contingente sia vera. Sarebbe preferibile una seconda linea di interpretazione (l'autore della quale non nomina, sebbene assomigli a un approccio suggerito nel ''Commentario alla Torah'' di Ibn Ezra: Lev. 1:4 dopo Vayiqra Rabbah 7.3): che i sacrifici simboleggiano la vera contrizione e uno spirito di sacrificio di sé nel presentarsi davanti a Dio. Lo stesso punto è poi sottolineato dallo ''[[Zohar]]'' (Vayiqra, 3:9b e dal ''Commentario alla Torah'' di Bahya ben Asher su questo stesso versetto). Ma Nahmanide trova il significato più profondo dei sacrifici in una realtà divina. In sostanza, sostiene, soddisfano i bisogni divini. Questo è il punto di vista della Cabala, e l'approccio di Nahmanide qui influenzò profondamente i cabalisti successivi (cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.194ss.)
'''[7.12]''' Nonostante il rifiuto da parte di Nahmanide della logica generale di Maimonide per il sistema sacrificale, egli concorda sul fatto che Maimonide avesse ragione nell'interpretare alcuni divieti del culto come anti-idolatrici nell'intento:
{{citazione|È plausibile (''yitakhen'') interpretare i divieti di lievito e miele sull'altare come fa Maimonide nel ''Moreh Nevukhim'' [3.46], quando afferma di aver trovato nei libri degli antichi idolatri che era loro abitudine, praticando l'adorazione pagana, offrire le loro offerte di cibo in forma lievitata e mescolare il miele in tutti i loro sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|2:2}} - II, 17-18}}
'''[7.13]''' Una teologia che trova ragioni per i comandamenti di Dio non può vederli come semplici decreti positivi. Piuttosto, devono essere visti come garantiti o dai benefici che apportano nel migliorare le relazioni umane, o dal bene che apportano alla relazione tra Dio e uomo. Quest'ultimo rapporto, costituito dalla rivelazione, è immutabile. Ma in fondo tutti i comandamenti costituiscono il rapporto tra Dio e uomo. Quindi tutti sono immutabili (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:26}} - I, 361). Non possono essere abrogati dalla mera autorità umana. Perché la determinazione divina di ciò che è bene per l'uomo ha sempre la precedenza sulle nozioni umane. Le proiezioni umane di ciò che è bene per gli esseri umani sono ancora essenzialmente umane, quindi sono soggette all'abrogazione umana. Nahmanide sottolinea la distinzione in un'analisi halakhica dei giuramenti:
{{citazione|Alcuni dicono che [il giuramento di accettare la Torah al Monte Sinai] sia stato fatto con il consenso divino (''‘al da‘at ha-Maqom'')... e che il consenso di Mosè non fosse necessario, se non in quanto si fece portavoce della corte [umana] al loro Padre celeste... C'è un interprete che dice che il testo talmudico corretto recita "per consenso divino e quello del suo entourage angelico (''u-famaliah shelo'')", ma ciò è errato... Un interprete dice che la regola che i giuramenti comunitari a Dio possono essere revocati non si applica a nessun comandamento di Dio, perché ciò che è giurato secondo la volontà di Dio (''‘al da‘ato'') non può essere annullato (''hafarah''), dato che i Suoi comandamenti sono per sempre. Perché "Dio non è un uomo, da poter mentire" ({{passo biblico2|Numeri|23:19}}). Ma ciò che la comunità fa voti in materie ritenute facoltative (''bi-dvar reshut''), dove hanno collegato il loro consenso con quello di Dio, può essere abrogato e possono accettare di consentirne la violazione... e Dio concorda con la loro decisione. A me sembra che la giusta formula legale per tali giuramenti debba essere: "Per consenso divino e quello della congregazione (''kenesset'') d'Israele con Lui"... Cioè, il consenso di molti. Tuttavia, ciò che la comunità giura invocando il consenso divino, quello lo possono abrogare (''yesh hetter''). Perché non si sono proibiti di cambiarla, in quanto loro stessi l'hanno iniziata.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Shevu‘ot 29b, pp. 112-13}}
{{citazione|Quando si dice nel Talmud [B. Shevu‘ot 29b] che "col consenso di Dio" significa ciò che non può essere abrogato, colui che ha affermato ciò presumeva che ciò si applicasse solo al giuramento implicato nell'accettazione della Torah. Poiché Dio non accetterebbe di annullare (''le-vattel'') nemmeno una lettera della Torah. Ma in una questione essenzialmente facoltativa, Dio riconoscerebbe la necessità di proibire qualcosa ora e poi permetterlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 287}}
Pertanto, sebbene Nahmanide veda la legislazione rabbinica come un'espressione della legge divina (''Note sul Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', shoresh 1), vede una differenza tra la legge scritturale e quella rabbinica, in quanto la legge rabbinica può essere abrogata.
'''[7.14]''' Per Nahmanide, quindi, Dio decreta nella Torah ciò che vede è necessario agli esseri umani. Ma permette alle autorità umane di emanare i propri, mutevoli decreti in quelle aree non determinate dai mandati della Torah. Dio non solo permette, ma ordina specificamente questa attività, impartendo così autorità divina alle leggi umane:
{{citazione|Inoltre, "per consenso divino" è annesso anche ai comandamenti rabbinici. Perché se si dovesse dire che il consenso divino è menzionato solo nel giuramento che Mosè fece fare a Israele... ma non è annesso ai nostri giuramenti e condanne (''ve-haramim''), allora perché i nostri antenati menzionarono il consenso divino in relazione a [ loro] proibizioni — a meno che Dio non fosse d'accordo? Egli, esaltato sia il Suo Nome, concorre a che facciamo ciò che è buono e giusto ai Suoi occhi e agli occhi degli esseri umani.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 299}}
'''[7.15]''' I comandamenti specifici non presuppongono miracoli né segreti né pubblici. La maggior parte presume l'ordine ordinario della natura. Si può vedere che un certo numero di comandamenti serve ai bisogni umani ordinari. Nahmanide, che è spesso considerato un anti-razionalista, trova la legge naturale nella stessa Torah. È abbastanza aperto su questo in un certo numero di punti, specialmente nel suo ''Commentario alla Torah''. Riguardo alla punizione della generazione del Diluvio, scrive:
{{citazione|Infatti contro di loro non fu decretata punizione se non per la violenza (''hamas''). Per questo [l'inaccettabilità dell'illegalità] è una questione razionale (''‘inyan muskal'') che non dipende dalla rivelazione (Torah).|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}} - I, 48}}
'''[7.16]''' Seguendo una tendenza evidente nella teoria della legge naturale sin dai tempi dei filosofi stoici e dei giuristi romani, Nahmanide considera il divieto della violenza anarchica riconosciuto dal pubblico consenso e ben noto alla ragione:
{{citazione|La violenza è rapina e oppressione... un peccato che è noto e pubblicamente riconosciuto (''mefursam'')... perché è un comandamento razionale (''mitsvah muskelet''), la cui proibizione non ha bisogno di un comandamento profetico.|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - I, 52}}
'''[7.17]''' Per quanto riguarda le regole razionali, Nahmanide trova a volte un precedente negli standard morali degli antichi (CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119). Egli vede persino contenuti razionali in ''mitsvot'' non solitamente ritenute comandamenti razionali:
{{citazione|Infatti gli antichi saggi, prima del dono della Torah, sapevano che c'è una grande utilità (''to‘elet'') nel [[w:levirato |matrimonio levirato]].|CT: {{passo biblico2|Genesi|29:27}} - I, 215}}
'''[7.18]''' La legge naturale universalmente accettata è il requisito minimo per gli ebrei, notevolmente integrato dalla legge rivelata della Torah:
{{citazione|Così trovi che i patriarchi e i profeti si comportarono in modo morale universalmente accettato (''derekh erets'')... se i patriarchi e i profeti che vennero a fare la volontà di Dio si comportarono in modo morale universalmente accettato, quanto più dovrebbero le persone ordinarie.|CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} - I, 334}}
'''[7.19]''' La rivelazione ebraica condivide molti punti generali con la legge naturale e con la legge noachica. Il suo vantaggio sta nelle sue particolarità rivelate. Proprio come la superiorità degli esseri umani sugli animali è evidenziata dalla speciale provvidenza di cui godono, così le particolarità della legge rivelata mostrano la superiorità di Israele sulle altre nazioni:
{{citazione|Da ciò si vede [la presentazione delle leggi noachiche in B. Sanhedrin 56b] che ai noachidi furono dati i loro comandamenti in generale (''bi-khelalut'') non in termini specifici... Quindi il popolo aveva solo comandamenti generali fino a quando non giunse al Monte Sinai, dove i comandamenti furono esplicitati per loro nelle particolarità... Ora tutte queste questioni [leggi civili e penali] sono raggruppate in una categoria generale, ''mishpat''.|''Note al Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', shoresh 14, p. 143}}
Il teologo ebreo spagnolo del XV secolo, [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], fece più o meno lo stesso punto sulla superiorità della legge divina sulla legge naturale e sulla legge umana positiva (''Sefer ha-‘Iqqarim'', 1.8; cfr. [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]], ''[[w:Summa Theologiae|Summa Theologiae]]'', 2-1, q. 99, a. 2). Ma non menziona Nahmanide come fonte del suo punto di vista. Nel mantenere la suprema superiorità di un ricco sistema di precetti specifici su un corpo di generalità morali, Nahmanide fu sicuramente influenzato dall'apertura di ''Kuzari'' (1, intro.) di Judah Ha-Levi, dove al re dei Khazari dalla mentalità filosofica vien detto in un sogno che Dio approva le sue intenzioni generali ma non le sue azioni specifiche. È questa critica che lancia la ricerca che infine porta il re all'ebraismo.
'''[7.20]''' Anche se la giustizia naturale sembra essere una realtà essenzialmente umana, gli esseri umani sono capaci di giustizia solo in virtù di un ''telos'' unico, che è l'essere vicini a Dio. Quindi, ci distinguiamo dagli animali sia teologicamente che moralmente. Delucidando l'osservazione di Elihu nel [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]] secondo cui Dio " ci rende più istruiti delle bestie selvatiche e ci rende più saggi degli uccelli del cielo" ({{passo biblico2|Giobbe|35:11}}), Nahmanide spiega:
{{citazione|Elihu dice che Dio ci ha insegnato a conoscerLo e a diventare saggi riguardo alle Sue azioni in modi che gli animali non lo sono. Per questo non ha voluto che ci danneggiassimo a vicenda, istinto che ha posto negli animali, in modo che si sbranino a vicenda... Elihu disse questo per spiegare il motivo della provvidenza individuale: perché riconosciamo il nostro Creatore e acquisiamo saggezza riguardo alle Sue azioni, siamo soggetti ai Suoi comandamenti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 35:11 - I, 106-07}}
L'argomentazione presuppone che anche prima della consegna della Torah vi fosse un naturale riconoscimento umano di giustizia elementare, basato sul riconoscimento dell'ordine della creazione, che era riconosciuto come opera di Dio.
'''[7.21]''' Nahmanide sottolinea che i comandamenti dati poco prima della rivelazione della Torah al Sinai non sono la Torah in senso stretto, ma una sorta di preparazione morale. Non sono nemmeno distintamente ebraici:
{{citazione|Questi erano ammonimenti morali, affinché non diventassero come i campi dei predoni che commettono spudoratamente ogni tipo di atrocità... Questi non sono gli statuti e le ordinanze della Torah. Sono regolamenti civili (''hanhagot ve-yishuv ha-medinot'') simili ai termini stabiliti da Giosuè, come ricordavano i saggi.|CT: {{passo biblico2|Esodo|15:25}} - I, 359}}
Sebbene i termini stabiliti da Giosuè fossero chiaramente stipulati in relazione all'ingresso degli israeliti nella Terra d'Israele (B. Baba Kama 80b-81a), Maimonide dice che si applicano ovunque (''Hilkhot Nizqei Mamon'', 5.5). In tal caso, il loro appello deve essere rivolto al ragionamento universale. Qui Nahmanide segue il punto di vista di [[Maimonide]].
'''[7.22]''' Ancora, come Maimonide, sottolinea che il diritto civile e penale servono a mantenere una società armoniosa:
{{citazione|In un senso letterale, "i miei giudizi" (''mishpatai'') significa proprio diritto civile e penale (''ha-dinin'')... Pertanto, dice, "che un uomo compie e quindi vive". Poiché queste leggi furono date per la vita dell'uomo, per favorire la sua vita civile e per amore della pace.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:4}} - II, 99-100}}
'''[7.23]''' Nahmanide ritorna a questo punto distinguendo queste leggi, le cui ragioni sono evidenti a tutti, dagli statuti (''huqqim'') le cui ragioni sono evidenti solo attraverso la conoscenza esoterica:
{{citazione|Perché gli satuti (''huqqim'') sono comandamenti le cui ragioni non sono state rivelate alle masse, gli sciocchi li disprezzano... ma le ordinanze (''mishpatim'') sono qualcosa che tutti vogliono e necessitano, perché le persone non hanno civiltà o società senza lo stato di diritto (''mishpat'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}} - II, 187}}
'''[7.24]''' I Sette Comandamenti Noachici appartengono alla legge naturale; sono razionalmente evidenti:
{{citazione|Queste questioni [immoralità sessuale e rapina] e il resto dei Sette Comandamenti furono comandati dal tempo del primo essere umano. I rabbini li derivarono da accenni nel versetto ({{passo biblico2|Genesi|2:16}}) "E il Signore Dio comandò agli umani [''ha-’adam''] dicendo [di ogni albero del giardino puoi mangiare, ma dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male non devi mangiare]". Ma Dio non elaborò loro tali questioni, perché le elaborazioni ci furono date al Sinai. A prima vista, questi comandamenti sono razionali (''sikhliyot''). E ogni creatura che riconosce il suo Creatore dovrebbe considerarsi vincolata da loro (''lee-zaher'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 173}}
La distinzione dei "comandamenti razionali" (''sikhliyot'') da quelli conosciuti solo dalla rivelazione (''shim‘iyot'') è operata da Saadyah Gaon (''ED'', 3.3; vedere J. Faur, ''‘Iyyunim be-Mishneh Torah le-ha-Rambam'' [Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1978], 115ss.). Ma per Saadyah i comandamenti razionali riguardano sia i rapporti umani che il nostro rapporto con Dio (''ED'', 3.1). Ogni area dell'esistenza umana ammette una comprensione razionale. Non vi è alcuna differenza oggettiva tra ciò che viene dalla ragione e ciò che viene dalla rivelazione (''ED'', Introduzione, 6). La differenza tra ragione e rivelazione sta nel modo in cui essenzialmente si raggiunge la stessa verità. Con la ragione, il conoscitore umano è lo scopritore attivo della verità; con la rivelazione, il conoscitore umano è più passivo, un destinatario della verità. Ma per Nahmanide i comandamenti razionali riguardano solo le relazioni umane, e anche lì solo in parte. Per quanto riguarda la nostra relazione con Dio, la rivelazione non solo svela ciò che è già presente, ma stabilisce la relazione. Come la creazione, istituisce una nuova realtà piuttosto che descriverne una vecchia. Così Nahmanide trae l'etimologia della parola "alleanza" (''berit'') da "creazione" (''beriyyato shel ‘olam'') [CT:intro. - I, 4 secondo Shir ha-Shirim Rabbah 1.29 rif. {{passo biblico2|Dt|4:13}}].
Questa enfasi storica non è in definitiva coerente con la dottrina cabalistica secondo cui la Torah è la rivelazione dell'essere ''primordiale'' di Dio. Perché nella dottrina cabalistica, tutti i comandamenti sono partecipazioni a quella vita divina, quindi possono essere radicalmente nuovi e nessuno riguarda essenzialmente una realtà interumana. Per quanto ne so, Nahmanide non è mai riuscito a superare l'inconsistenzaè nella sua teologia, come fece invece l'autore dello ''[[Zohar]]'', in effetti, eliminando del tutto la categoria dei comandamenti razionali. Maimonide, d'altra parte, eliminò anche la distinzione, per così dire dalla direzione opposta, vedendo tutti i comandamenti come razionali in sostanza. Cfr. I. Twersky, ''Introduction to the Code of Maimonides'' (New Haven: Yale University Press, 1980) 458-59.
'''[7.25]''' Nahmanide fa la stessa distinzione nel differenziare un [[w:Noachismo|noachide]] ordinario da un residente-alieno (''ger toshav''), uno che osserva come rivelazione divina i Sette Comandamenti come intesi dalle autorità ebraiche. Il noachide ordinario li osserva semplicemente perché sono razionali (cfr. Maimonide, ''Hilkhot Melkahim'', 8.10-11).
{{citazione|Sia ben noto che il noachide menzionato in tutto il Talmud ''è'' un residente-alieno, a parte i fatto che un noachide è colui che si comporta semplicemente in modo appropriato (''ke-hogan'') verso i suoi simili secondo questi comandamenti, mentre un residente-alieno in realtà venne in una corte ebraica e l'accettò formalmente. Questo va oltre la pratica di altri noachidi, che non l'accettarono formalmente. È più puntiglioso (''medaqdeq'') su di loro... Gli altri noachidi sono nella categoria di coloro che osservano anche se in realtà non vien loro comandato di farlo [B. ‘Avodah Zarah 2b-3a]. Ma il residente-alieno, che li ha accettati in una corte ebraica, è colui che osserva questi comandamenti come comandamenti.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': B. Makkot 9a, p. 61}}
'''[7.26]''' Anche la legge naturale per Nahmanide non è semplicemente naturale. Fa parte del piano di Dio per l'ordine creato:
{{citazione|È scopo di Dio comandare che sia fatta giustizia tra le Sue creature. Poiché questo è il motivo per cui le ha create: che ci debba essere giustizia ed equità tra loro... Se ti fai prendere dal panico e fai violenza, hai peccato contro il Signore e hai violato il Suo mandato.|CT: {{passo biblico2|Dt|1:17}} - II, 349}}
'''[7.27]''' ''Imitatio Dei'', inoltre, richiede un'applicazione visionaria in circostanze concrete, specifiche, dei principi generali di giustizia ed equità enunciati nella Torah:
{{citazione|Anche quando Dio non ti ha comandato in modo specifico, dovrebbe comunque essere tua intenzione fare ciò che è buono e giusto (''yashar'') ai Suoi occhi. Perché Egli ama il bene e il giusto. Questo è un principio fondamentale. Perché è impossibile per la Torah comandare tutte le azioni umane e ordinare ogni singola interazione di un essere umano con un altro, regolare ogni transazione commerciale e migliorare ogni questione sociale e politica.|CT: {{passo biblico2|Dt|6:18}} - II, 376}}
In CT: {{passo biblico2|Levitico|19:2}} (II, 115) Nahmanide espose la necessità di un ordinamento delle pratiche sessuali e rituali consentite, secondo il fine più ampio della santità. Qui spiega l'ordinamento delle pratiche sociali e commerciali consentite, ai sensi del fine generale della giustizia. La legge naturale è vista come una partecipazione alla sapienza creatrice di Dio, che governa l'universo.
'''[7.28]''' Anche l'osservanza di tali "leggi naturali" implica la divina provvidenza:
{{citazione|In verità, tutto questo è un grande privilegio dei giudici d'Israele e l'assicurazione che Dio conferma la loro autorità [''maskeem ‘al yadam''] ed è con loro in materia di vero giudizio.|CT: {{passo biblico2|Dt|19:19}} - II, 434}}
L'espressione "conferma la loro autorità" riecheggia il detto talmudico secondo cui Dio, dopo il fatto, confermò la decisione di Mosè di infrangere le prime tavole dei Dieci Comandamenti ({{passo biblico2|Esodo|32:19}}). Mosè aveva agito in base alla propria valutazione dei "bisogni dell'ora", non sulla base di un decreto divino, quando vide il popolo adorare il [[w:Vitello d'oro|Vitello d'oro]] (B. Shabbat 87a). C'è molta discussione nelle fonti rabbiniche su tali giudizi personali in tempi di crisi: l'integrità giudiziaria e la discrezione devono essere considerate affidabili nei casi che la legge non può coprire in modo specifico (B. Sanhedrin 46a). Ma c'è il pericolo sempre presente di abusi di potere e una mentalità ''vigilante'' che mette a repentaglio lo stato di diritto (B. Sanhedrin 82a; Maimonide, ''Hilkhot Sanhedrin'', 24.4, 10). Per Nahmanide, a quanto pare, la migliore garanzia che i giudici useranno la loro discrezione in modo responsabile è che siano pienamente consapevoli che il loro ruolo è di ''imitatio Dei'' (KR: ''Torat ha-’Adam'' - II, 41).
'''[7.29]''' La continuità tra i beni naturali e soprannaturali si vede nel modo in cui i comandamenti servono a fini sia corporali che spirituali:
{{citazione|Ancora una volta la Torah illumina i nostri occhi sul mistero della generazione... e così è con tutte le vie della Torah. Infatti comanda tutte le cose buone per il corpo secondo l'ordine familiare del mondo, e tutte le cose buone per l'anima in relazione alla sua natura e all'osservanza dei comandamenti. Poiché è noto che questi alimenti sono buoni per la salute e per la guarigione. Altri cibi sono dannosi per l'anima a causa dei tratti che generano... I rapaci sono crudeli e il loro sangue e la loro carne generano crudeltà nell'anima. A Israele è comandato di essere compassionevoli e amarsi gli uni con gli altri. Quindi fu giusto (''ra’ui'') che questo fosse loro proibito... Perché tutte le vie della Torah forniscono un beneficio (''to‘elet) al corpo e all'anima. Questo ordinò il Medico che sa come si formano le creature.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 166-67}}
Il medico, ovviamente, è Dio.
'''[7.30]''' I comandamenti della Torah tengono quindi conto non solo di considerazioni politiche, ma anche biologiche.
{{citazione|Le scritture proibivano il contatto sessuale con una mestruante... per preservare la specie... Lo dicono i medici stessi.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:19}} - II, 104}}
'''[7.31]''' Nahmanide accetta la logica biologica di Maimonide per i divieti dietetici della Torah, e anche la sua logica storica:
{{citazione|I cibi proibiti nella Torah fanno male anche al corpo. Maimonide ha fornito questa ragione nel ''Moreh Nevukhim'' [3.37]. È come le ragioni che diede per molti altri comandamenti, che queste pratiche proibite erano usate da maghi e stregoni a quel tempo per la stregoneria.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:23}} - II, 125}}
'''[7.32]''' Certe pratiche sono proibite perché naturalmente ripugnanti. Delucidando il raro uso peggiorativo di ''hesed'' nella proibizione dell'incesto da parte della Torah, "Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei ed essa vede la nudità di lui, è un'infamia (''hesed'')" ({{passo biblico2|Levitico|20:17}}), Nahmanide scrive:
{{citazione|Secondo il parere dei commentatori, ''hesed'' significa "vergognoso" (''herpah''); perché gli uomini si vergognano naturalmente di questo atto disgustoso (''mekho‘ar'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|20:17}} - II, 131}}
'''[7.33]''' L'incesto è rifiutato, anche se alcuni tipi potrebbero sembrare consentiti dalla legge noachica. Così, nel commentare l'incesto delle figlie di Lot con il padre, Nahmanide scrive:
{{citazione|Erano timide (''tsenu‘ot'') e non volevano dire al padre di sposarle, perché un noachide potrebbe sposare sua figlia. In alternativa, era una cosa disgustosa (''mekho‘ar'') agli occhi di quelle generazioni e non doveva mai esser fatta.|CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119}}
'''[7.34]''' Anche la legge noachica, fondamentalmente, comprende i vincoli elementari che sono il ''sine qua non'' di ogni società capace di sostenere la lealtà umana. Tuttavia, non è sufficientemente specifico per fungere da contenuto di qualsiasi sistema giuridico reale. A questo proposito, il diritto civile e penale ebraico è simile alla legge noachica:
{{citazione|Ma ha imposto ai noachidi le leggi relative al furto, alla frode, allo sfruttamento e simili... Queste sono come la legge civile e penale (''ha-dinin'') data a Israele... Tali comandamenti solo limitano (''ha-meni‘ah'') l'illecito.|CT: {{passo biblico2|Genesi|34:13}} - I, 192}}
'''[7.35]''' Mentre un comandamento può avere un aspetto naturale manifesto, esso può avere contemporaneamente un aspetto mistico o soprannaturale ancora più importante. Tale è sempre il suo fondamento ultimo:
{{citazione|Sappi che il rapporto sessuale menzionato nella Torah è qualcosa da cui dovresti stare lontano; perché è disgustoso, tranne che per la conservazione della specie... Ma le unioni incestuose (''he-‘arayot'') sono statuti (''huqqim''), materie del decreto del Re. Questo è qualcosa che entra nella mente del Re, che nella Sua saggezza e sovranità conosce la necessità e lo scopo di ciò che ha comandato ma non lo spiega al popolo, se non al più saggio dei suoi consiglieri.|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:1}} - II, 101}}
'''[7.36]''' Anche le norme che soddisfano esigenze umane così evidenti come il mantenimento di buone relazioni nella società, hanno significati più profondi. Così il trattenimento dal nuocere al prossimo può essere inteso come giustificato dal naturale bisogno di ordine sociale. Ma da questo non deriva il comandamento positivo di ''amare'' il prossimo. Richiede una rivelazione speciale:
{{citazione|Il motivo per avere un comandamento speciale "ama il prossimo tuo come te stesso" è che è un obbligo insolito (''haflagah''). Perché il cuore di una persona non accetterà di dover amare il prossimo come la propria vita.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:17}} - II, 119}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 7]]
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Monozigote
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/* I Comandamenti */ testo
wikitext
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Портрет раввина.jpg|thumb|540px|center|''Ritratto di Rabbino'', di Franz Obermüller (c.1900)]]
== I Comandamenti ==
'''[7.1]''' Il nostro rapporto con Dio è fondato sulla fede. La fede (''emunah'') non è solo uno stato di coscienza; implica la pratica. Tutti i comandamenti della Torah sono atti di fede. La loro corretta esecuzione deve riconoscere Dio per Quello che è e accettarLo per Colui che è, il Dio che si è rivelato a Israele nei miracoli pubblici (''nissim mefursamim''). Poiché ciò che sappiamo di Dio viene dalla storia, il ''locus'' della fede è la memoria (Note sul ''Sefer ha-Mitsvot'' di Maimonide, pos. n. 1, p. 261). La fede si compie quando la memoria degli atti potenti di Dio è espressa nei comandamenti che commemorano quegli atti così come li ha sperimentati Israele:
{{citazione|Ci ha comandato di avere fede nelDio unico, che Egli sia esaltato: che esiste, che è Colui che comprende e può tutto. La nostra fede dovrebbe essere unita nell'intendere (''ye-she-niyyahed'') questi attributi, poiché ogni onore è Suo. Così ci ha comandato di onorare la menzione del suo Nome, di fare un segno e un ricordo perpetuo (''siman ve-zikaron tamid'') per farci sapere che Dio ha creato ogni cosa.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:8}} - I, 398}}
'''[7.2]''' L'accettazione dei comandamenti dipende dall'accoglienza della realtà di Dio e della Sua particolare provvidenza :
{{citazione|Dobbiamo credere che Dio conosce le persone individuali (''’ishim'') in tutte le loro particolarità, sia le persone celesti (''ha-‘elyonim'') che quelle terrene (''ve-ha-tahtonim''), le loro azioni e pensieri, passati, presenti e futuri. Perché egli è il loro creatore, il dispensatore dell'esistenza che ora hanno, il loro creatore dal nulla assoluto (''me-’afeisah muhletet'')... Da questo si passa alla fede nella provvidenza di Dio (''ha-hashgahah'')... donde noi possiamo affermare (''titkayyem'') la vera autorità della Torah e dei comandamenti. Poiché, fin quando crediamo che Dio ci conosce e si prende cura di noi, la nostra fede si estende alla profezia, e crediamo che Dio, sia Egli saltato, conosce e ama, comanda e ammonisce, cioè ci comanda di fare ciò che è buono e giusto e ci rimprovera di ciò che è male. Ci protegge e conserva per noi tutte le buone conseguenze menzionate nella Torah, e porterà sui trasgressori la punizione che ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
Per Nahmanide, "l'affermazione" (''qiyyum'') dell'autorità della Torah e dei comandamenti è un atto di fede, prima dell'adempimento di uno qualsiasi dei singoli comandamenti (CT: {{passo biblico2|Dt|27:26}} - II, 472; ''supra'', 2.24 ). È il lato cognitivo di ''kavvanah''. Emotivamente, bisogna dirigere il cuore a Dio. Dal punto di vista cognitivo, si deve conoscere quanto più umanamente possibile sul Dio a cui il proprio cuore è così diretto (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:2}} - I, 354-55 rif. ''Mekhilta'': Be-shalah, cur. Horovitz-Rabin, 128). Sia il lato cognitivo che quello emotivo della fede sono richiesti nella corretta osservanza dei comandamenti.
'''[7.3]''' Poiché tutti i comandamenti hanno ragioni, ciascuno con una funzione unica nell'economia divina del cosmo, si è obbligati a discernere la ragione di ogni comandamento e farne l'intenzione (''kavvanah'') della propria osservanza. Anche negli ambiti della vita che sono lasciati alla discrezione privata (''reshut''), si deve trovare la giusta intenzione verso il divino:
{{citazione|In effetti, si può essere miserabili (''naval'') mentre ci si conforma al comportamento consentito dalla Torah (''bi-reshut ha-Torah''). Così, specificati gli atti che proibisce assolutamente, la Scrittura ha comandato in termini più generali che si tenga le distanze anche da ciò che è permesso.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:1}} - II, 15}}
Nahmanides intende che si dovrebbe evitare l'eccesso e la volgarità anche nel mangiare, nel bere e nell'espressione sessuale consentiti. Perché il piacere fisico non è il ''summum bonum''. Nahmanide è favorevole all'opinione talmudica che il [[w:Nazireato|nazireo]] sia un santo, in contrasto con la visione talmudica alternativa secondo cui un tale asceta è un peccatore per aver negato a se stesso i piaceri che la Torah normalmente consente (B. Ta‘anit 10a e paralleli; per la critica dell'ascetismo, cfr. Y. Berakhot 2.9/5d; Y. Nedarim 9.1/41b; B. Baba Batra 60b; e soprattutto Maimonide, ''Shemonah Peraqim'', cap. 4, cur. Kafih (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1965), 254 [cfr. ''Moreh'', 3.48]). Per Maimonide, la santità è in definitiva una collaborazione attiva con Dio, che cresce dal riconoscimento del governo creativo di Dio nel mondo (''Moreh'', 3.54, fine). Ciò che è richiesto per questo, come per tutta la pietà, non è l'ascesi, ma il ragionevole contenimento dell'eccesso (''Hilkhot De‘ot'', 1,4-6). Per Nahmanide, tuttavia, un ulteriore autocontrollo, per amore di Dio, può essere esso stesso un atto santo. L'ascetismo ha caratterizzato gran parte del misticismo ebraico, siano essi Cabala spagnola o Hasidut tedesco (cfr. Scholem, ''Origins of the Kabbalah'', 229ss.). La tendenza risale ai tempi del misticismo [[w:Gaon|Geonim]] e [[w:Heikhalot|Hekhalot]] (cfr. Scholem, ''Major Trends in Jewish Mysticism'', 49-50). Anche se tale ascetismo molto precede Nahmanide, la sua approvazione gli ha conferito l'ulteriore autorità della sua statura di halakhista.
'''[7.4]''' Nahmanide considera il ritorno del nazireo nel mondo ordinario come una peccaminosa discesa da un piano spirituale superiore:
{{citazione|Il motivo dell'offerta per il peccato (''hat’at'') che il nazireo offre il giorno del compimento del suo voto nazireico non è stato spiegato. Secondo il significato semplice... è giusto che sia nazireo e sia santificato a Dio... Anzi, ha bisogno dell'espiazione per tornare nell'impurità dei piaceri del mondo.|CT: {{passo biblico2|Numeri|6:11}} - II, 215}}
'''[7.5]''' Nahmanide non può dire che ogni comandamento deve essere eseguito con la giusta intenzione per essere legalmente valido, ma indica che la piena realizzazione dei comandamenti richiede la giusta intenzione:
{{citazione|È noto che chi esegue un comandamento ma non lo comprende non lo ha adempiuto completamente (''bi-shlemut'')... Perché sei obbligato a ricordare il grande miracolo compiuto per te.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 151}}
Agire senza consapevolezza dell'intento dell'atto significa non soddisfare il requisito stesso del comandamento in questione. Per Nahmanide, l'intenzione qui non significa contemplazione astratta della divinità, ma concentrazione sul miracolo specifico che l'atto commemora.
'''[7.6]''' Il livello di intenzione (''kavvanah'') che si deve avere per adempiere un comandamento è oggetto di un lungo e inconcludente dibattito nel Talmud (B. Rosh Hashanah 28a ''et seq.''). Per Nahmanide l'intenzione è fondamentale nel permetterci di riconoscere la volontà di Dio come fonte di un comandamento e la sapienza di Dio nella specificazione del suo scopo. Attraverso l'intenzione, per così dire, si segue il proposito di Dio. Ammettendo che ci sono molte opinioni sull'argomento ''kavvanah'', Nahmanide fonda un argomento massimalista su un brano della Mishnah: "Se uno leggesse la Torah [Dt. 6:4-9, contenuto testuale dello Shema] e giungesse l'ora della recita liturgica dello [[w:Shemà|Shema]], se il cuore ha inteso questo comandamento specifico, lo ha adempiuto; se no, non l'ha adempiuto" [M. Berakhot 2.1].
{{citazione|Riguardo alla questione dell'intenzione nel suonare lo [[w:shofar|shofar]]: se lo si suona solo per fare un suono musicale, la questione è dibattuta nel Talmud e tra i Geonim... Rabbenu Hai scrisse che anche se è legge che se si esegue un comandamento senza l'intenzione lo ha comunque adempiuto, tuttavia, quando si eseguono i comandamenti, si abbia regolarmente intenzione di farlo. In tutta umiltà, abbiamo una prova per il punto di vista dell'autore di ''Halakhot Gedolot'' [che accetta la visione massimalista alla fine del suo trattamento delle leggi di [[w:Rosh haShana|Rosh haShanah]]] dalla legge all'inizio del secondo capitolo della Mishnah, Berakhot [riguardo allo ''Shema''].|KR: ''Sermone per Rosh HaShanah'' - I, 241}}
Nahmanide confessa di non poter presumere di aver risolto il dibattito pratico tra i Geonim, ma teologicamente ha certamente risolto la questione. Coloro che sono stati influenzati dalla tradizione cabalistica, di cui Nahmanide era una fonte così importante, sottolineavano la necessità della ''kavvanah'', non solo su basi teologiche generali, ma anche su basi halakhiche specifiche, ove possibile (cfr. sopecialm., Joseph Karo, ''Shulhan ‘Arukh'': ’Orah Hayyim, 60.4; anche, R. J. Z. Werblowsky, ''Joseph Karo: Lawyer and Mystic'' [Philadelphia: JPS, 1977], 162-63).
'''[7.7]''' Nel significato che assegna a ''kavvanah'', Nahmanide non è d'accordo con Maimonide sul versetto, "servirlo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}). Maimonide interpreta il commento rabbinico su questo versetto, "questa è preghiera... il servizio del cuore" (''Sifre'': Devarim, n. 41, ed. Finkelstein, 87-88; B. Ta‘anit 2a) come se vi trovasse un mandato letterale per la preghiera (''Sefer ha-Mitzvot'', pos. n. 5), sebbene il contenuto effettivo del culto formale sia formulato dai Rabbini (''Hilkhot Tefillah'', 1.1). Nahmanide vede il versetto come riferito a tutti i comandamenti della Torah. Per lui l'allusione alla preghiera è un'inferenza omiletica (''’asmakhta''):
{{citazione|Il significato essenziale del versetto "servendolo con tutto il cuore" ({{passo biblico2|Dt|11:13}}) è che è comandamento positivo che tutte le nostre opere siano per Dio, sia Egli esaltato, siano fatte con tutto il nostro cuore. Ciò significa con intenzione corretta e piena, per l'amor di Dio e senza alcun pensiero malvagio. Non dobbiamo eseguire i comandamenti senza intenzione o dubitare che abbiano qualche beneficio (''to‘elet'').|''Note a Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', pos. n. 5, p. 156}}
'''[7.8]''' L'intenzione è così centrale che l'adempimento di un comandamento per la ragione sbagliata può essere un peccato. Quindi la schiavitù egizia degli israeliti faceva parte del piano divino, ma comunque peccaminosa:
{{citazione|Così, quando Dio decretò la servitù di Israele in Egitto, essi andarono e li resero schiavi con la forza... Quando il decreto esce per mezzo di un profeta... c'è merito nell'eseguirlo... ma se uno udisse il comandamento [di uccidere] e allora uccidesse per odio o per saccheggio, sarebbe punito, poiché il suo intento è peccaminoso. Poiché gli [[w:Antico Egitto|egizi]] sapevano che era un comandamento del Signore [che Israele fosse reso schiavo da loro].|CT: {{passo biblico2|Genesi|15:14}} - I, 94}}
'''[7.9]''' Poiché il fondamento della Torah, che è la sovranità di Dio sull'universo, è noto attraverso l'esperienza storica, l'affermazione di tale esperienza ha la priorità anche sullo studio dei precetti della Torah. L'esperienza storica ''par excellence'' è la teofania al Sinai. Così i Rabbini chiariscono il versetto: "Soltanto, bada bene a te stesso e veglia diligentemente sull'anima tua, per non dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli" ({{passo biblico2|Dt|4:9}}) intendendo il dovere di educare la propria progenie ai precetti della Torah (B. Kiddushin 30a). Ma Nahmanide tratta questa glossa come omiletica (''asmakhta''). Trova il comandamento letterale a un livello molto più profondo:
{{citazione|Il secondo comandamento è che non dimentichiamo la teofania al Monte Sinai... perché è un principio fondamentale (''yesod gadol'') della Torah... Non commettere l'errore di interpretare questo versetto come una semplice omelia sull'insegnamento della Torah ai propri pronipoti. Perché la fede nella stessa Torah (''emunat ha-Torah'') è ciò che qui si intende per studio della Torah... Questo è ciò che deve essere trasmesso di generazione in generazione.|''Note su Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'': Addenda, neg. n. 2, p. 396}}
L'esistenza, la potenza e la volontà di Dio furono rivelate a Israele sul Sinai: "Essi sono coloro che conoscono e sono i testimoni (''‘edim'') di tutte queste cose" (CT: {{passo biblico2|Esodo|20:2}} - I, 388). La testimonianza di Israele è storica. Un testimone è colui che fu presente a un evento e lo segnala alla comunità. Gli eventi richiedono testimoni perché sono singolari. Coloro che non sono effettivamente presenti devono imparare dai resoconti di coloro di cui possono fidarsi. Con i processi ordinari della natura, non sono richiesti testimoni speciali. Perché questi sono accessibili a tutti. Nessuno ha bisogno di impararli da una storia raccontata da qualcun altro. La dimostrazione scientifica presuppone che ciò che riporta sia, almeno in linea di principio, accessibile a qualsiasi osservatore. Poiché i principi che mostra sono sempre presenti, anche se non lo sono i fenomeni che li manifestano.
La differenza tra testimonianza storica e dimostrazione scientifica è esemplificata nella discussione rabbinica sull'istituzione della determinazione dell'ora esatta del [[:en:w:New moon#Hebrew calendar|Novilunio]], punto di riferimento chiave nella regolazione del [[w:calendario ebraico|calendario ebraico]]. (Per il contesto storico, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' [New York, 1949] XIII). Per i Rabbini, l'obbligo di testimoni oculari per l'apparizione della Luna Nuova (M. Rosh Hashanah 1.6 ''et seq.'') non è un ''sine qua non'' per scopi calendariali (B. Betsah 4b). I testimoni sono preferiti quando il Sinedrio è effettivamente in funzione nella Terra d'Israele. Ma altrimenti i calcoli fatti dai Rabbini in epoca talmudica fissano il calendario ebraico (cfr. ''Note su Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', pos. n. 153, p. 214 e testo di Maimonide alle pp. 211-12): la questione è essenzialmente di dimostrazione scientifica (Maimonide, ''Hilkhot Qiddush ha-Hodesh'', 1.6; 5.2-3; 11.1-4; 17.24), non di esperienza singolare. Nel contesto storico i testimoni ''affermano'' ciò che deve essere conosciuto dagli altri; nel contesto scientifico i testimoni si limitano a ''confermare'' ciò che gli altri in linea di principio possono conoscere da soli.
Trattando il ruolo della testimonianza nella rivelazione, Nahmanide segue Judah Ha-Levi, per il quale l'ebraismo si basa in definitiva sulla teofania del Sinai e sulla testimonianza dell'intero popolo d'Israele, che l'ha vissuta (''Kuzari'', 1.48). La presenza di Dio si manifesta in eventi storici unici. Per Maimonide, invece, il contenuto stesso della teofania del Sinai è credibile perché i primi due comandamenti del decalogo sono verità razionalmente evidenti che fondano tutti gli altri comandamenti: quelli positivi sulla base di "Io sono il Signore Dio tuo"; il negativo, sulla base di "non ci saranno altri dèi" (''Moreh Nevukhim'', 2.33; ''Sefer ha-Mitsvot'', pos. n. 1, neg. n. 1; ''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 1.6; cfr. la fonte talmudica di questa opinione, B. Makkot 24a, dove il fondamento di questi due comandamenti nella rivelazione è l'enfasi principale). Per Maimonide è la certezza razionale che esenta l'esperienza del Sinai dall'accusa che potrebbe essere stata un'illusione di massa (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 8.1-3). La realtà di Dio è conosciuta attraverso l'apprensione della natura da parte della ragione. Quindi la testimonianza storica ha il ruolo secondario che i testimoni svolgono nell'accertamento del [[w:Novilunio|Novilunio]]. Inoltre, sostiene Maimonide, la testimonianza non è di per sé dimostrabile razionalmente. È solo più o meno credibile. Così Maimonide designa l'intera istituzione giuridica della testimonianza (''‘edut'') come quella che ci è comandato di accettare, nonostante l'indimostrabilità di ciò che è testimoniato e la costante possibilità di inganno o illusione (''Hilkhot Yesodei ha-Torah'', 7,7; ''Hilkhot ‘Edut'', 18.3; ''Hilkhot Sanhedrin'', 18.6). Per Ha-Levi e Nahmanide l'evento della rivelazione è il fondamento del suo contenuto. Per Maimonide, l'evento della rivelazione è l'occasione in cui ciò che è sempre stato vero in linea di principio (''ratio per se'') viene da noi scoperto (''ratio quoad nos'').
'''[7.10]''' Per Nahmanide, l'esperienza umana del mondo si articola su tre livelli fondamentali: 1) esperienza ordinaria dell'ordine naturale familiare; 2) miracoli pubblici, dove la potenza di Dio sconvolge l'ordinario stato della natura, in modo da far balzare coloro che vivono questi grandi eventi ad una maggiore consapevolezza dell'opera di Dio nel mondo; e 3) miracoli segreti, che manifestano la costante provvidenza di Dio. L'azione umana, come strutturata dalla Torah nei suoi comandamenti, è correlata a questi tre livelli di esperienza; sono correlati, in quanto un comandamento può avere diverse ragioni.
{{citazione|Ciascuno dei comandamenti del Signore ha molte ragioni. Per ognuno ha molti benefici (''to‘elet''), sia per il corpo che per l'anima.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:23}} - I, 411}}
'''[7.11]''' Sebbene Nahmanide accetti molteplici ragioni per ogni comandamento, rifiuta le ragioni che considera pretestuose:
{{citazione|La motivazione di Maimonide per i sacrifici [''Moreh'', 3.46]... è vana speculazione (''divrei hav’ai'')... Meglio ascoltare la ragione di chi dice che è perché le azioni di un essere umano sono costituite da pensiero, parola e azione, così Dio ha comandato che quando qualcuno pecca, deve portare un sacrificio e premervi sopra le mani, per dar significato all'atto (''ke-neged ha-ma‘aseh''), confessare con la sua bocca, per significare la parola, e bruciare le viscere e i reni, che sono gli organi del pensiero e del desiderio... Queste parole sono facilmente accessibili e attirano il cuore come le parole dell'Aggadah [cfr. B. Shabbat 87a; B. Baba Batra 10a rif. {{passo biblico2|Proverbi|3:35}}]. Ma in termini di verità superiore (''‘al derekh ha’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') nei sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
Il punto di vista di Maimonide che Nahmanide critica qui è che i sacrifici erano storicamente necessari, come forma di culto a cui il popolo d'Israele era abituato. Erano un compromesso con la realtà culturale, ma accuratamente epurati da ogni associazione idolatrica. Nahmanide obietta che il culto sacrificale è troppo centrale nell'ebraismo perché una logica così storicamente contingente sia vera. Sarebbe preferibile una seconda linea di interpretazione (l'autore della quale non nomina, sebbene assomigli a un approccio suggerito nel ''Commentario alla Torah'' di Ibn Ezra: Lev. 1:4 dopo Vayiqra Rabbah 7.3): che i sacrifici simboleggiano la vera contrizione e uno spirito di sacrificio di sé nel presentarsi davanti a Dio. Lo stesso punto è poi sottolineato dallo ''[[Zohar]]'' (Vayiqra, 3:9b e dal ''Commentario alla Torah'' di Bahya ben Asher su questo stesso versetto). Ma Nahmanide trova il significato più profondo dei sacrifici in una realtà divina. In sostanza, sostiene, soddisfano i bisogni divini. Questo è il punto di vista della Cabala, e l'approccio di Nahmanide qui influenzò profondamente i cabalisti successivi (cfr. I. Tishby, ''Mishnat ha-Zohar'', 2.194ss.)
'''[7.12]''' Nonostante il rifiuto da parte di Nahmanide della logica generale di Maimonide per il sistema sacrificale, egli concorda sul fatto che Maimonide avesse ragione nell'interpretare alcuni divieti del culto come anti-idolatrici nell'intento:
{{citazione|È plausibile (''yitakhen'') interpretare i divieti di lievito e miele sull'altare come fa Maimonide nel ''Moreh Nevukhim'' [3.46], quando afferma di aver trovato nei libri degli antichi idolatri che era loro abitudine, praticando l'adorazione pagana, offrire le loro offerte di cibo in forma lievitata e mescolare il miele in tutti i loro sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|2:2}} - II, 17-18}}
'''[7.13]''' Una teologia che trova ragioni per i comandamenti di Dio non può vederli come semplici decreti positivi. Piuttosto, devono essere visti come garantiti o dai benefici che apportano nel migliorare le relazioni umane, o dal bene che apportano alla relazione tra Dio e uomo. Quest'ultimo rapporto, costituito dalla rivelazione, è immutabile. Ma in fondo tutti i comandamenti costituiscono il rapporto tra Dio e uomo. Quindi tutti sono immutabili (CT: {{passo biblico2|Esodo|15:26}} - I, 361). Non possono essere abrogati dalla mera autorità umana. Perché la determinazione divina di ciò che è bene per l'uomo ha sempre la precedenza sulle nozioni umane. Le proiezioni umane di ciò che è bene per gli esseri umani sono ancora essenzialmente umane, quindi sono soggette all'abrogazione umana. Nahmanide sottolinea la distinzione in un'analisi halakhica dei giuramenti:
{{citazione|Alcuni dicono che [il giuramento di accettare la Torah al Monte Sinai] sia stato fatto con il consenso divino (''‘al da‘at ha-Maqom'')... e che il consenso di Mosè non fosse necessario, se non in quanto si fece portavoce della corte [umana] al loro Padre celeste... C'è un interprete che dice che il testo talmudico corretto recita "per consenso divino e quello del suo entourage angelico (''u-famaliah shelo'')", ma ciò è errato... Un interprete dice che la regola che i giuramenti comunitari a Dio possono essere revocati non si applica a nessun comandamento di Dio, perché ciò che è giurato secondo la volontà di Dio (''‘al da‘ato'') non può essere annullato (''hafarah''), dato che i Suoi comandamenti sono per sempre. Perché "Dio non è un uomo, da poter mentire" ({{passo biblico2|Numeri|23:19}}). Ma ciò che la comunità fa voti in materie ritenute facoltative (''bi-dvar reshut''), dove hanno collegato il loro consenso con quello di Dio, può essere abrogato e possono accettare di consentirne la violazione... e Dio concorda con la loro decisione. A me sembra che la giusta formula legale per tali giuramenti debba essere: "Per consenso divino e quello della congregazione (''kenesset'') d'Israele con Lui"... Cioè, il consenso di molti. Tuttavia, ciò che la comunità giura invocando il consenso divino, quello lo possono abrogare (''yesh hetter''). Perché non si sono proibiti di cambiarla, in quanto loro stessi l'hanno iniziata.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Shevu‘ot 29b, pp. 112-13}}
{{citazione|Quando si dice nel Talmud [B. Shevu‘ot 29b] che "col consenso di Dio" significa ciò che non può essere abrogato, colui che ha affermato ciò presumeva che ciò si applicasse solo al giuramento implicato nell'accettazione della Torah. Poiché Dio non accetterebbe di annullare (''le-vattel'') nemmeno una lettera della Torah. Ma in una questione essenzialmente facoltativa, Dio riconoscerebbe la necessità di proibire qualcosa ora e poi permetterlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 287}}
Pertanto, sebbene Nahmanide veda la legislazione rabbinica come un'espressione della legge divina (''Note sul Sefer ha-Mitsvot di Maimonide'', shoresh 1), vede una differenza tra la legge scritturale e quella rabbinica, in quanto la legge rabbinica può essere abrogata.
'''[7.14]''' Per Nahmanide, quindi, Dio decreta nella Torah ciò che vede è necessario agli esseri umani. Ma permette alle autorità umane di emanare i propri, mutevoli decreti in quelle aree non determinate dai mandati della Torah. Dio non solo permette, ma ordina specificamente questa attività, impartendo così autorità divina alle leggi umane:
{{citazione|Inoltre, "per consenso divino" è annesso anche ai comandamenti rabbinici. Perché se si dovesse dire che il consenso divino è menzionato solo nel giuramento che Mosè fece fare a Israele... ma non è annesso ai nostri giuramenti e condanne (''ve-haramim''), allora perché i nostri antenati menzionarono il consenso divino in relazione a [ loro] proibizioni — a meno che Dio non fosse d'accordo? Egli, esaltato sia il Suo Nome, concorre a che facciamo ciò che è buono e giusto ai Suoi occhi e agli occhi degli esseri umani.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': Mishpat ha-Herem, p. 299}}
'''[7.15]''' I comandamenti specifici non presuppongono miracoli né segreti né pubblici. La maggior parte presume l'ordine ordinario della natura. Si può vedere che un certo numero di comandamenti serve ai bisogni umani ordinari. Nahmanide, che è spesso considerato un anti-razionalista, trova la legge naturale nella stessa Torah. È abbastanza aperto su questo in un certo numero di punti, specialmente nel suo ''Commentario alla Torah''. Riguardo alla punizione della generazione del Diluvio, scrive:
{{citazione|Infatti contro di loro non fu decretata punizione se non per la violenza (''hamas''). Per questo [l'inaccettabilità dell'illegalità] è una questione razionale (''‘inyan muskal'') che non dipende dalla rivelazione (Torah).|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:2}} - I, 48}}
'''[7.16]''' Seguendo una tendenza evidente nella teoria della legge naturale sin dai tempi dei filosofi stoici e dei giuristi romani, Nahmanide considera il divieto della violenza anarchica riconosciuto dal pubblico consenso e ben noto alla ragione:
{{citazione|La violenza è rapina e oppressione... un peccato che è noto e pubblicamente riconosciuto (''mefursam'')... perché è un comandamento razionale (''mitsvah muskelet''), la cui proibizione non ha bisogno di un comandamento profetico.|CT: {{passo biblico2|Genesi|6:13}} - I, 52}}
'''[7.17]''' Per quanto riguarda le regole razionali, Nahmanide trova a volte un precedente negli standard morali degli antichi (CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119). Egli vede persino contenuti razionali in ''mitsvot'' non solitamente ritenute comandamenti razionali:
{{citazione|Infatti gli antichi saggi, prima del dono della Torah, sapevano che c'è una grande utilità (''to‘elet'') nel [[w:levirato |matrimonio levirato]].|CT: {{passo biblico2|Genesi|29:27}} - I, 215}}
'''[7.18]''' La legge naturale universalmente accettata è il requisito minimo per gli ebrei, notevolmente integrato dalla legge rivelata della Torah:
{{citazione|Così trovi che i patriarchi e i profeti si comportarono in modo morale universalmente accettato (''derekh erets'')... se i patriarchi e i profeti che vennero a fare la volontà di Dio si comportarono in modo morale universalmente accettato, quanto più dovrebbero le persone ordinarie.|CT: {{passo biblico2|Esodo|12:21}} - I, 334}}
'''[7.19]''' La rivelazione ebraica condivide molti punti generali con la legge naturale e con la legge noachica. Il suo vantaggio sta nelle sue particolarità rivelate. Proprio come la superiorità degli esseri umani sugli animali è evidenziata dalla speciale provvidenza di cui godono, così le particolarità della legge rivelata mostrano la superiorità di Israele sulle altre nazioni:
{{citazione|Da ciò si vede [la presentazione delle leggi noachiche in B. Sanhedrin 56b] che ai noachidi furono dati i loro comandamenti in generale (''bi-khelalut'') non in termini specifici... Quindi il popolo aveva solo comandamenti generali fino a quando non giunse al Monte Sinai, dove i comandamenti furono esplicitati per loro nelle particolarità... Ora tutte queste questioni [leggi civili e penali] sono raggruppate in una categoria generale, ''mishpat''.|''Note al Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'', shoresh 14, p. 143}}
Il teologo ebreo spagnolo del XV secolo, [[w:Joseph Albo|Joseph Albo]], fece più o meno lo stesso punto sulla superiorità della legge divina sulla legge naturale e sulla legge umana positiva (''Sefer ha-‘Iqqarim'', 1.8; cfr. [[w:Tommaso d'Aquino|Tommaso d'Aquino]], ''[[w:Summa Theologiae|Summa Theologiae]]'', 2-1, q. 99, a. 2). Ma non menziona Nahmanide come fonte del suo punto di vista. Nel mantenere la suprema superiorità di un ricco sistema di precetti specifici su un corpo di generalità morali, Nahmanide fu sicuramente influenzato dall'apertura di ''Kuzari'' (1, intro.) di Judah Ha-Levi, dove al re dei Khazari dalla mentalità filosofica vien detto in un sogno che Dio approva le sue intenzioni generali ma non le sue azioni specifiche. È questa critica che lancia la ricerca che infine porta il re all'ebraismo.
'''[7.20]''' Anche se la giustizia naturale sembra essere una realtà essenzialmente umana, gli esseri umani sono capaci di giustizia solo in virtù di un ''telos'' unico, che è l'essere vicini a Dio. Quindi, ci distinguiamo dagli animali sia teologicamente che moralmente. Delucidando l'osservazione di Elihu nel [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]] secondo cui Dio " ci rende più istruiti delle bestie selvatiche e ci rende più saggi degli uccelli del cielo" ({{passo biblico2|Giobbe|35:11}}), Nahmanide spiega:
{{citazione|Elihu dice che Dio ci ha insegnato a conoscerLo e a diventare saggi riguardo alle Sue azioni in modi che gli animali non lo sono. Per questo non ha voluto che ci danneggiassimo a vicenda, istinto che ha posto negli animali, in modo che si sbranino a vicenda... Elihu disse questo per spiegare il motivo della provvidenza individuale: perché riconosciamo il nostro Creatore e acquisiamo saggezza riguardo alle Sue azioni, siamo soggetti ai Suoi comandamenti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 35:11 - I, 106-07}}
L'argomentazione presuppone che anche prima della consegna della Torah vi fosse un naturale riconoscimento umano di giustizia elementare, basato sul riconoscimento dell'ordine della creazione, che era riconosciuto come opera di Dio.
'''[7.21]''' Nahmanide sottolinea che i comandamenti dati poco prima della rivelazione della Torah al Sinai non sono la Torah in senso stretto, ma una sorta di preparazione morale. Non sono nemmeno distintamente ebraici:
{{citazione|Questi erano ammonimenti morali, affinché non diventassero come i campi dei predoni che commettono spudoratamente ogni tipo di atrocità... Questi non sono gli statuti e le ordinanze della Torah. Sono regolamenti civili (''hanhagot ve-yishuv ha-medinot'') simili ai termini stabiliti da Giosuè, come ricordavano i saggi.|CT: {{passo biblico2|Esodo|15:25}} - I, 359}}
Sebbene i termini stabiliti da Giosuè fossero chiaramente stipulati in relazione all'ingresso degli israeliti nella Terra d'Israele (B. Baba Kama 80b-81a), Maimonide dice che si applicano ovunque (''Hilkhot Nizqei Mamon'', 5.5). In tal caso, il loro appello deve essere rivolto al ragionamento universale. Qui Nahmanide segue il punto di vista di [[Maimonide]].
'''[7.22]''' Ancora, come Maimonide, sottolinea che il diritto civile e penale servono a mantenere una società armoniosa:
{{citazione|In un senso letterale, "i miei giudizi" (''mishpatai'') significa proprio diritto civile e penale (''ha-dinin'')... Pertanto, dice, "che un uomo compie e quindi vive". Poiché queste leggi furono date per la vita dell'uomo, per favorire la sua vita civile e per amore della pace.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:4}} - II, 99-100}}
'''[7.23]''' Nahmanide ritorna a questo punto distinguendo queste leggi, le cui ragioni sono evidenti a tutti, dagli statuti (''huqqim'') le cui ragioni sono evidenti solo attraverso la conoscenza esoterica:
{{citazione|Perché gli satuti (''huqqim'') sono comandamenti le cui ragioni non sono state rivelate alle masse, gli sciocchi li disprezzano... ma le ordinanze (''mishpatim'') sono qualcosa che tutti vogliono e necessitano, perché le persone non hanno civiltà o società senza lo stato di diritto (''mishpat'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:15}} - II, 187}}
'''[7.24]''' I Sette Comandamenti Noachici appartengono alla legge naturale; sono razionalmente evidenti:
{{citazione|Queste questioni [immoralità sessuale e rapina] e il resto dei Sette Comandamenti furono comandati dal tempo del primo essere umano. I rabbini li derivarono da accenni nel versetto ({{passo biblico2|Genesi|2:16}}) "E il Signore Dio comandò agli umani [''ha-’adam''] dicendo [di ogni albero del giardino puoi mangiare, ma dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male non devi mangiare]". Ma Dio non elaborò loro tali questioni, perché le elaborazioni ci furono date al Sinai. A prima vista, questi comandamenti sono razionali (''sikhliyot''). E ogni creatura che riconosce il suo Creatore dovrebbe considerarsi vincolata da loro (''lee-zaher'').|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 173}}
La distinzione dei "comandamenti razionali" (''sikhliyot'') da quelli conosciuti solo dalla rivelazione (''shim‘iyot'') è operata da Saadyah Gaon (''ED'', 3.3; vedere J. Faur, ''‘Iyyunim be-Mishneh Torah le-ha-Rambam'' [Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1978], 115ss.). Ma per Saadyah i comandamenti razionali riguardano sia i rapporti umani che il nostro rapporto con Dio (''ED'', 3.1). Ogni area dell'esistenza umana ammette una comprensione razionale. Non vi è alcuna differenza oggettiva tra ciò che viene dalla ragione e ciò che viene dalla rivelazione (''ED'', Introduzione, 6). La differenza tra ragione e rivelazione sta nel modo in cui essenzialmente si raggiunge la stessa verità. Con la ragione, il conoscitore umano è lo scopritore attivo della verità; con la rivelazione, il conoscitore umano è più passivo, un destinatario della verità. Ma per Nahmanide i comandamenti razionali riguardano solo le relazioni umane, e anche lì solo in parte. Per quanto riguarda la nostra relazione con Dio, la rivelazione non solo svela ciò che è già presente, ma stabilisce la relazione. Come la creazione, istituisce una nuova realtà piuttosto che descriverne una vecchia. Così Nahmanide trae l'etimologia della parola "alleanza" (''berit'') da "creazione" (''beriyyato shel ‘olam'') [CT:intro. - I, 4 secondo Shir ha-Shirim Rabbah 1.29 rif. {{passo biblico2|Dt|4:13}}].
Questa enfasi storica non è in definitiva coerente con la dottrina cabalistica secondo cui la Torah è la rivelazione dell'essere ''primordiale'' di Dio. Perché nella dottrina cabalistica, tutti i comandamenti sono partecipazioni a quella vita divina, quindi possono essere radicalmente nuovi e nessuno riguarda essenzialmente una realtà interumana. Per quanto ne so, Nahmanide non è mai riuscito a superare l'inconsistenzaè nella sua teologia, come fece invece l'autore dello ''[[Zohar]]'', in effetti, eliminando del tutto la categoria dei comandamenti razionali. Maimonide, d'altra parte, eliminò anche la distinzione, per così dire dalla direzione opposta, vedendo tutti i comandamenti come razionali in sostanza. Cfr. I. Twersky, ''Introduction to the Code of Maimonides'' (New Haven: Yale University Press, 1980) 458-59.
'''[7.25]''' Nahmanide fa la stessa distinzione nel differenziare un [[w:Noachismo|noachide]] ordinario da un residente-alieno (''ger toshav''), uno che osserva come rivelazione divina i Sette Comandamenti come intesi dalle autorità ebraiche. Il noachide ordinario li osserva semplicemente perché sono razionali (cfr. Maimonide, ''Hilkhot Melkahim'', 8.10-11).
{{citazione|Sia ben noto che il noachide menzionato in tutto il Talmud ''è'' un residente-alieno, a parte i fatto che un noachide è colui che si comporta semplicemente in modo appropriato (''ke-hogan'') verso i suoi simili secondo questi comandamenti, mentre un residente-alieno in realtà venne in una corte ebraica e l'accettò formalmente. Questo va oltre la pratica di altri noachidi, che non l'accettarono formalmente. È più puntiglioso (''medaqdeq'') su di loro... Gli altri noachidi sono nella categoria di coloro che osservano anche se in realtà non vien loro comandato di farlo [B. ‘Avodah Zarah 2b-3a]. Ma il residente-alieno, che li ha accettati in una corte ebraica, è colui che osserva questi comandamenti come comandamenti.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': B. Makkot 9a, p. 61}}
'''[7.26]''' Anche la legge naturale per Nahmanide non è semplicemente naturale. Fa parte del piano di Dio per l'ordine creato:
{{citazione|È scopo di Dio comandare che sia fatta giustizia tra le Sue creature. Poiché questo è il motivo per cui le ha create: che ci debba essere giustizia ed equità tra loro... Se ti fai prendere dal panico e fai violenza, hai peccato contro il Signore e hai violato il Suo mandato.|CT: {{passo biblico2|Dt|1:17}} - II, 349}}
'''[7.27]''' ''Imitatio Dei'', inoltre, richiede un'applicazione visionaria in circostanze concrete, specifiche, dei principi generali di giustizia ed equità enunciati nella Torah:
{{citazione|Anche quando Dio non ti ha comandato in modo specifico, dovrebbe comunque essere tua intenzione fare ciò che è buono e giusto (''yashar'') ai Suoi occhi. Perché Egli ama il bene e il giusto. Questo è un principio fondamentale. Perché è impossibile per la Torah comandare tutte le azioni umane e ordinare ogni singola interazione di un essere umano con un altro, regolare ogni transazione commerciale e migliorare ogni questione sociale e politica.|CT: {{passo biblico2|Dt|6:18}} - II, 376}}
In CT: {{passo biblico2|Levitico|19:2}} (II, 115) Nahmanide espose la necessità di un ordinamento delle pratiche sessuali e rituali consentite, secondo il fine più ampio della santità. Qui spiega l'ordinamento delle pratiche sociali e commerciali consentite, ai sensi del fine generale della giustizia. La legge naturale è vista come una partecipazione alla sapienza creatrice di Dio, che governa l'universo.
'''[7.28]''' Anche l'osservanza di tali "leggi naturali" implica la divina provvidenza:
{{citazione|In verità, tutto questo è un grande privilegio dei giudici d'Israele e l'assicurazione che Dio conferma la loro autorità [''maskeem ‘al yadam''] ed è con loro in materia di vero giudizio.|CT: {{passo biblico2|Dt|19:19}} - II, 434}}
L'espressione "conferma la loro autorità" riecheggia il detto talmudico secondo cui Dio, dopo il fatto, confermò la decisione di Mosè di infrangere le prime tavole dei Dieci Comandamenti ({{passo biblico2|Esodo|32:19}}). Mosè aveva agito in base alla propria valutazione dei "bisogni dell'ora", non sulla base di un decreto divino, quando vide il popolo adorare il [[w:Vitello d'oro|Vitello d'oro]] (B. Shabbat 87a). C'è molta discussione nelle fonti rabbiniche su tali giudizi personali in tempi di crisi: l'integrità giudiziaria e la discrezione devono essere considerate affidabili nei casi che la legge non può coprire in modo specifico (B. Sanhedrin 46a). Ma c'è il pericolo sempre presente di abusi di potere e una mentalità ''vigilante'' che mette a repentaglio lo stato di diritto (B. Sanhedrin 82a; Maimonide, ''Hilkhot Sanhedrin'', 24.4, 10). Per Nahmanide, a quanto pare, la migliore garanzia che i giudici useranno la loro discrezione in modo responsabile è che siano pienamente consapevoli che il loro ruolo è di ''imitatio Dei'' (KR: ''Torat ha-’Adam'' - II, 41).
'''[7.29]''' La continuità tra i beni naturali e soprannaturali si vede nel modo in cui i comandamenti servono a fini sia corporali che spirituali:
{{citazione|Ancora una volta la Torah illumina i nostri occhi sul mistero della generazione... e così è con tutte le vie della Torah. Infatti comanda tutte le cose buone per il corpo secondo l'ordine familiare del mondo, e tutte le cose buone per l'anima in relazione alla sua natura e all'osservanza dei comandamenti. Poiché è noto che questi alimenti sono buoni per la salute e per la guarigione. Altri cibi sono dannosi per l'anima a causa dei tratti che generano... I rapaci sono crudeli e il loro sangue e la loro carne generano crudeltà nell'anima. A Israele è comandato di essere compassionevoli e amarsi gli uni con gli altri. Quindi fu giusto (''ra’ui'') che questo fosse loro proibito... Perché tutte le vie della Torah forniscono un beneficio (''to‘elet) al corpo e all'anima. Questo ordinò il Medico che sa come si formano le creature.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 166-67}}
Il medico, ovviamente, è Dio.
'''[7.30]''' I comandamenti della Torah tengono quindi conto non solo di considerazioni politiche, ma anche biologiche.
{{citazione|Le scritture proibivano il contatto sessuale con una mestruante... per preservare la specie... Lo dicono i medici stessi.|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:19}} - II, 104}}
'''[7.31]''' Nahmanide accetta la logica biologica di Maimonide per i divieti dietetici della Torah, e anche la sua logica storica:
{{citazione|I cibi proibiti nella Torah fanno male anche al corpo. Maimonide ha fornito questa ragione nel ''Moreh Nevukhim'' [3.37]. È come le ragioni che diede per molti altri comandamenti, che queste pratiche proibite erano usate da maghi e stregoni a quel tempo per la stregoneria.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:23}} - II, 125}}
'''[7.32]''' Certe pratiche sono proibite perché naturalmente ripugnanti. Delucidando il raro uso peggiorativo di ''hesed'' nella proibizione dell'incesto da parte della Torah, "Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei ed essa vede la nudità di lui, è un'infamia (''hesed'')" ({{passo biblico2|Levitico|20:17}}), Nahmanide scrive:
{{citazione|Secondo il parere dei commentatori, ''hesed'' significa "vergognoso" (''herpah''); perché gli uomini si vergognano naturalmente di questo atto disgustoso (''mekho‘ar'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|20:17}} - II, 131}}
'''[7.33]''' L'incesto è rifiutato, anche se alcuni tipi potrebbero sembrare consentiti dalla legge noachica. Così, nel commentare l'incesto delle figlie di Lot con il padre, Nahmanide scrive:
{{citazione|Erano timide (''tsenu‘ot'') e non volevano dire al padre di sposarle, perché un noachide potrebbe sposare sua figlia. In alternativa, era una cosa disgustosa (''mekho‘ar'') agli occhi di quelle generazioni e non doveva mai esser fatta.|CT: {{passo biblico2|Genesi|19:32}} - I, 119}}
'''[7.34]''' Anche la legge noachica, fondamentalmente, comprende i vincoli elementari che sono il ''sine qua non'' di ogni società capace di sostenere la lealtà umana. Tuttavia, non è sufficientemente specifico per fungere da contenuto di qualsiasi sistema giuridico reale. A questo proposito, il diritto civile e penale ebraico è simile alla legge noachica:
{{citazione|Ma ha imposto ai noachidi le leggi relative al furto, alla frode, allo sfruttamento e simili... Queste sono come la legge civile e penale (''ha-dinin'') data a Israele... Tali comandamenti solo limitano (''ha-meni‘ah'') l'illecito.|CT: {{passo biblico2|Genesi|34:13}} - I, 192}}
'''[7.35]''' Mentre un comandamento può avere un aspetto naturale manifesto, esso può avere contemporaneamente un aspetto mistico o soprannaturale ancora più importante. Tale è sempre il suo fondamento ultimo:
{{citazione|Sappi che il rapporto sessuale menzionato nella Torah è qualcosa da cui dovresti stare lontano; perché è disgustoso, tranne che per la conservazione della specie... Ma le unioni incestuose (''he-‘arayot'') sono statuti (''huqqim''), materie del decreto del Re. Questo è qualcosa che entra nella mente del Re, che nella Sua saggezza e sovranità conosce la necessità e lo scopo di ciò che ha comandato ma non lo spiega al popolo, se non al più saggio dei suoi consiglieri.|CT: {{passo biblico2|Levitico|26:1}} - II, 101}}
'''[7.36]''' Anche le norme che soddisfano esigenze umane così evidenti come il mantenimento di buone relazioni nella società, hanno significati più profondi. Così il trattenimento dal nuocere al prossimo può essere inteso come giustificato dal naturale bisogno di ordine sociale. Ma da questo non deriva il comandamento positivo di ''amare'' il prossimo. Richiede una rivelazione speciale:
{{citazione|Il motivo per avere un comandamento speciale "ama il prossimo tuo come te stesso" è che è un obbligo insolito (''haflagah''). Perché il cuore di una persona non accetterà di dover amare il prossimo come la propria vita.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:17}} - II, 119}}
'''[7.37]''' Chiaramente Nahmanide crede che tutti i comandamenti di Dio abbiano ragioni e non siano semplicemente espressioni di autorità arbitraria. Riflettono la saggezza e la volontà di Dio. Ma solo le leggi civili e penali sono comprensibili dal canone dell'esperienza umana ordinaria. Gli altri comandamenti hanno ragioni più esoteriche:
{{citazione|Gli statuti sono i Suoi decreti (''gezerotav''), e le ordinanze sono le leggi civili e penali (''dinin''). I primi hanno bisogno di più rafforzamento perché le loro ragioni sono nascoste... Ma, inoltre, gli statuti e le ordinanze stesse sono giusti e buoni per la civiltà (''yishuv'') del popolo e della società.|CT: {{passo biblico2|Dt|4:3}} - II, 361}}
'''[7.38]''' Come Maimonide, Nahmanide si oppone vigorosamente all'idea che qualsiasi comandamento sia privo di ragioni specifiche. Se così fosse, i comandamenti di Dio sarebbero semplici espressioni di capriccio. In verità tutti esprimono la sapienza di Dio in tutta la sua specificità. La differenza tra le due categorie di comandamenti sta proprio nella facilità con cui le loro ragioni possono essere apprese dalla ragione umana senza aiuto:
{{citazione|L'intenzione non è che il decreto del Re dei re sia mai senza motivo (''ta‘am'')... ma gli statuti (''huqqim'') sono decreti di un Re emanati nel Suo regno, il cui beneficio (''to‘elatam'') non è rivelato al popolo... Parimenti gli statuti di Dio: sono Suoi misteri nella Torah che il popolo non comprende pienamente, come invece comprendono le ordinanze (''mishpatim''). Ma tutti sono ragionevoli, sani e interamente intenzionali.|CT: {{passo biblico2|Levitico|19:19}} - II, 120}}
'''[7.39]''' Alcune trasgressioni sono facilmente intese come offese alla vita umana e alla società. Altri offendono aspetti più profondi della vita divina stessa:
{{citazione|Perché il Diluvio si verificò a causa della corruzione della terra, e la Dispersione di Babele fu perché "tagliarono le piante", quindi furono puniti dal Suo grande Nome.|CT: {{passo biblico2|Genesi|11:2}} - I, 71}}
"Tagliare le piante" qui si riferisce all'eresia derivante dall'adozione di visioni private della vita divina e dei suoi misteri (B. Hagigah 14b). La metafora, per come la intende Nahmanide, guidata dall'opinione rabbinica, è che l'eretico taglia le piante in crescita dalle loro radici proprie quando si forma opinioni contrarie alla Torah, la fonte di ogni verità (cfr. per es., Ruth Rabbah 6.6).
'''[7.40]''' Nahmanide, come abbiamo visto, dedica molta attenzione ai comandamenti storici. Questi commemorano simbolicamente i miracoli pubblici operati da Dio, consentendo alle generazioni successive di ebrei, che non furono fisicamente presenti quando si verificarono i miracoli originali, di partecipare a quelle grandi esperienze:
{{citazione|Questi comandamenti sono chiamati "testimonianze" (''‘edot''), poiché sono un ricordo dei Suoi atti meravigliosi e una testimonianza (''‘edut'') di essi.|CT: {{passo biblico2|Dt|6:20}} - II, 376}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
{{Avanzamento|75%|28 luglio 2022}}
[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 7]]
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Discussione:Equitazione/L'assetto
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2022-07-29T07:47:31Z
Hippias
18281
/* perché niente ragazze??? */ Risposta
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== perché niente ragazze??? ==
Al giorno d'oggi la maggior parte del mondo equestre è formato da ragazze! [[Speciale:Contributi/93.145.46.78|93.145.46.78]] 12:49, 28 lug 2022 (CEST)
:Credo che quell'affermazione si spieghi con il fatto che questo wikibook è in parte la traduzione di un libro del 1922, quindi di un secolo fa... — [[Utente:Hippias|<span style="font-family:Georgia, serif">Hippias</span>]] <sup>([[Discussioni utente:Hippias|msg]])</sup> 09:47, 29 lug 2022 (CEST)
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