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Apple/Fondatori
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{{Apple}}
Come detto nel capitolo sulla storia della società questa venne ufficialmente fondata il 1° Aprile 1977, sebbene la sua fondazione si avvenuta prima nel garage di casa Jobs. All'inizio la società venne fondata da Steve Jobs, Steve Wozniak e Ronald Wayne il terzo fondatore che non viene quasi mai nominato dato che abbandono la società molto presto e non ebbe mai un contributo rilevante. I due fondatori infatti si spartivano gli incarichi alla perfezione. Wozniak era un mago dell'elettronica infatti è quasi leggendaria la sia capacità di semplificare i circuiti al fine di renderli più economici e funzionali mentre Jobs è stato fin all'inizio l'uomo incaricato di gestire la parte più commerciale e gestionale della società. Negli Stati Uniti d'America quando si parla di Jobs spesso ci si riferisce alla sua capacità di persuasione ma anche alla sua immensa capacità di inventare e di pensare nuove tecnologie che hanno poi aperto la strada a quelle di oggi.
== Steve Jobs ==
[[Image:Stevejobs Macworld2005.jpg|thumb|300px|Jobs al Macworld di San Francisco del 2005]]
Al secolo Steven Paul Jobs nato il 24 febbraio 1955 da Joanne Simpson e da padre sconosciuto venne adottato ancora neonato da Paul e Clara Jobs una coppia di Mountain View a Santa Clara (California). Ebbe un'adolescenza abbastanza comune e senza fatti degni di nota e, nel 1972, Jobs si diplomò all'Homestead High School di Cupertino, California e si iscrive all'università Reed College di Portland nell'Oregon. La sua presenza all'università è abbastanza curiosa, dato che i familiari di Jobs non potevano pagargli gli studi, costringendolo quindi a ricorrere a vari stratagemmi per rimanere nel campus. Dopo un semestre comunque, decise di andarsene, dato che l'università non gli avrebbe consentito di sostenere gli esami senza il pagamento della retta. In seguito girovagò per gli Stati Uniti e fu un attivo partecipante della comunità hippy. Tornato in California rincontro ad un incontro dell'Homebrew Computer Club Steve Wozniak di cui divenne amico e con cui fece alcuni affari. Uno dei più curiosi fu la realizzazione di alcune apparecchiature che riproducevano i segnali di controllo delle compagnie telefoniche e permettevano di realizzare telefonate gratuite frodando la compagnia telefonica. Jobs aiutò Wozniack a vendere queste apparecchiature. Di questi apparecchi ne realizzarono diversi, il più curioso non era altro che un fischietto regalato insieme ad ogni confezione dei cereali di Cap'n Crunch a cui veniva apportato delle piccole modifiche.
Con i soldi guadagnati Jobs parti insieme ad un amico dell'università per l'india alla ricerca della propria spiritualità. Dopo il viaggio in India ritornò in California dove venne assunto dall'Atari per lavorare al gioco Breakout al fine di semplificare il progetto. Atari offriva 100 $ di premio per ogni chip eliminato dal gioco (oltre a una base di 750$) e Jobs che si intendeva poco di elettronica ebbe l'idea di coinvolgere Wozniack offrendogli metà del premio. Wozniack lavorò e con abili stratagemmi eliminò 50 chip dalla scheda madre e Atari pagò i 5000$, ma Jobs tenne segreto il bonus e diede a Wozniack solo 375$. Jobs parlando con Wozniack viene a conoscenza del computer che questo ha progettato per uso personale e riesce a convincerlo a fondare una società per commercializzare il computer. L'Apple I inizialmente doveva essere venduto in scatola di montaggio, come era consuetudine all'epoca ma un commerciante fece un grosso ordine (50 computer) a patto che questi fossero venduti già assemblati. Jobs, Wozniack e Ronald Wayne accettarono e coinvolsero parenti, amici e chiunque potesse nella realizzazione di questi computer che furono venduti assemblati ma senza case, difatti i modelli che si possono vedere in alcuni musei d'informatica sono o senza case o con un case artigianale spesso realizzato in legno dallo stesso acquirente. Si stima che Jobs riuscì a vendere circa 200 Apple I, intanto Wozniack pensava al successore dell'Apple I una macchina molto più potente, flessibile ma anche molto più costosa da sviluppare. Wozniack sapeva di non avere abbastanza fondi per poter sviluppare un computer del genere ma la situazione si risolse quando Mike Markkula si presento da Jobs e Wozniack e chiese di entrare a far parte della società mettendo sul piatto 250.000 $ per lo sviluppo del nuovo computer. Questi soldi permisero lo sviluppo dell'Apple II un computer che creo praticamente il mercato dei personal computer dato che venne venduto in milioni di esemplari. Apple procedeva a gonfie vele dal punto di vista commerciale e Jobs decise di cercare un manager di provata esperienza in modo da trasformare la società da una società di smanettoni ad una vera multinazionale con un piano strategico serio, obiettivi credibili e una buona reputazione. Il manager che avrebbe dovuto effettuare il cambiamento era John Sculley, questo manager era diventato famoso per aver prodotto un'esplosione dei fatturati della Pepsi Cola negli Stati Uniti e per aver intaccato per la prima volta in modo serie il predominio della Coca Cola nel mercato delle bibite gassate. Sculley aveva una posizione invidiabile alla Pepsi e Jobs per convincerlo ad entrare in Apple oltre ad un generoso stipendio gli disse "Vuoi passare il resto della vita a vendere acqua zuccherata o vuoi cambiare il mondo?". Sculley alla fine accetto' e divenne il CEO di Apple nel 1983 mentre Jobs si concentrava sul progetto Lisa che venne presentato quell'anno ma che si rivelò un fallimento commerciale. Da una costola del progetto Lisa intanto era nato il progetto Macintosh, un progetto a cui Jobs credeva molto e che prediligeva rispetto al progetto Apple III fin a far scattare intenzionalmente una competizione tra i due team di sviluppo.
Il Macintosh venne presentato il 24 gennaio 1984 e almeno inizialmente ricevette un'accoglienza tiepida. I rapporti tra Jobs e il management dell'Apple intanto di andavano deteriorando e dopo l'accoglienza fiacca del Macintosh la situazione divenne ancora più tesa fino al 1985 quando Jobs fu estromesso da ogni incarico operativo e quindi decise di abbandonare Apple. Nello stesso anno fondò la Next Computer con l'obiettivo di creare una nuova rivoluzione tecnologica. Nel 1986 compra la Pixar dalla LucasFilms. L'avventura con la Next non procedette bene, l'azienda produce computer migliori dei concorrenti ma ad un prezzo troppo elevato e non riusciva ad imporsi nel mercato. Intanto la Pixar si concentra nella produzione di lungometraggi al computer e nel 1995 con la produzione di Toy Story - Il mondo dei giocattoli riusciva a sfondare. Nel 1996 Apple Computer è in crisi; il sistema operativo Mac OS, montato sulle macchine Apple, è ormai obsoleto e l'azienda ha necessità di un sistema operativo moderno per sopravvivere. Perciò, la direzione decise di acquistare una software house che disponesse di un SO moderno, da poter adattare alle macchine PowerPC prodotte da Apple. All'inizio la società pensò all'acquisizione della Be Inc., software house fondata da due transfughi di Apple: il maggior candidato a diventare il nuovo sistema operativo di Apple sembra quindi essere il BeOS, di cui era già in corso il porting per l'architettura PowerPC. In seguito, Apple computer contattò Jobs. Jobs premette perché Apple acquisisca la Next - in grave crisi -, e l'affare infine con lo stupore di molti andò in porto per la cifra di 402 milioni di dollari, un valore elevatissimo per una società che in quel momento viveva vendendo software a servizi per internet totalizzando un modesto giro d'affari. Il Nextstep, sistema operativo della Next, divenne la base di quello che diventerà il futuro SO di Apple, mentre lo sviluppo del vecchio Mac OS terminerà con la versione 9.2. Nel 1997, dopo risultati operativi molto deludenti, il CEO di Apple in carica, Gil Amelio, viene allontanato e Jobs diventa CEO ad interim senza stipendio (riceve la cifra simbolica di 1$ all'anno) al posto di Amelio. Inizia così a svolgere le normali attività di amministratore, pur mantenendo in titolo di CEO ad interim. Jobs tornando in Apple scandaglia tutta la società e i suoi progetti. Quindi per riportarla in attivo taglia tutti i progetti che non fossero in grado di generare flusso di cassa in breve tempo. Intanto che la sviluppo di quello che sarà il Mac OS X procede Jobs nel 1998 presentò l'IMac uno dei più grandi successi commerciali del decennio nel capo dell'informatica. Dal punto di vista tecnologico l'iMac non era un computer rivoluzionario ma l'idea di rilasciarlo in più colori, e in generale l'idea di realizzare un computer che seguisse la filosofia del semplice e funzionale fu una mossa azzeccata. Milioni di persone individuarono nell'iMac il computer semplice e bello per l'era di Internet e quindi lo acquistarono. Nel 2001 venne presentato il Mac OS X e, sebbene la prima versione fosse afflitta da molti difetti, le versioni successive corressero la maggior parte dei problemi e permisero la realizzazione di un sistema operativo stabile e moderno. Nel 2001 inoltre venne presentato l'iPod quello che all'inizio sembrava un gadget tecnologico come tanti si trasformo in pochi anni in un fenomeno di costume mondiale che moltiplicò il valore azionario dell'Apple e che oramai rappresenta il 50% del fatturato Apple. Da questa evoluzione Jobs ebbe un notevole guadagno dato che per il suo operato riceve un consistente premio in azioni.
Gli ultimi anni inoltre videro un'esplosione della grafica tridimensionale e in particolare dei cartoni animati tridimensionali. La Pixar è una dei principali competitor mondiali del settore e con la sua quotazione in borsa Jobs è diventato miliardario. Nel 2006 la Pixar è stata acquisita da Disney che ha pagato con azioni proprie e denaro l'acquisizione rendendo Jobs il principale azionista della Disney. È da segnalare che sebbene Jobs abbia molto successo con gli affari molti suoi ex-dipendenti lo hanno dipinto come una persona estremamente irascibile, con una dedizione quasi maniacale per i particolari che costringeva i suoi collaboratori a orari di lavoro estenuati per curare particolari ininfluenti. Per esempi durante lo sviluppo del primo computer della Next Jobs rimproverò aspramente il progettista capo per la mancanza di ordine della scheda madre del computer. Quando il progettista disse a Jobs "Ma chi vuoi che vada a guardare come è fatta la scheda madre" Jobs rispose "Io". Jobs inoltre pretende dai suoi collaboratori una dedizione assoluta e una segretezza quasi religiosa per i progetti in sviluppo. Inoltre uno dei fatti più discussi sul carattere di Jobs riguarda il suo primo figlio. Durante la fine degli anni 70 Jobs venne informato da una ragazza che frequentava durante il suo periodo Hippie che era in cinta di un sua figlia. Jobs per molto tempo si rifiutò di riconoscerla e iniziò a pagare gli alimenti alla ragazza per il mantenimento della figlia (pur essendo milionario) solo quando gli avvocati dell'Apple lo fecero ragionare sulla cattiva pubblicità che una simile storia avrebbe portato se fosse finita in tribunale. Sebbene in seguito i rapporti tra Jobs e sua figlia sembra siano migliorati il suo comportamento iniziale viene tuttora criticato.
==Steve Wozniak ==
Stephen Wozniak (Polacco: Woźniak) (soprannome (The) Woz or Wizard of Woz) (nato l'11 agosto, 1950) è conosciuto come uno dei fautori della rivoluzione dei personal computer. Sebbene il suo contributo sia stato principalmente rivolto verso la realizzazione di tecnologie e la risoluzione di problemi tecnici la sua dimestichezza con l'elettronica e la sua capacità quasi leggendaria di ridurre la complessità e quindi i costi delle componenti elettroniche lo hanno reso una delle figure più note nel mondo dell'informatica. Infatti è stato lui a progettare l'Apple I, il primo personal computer con un costo accessibile e delle prestazioni decorose.
Wozniak è stato ispirato da due figure durante i suoi primi anni di vita, dal padre Jerry ingegnere della Lockheed e dai racconti di fantascienza di Tom Swift. Il padre gli ha trasmesso la passione per l'elettronica, infatti esso controllerà le prime creazioni del giovane Woz. Tom Swift, invece era un esempio della libertà di pensiero, delle potenzialità del progresso scientifico e dell'abilità nell'affrontare e risolvere rapidamente i problemi che si presentano durante un qualsiasi progetto. I fumetti inoltre illustravano i vantaggi che avrebbero atteso il futuro inventore. Wozniak, quando parla di quegli anni, racconta che spesso usava i fumetti come ispirazione per i suoi progetti e le sue invenzioni.
I valori di Woz sono stati modellati dai pilastri della filosofia cristiana, dall'etica del radioamatore (aiuta le persone in caso di emergenza) e dai libri di Tom Swift (utilizza al meglio le tue capacità).
Seguendo gli insegnamenti di Swift, Wozniak amava impegnarsi in progetti che richiedessero un elevato sforzo intellettivo. Imparò le basi della matematica e della elettronica dal padre e a undici anni riuscì a costruire la sua prima stazione radio amatoriale e a prendere la licenza per il suo utilizzo. A tredici anni era presidente del locale club di elettronica, e nello stesso anno vinse un premio durante la mostra di scienza per la presentazione del suo primo computer a transistor. Durante la sua adolescenza dimostrava già di possedere le capacità che poi lo avrebbero reso famoso.
Insieme a John Draper realizzò le blue box, dispositivi in grado di emulare le frequenze delle apparecchiature telefoniche e che potevano essere utilizzate per effettuare telefonate gratis (ovviamente commettendo una truffa nei confronti delle compagnie telefoniche). Steve Jobs lo aiutò a vendere le scatolette blu.
Nel 1975, Woz abbandona l'University of California, Berkeley e inizia a lavorare nel tempo libero al progetto di un personal computer, il progetto nasce come un hobby e infatti non ha nessuna ambizione commerciale. Inizia anche a frequentare le riunioni dell'Homebrew Computer Club a Palo Alto, un gruppo locale di appassionati di elettronica e informatica che si riunivano per condividere conoscenze tecniche e per discutere di problemi tecnici.
Nel club rincontra Steve Jobs. Jobs, è 5 anni più giovane di Woz ma ha già le idee molto chiare. Nel 1972 aveva abbandonato gli studi al Reed College e aveva iniziato a lavorare nel settore informatico, come Woz. Jobs convince Wozniak che il suo computer è un ottimo progetto e lo spinge a realizzarlo realmente. Per raccogliere i soldi vendono alcuni loro beni (Wozniak vende una costosa calcolatrice scientifica HP mentre Jobs il suo [https://www.problemiedifetti.com/volkswagen/transporter/ minivan Volkswagen]) con cui recuperano 1300 dollari che usano per assemblare il prototipo nel garage di casa Jobs. Il computer assemblato per gli standard moderni è un prodotto obsoleto ma allora era un gioiello tecnologico. In confronto l'Altair, un famoso computer introdotto all'inizio del 1975, era anni indietro rispetto al computer di Woz. L'Altair non disponeva di unità di memorizzazione, il programma andava inserito tramite una serie di piccoli interruttori opportunamente configurati. L'uscita non era a video ma era mostrata da una serie di lampeggii delle spie installate sul corpo macchina. E il computer Altair andava montato dato che veniva venduto in scatola di montaggio, era un computer per un appassionato non certamente per un pubblico generico. Invece il computer di Wozniak era dotato di tastiera per immettere i dati, di unità di memorizzazione, di un microprocessore da 25 dollari, di ROM per semplificare l'avvio del computer e veniva venduto montato. Il primo aprile 1977 Wozniak e Jobs fondarono l'Apple e chiamarono il loro computer Apple I. Contestualmente Wozniak abbandonò il proprio lavoro all'Hewlett Packard e divenne vicepresidente nonché progettista della società. L'Apple I venne venduto a 666.66 dollari e i primi esemplari vennero acquistati da un negozio di computer locale.
Wozniak si concentrò a tempo pieno sul miglioramento dell'Apple I e sull'eliminazione dei problemi. I nuovi progetti di Woz aggiunsero una serie di nuove caratteristiche al computer, pur mantenendo lo spirito base e cioè quello di ottenere un prodotto semplice e usabile. Woz aggiunse la capacità al computer di visualizzare della grafica (richiese solo due componenti in più anche se non era sicuro che gli utenti avrebbero usato la nuova possibilità). Nel 1978 progettò un lettore di Floppy disk molto economico e con Randy Wigginton sviluppò un primitivo sistema operativo.
Oltre che occuparsi dell'hardware Wozniak si preoccupò anche del software e infatti scrisse molto del software che accompagnò i suoi computer. Sviluppò un interprete Basic e un gioco di breakout che tra l'altro lo spinse ad aggiungere il suono al computer. Sviluppò il programma che gestiva il floppy disk e altro. Con i vari programmi già integrati nelle ROM l'Apple II era molto più semplice da programmare degli altri computer in commercio e questo spinse molti programmatori a utilizzarlo e nacque il famoso foglio elettronico Visicalc sviluppato da Dan Bricklin e Bob Frankston. Nel 1980, la compagnia venne quotata in borsa e rese Jobs e Wozniak milionari. A soli 27 anni Jobs era il più giovane uomo incluso nell'elenco di Fortune 500 del 1982.
Nel 1978 il prezzo dell'Apple II venne ridotto e Mitch Kapor riuscì a comprarsi un computer. Ispirato dal software Visicalc e da un colloquio con gli autori, Kapor sviluppò il programma Lotus 1-2-3 che dominò il mercato dei fogli elettronici negli anni seguenti.
Per anni i profitti derivati dalle vendite dell'Apple II garantirono alla compagnia la tranquillità finanziaria necessaria per sviluppare nuovi prodotti. Inizialmente i risultati non furono buoni, il progetto Apple III fu un disastro e anche il progetto Lisa non portò molto denaro in cassa. È solamente grazie ai profitti dell'Apple II che il progetto Macintosh fu a termine. Quindi si può tranquillamente affermare che Wozniak sia il padre finanziario del Macintosh.
Nel febbraio del 1981 Steve Wozniak ha avuto un incidente con il suo aereo privato. L'incidente gli ha causato una temporanea perdita di memoria. Durante i primi periodi non ricordava niente dell'incidente, non ricordava nemmeno di essere stato coinvolto in un incidente. Poi col tempo la memoria a breve termine è tornata.
Woz dopo l'incidente non riusciva più a lavorare in Apple con l'entusiasmo di una volta. Decise di sposarsi e di terminare gli studi all'University at Berkeley con il nome di "Rocky (Raccoon) Clark". Nel 1982 prese la laurea in informatica e in ingegneria elettrica. Nel 1983 decise di tornare nel settore ricerca e sviluppo dell'Apple. Ma questa volta tornò solo come ingegnere e più che per il desiderio di lavorare lo fece per fornire un esempio ai lavoratori dell'Apple.
Woz abbandonò l'Apple il 6 febbraio, 1985, nove anni dopo aver fondato la compagnia. Wozniak fondò una nuova compagnia chiamata CL9 che si occupava di sviluppare interruttori per uso domestico comandati a distanza. Jobs era infuriato per l'abbandono di Wozniak dell'Apple, lo considerava un affronto e un fatto personale. Fece pressione sui fornitori per boicottare la nuova impresa di Wozniak e i fornitori spaventati dalla potenza economica di Jobs boicottarono Wozniak che dovette chiudere la società. Wozniak rimase molto deluso e amareggiato dal comportamento di Jobs.
Jobs molto presto abbandonò anche lui Apple per via di una lotta di potere col CEO che lo aveva visto mettere in minoranza durante un consiglio di amministrazione. Wozniak e Jobs erano due sognatori e due persone non allineate che non si riconoscevano nelle corporazioni e nei consigli di amministrazione quindi era inevitabile che si arrivasse ai ferri corti con gli investitori. Jobs decise di non arrendersi e continuò il suo progetto di computer innovativo con la sua nuova società, la NeXT mentre Woz decise di abbandonare l'arena della finanza e del commercio e si dedicò all'insegnamento.
Steve Wozniak ricevette dal Presidente degli Stati Uniti d'America la National Medal of Technology nel 1985. Nel Settembre del 2000, Steve Wozniak è stato incluso nella National Inventors Hall of Fame.
Wozniak è uno dei benefattori del San Jose Children's Museum.
Da quando ha abbandonato l'Apple Computer, Woz ha fornito supporto economico e tecnico alla scuola locale di Los Gatos (è la scuola frequentata anche dai suoi figli).
Nel 2001, Woz fonda la Wheels Of Zeus, acronimo "WoZ", la compagnia sviluppa soluzioni wireless.
Nel Maggio del 2004, grazie alla candidatura del Dr. Tom Miller, Woz riceve la laurea honoris causa dalla North Carolina State University per il suo contributo nel campo dei personal computer.
== Ronald Wayne ==
Ronald Wayne è il terzo fondatore "dimenticato" dell'Apple Computer. Su di lui si hanno poche informazioni dato che dopo l'avventura in Apple è praticamente sparito dalla scena informatica. Wayne lavorava con Jobs e Wozniak all'Atari prima di fondare l'Apple Computer. Aveva la proprietà del 10% dell' Apple. Appena la società ricevette il pagamento della prima commessa Wayne vendette la sua quota per $800. Wayne vendette la sua quota nel 1977, nel 1981 quando l'Apple venne quotata in borsa la sua quota sarebbe stata valutata centinaia di milioni di dollari.
[[Categoria:Apple|Fondatori]]
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Disposizioni foniche di organi a canne
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{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
Le disposizioni foniche attualmente presenti in questo libro sono '''3826'''.
== Per il lettore ==
Ciascun organo a canne è uno strumento a sé, con una propria dignità indissolubilmente legata alla sua unicità. Non troveremo mai un organo uguale ad un altro, neppure nei rarissimi casi di strumenti costruiti in serie: avranno sempre qualcosa che li distinguerà fra di loro.
Come poter, dunque, descrivere uno strumento unico, in maniera tale che, senza suonarlo o ascoltarlo, sia possibile capire come è fatto? Grazie alla sua disposizione fonica: essa è l'elenco dei registri che compongono lo strumento, riportati in base alla loro appartenenza alle varie "divisioni" (manuale/i ed eventualmente pedale). Pertanto si tratta di un elemento fondamentale, l'unica vera grande ed esaustiva descrizione dello strumento, dal momento che un organo si differenzia da un altro fondamentalmente per i registri che ha.
Questo wikilibro si prefigge il compito di racchiudere al suo interno le disposizioni foniche di organi del presente e del passato, raggruppate in base alla loro collocazione all'interno di edifici che, per sviluppi culturali ed esigenze liturgiche, sono per la maggior parte destinati al culto.
La presente opera si rivolge, dunque, non solo allo studioso di organaria ed organologia, ma anche al curioso che vuol sapere come è fatto l'organo della chiesa tot, all'appassionato, all'organista che ha l'esigenza di conoscere le caratteristiche di un tal organo, a chiunque, in poche parole, sia interessato all'argomento.
== Per il contributore ==
Chiunque voglia contribuire all'edificazione del presente wikilibro, è il benvenuto, ed è pregato di seguire, per amor di uniformità, lo schema che può vedere nelle pagine già presenti.
Sono tuttavia doverose alcune raccomandazioni tecniche.
Una volta inserite una o più disposizioni foniche, il contributore è pregato di aggiornare il numero all'inizio di questa pagina.
=== Dei titoli ===
I titoli delle singole pagine seguono sempre questo schema:
Continente/Stato/Regione (o altra divisione amministrativa analoga)/Provincia (o altra divisione amministrativa analoga)/Comune/Località (che può essere anche il comune stesso, comunque si ripete) - Edificio
Ad esempio:
Europa/Italia/Lombardia/Città metropolitana di Milano/Milano/Milano - Cattedrale di Santa Maria Nascente
Nei nomi delle chiese, si scrive solo: ''Chiesa di...'', oppure ''Santuario di...'', oppure ''Basilica di...'', ''Cattedrale di...'' o ''Cattedrale metropolitana di...'', non ''Basilica Cattedrale Primaziale Metropolitana Santuario Protoecclesia di...''.
Se in un edificio ci sono più organi, vanno tutti nella stessa pagina. Le singole pagine non sono per organo, ma per edificio.
=== Delle tabelle riassuntive ===
Le tabelle riassuntive a inizio pagina, seguono questo schema:
* '''Costruttore:''' [nome e] cognome del costruttore/ditta costruttrice con, in caso, tra parentesi e in corsivo, il numero d'opera
* '''Anno:''' anno di costruzione (in caso, in nota, data dell'inaugurazione)
* '''Restauri/modifiche:''' elenco: nome di chi ha fatto il restauro e, tra parentesi, anno e tipologia di intervento
* '''Registri:''' numero dei registri (in caso di registri spezzati, ciascuno vale 1 e non 1/2)
* '''Canne:''' numero di canne
* '''Trasmissione:''' meccanica/pneumatico-tubolare/elettrica/elettronica/ecc. nel caso di mista, si scrive mista e poi si specifica tra parentesi
* '''Consolle:''' tipologia della consolle (a finestra, mobile/fissa indipendente, appoggiata, rivolta, ecc.) e posizione (al centro del coro, al centro della parete anteriore della cassa, su apposita cantoria, ecc.)
* '''Tastiere:''' n° di tastiere e di note ed estensione tra parentesi
* '''Pedaliera:''' tipologia di pedaliera (a leggio, dritta, concava, concavo-radiale), n° di note ed estensione tra parentesi
* '''Collocazione:''' n° dei corpi, posizione dei corpi.
Esempio:
* '''Costruttore:''' Pinco Pallino (''Opus 100'')
* '''Anno:''' 2019-2020
* '''Restauri/modifiche:''' Tizio Caio (2102, restauro conservativo), Sempronio (2156, modifiche e ampliamento)
* '''Registri:''' 36
* '''Canne:''' 3.562
* '''Trasmissione:''' mista (meccanica per i manuali e il pedale, elettronica per i registri)
* '''Consolle:''' a finestra, al centro della parete anteriore della cassa
* '''Tastiere:''' 3 di 56 note (''Do<small>1</small>''-''Sol<small>5</small>'')
* '''Pedaliera:''' concavo-radiale di 30 note (''Do<small>1</small>''-''Fa<small>3</small>'')
* '''Collocazione:''' in due corpi contrapposti, sulla cantoria in controfacciata
Nel caso di ottave scavezze:
* '''Tastiera:''' 1 di 50 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Fa<small>5</small>'', Bassi/Soprani ''Do#<small>3</small>''/''Re<small>3</small>'')
* '''Pedaliera:''' a leggio di 18 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Sol#<small>2</small>''), priva di registri propri e costantemente unita al manuale
=== Delle disposizioni foniche ===
* I nomi delle divisioni vengono scritti nel seguente modo: '''I - ''Grand'Organo'''''; quello del pedale così: '''Pedale''';
* il nome della seconda o terza tastiera si riporta semplicemente, dopo il numero ordinale romano, come '''''Espressivo''''' e non come Recitativo, essendo un'impropria italianizzazione del francese ''Récit'';
* nel caso di aggettivi dopo il nome del manuale, essi sono riportati con la prima lettera minuscola (ad esempio: '''VI - ''Organo antico aperto''''');
* qualora i registri, sulla consolle, siano raggruppati per Concerto e Ripieno (ad esempio come avviene per la maggior parte degli organi ottocenteschi italiani), si segua questo schema ([[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Montalcino/Montisi - Chiesa delle Sante Flora e Lucilla|qui un esempio]]) e, nel caso di più manuali, si premetta sempre il numero e il nome (ad esempio: '''I - Organo eco ''Concerto''''');
* all'interno di ogni divisione vi sono due colonne, divise da doppia stanghetta verticale (<code><nowiki>||</nowiki></code>), che rispettivamente, da sinistra a destra, sono: 1) nome del registro con eventualmente indicato il numero di file, 2) altezza del registro in piedi con eventualmente specificata l'appartenenza ai soli Bassi o ai soli Soprani (esempio: <code><nowiki>Ripieno 5 file || 2' Soprani</nowiki></code>);
* tutti i nomi registri sono scritti con la prima lettera maiuscola, mentre le parole seguenti devono iniziare con la minuscola (ad esempio: ''Ripieno acuto 5 file'' e '''non''' ''Ripieno Acuto 5 File''), ad eccezione delle disposizioni in tedesco o nelle lingue che richiedono la maiuscola anche per tutti i sostantivi - nel caso non sia possibile reperire l'altezza in piedi delle mutazioni composte, si sposta il numero di file nel campo dell'altezza in piedi (esempio: <code><nowiki>Ripieno || 5 file</nowiki></code>);
* le mutazioni sono scritte con il numero intero separato da quello frazionario tramite un punto, così: ''5.1/3<nowiki>'</nowiki>''; qualora l'altezza sia solo frazionaria, si omette lo ''0.'' iniziale, così: ''1/4<nowiki>'</nowiki>'' e '''non''' ''0.1/4<nowiki>'</nowiki>'';
* nel caso di mutazioni composte, l'altezza in piedi è riportata solo relativamente alla prima fila, ad eccezione di quelle a due file (per non occupare troppo spazio) - qualora le altezze delle file successive presentino delle anomalie, si inseriscono in nota.
* i registri ad ancia sono scritti in rosso quando sono riportati così sulla consolle;
* non si inserisce il numero ordinale davanti a ciascun registro;
* non si riportano le unioni e gli accoppiamenti, né gli annullatori;
* il Tremolo si riporta all'interno di ciascuna divisione;
* gli accessori (ad esempio: Uccelliera, Zampogna ecc.) si riportano nel seguente modo prima della disposizione fonica: '''Accessori''': ''Uccelliera''; ''Zampogna''.
Quindi, in poche parole, questa disposizione '''non''' va bene (mettiamo che sulla consolle i registri ad ancia siano scritti '''in nero'''):
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Prima tastiera - ''Grand'Organo'''''
----
|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|XV || 2'
|-
|XIX || 1.1/3'
|-
|XXII || 1'
|-
|Ripieno Acuto 3 File || 0.1/2'
|-
|Flauto a Camino || 8'
|-
|Sesquialtera 2 File || 2.2/3'-1.3/5'
|-
|<span style="color:#8b0000;">Tromba</span> || <span style="color:#8b0000;">8' bassi</span>
|-
|<span style="color:#8b0000;">Tromba</span> || <span style="color:#8b0000;">8' soprani</span>
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Seconda tastiera - ''Espressivo'''''
----
|-
|Bordone || 8'
|-
|Viola di Gamba || 8'
|-
|Flauto a Cuspide || 4'
|-
|Nazardo || 2.2/3'
|-
|Ottavino || 2'
|-
|Decimino || 1.1/3'
|-
|Pienino 3 File || 1'-0.2/3'-0.1/2'
|-
|Voce Celeste 2 File || 8'
|-
|<span style="color:#8b0000;">Tromba Armonica</span> ||<span style="color:#8b0000;">8'</span>
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Pedale'''
----
|-
|Contrabbasso || 16'
|-
|Bordone || 16'
|-
|Basso || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|<span style="color:#8b0000;">Trombone</span> || <span style="color:#8b0000;">16'</span>
|-
|<span style="color:#8b0000;">Tromba Bassa</span> || <span style="color:#8b0000;">8'</span>
|-
|}
|}
Questa, invece, va bene:
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''I - ''Grand'Organo'''''
----
|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|XV || 2'
|-
|XIX || 1.1/3'
|-
|XXII || 1'
|-
|Ripieno acuto 3 file || 1/2'
|-
|Flauto a camino || 8'
|-
|Sesquialtera 2 file || 2.2/3'-1.3/5'
|-
|Tromba || 8' Bassi
|-
|Tromba || 8' Soprani
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''II - ''Espressivo'''''
----
|-
|Bordone || 8'
|-
|Viola di gamba || 8'
|-
|Flauto a cuspide || 4'
|-
|Nazardo || 2.2/3'
|-
|Ottavino || 2'
|-
|Decimino || 1.3/5'
|-
|Pienino 3 file || 1'
|-
|Voce celeste 2 file || 8'
|-
|Tromba armonica || 8'
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Pedale'''
----
|-
|Contrabbasso || 16'
|-
|Bordone || 16'
|-
|Basso || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|Trombone || 16'
|-
|Tromba bassa || 8'
|-
|}
|}
== Libri correlati ==
* {{libro|Organo a canne}}
== Altri progetti ==
{{interprogetto|commons=Category:Stoplists|preposizione=sulle|etichetta=disposizioni foniche di organi a canne}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
[[Categoria:Musica]]
[[Categoria:Dewey 786]]
{{alfabetico|D}}
{{Avanzamento|0%|9 giugno 2020}}
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena
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2022-08-14T19:27:36Z
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wikitext
text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
Disposizioni foniche della provincia di Siena raggruppate per comune:
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Siena|Siena]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Abbadia San Salvatore|Abbadia San Salvatore]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Asciano|Asciano]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Buonconvento|Buonconvento]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Chianciano Terme|Chianciano Terme]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Chiusi|Chiusi]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Colle di Val d'Elsa|Colle di Val d'Elsa]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Montepulciano|Montepulciano]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Montalcino|Montalcino]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Pienza|Pienza]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Poggibonsi|Poggibonsi]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Radda in Chianti|Radda in Chianti]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Casciano dei Bagni|San Casciano dei Bagni]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Gimignano|San Gimignano]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia|San Quirico d'Orcia]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Sarteano|Sarteano]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Sinalunga|Sinalunga]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Torrita di Siena|Torrita di Siena]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Trequanda|Trequanda]]
{{Avanzamento|0%|18 gennaio 2015}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Carolus70
29680
wikitext
text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
* '''Costruttore:''' Anonimo
* '''Anno:''' Fine XIX Secolo
* '''Restauri/modifiche:'''
* '''Registri:''' x<ref>La disposizione fonica è stata ricavata dall'annotazione della tavola dei registri.</ref>
* '''Canne:''' ?
* '''Trasmissione:''' meccanica sospesa
* '''Consolle:''' a finestra, collocata al centro della cassa dell'organo
* '''Tastiere:''' 1 tastiera di 47 note (''Do<small>-1</small>-Re<small>5</small>'') con prima ottava corta
* '''Pedaliera:''' non presente
* '''Collocazione:''' in piccola cantoria sul lato destro in controfacciata, collegata alla cantoria grande.
* '''Accesssori:''' Pedaletto (non collegato)
* '''Note:''' Ricognizione sullo strumento effettuata il 13 luglio 2022. Lo strumento necessita di restauro.
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 |'''[Fila di sinistra]'''
----
|-
| Clarin Claro ||
|-
| Flautado Mayor ||
|-
| Flautado Bardón ||
|-
| Octava Clara ||
|-
| Docena Clara ||
|-
| Quincena Clara ||
|-
| Diezy Novena Nazarda ||
|-
| Veintidocena Clara ||
|-
| Tlaxaqueña ||
|-
| Trompeta Real ||
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 |'''[Fila di destra]'''
----
|-
| Clarin Claro ||
|-
| Flautado Mayor ||
|-
| Flautado Bardón ||
|-
| Travesera ||
|-
| Octava Clara ||
|-
| Docena Clara ||
|-
| Quincena ||
|-
| Quincena Clara ||
|-
| Tapadillo ||
|-
| Octava ||
|-
| Trompeta Real ||
|-
|}
|}
==Note==
<references/>
<!--
{{Avanzamento|75%|14 agosto 2022}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
-->
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2022-08-14T13:16:43Z
Carolus70
29680
wikitext
text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
* '''Costruttore:''' Anonimo
* '''Anno:''' Fine XIX Secolo
* '''Restauri/modifiche:'''
* '''Registri:''' x<ref>La disposizione fonica è stata ricavata dall'annotazione della tavola dei registri.</ref>
* '''Canne:''' ?
* '''Trasmissione:''' meccanica sospesa
* '''Consolle:''' a finestra, collocata al centro della cassa dell'organo
* '''Tastiere:''' 1 tastiera di 47 note (''Do<small>-1</small>-Re<small>5</small>'') con prima ottava corta
* '''Pedaliera:''' non presente
* '''Collocazione:''' in piccola cantoria sul lato destro vicino alla controfacciata, collegata alla cantoria grande.
* '''Accesssori:''' Pedaletto (non collegato)
* '''Note:''' Ricognizione sullo strumento effettuata il 13 luglio 2022. Lo strumento necessita di restauro.
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| colspan=2 |'''[Fila di sinistra]'''
----
|-
| Clarin Claro ||
|-
| Flautado Mayor ||
|-
| Flautado Bardón ||
|-
| Octava Clara ||
|-
| Docena Clara ||
|-
| Quincena Clara ||
|-
| Diezy Novena Nazarda ||
|-
| Veintidocena Clara ||
|-
| Tlaxaqueña ||
|-
| Trompeta Real ||
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 |'''[Fila di destra]'''
----
|-
| Clarin Claro ||
|-
| Flautado Mayor ||
|-
| Flautado Bardón ||
|-
| Travesera ||
|-
| Octava Clara ||
|-
| Docena Clara ||
|-
| Quincena ||
|-
| Quincena Clara ||
|-
| Tapadillo ||
|-
| Octava ||
|-
| Trompeta Real ||
|-
|}
|}
==Note==
<references/>
<!--
{{Avanzamento|75%|14 agosto 2022}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Napoletano/Verbi/Regolari
0
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431583
427014
2022-08-14T15:58:53Z
93.42.32.136
/* Presente */Per i verbi e i nomi maschili, e in alcune varianti pure per i nomi femminili, la vocale finale è sempre o quasi sempre neutra, e, col valore fonetico /ə/.
Inoltre, in alcune varianti, così come per quasi tutte le varianti pugliesi, -amme e -èmme sono per il passato remoto, invece di -àime e -èime, mentre per il presente è -ame e -ime.
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é''' (cadere)
|-
|align="left"|I'
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
|align="right"|–e
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/-ame
|align="right"|–imme/-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–ane/-ene
|align="right"|–ene
|}
====Imperfetto====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|–avo
|align="right"|–evo
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–ave
|align="right"|–ive
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|–ava
|align="right"|–eva
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–avemo
|align="right"|–evemo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–aveve
|align="right"|–iveve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|–avano
|align="right"|–evano
|}
====Passato remoto====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-aje
|align="right"|-iétte
|-
|align="left"|tu
|align="right"|-aste
|align="right"|-ìste
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|-aje
|align="right"|-ètte
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àimo/-àjemo
|align="right"|-èttemo/-èmmo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|-àino/-àjeno
|align="right"|-ètteno/-èttero
|}
====Futuro semplice====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|Io (i')
radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–aggio
|align="right"|–aggio
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–aje
|align="right"|–aje
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–ammo
|align="right"|–ammo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ate
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|–anno
|align="right"|–anno
|}
=== Congiuntivo ===
{{Colonne|auto}}
{|class="wikitable"
|bgcolor=#e5e5e5 align="center" colspan=3;|'''Imperfetto'''
|-
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" |guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right"|car—'''é'''
|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ésse
|-
|align="left"|tu
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ìsse
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ésse
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àssemo
|align="right"|-éssemo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsseve
|align="right"|-ìsseve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|-àsseno
|align="right"|-ésseno
|}
{{Colonne fine}}
=== Condizionale ===
{{Colonne|auto}}
{|class="wikitable"
|bgcolor=#e5e5e5 align="center" style="width:60px;" colspan=3;|'''Presente'''
<!-- radice in guardarr- e --->
|-
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|cad—'''é'''
|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
|align="left"|tu
|align="right"|guardarrìsse
|align="right"|cadarrìsse
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|guardarrìamo
|align="right"|cadarrìamo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|guardarrìsseve
|align="right"|cadarrìsseve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|guardarrìano
|align="right"|cadarrìano
|}
{{Colonne spezza}}
{|class="wikitable"
|bgcolor=#e5e5e5 align="center" colspan=3;|'''Trapassato'''
|-
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" |guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right"|cad—'''é'''
|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|avarria guardato
|align="right"|sarria caruto
|-
|align="left"|tu
|align="right"|avarrisse guardato
|align="right"|sarrisse caruto
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"| avarria guardato
|align="right"| sarria caruto
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|avarriamo guardato
|align="right"|sarriamo carute
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|avarrisseve guardato
|align="right"|sarrisseve carute
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|avarriano guardato
|align="right"|sarriano carute
|}
{{Colonne fine}}
===Imperativo===
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|singolare
|align="right"|guarda
|align="right"|care
|-
|align="left"|plurale
|align="right"|guardate
|align="right"|carite
|}
===Infinito===
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardà
|align="right"|caré
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avé guardato
|align="right"|essere caruto
|}
===Participio===
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
|align="left"|passato
|align="right"|guardato
|align="right"|caruto
|}
===Gerundio===
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardànno
|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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2022-08-14T16:10:26Z
93.42.32.136
/* Imperfetto */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é''' (cadere)
|-
|align="left"|I'
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
|align="right"|–e
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/-ame
|align="right"|–imme/-ime
|-
|align="left"|vuje
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|-
|align="left"|lòre
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|align="right"|–ene
|}
====Imperfetto====
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|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|I'
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|-
|align="left"|tu
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|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–ava
|align="right"|–èva
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–avàme
|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
|align="right"|–ivàte/-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/-àvene
|align="right"|–èvane/-èvene
|}
====Passato remoto====
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|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-aje
|align="right"|-iétte
|-
|align="left"|tu
|align="right"|-aste
|align="right"|-ìste
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|-aje
|align="right"|-ètte
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àimo/-àjemo
|align="right"|-èttemo/-èmmo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|-àino/-àjeno
|align="right"|-ètteno/-èttero
|}
====Futuro semplice====
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|
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|align="left"|Io (i')
radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–aggio
|align="right"|–aggio
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–aje
|align="right"|–aje
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–ammo
|align="right"|–ammo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ate
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|–anno
|align="right"|–anno
|}
=== Congiuntivo ===
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ésse
|-
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|align="right"|-ésse
|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|-éssemo
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|-
|align="left"|llòro
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=== Condizionale ===
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|-
|
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|-
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|-
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|-
|align="left"|nuje
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|-
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|-
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===Imperativo===
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|align="left"|singolare
|align="right"|guarda
|align="right"|care
|-
|align="left"|plurale
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|}
===Infinito===
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|-
|align="left"|passato
|align="right"|avé guardato
|align="right"|essere caruto
|}
===Participio===
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|
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|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
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===Gerundio===
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|
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|align="left"|presente
|align="right"|guardànno
|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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431586
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93.42.32.136
/* Presente */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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|
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|align="right"|–e
|align="right"|–e
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|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–ane/-ene
|align="right"|–ene
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====Imperfetto====
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|
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====Passato remoto====
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====Futuro semplice====
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===Participio===
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|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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/* Presente */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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===Participio===
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|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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/* Imperfetto */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é''' (cadere)
|-
|align="left"|I'
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
|align="right"|–e
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/
-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–ane/
-ene
|align="right"|–ene
|}
====Imperfetto====
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|
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|-
|align="left"|I'
|align="right"|–ave
|align="right"|–ève
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–ave
|align="right"|–ive
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–ava
|align="right"|–èva
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–avàme
|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
|align="right"|–ivàte/
-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/
-àvene
|align="right"|–èvane/
-èvene
|}
====Passato remoto====
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|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-aje
|align="right"|-iétte
|-
|align="left"|tu
|align="right"|-aste
|align="right"|-ìste
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|-aje
|align="right"|-ètte
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àimo/-àjemo
|align="right"|-èttemo/-èmmo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|-àino/-àjeno
|align="right"|-ètteno/-èttero
|}
====Futuro semplice====
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|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
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|-
|align="left"|Io (i')
radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–aggio
|align="right"|–aggio
|-
|align="left"|tu
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|align="right"|–aje
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–ammo
|align="right"|–ammo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ate
|-
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|align="right"|–anno
|align="right"|–anno
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=== Congiuntivo ===
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|-
|
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|-
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|align="right"|-ésse
|-
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|align="right"|-àsse
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|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|-éssemo
|-
|align="left"|vuje
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|-
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|align="right"|-ésseno
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=== Condizionale ===
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
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|align="right"|cadarrìa
|-
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|align="right"|cadarrìsse
|-
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|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
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|align="right"|cadarrìamo
|-
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|align="right"|cadarrìsseve
|-
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|align="right"|guardarrìano
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{{Colonne spezza}}
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|avarria guardato
|align="right"|sarria caruto
|-
|align="left"|tu
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|align="right"|sarrisse caruto
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"| avarria guardato
|align="right"| sarria caruto
|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|sarriamo carute
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|avarrisseve guardato
|align="right"|sarrisseve carute
|-
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|align="right"|avarriano guardato
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===Imperativo===
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|
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|align="right"|care
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===Infinito===
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|
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|align="right"|guardà
|align="right"|caré
|-
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|align="right"|avé guardato
|align="right"|essere caruto
|}
===Participio===
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|
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|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
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|align="right"|guardato
|align="right"|caruto
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===Gerundio===
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|
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|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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/* Passato remoto */
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text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
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|-
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/
-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
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|align="right"|–ane/
-ene
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====Imperfetto====
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|
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|-
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|-
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|-
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|-
|align="left"|vuje
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-èvàte
|-
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====Passato remoto====
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|
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|-
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|-
|align="left"|isse/éssa
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|-
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|align="right"|-ìsteve
|-
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|}
====Futuro semplice====
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|
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|-
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|align="right"|–aje
|-
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|-
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=== Congiuntivo ===
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=== Condizionale ===
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|-
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|-
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|-
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===Imperativo===
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|
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|-
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|align="right"|care
|-
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===Infinito===
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|
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|align="right"|guardà
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|-
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|}
===Participio===
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|
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|-
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===Gerundio===
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|
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|align="right"|guardànno
|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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/* Passato remoto */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
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-èsteve
|-
|align="left"|lòre
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====Futuro semplice====
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|
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=== Congiuntivo ===
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|align="left"|vuje
|align="right"|-àsseve
|align="right"|-ìsseve
|-
|align="left"|llòro
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=== Condizionale ===
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|-
|
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|align="left"|Io (i')
|align="right"|avarria guardato
|align="right"|sarria caruto
|-
|align="left"|tu
|align="right"|avarrisse guardato
|align="right"|sarrisse caruto
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"| avarria guardato
|align="right"| sarria caruto
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|avarriamo guardato
|align="right"|sarriamo carute
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|avarrisseve guardato
|align="right"|sarrisseve carute
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|avarriano guardato
|align="right"|sarriano carute
|}
{{Colonne fine}}
===Imperativo===
{|class="wikitable"
|
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|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|singolare
|align="right"|guarda
|align="right"|care
|-
|align="left"|plurale
|align="right"|guardate
|align="right"|carite
|}
===Infinito===
{|class="wikitable"
|
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|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardà
|align="right"|caré
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avé guardato
|align="right"|essere caruto
|}
===Participio===
{|class="wikitable"
|
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|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
|align="left"|passato
|align="right"|guardato
|align="right"|caruto
|}
===Gerundio===
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à'''
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardànno
|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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431591
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93.42.32.136
/* Passato remoto */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
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|-
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|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
|align="right"|–e
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/
-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–ane/
-ene
|align="right"|–ene
|}
====Imperfetto====
{|class="wikitable"
|
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|-
|align="left"|I'
|align="right"|–ave
|align="right"|–ève
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–ave
|align="right"|–ive
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–ava
|align="right"|–èva
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–avàme
|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
|align="right"|–ivàte/
-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/
-àvene
|align="right"|–èvane/
-èvene
|}
====Passato remoto====
{|class="wikitable"
|
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|-
|align="left"|I'
|align="right"|-aje
|align="right"|-jétte
|-
|align="left"|tu
|align="right"|-aste
|align="right"|-ìste
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|-aje
|align="right"|-ètte
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àime/
-àjeme/
-àmme
|align="right"|-ètteme/
-èmme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve/
-èsteve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àine/
-àjene/
-àrene
|align="right"|-èttene/
-èttere
|}
====Futuro semplice====
{|class="wikitable"
|
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|align="left"|Io (i')
radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–aggio
|align="right"|–aggio
|-
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|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
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|align="right"|–ammo
|align="right"|–ammo
|-
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|align="right"|–ate
|align="right"|–ate
|-
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|align="right"|–anno
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=== Congiuntivo ===
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ésse
|-
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|align="right"|-ésse
|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|-éssemo
|-
|align="left"|vuje
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|align="right"|-ìsseve
|-
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|align="right"|-ésseno
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{{Colonne fine}}
=== Condizionale ===
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
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|align="right"|cadarrìa
|-
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|align="right"|cadarrìsse
|-
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|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
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|align="right"|cadarrìamo
|-
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|-
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|-
|
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|-
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|-
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|align="right"| sarria caruto
|-
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|align="right"|sarriamo carute
|-
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|-
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===Imperativo===
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|
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|-
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===Infinito===
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|
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|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardà
|align="right"|caré
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avé guardato
|align="right"|essere caruto
|}
===Participio===
{|class="wikitable"
|
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|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
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===Gerundio===
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|
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|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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/* Futuro semplice */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é''' (cadere)
|-
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|align="right"|–e
|-
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|-
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/
-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
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|-
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|align="right"|–ene
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====Imperfetto====
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|
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|-
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|align="right"|–ève
|-
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|-
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|align="right"|–ava
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–avàme
|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
|align="right"|–ivàte/
-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/
-àvene
|align="right"|–èvane/
-èvene
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====Passato remoto====
{|class="wikitable"
|
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|align="left"|I'
|align="right"|-aje
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|-
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|align="right"|-aste
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|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|-aje
|align="right"|-ètte
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àime/
-àjeme/
-àmme
|align="right"|-ètteme/
-èmme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve/
-èsteve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àine/
-àjene/
-àrene
|align="right"|-èttene/
-èttere
|}
====Futuro semplice====
{|class="wikitable"
|
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|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
|align="left"|I'
radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–àggie
|align="right"|–àggie
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–àje
|align="right"|–àje
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–amme/
-ame
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–àte
|align="right"|–àte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–anne
|align="right"|–anne
|}
=== Congiuntivo ===
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-àsse
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|-
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|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ésse
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àssemo
|align="right"|-éssemo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsseve
|align="right"|-ìsseve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|-àsseno
|align="right"|-ésseno
|}
{{Colonne fine}}
=== Condizionale ===
{{Colonne|auto}}
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|bgcolor=#e5e5e5 align="center" style="width:60px;" colspan=3;|'''Presente'''
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
|align="left"|tu
|align="right"|guardarrìsse
|align="right"|cadarrìsse
|-
|align="left"|isso/éssa
|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|guardarrìamo
|align="right"|cadarrìamo
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|guardarrìsseve
|align="right"|cadarrìsseve
|-
|align="left"|llòro
|align="right"|guardarrìano
|align="right"|cadarrìano
|}
{{Colonne spezza}}
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|-
|
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|-
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|-
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|align="right"|sarriamo carute
|-
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|-
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===Imperativo===
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|
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|-
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===Infinito===
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|
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|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
|-
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|align="right"|guardà
|align="right"|caré
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|}
===Participio===
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|
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|-
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|align="right"|guardante
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|-
|align="left"|passato
|align="right"|guardato
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|}
===Gerundio===
{|class="wikitable"
|
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|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é'''
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|align="right"|guardànno
|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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93.42.32.136
/* Futuro semplice */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
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-ame
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-ime
|-
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|-
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-ene
|align="right"|–ene
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====Imperfetto====
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|
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|align="right"|–ève
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–ave
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|-
|align="left"|isse/éssa
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|align="right"|–èva
|-
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|align="right"|–èvàme
|-
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|-
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====Passato remoto====
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|
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|-
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|-
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|-
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====Futuro semplice====
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|
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radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–àgge
|align="right"|–àgge
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–àje
|align="right"|–àje
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–amme/
-ame
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–àte
|align="right"|–àte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–anne
|align="right"|–anne
|}
=== Congiuntivo ===
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|-
|
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|-
|align="left"|Io (i')
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ésse
|-
|align="left"|tu
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|align="right"|-ìsse
|-
|align="left"|isso/éssa
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|align="right"|-ésse
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|align="left"|nuje
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|align="left"|vuje
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|-
|align="left"|llòro
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=== Condizionale ===
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<!-- radice in guardarr- e --->
|-
|
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|align="left"|Io (i')
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|-
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|-
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|-
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|-
|align="left"|tu
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|-
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|-
|align="left"|nuje
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|-
|align="left"|vuje
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|-
|align="left"|llòro
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===Imperativo===
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|align="left"|singolare
|align="right"|guarda
|align="right"|care
|-
|align="left"|plurale
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===Infinito===
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|
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|align="left"|presente
|align="right"|guardà
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|align="left"|passato
|align="right"|avé guardato
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|}
===Participio===
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|
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|align="left"|presente
|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
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|}
===Gerundio===
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|
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|align="left"|presente
|align="right"|guardànno
|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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93.42.32.136
/* Congiuntivo */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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|
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|-
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|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/
-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
|align="left"|lòre
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-ene
|align="right"|–ene
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====Imperfetto====
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|
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|align="right"|–ève
|-
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|align="right"|–ive
|-
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|align="right"|–ava
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|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
|align="right"|–ivàte/
-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/
-àvene
|align="right"|–èvane/
-èvene
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====Passato remoto====
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|
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|-
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-àjeme/
-àmme
|align="right"|-ètteme/
-èmme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve/
-èsteve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àine/
-àjene/
-àrene
|align="right"|-èttene/
-èttere
|}
====Futuro semplice====
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===Infinito===
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===Participio===
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===Gerundio===
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|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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/* Condizionale */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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|
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====Passato remoto====
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===Gerundio===
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|
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|-
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|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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93.42.32.136
/* Imperativo */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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|
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|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|car—'''é''' (cadere)
|-
|align="left"|I'
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–e
|align="right"|–e
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
|align="right"|–e
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/
-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–ane/
-ene
|align="right"|–ene
|}
====Imperfetto====
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|
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|-
|align="left"|I'
|align="right"|–ave
|align="right"|–ève
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–ave
|align="right"|–ive
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–ava
|align="right"|–èva
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–avàme
|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
|align="right"|–ivàte/
-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/
-àvene
|align="right"|–èvane/
-èvene
|}
====Passato remoto====
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|
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|-
|align="left"|I'
|align="right"|-aje
|align="right"|-jétte
|-
|align="left"|tu
|align="right"|-aste
|align="right"|-ìste
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|-aje
|align="right"|-ètte
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àime/
-àjeme/
-àmme
|align="right"|-ètteme/
-èmme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve/
-èsteve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àine/
-àjene/
-àrene
|align="right"|-èttene/
-èttere
|}
====Futuro semplice====
{|class="wikitable"
|
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|-
|align="left"|I'
radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–àgge
|align="right"|–àgge
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–àje
|align="right"|–àje
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–amme/
-ame
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–àte
|align="right"|–àte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–anne
|align="right"|–anne
|}
=== Congiuntivo ===
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|-
|
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|-
|align="left"|I'
|align="right"|-àsse
|align="right"|-ésse
|-
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|align="right"|-àsse
|align="right"|-èsse
|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|-èsseme
|-
|align="left"|vuje
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|align="right"|-ìsseve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àssene
|align="right"|-éssene
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{{Colonne fine}}
=== Condizionale ===
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|-
|
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|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
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|align="right"|cadarrìsse
|-
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|align="right"|cadarrìa
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|-
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|-
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|-
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|align="right"|sarrìsse carute
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"| avarrìa guardate
|align="right"| sarrìa carute
|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|sarrìame carute
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|avarrìsseve guardate
|align="right"|sarrìsseve carute
|-
|align="left"|lòre
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===Imperativo===
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|
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===Infinito===
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|
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===Participio===
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|
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|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
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===Gerundio===
{|class="wikitable"
|
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|-
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|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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431599
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2022-08-14T16:53:19Z
93.42.32.136
/* Infinito */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
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|-
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|align="right"|–amme/
-ame
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-ime
|-
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====Imperfetto====
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|
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|align="right"|–ève
|-
|align="left"|tu
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|align="right"|–ive
|-
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|-
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|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
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-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/
-àvene
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====Passato remoto====
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|
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|align="right"|-aje
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|-
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|align="right"|-aje
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|-
|align="left"|nuje
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-àjeme/
-àmme
|align="right"|-ètteme/
-èmme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve/
-èsteve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àine/
-àjene/
-àrene
|align="right"|-èttene/
-èttere
|}
====Futuro semplice====
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|
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|-
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radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–àgge
|align="right"|–àgge
|-
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|-
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-ame
|align="right"|–amme/
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|-
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|align="right"|–anne
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=== Congiuntivo ===
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|align="left"|vuje
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|-
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|align="right"|-àssene
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=== Condizionale ===
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|-
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|-
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===Imperativo===
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|
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===Participio===
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|
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|-
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|-
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|
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|-
|align="left"|passato
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|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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93.42.32.136
/* Infinito */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
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|
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====Futuro semplice====
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|-
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|align="right"|–anne
|align="right"|–anne
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=== Condizionale ===
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|-
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|-
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|-
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|align="right"|sarrìane carute
|}
{{Colonne fine}}
===Imperativo===
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|
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|-
|align="left"|singolare
|align="right"|guarda
|align="right"|care
|-
|align="left"|plurale
|align="right"|guardàte
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===Infinito===
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|
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|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardà
|align="right"|caré
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avé guardate
|align="right"|èssere/
-èsse carute
|}
===Participio===
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|
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|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardante
|align="right"|cadente
|-
|align="left"|passato
|align="right"|guardato
|align="right"|caruto
|}
===Gerundio===
{|class="wikitable"
|
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|-
|align="left"|presente
|align="right"|guardànno
|align="right"|carènno
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avenno guardato
|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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431601
431600
2022-08-14T16:54:49Z
93.42.32.136
/* Participio */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
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|-
|align="left"|I'
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|align="right"|–e
|-
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|align="right"|–e
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|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–a
|align="right"|–e
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–imme/
-ime
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–ate
|align="right"|–ite
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–ane/
-ene
|align="right"|–ene
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====Imperfetto====
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|
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|align="left"|I'
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|align="right"|–ève
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–ave
|align="right"|–ive
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–ava
|align="right"|–èva
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–avàme
|align="right"|–èvàme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–avàte
|align="right"|–ivàte/
-èvàte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–àvane/
-àvene
|align="right"|–èvane/
-èvene
|}
====Passato remoto====
{|class="wikitable"
|
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|align="left"|I'
|align="right"|-aje
|align="right"|-jétte
|-
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|-
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|align="right"|-aje
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àime/
-àjeme/
-àmme
|align="right"|-ètteme/
-èmme
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve/
-èsteve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àine/
-àjene/
-àrene
|align="right"|-èttene/
-èttere
|}
====Futuro semplice====
{|class="wikitable"
|
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|-
|align="left"|I'
radice guardarr- cadarr-
|align="right"|–àgge
|align="right"|–àgge
|-
|align="left"|tu
|align="right"|–àje
|align="right"|–àje
|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|–à
|align="right"|–à
|-
|align="left"|nuje
|align="right"|–amme/
-ame
|align="right"|–amme/
-ame
|-
|align="left"|vuje
|align="right"|–àte
|align="right"|–àte
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|–anne
|align="right"|–anne
|}
=== Congiuntivo ===
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|-
|
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|-
|align="left"|I'
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|-
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|-
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|-
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|align="right"|-èsseme
|-
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|-
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{{Colonne fine}}
=== Condizionale ===
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|-
|
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|-
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|-
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|align="right"|guardarrìa
|align="right"|cadarrìa
|-
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|align="right"|guardarrìame
|align="right"|cadarrìame
|-
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|-
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|-
|
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|-
|align="left"|I'
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|align="right"|sarrìa carute
|-
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|align="right"|sarrìsse carute
|-
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|align="right"| sarrìa carute
|-
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|-
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|align="right"|sarrìsseve carute
|-
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===Imperativo===
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|
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===Infinito===
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|
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===Participio===
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|
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===Gerundio===
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|
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|align="right"|essenno caruto
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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93.42.32.136
/* Gerundio */
wikitext
text/x-wiki
In Napoletano, esistono tre forme standard per l'infinito dei verbi, terminanti in '''-à''', '''-é''' o '''-e''', e '''-ì'''. Le coniugazioni sono però due, la prima per i verbi con l'infinito in '''-à''' e la seconda per gli altri: verbi tronchi<ref>es: ''cadé''.</ref> e sdruccioli<ref>es: ''bévere''.</ref> in '''-é/-ere''', oltre a quei pochi casi di verbi con l'infinito in '''-ì'''.
Non esistono il trapassato remoto – sostituito con il trapassato prossimo o il passato remoto – ed il congiuntivo presente; quest'ultimo tranne nella prima persona del plurale e in alcuni rari casi, come per il verbo ''puté'' (potere).
=== Indicativo ===
==== Presente ====
{|class="wikitable"
|
|bgcolor=#e5e5e5 align="right" style="width:60px"|guard—'''à''' (guardare)
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|-
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|align="right"|–amme/
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|-
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====Imperfetto====
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|
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-èvàte
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-àvene
|align="right"|–èvane/
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====Passato remoto====
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|
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|align="left"|I'
|align="right"|-aje
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|-
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|-
|align="left"|isse/éssa
|align="right"|-aje
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|-àime/
-àjeme/
-àmme
|align="right"|-ètteme/
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|-
|align="left"|vuje
|align="right"|-àsteve
|align="right"|-ìsteve/
-èsteve
|-
|align="left"|lòre
|align="right"|-àine/
-àjene/
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====Futuro semplice====
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|
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radice guardarr- cadarr-
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|align="right"|–àgge
|-
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|align="right"|–àje
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|align="right"|–amme/
-ame
|-
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|align="right"|–anne
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=== Congiuntivo ===
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|
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|-
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|-
|align="left"|nuje
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|align="right"|-èsseme
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|-
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=== Condizionale ===
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|-
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|-
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|-
|align="left"|nuje
|align="right"|guardarrìame
|align="right"|cadarrìame
|-
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|align="left"|lòre
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===Imperativo===
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===Gerundio===
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|
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|align="right"|guardànne
|align="right"|carènne
|-
|align="left"|passato
|align="right"|avènne guardate
|align="right"|èssènne carute
|}
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
*[[Napoletano/Verbi/Irregolari|verbi irregolari]]
[[Categoria:Napoletano|Verbi]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Sicilia/Provincia di Messina/Mistretta/Mistretta - Chiesa di Santa Lucia
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2022-08-14T23:24:22Z
93.70.70.4
Correzione
wikitext
text/x-wiki
{{disposizioni foniche di organi a canne}}
[[File:Organo-santa-lucia-mistretta.jpg|400px|Organo-santa-lucia-mistretta]]
* '''Costruttore:''' Onofrio La Gala (1656-1664) e Giuseppe Lugaro (1874-1888)
* '''Anno:''' 1656-1664, 1874-1888
* '''Restauri/modifiche:''' F.lli Cimino (restauro e ampliamento, 2002)
* '''Registri:''' 34
* '''Canne:''' 1710
* '''Trasmissione:''' elettronica
* '''Consolle:''' mobile
* '''Tastiere:''' 2 di 61 note
* '''Pedaliera:''' radiale concava di 32 note
* '''Collocazione:''' cantoria in abside
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="10" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''I - ''Grande Organo'''''
----
|-
|Principale || 16'
|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|Decimaquinta || 2'
|-
|Decimanona || 1 1/3'
|-
|Vigesimaseconda || 1'
|-
|Ripieno 3 file || 2/3'
|-
|Ripieno 3 file comb. || 2'
|-
|Voce umana || 8'
|-
|Flauto || 8'
|-
|Flauto || 4'
|-
|Flauto in XII || 2 2/3'
|-
|Tromba || 8'
|-
|Tromba || 4'
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''II - ''Recitativo espressivo'''''
----
|-
|Bordone || 8'
|-
|Flauto camino || 4'
|-
|Nazardo || 2 2/3'
|-
|Principalino || 4'
|-
|Piccolo || 2'
|-
|Decimino || 1 3/5'
|-
|Ripieno 3 file || 2'
|-
|Viola || 8'
|-
|Voce celeste || 8'
|-
|Oboe || 8'
|-
|Cornetto comb.
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Pedale'''
----
|-
|Contrabasso || 32'
|-
|Contrabasso || 16'
|-
|Basso || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|Subbasso || 16'
|-
|Bordone || 8'
|-
|Bombarda || 16'
|-
|Tromba || 8'
|-
|Clarone || 4'
|-
|}
|}
{{Avanzamento|100%|21 aprile 2022}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
7foybn0ie1ovnl1jxlizlvksoo4ojxl
La Filigrana Zen di Henry Miller/Introduzione
0
49855
431605
412634
2022-08-14T18:14:55Z
Monozigote
19063
wikitext
text/x-wiki
{{La Filigrana Zen di Henry Miller}}
{{Immagine grande|Aankomst op Schiphol van de Amerikaanse schrijver Henry F. Miller, Bestanddeelnr 910-3816.jpg|500px|Henry Miller all'[[w:Aeroporto di Amsterdam-Schiphol|aeroporto di Schiphol]] nel 1959}}
= Introduzione =
La pubblicazione di ''[[w:Tropico del Cancro (romanzo)|Tropic of Cancer]]'' nel 1934 avrebbe assicurato il lascito di [[w:Henry Miller|Henry Miller]] come uno degli scrittori più famosi del ventesimo secolo, portandolo ad essere classificato in alternanza come un'icona controculturale, o un libertino sessuale o un pornografo misogino.<ref>''Tropic of Cancer'' è stato recentemente inserito al numero 59 nella classifica dei 100 migliori romanzi presentata da [[:en:w:Robert McCrum|Robert McCrum]], tuttavia vi è arrivato con la clausola "In un primo momento, il suo libro fu trattato come il frutto della complessa relazione di Miller con [[w:Anaïs Nin|Anaïs Nin]], che era oggetto di venerazione all'interno del movimento femminista. Più tardi, femministe come [[w:Kate Millett|Kate Millett]] denunciarono Miller come maschilista, mentre [[w:Jeanette Winterson|Jeanette Winterson]] chiese, acutamente: ‘Perché gli uomini si divertono nel degrado delle donne?’ Questa domanda incombe ancora sulle pagine di ''Tropic'' come un rimprovero, ma (con qualche perplessità) lo aggiungerò comunque a questa serie" (2015) {{cita web|url=http://www.theguardian.com/books/2015/aug/17/the-100-best-novels-written-in-english-thefull-list|autore=R. McCrum|titolo=100 Best Novels in English|editore=The Guardian|accesso=2 luglio 2021|lingua=en}}</ref> Resta il fatto che Miller è spesso giudicato esclusivamente in base al suo primo romanzo, o ai romanzi che si concentrano sullo stesso arco di tempo specifico. L'enfasi su queste opere, ''Tropico del Cancro'', ''[[w:Tropico del Capricorno (romanzo)|Tropico del Capricorno]]'' (1939) e ''The Rosy Crucifixion'', che comprende ''Sexus'' (1949), ''Plexus'' (1953) e ''Nexus'' (1960), ha portato a una percezione distorta di Miller come scrittore. Nonostante abbia pubblicato il suo primo romanzo a quarantatré anni, Miller ha avuto una produzione prodigiosa nel corso della sua vita, pubblicando quasi trenta libri e raccolte, diciassette opuscoli e piccole tirature, dieci volumi di corrispondenza e un'opera teatrale. Limitando la nostra comprensione di Miller a testi selezionati, come è avvenuto con molti critici, quindi utilizzando quei testi come fonti biografiche, corriamo il rischio di interpretare fondamentalmente male e sottovalutare ciò che Miller stava cercando di realizzare nel suo lavoro. In questo mio wikilibro, sosterrò che la produzione permanente di Miller dovrebbe essere letta in relazione al suo crescente interesse e adesione al [[w:Buddhismo Zen|Buddhismo Zen]]. In questa introduzione mostrerò come la vita di Miller fosse satura di spiritualità fin dalla tenera età e come le opere relative specificamente alla filosofia orientale abbiano svolto un ruolo chiave nel plasmare il modo in cui Miller ha compreso le sue esperienze di vita e ha spinto la sua progressione verso una comprensione più profonda dello Zen. È importante chiarire prima la questione dell'opera generale di Miller come autobiografica e spiegare come la affronterò all'interno di questo studio.
"L'autobiografia è il romanticismo più puro. Il romanzo è sempre più vicino alla realtà che ai fatti." (Miller, 1952, p.37) Miller è al massimo della contraddizione riguardo a quanto siano autobiografici i suoi romanzi. In ''Tropic of Cancer'' si identifica completamente con il narratore come se stesso, arrivando al punto di scrivere nella sua risposta alla recensione di [[w:Edmund Wilson|Edmund Wilson]]: "Il tema del libro sono io, e il narratore o l'eroe, come dice il vostro recensore, è anche me stesso... sono io, perché ho scrupolosamente indicato in tutto il libro che l'eroe sono io stesso." (Dorrit, 2000, p.35) Tuttavia Miller si contraddice quando scrive "Le più fittizie di tutte, forse, sono quelle che vengono chiamate autobiografie, cioè quelle che si vantano di essere resoconti veritieri." (Miller, 1950, p.7) Non si può negare che la stragrande maggioranza dei personaggi dei romanzi di Miller sono persone reali e riconoscibili della sua vita. È vero che i nomi sono cambiati e, nel caso di sua moglie June Mansfield, sono cambiati ripetutamente, ma per chiunque abbia una conoscenza rudimentale dell'ambiente di Miller, i personaggi sono perfettamente congruenti con le loro controparti della vita reale. Bisogna anche ammettere che Miller non disdegnava di abbellire la verità per renderla più interessante e questo è forse solo uno dei problemi con l'interpretazione dei suoi scritti come autobiografici. Ci sono diversi momenti chiave nella mitizzazione della propria vita da parte di Miller che non resistono a un attento esame. Un esempio di ciò è in ''Tropic of Capricorn'' quando racconta un episodio relativo ai suoi anni d'infanzia in una banda di bambini, in cui presumibilmente uccisero un ragazzo involontariamente. Nelle versioni successive della storia, Miller sembra insinuare che il ragazzo non sia morto, ma sia stato solo ferito. Sembra probabile che il ragazzo in questione, se esisteva, fosse stato semplicemente ferito. Dato che Miller non registra nessuna delle solite ripercussioni che deriverebbero dal presunto omicidio di un bambino, è difficile accreditare come vera la prima registrazione di questa storia nel ''Tropic of Capricorn''. Quello che riesce a fare è di aumentare le credenziali di fuorilegge di Miller, cosa che esaminerò da vicino in relazione al presunto antiamericanismo di Miller e abbellirò la sua rappresentazione romanzata dei suoi anni da ''delinquente''. Allo stesso modo, la rappresentazione da parte di Miller della sua uscita dalla Western Union è sospetta. In ''Plexus'', Miller si dipinge come il coraggioso ribelle che rifiuta infine di essere uno schiavo salariato e si dimette dalla Western Union per diventare uno scrittore a tempo pieno. Questo è un episodio cruciale nella narrativa della propria vita; cammina per Broadway giurando che non lavorerà mai più per nessun altro e rimane fedele alla sua parola. Una versione diversa è data dal suo collega Mike Rivise, il quale riferisce che a Miller fu dato un preavviso di due settimane per il suo licenziamento a causa della sua incapacità di soddisfare i requisiti di lavoro. Sembra improbabile che Miller avesse scelto proprio quel momento esatto per lasciare il lavoro, dato che aveva appena sposato [[w:June Mansfield|June Mansfield]] e aveva affittato un appartamento che poteva a malapena permettersi con il suo stipendio, figuriamoci poi come disoccupato. Direi quindi che Miller stesse plasmando le proprie esperienze di vita in materiale da cui scrivere. Questo costante cambiamento e rimodellamento della propria narrativa è qualcosa che Miller continuerà a perseguire per tutta la vita; è la pietra angolare della sua crescita di scrittore e di uomo. Miller era così assorbito dal ''Tropic of Cancer'', sia fisicamente che emotivamente, che ebbe problemi a separarsi dal narratore nei mesi successivi alla pubblicazione. Il prezzo che la scrittura e la pubblicazione avevano avuto su di lui lo portarono a una completa identificazione con il suo lavoro. Nel corso del tempo, Miller fu in grado di adottare un approccio più sfumato a questa identificazione e iniziò a utilizzare le sue esperienze di vita con un approccio più filosofico in mente, anche se purtroppo non tutti i critici sono stati in grado di vedere questa progressione. Forse la più influente di queste valutazioni è stata l'inclusione di Miller da parte di [[w:Kate Millett|Kate Millett]] in ''[[:en:w:Kate Millett#Sexual Politics|Sexual Politics]]'' (1970), classificandolo come un abusatore misogino delle donne e rovinando quindi la sua reputazione fino ai giorni nostri. La recente recensione di [[w:Jeanette Winterson|Jeanette Winterson]] di ''Renegade: Henry Miller and the Making of Tropic of Cancer'' (2012) di [[:en:w:Frederick W. Turner|Frederick Turner]], mostra che la concettualizzazione di Miller come fallocratica e misogina, è ancora la matrice dominante tramite la quale viene giudicato Miller:
{{q|George Orwell, writing in 1940 about Henry Miller, has very different preoccupations to Kate Millet writing about Miller in 1970. Orwell doesn’t notice that Miller-women are all ‘cunts.’ In fact, his long essay, "Inside a Whale", does not mention women at all. Millet does notice that half the world has been billeted to the whorehouse, and wonders what this tells us about both Henry Miller and the psyche and sexuality of the American male. When Miller sailed for Paris he had a copy of ''Leaves of Grass'' in his luggage... He left behind him an ex-wife and small daughter for whom he had made no provision, and a current wife, June, who was his lover, muse and banker, until Anaïs Nin in Paris was able to take over those essential roles... Turner never troubles himself or the reader with questions about Miller’s emotional and financial dependency on women. Miller was obsessed with masculinity but felt no need to support himself or the women in his life. Turner sympathises with the Miller who must sell his well-cut suits on the streets of Paris for a fraction of their worth, but is indifferent to the fact that June was selling her body on his behalf. Indeed, Turner tells us that Miller had to endure ‘the most awful humiliation a man might suffer’ (p.101). This, presumably, is June’s lesbian affair, one she brought home to their apartment, so much so that Miller wrote a novel, ''Lovely Lesbians'', one of his lifelong rants against women. It never occurred to him that no matter how poor a man is, he can always buy a poorer woman for sex. It does not occur to Frederick Turner either, who calls Miller throughout a ‘sexual adventurer.’ This sounds randy and swashbuckling and hides the economic reality of prostitution. Miller the renegade wanted his body slaves like any other capitalist – and as cheaply as possible. When he could not pay, Miller the man and Miller the fictional creation work out how to cheat women with romance. What they cannot buy they steal. No connection is made between woman as commodity and the ‘slaughterhouse’ (p. 84) of capitalism that Miller hates...|J. Winterson<ref>J. Winterson, "The Male Mystique of Henry Miller", ''The New York Times'', 3 gennaio 2012.</ref>}}
Ho citato a lungo la recensione di Winterson perché arriva al nocciolo della questione autobiografica su Miller. Winterson ha perfettamente ragione: Miller ha fatto affidamento per tutta la sua vita sulle donne per provvedere ai suoi bisogni finanziari. Ciò includeva la connivenza nella prostituzione di sua moglie, prendendo denaro e cibo dalle prostitute francesi che frequentava e permettendo ad Anaïs Nin di pagare il suo appartamento a Parigi e la stampa del ''Tropic of Cancer''. Che Miller a volte scriva delle donne in termini discutibili è anche abbastanza ovvio, e il suo linguaggio è spesso inutilmente volgare e degradante. Il ''focus'' di questo mio studio non è quello di riorientare la reputazione di Miller riguardo alle donne, tuttavia ciò che sia Winterson che Millett non riescono a fare è distinguere tra Miller lo scrittore, Miller l'uomo e Miller il personaggio. La ricerca da parte di Miller di trovare una lingua in cui scrivere che rispecchiasse la lingua delle strade, lo ha portato a un'autenticità che molti trovano ancora oscena. Miller usa episodi della vita, non necessariamente la sua vita, e li impiega per creare uno stato d'animo o come significante di una domanda più profonda.
Dopotutto, è uno scrittore che sperimenta il linguaggio e la forma. Per esempio in ''Tropic of Cancer'', quando Miller racconta l'episodio di Van Norden e la prostituta, cosa che esamino in profondità nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Henri Bergson|Capitolo 2]]''', Miller non sta semplicemente raccontando un incidente sessualmente eccitante, che personaggi come Winterson e Millett troverebbero discutibili, ma piuttosto consente al narratore di riflettere sulla natura meccanizzata del sesso in una società capitalista ed esplorare il concetto [[w:Otto Rank|rankiano]] dell'Imperativo Biologico nell'artista.<ref>Questo dibattito non mostra segni di cedimento, vedasi l'articolo di James Gifford "Dispossessed Sexual Politics: Henry Miller's Anarchism Qua Kate Millett and Ursula K. Le Guin": Decker, J. (cur.) (2015). ''Henry Miller: New Perspectives''. Bloomsbury Publishing, Londra. pp. 173-186. Gifford confronta l'interpretazione di Millett di una scena specifica in ''Tropic of Cancer'' con uno scenario simile in ''The Dispossessed'' di Le Guin: "‘He finds he can’t «get it into her». With his never-failing ingenuity, he next tries sitting on the toilet seat. This won’t do either, so, in a burst of hostility posing as passion, he reports: «I come all over her beautiful gown and she’s sore about it»". Nel Tropic of Capricorn ripete l'acrobazia; anche in ''Sexus'': "It is a performance that nicely combines defecation with orgasm... What he really wants to do is shit on her." (p.178) Gifford paragona questo alla scena in cui il fisico anarchico Shevek si ubriaca mentre visita un pianeta capitalista e proprio come il narratore di Miller, non riesce ad avere rapporti completi ed eiacula sulla sua "compagna". Gifford implica che c'è un doppio standard in gioco in relazione a Miller il misogino e a Le Guin la Femminista Anarchica.</ref> Miller è anche un uomo in cerca di crescita spirituale; si sta evolvendo man mano che cresce la sua adesione al Buddhismo Zen. Miller improvvisamente non è così facile da classificare come il bigotto sciovinista, c'è un ragionamento spirituale e filosofico dietro il suo lavoro e una natura sperimentale nella sua scrittura. La questione di quanto siano autobiografici i romanzi di Miller, e se e quando, dovremmo leggere il narratore come fosse Miller, sarà esaminata in tutto questo studio per quanto riguarda la progressione intellettuale e spirituale di Miller, ma penso che sia necessario un livello di cautela quando si leggono alcuni episodi come "fatto" o "storia".
Negli ultimi anni c'è stata una rinascita della ricerca accademica su Miller in lingua inglese. Le seguenti opere si sono avvicinate a Miller nel contesto del Surrealismo o della psicoanalisi: ''Form and Image in the Fiction of Henry Miller'' (1970) di Jane Nelson, ''Henry Miller and Surrealist Metaphor: Riding the Ovarian Trolley'' (1996) di Gay Louise Balliet, ''Henry Miller: Constructing the Self, Rejecting Modernity'' (2005) di James M. Decker e ''A Self-Made Surrealist: Ideology and Aesthetics in the Work of Henry Miller'' di Caroline Blinder (2000). Per quanto informativi possano essere alcuni di questi libri, mirano a collocare Miller in una categoria predefinita, spesso concentrandosi su specifici suoi romanzi per far valere la loro argomentazione. Adotterò un approccio interessato, anche se cauto, alla più recente scuola di pensiero che mira a riscoprire Miller come scrittore modernista nella tradizione anglo-europea, vedendo nella sua opera i principali motivi modernisti di esonero dalla società industriale, la decrescente libertà dell'individuo e la necessità di trovare nuove vie di espressione letteraria. In ''Henry Miller: The Inhuman Artist'' (2013),<ref>Per una breve rassegna di quelli che considero i punti deboli di questo argomento, si veda: Cowe, J. (2014). Indrek Manniste, "Henry Miller: The Inhuman Artist". ''Journal of American Studies'', 48, p. 148.</ref> Indrek Manniste porta questa teoria un passo avanti mostrando l'influenza sottostante di [[w:Friedrich Nietzsche|Nietzsche]] e [[w:Oswald Spengler|Spengler]] sul concetto di "inumano" di Miller, esaminando l'auto-presentazione di Miller come "inumana" quale mezzo con cui prendere le distanze dai modi convenzionali di moralità. Esaminerò questa idea dell'"inumano" in relazione al buddhismo piuttosto che al modernismo nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo|Capitolo 4]]'''. Mentre sono d'accordo con gran parte dell'argomento centrale di Manniste, non sono fondamentalmente d'accordo su come dovremmo considerare la "inumanità" di Miller. Sarah Garland ha esaminato come l'uso del linguaggio milleriano miri a creare una dinamica aggressiva tra scrittore e lettore; quasi un patto deviante, che include e aggredisce contemporaneamente il lettore. Garland evidenzia Miller anche come una "gazza ladra",<ref>Garland, S. (2005.) ''Rhetoric and Excess: Style, Authority, and the Reader in Henry Miller’s ‘Tropic of Cancer’, Samuel Beckett’s ‘Murphy’, William Burroughs’ ‘Naked Lunch’, and Vladimir Nabokov’s ‘Ada or Ardor’''. University of East Anglia, p. 17.</ref> un collezionista di innumerevoli stili e tonalità. Considererò questa idea di Miller come "gazza ladra" molto specificamente in relazione alla sua adozione di alcune scuole di pensiero filosofiche, in particolare in relazione al suo utilizzo di Rank e Bergson. È fondamentale per questo mio studio affermare che Miller non aderisce a nessuna ideologia collettiva o religione organizzata, e questo è qualcosa che verrà sottolineato e mostrato ripetutamente in questo wikilibro. Seguendo l'idea di Garland di un patto aggressivo è il libro ''The Secret Violence of Henry Miller'' (2011) in cui [[:en:w:Katy Masuga|Katy Masuga]] usa la teoria della letteratura "minore" di [[w:Gilles Deleuze|Gilles Deleuze]] per collocare Miller come uno scrittore surrettiziamente antagonista che impiega un linguaggio frustrante e ottuso per illustrare la convinzione che il linguaggio è un mezzo impossibile attraverso il quale esprimere la realtà. Accetto la premessa di Masuga, tuttavia esaminerò da una prospettiva bergsoniana la convinzione di Miller sulla difficoltà di usare il linguaggio in relazione alla realtà. Mostrerò anche che questa ipotesi è qualcosa con cui Miller gioca solo in ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'', e di fatto ritorna alle rappresentazioni convenzionali del tempo, della trama e del linguaggio nella sua narrativa successiva. Sebbene apprezzi molto la finezza di questi argomenti e potrei persino accettare la loro premessa fino a un certo punto, li esplorerò come un passo nell'evoluzione di Miller come scrittore, piuttosto che come destinazione finale.
Allo stesso modo tratterò con una certa vigilanza quei critici che pongono fermamente Miller nei regni dell'estetica sessuale. Per molti anni questo approccio, insieme alle biografie, è stato l'obiettivo principale dello studio di Miller e come tale ha inquadrato il modo in cui Miller è stato percepito. In molti modi hanno rafforzato la visione di Miller come un libertino, senza aggiungere molto allo studio generale del suo lavoro. [[:en:w:Charles Glicksburg|Charles Glicksburg]] (''The Sexual Revolution in Modern American Literature'', 1970), [[w:Norman Mailer|Norman Mailer]] (''Genius and Lust'', 1976) e Michael Woolf ("Beyond Ideology: Kate Millet and the case for Henry Miller", 1992) sono tutti buoni esempi di studi in cui Miller è etichettato come l'avventuriero sessuale. Nel caso di [[w:Kenneth Rexroth|Kenneth Rexroth]] ("The Reality of Henry Miller", 1959), tuttavia, questo stereotipo porta a un'interazione con la spiritualità orientale di Miller e penso che questa possa essere un'area di ricerca preziosa. La maggior parte dei critici accetta il graduale passaggio di Miller verso il buddhismo, ma il fatto che abbia coinciso con un calo percepito nello standard del suo lavoro ha portato a ignorarlo. Indiscutibilmente la natura rivoluzionaria e il genio letterario dell'opera di Miller raggiunsero il picco presto con ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn''; la stragrande maggioranza dei suoi scritti, tuttavia, venne prodotta dopo il suo decennio a Parigi. Nel trattare l’''opus'' di Miller nel suo insieme, bisogna considerare la sua crescente spiritualità. ''The Mind and Art of Henry Miller'' (1968) di William Gordon è l'unico studio completo dello spiritualismo di Miller da una prospettiva orientale, includendo anche l'interesse di Miller per attività più esoteriche come l'astrologia e il [[Serie misticismo ebraico|misticismo ebraico]]. Più di recente [[:en:w:David Stephen Calonne|David Stephen Calonne]] ha pubblicato l'articolo "Samhadi All the Time: Henry Miller and Buddhism" (2000)<ref>Calonne, D.S. (2000). "Samhadi All the Time: Henry Miller and Buddhism". Stoker, 67, pp. 9-19.</ref> che offre una panoramica generale del buddhismo di Miller, ma in un modo molto limitato dalla sua lunghezza. In seguito a questo articolo, Calonne ha pubblicato una breve biografia, ''Henry Miller'' (2014) che sottolinea ancora una volta l'influenza della filosofia orientale nella vita di Miller. Sebbene la biografia di Calonne sia un'aggiunta gradita, e senza dubbio un passo avanti rispetto alle biografie più fosche di Miller che saturano il mercato, non si occupa necessariamente di come Miller passò da scrittore derivativo, ''in fieri'', a scrittore sicuro e pronto a giocare con linguaggio e forma. In altre parole, come ha fatto Miller a trovare la sua voce autentica? Sosterrò che in linea con l'idea di Miller come "gazza ladra", egli cercò teorie da molte fonti per capire cosa significasse essere un artista e come questo avesse e avrebbe influenzato la sua vita e il suo lavoro. Mostrerò nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Otto Rank|Capitolo 1]]''' che le teorie di [[w:Otto Rank|Otto Rank]] fornirono a Miller un modello per la vita creativa, contrassegnando Miller come "prescelto", e gli diedero un'identità concreta basata sulla sua creatività e, soprattutto, lo introdussero alla necessità creativa di rivalutare importanti esperienze di vita per acquisire intuizioni e materiale. Nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Henri Bergson|Capitolo 2]]''' mostrerò come il lavoro di [[w:Henri Bergson|Henri Bergson]] si sia combinato con Rank per dare a Miller una solida base su cui basare la sua visione della creatività e della natura della realtà. Le teorie di Bergson su Durata e Intuizione alterarono l'idea di tempo e atemporalità di Miller e l'atto cruciale della memoria e del ricordo in relazione alla "verità". Il '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Surrealismo|Capitolo 3]]''' esplorerà la relazione di Miller con il [[w:Surrealismo|Surrealismo]], ma in una marcata differenza rispetto ad altri scritti sull'argomento, lo considererò un esempio di Miller che esplora il concetto di "Arte-Ideologia" proposta da Rank e di come Miller abbia considerato, utilizzato, ma alla fine respinto il Surrealismo per il proprio percorso individuale. Sosterrò nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo|Capitolo 4]]''' che è stato solo seguendo questo processo che Miller si aprì al [[w:Buddhismo Zen|Buddhismo Zen]] sia nella sua vita che nei suoi scritti. Come dimostrerò, lo studio della Filosofia Orientale fu per Miller una ricerca che durò tutta la vita, non offrì tuttavia a Miller il fondamento immediato come scrittore che invece Rank e Bergson gli avevano offerto. Miller aveva bisogno di queste fondamenta per poterci costruire sopra; la sua capacità di concettualizzare vita e creatività tramite Rank e Bergson è ciò che lo rende libero di esplorare la sua vera spiritualità. L'accettazione da parte di Miller del suo ruolo di artista e della necessità creativa della sua sofferenza, è ciò che gli consente di progredire verso una comprensione buddhista Zen sia della sua vita che del suo lavoro.
Fondamentale per capire Miller è capire come Miller abbia concettualizzato la propria infanzia. Si vide sempre come un estraneo, vivo nel marciume alle radici dell'America. Miller, per sua stessa ammissione, fu profondamente influenzato dalla sua infanzia a Brooklyn, New York. Non si è mai descritto come un newyorkese, ma piuttosto come un ragazzo di Brooklyn del Quattordicesimo Rione. La specificazione della geografia qui ci dà un'idea della sua percezione di sé. Miller dipinge i primi nove anni della sua vita a [[w:Williamsburg (Brooklyn)|Williamsburg]] come i più felici della sua vita, gli affari di suo padre stavano andando bene e suo nonno materno viveva con la famiglia, fornendo a Miller il suo primo eroe anticonformista.<ref>Si veda il parallelo col nonno di [[Thomas Bernhard]].</ref> Valentin Nieting era un pacifista e socialista convinto, fuggito dalla Germania per evitare la coscrizione nella guerra franco-prussiana. I primi ricordi più felici di Miller sono i tempi trascorsi con il nonno materno nella sartoria in cui lavorava e il cameratismo tra gli uomini. Nieting non dava importanza all'idea di migliorare se stesso e, con grande disgusto di sua figlia, era felice di rimanere in negozio. Miller aveva ricordi chiari delle discussioni politiche che si svolgevano e delle divergenze con quelle che aveva sentito a casa, da sua madre Louise. Nieting era un appassionato anticolonialista e come tale era contro la [[w:guerra ispano-americana|guerra ispanoamericana]]; d'altra parte, la madre di Miller era così favorevole alla guerra che appese un ritratto dell'[[w:George Dewey|ammiraglio Dewey]] sopra il letto di Miller. Quelle che sembrerebbero nient'altro che differenze politiche all'interno di una famiglia, per Miller dovevano assumere connotazioni molto più profonde. La politica e il modo di vivere di suo nonno sarebbero serviti da esempio per Miller in età matura, mentre sua madre divenne il simbolo della società soffocante, borghese e repressiva a cui Miller non poteva adattarsi e che in seguito rigettò. È importante delineare l'America in cui nacque Miller. Miller venne alla luce solo cinque anni dopo l'[[w:Rivolta di Haymarket|Affare Haymarket]]. L'Affare Haymarket iniziò come una parata del Primo Maggio, ma finì tragicamente quando un passante anonimo lanciò una bomba nel cordone di polizia, provocando la morte di otto agenti. Gli agenti quindi aprirono il fuoco, uccidendo indiscriminatamente undici persone. Le autorità poi scelsero otto persone a caso dalla folla e le accusarono di omicidio; sette furono condannati a morte. L'idea era che partecipare a una simile parata fosse già abbastanza colpevole e in qualche modo antiamericano. Sebbene le sentenze fossero annullate otto anni dopo, tre degli imputati erano già stati impiccati. Per Valentin Nieting e quelli che la pensavano come lui, Haymarket divenne sinonimo di repressione del governo e omicidio sponsorizzato dallo stato contro i propri cittadini per aver esercitato i loro diritti garantiti dalla costituzione. Per Louise Miller il fatto che cinque degli "Otto di Haymarket" fossero immigrati tedeschi, proprio come gli stessi Miller, era motivo di profonda vergogna. La vergogna che provava la madre di Miller si sarebbe intensificata con l'assassinio del [[w:William McKinley|presidente McKinley]] da parte di un anarchico nel 1901. L'assassino era infatti nato in America, tuttavia ciò non fermò la paranoia propagata dai giornali che l'America fosse attaccata all'interno da immigrati radicali decisi a farsi strada verso il potere a suon di bombe. L'infanzia e l'adolescenza di Miller furono abbastanza normali per un ragazzo del suo tempo. Andava abbastanza bene a scuola quando era motivato e suonava il pianoforte ad alto livello. Non frequentò a lungo il ''college'' principalmente a causa del fallimento degli affari di suo padre e del sospetto di un'istruzione istituzionalizzata, ma sotto la pressione di sua madre accettò di diventare un apprendista sarto presso suo padre. Fu nel laboratorio con i dipendenti di suo padre, molti dei quali ebrei immigrati dall'Europa orientale, che Miller fu ancora una volta coinvolto in discussioni politiche ed esposto alla filosofia europea. Durante i primi nove anni della vita di Miller a Williamsburg, la sua situazione familiare non si era deteriorata abbastanza da impedirgli di romanzarla per il resto della sua vita. La contraddizione tra la vita domestica controllata di Miller e il caos e la povertà delle strade del suo quartiere, gli fornì il primo di una serie di episodi a doppia personalità, che avrebbero segnato la sua vita adulta. Da un lato, Miller era il prodotto di una famiglia rispettabile della classe medio-bassa, ben vestito, grande successo a scuola e abile pianista fin dalla giovane età. Per converso, alcuni dei suoi ricordi più felici sono delle strade sporche e cadenti intorno a lui, diventare parte di una banda di bambini volgari, che sua madre avrebbe potuto solo disapprovare. La mitizzazione da parte di Miller dei suoi amici d'infanzia sembra più una fedina penale di giovani delinquenti; i loro nomi pervadono le sue opere più autobiografiche, Stanley Borowski, Lester Reardon, Jack Lawson e Johnny Paul, come anche le loro piccole imprese antisociali. Per Miller questi nomi non persero mai la patina di avventura e malizia. Il suo tempo con loro venne speso gironzolando per le porte dei ''saloon'', spiando prostitute, guardando il gioco d'azzardo illegale su corse di cavalli e combattendo con altre bande di ragazzini. Miller e i suoi amici amavano il lato più squallido della vita nel loro quartiere, ammirando i piccoli criminali e imbroglioni per la facilità e il divertimento con cui sembravano vivere, in netto contrasto con i valori della famiglia Miller. Fin dalla tenera età Miller imparò a vivere due vite separate, una all'altezza delle aspettative di sua madre e della società in generale, e l'altra una vita simultanea ai margini della società rispettabile, un modello che sarà visibile nella sua vita adulta.
Nel suo libro, ''Renegade: Henry Miller and the Making of Tropic of Cancer'' (2012), Frederick Turner sostiene che questa dualità è uno dei modi principali per comprendere i romanzi di Miller, soprattutto se si cerca di collocarlo come scrittore americano. Turner vede Miller come un fuorilegge americano, che rievoca i giorni della frontiera e le narrazioni di quel periodo, che erano essenzialmente narrazioni di illegalità e di personaggi criminali avventurosi, che a volte vivevano sia geograficamente che socialmente ai margini. Per Turner, Miller attinge direttamente alla prima esperienza americana di espansione, resistenza al governo federale e caos generale. Gli anni dopo la [[w:guerra d'indipendenza americana|guerra d'indipendenza americana]] furono tutt'altro che stabili, con ribellioni contro la politica del governo e parti del paese controllate da milizie regionali che interpretavano la legge a loro piacimento. Ancora nel 1786, Washington si preoccupava che l'intero esperimento potesse deteriorarsi in "anarchia e confusione". La volatilità del popolo americano venne commentata da molti dei padri fondatori, o come presumibilmente li chiamava Alexander Hamilton, "la grande bestia" (Turner, 2012, p. 23). Da ''Letters from an American Farmer'' (1782) di [[:en:w:J. Hector St. John de Crèvecœur|J. Hector St. John Crevecoeur]] fino alle tradizioni orali del [[w:Delta del Mississippi|Delta del Mississippi]], Turner dipinge un quadro di degenerazione e difficoltà che segnarono i primi cento anni d'America: dall'uomo di frontiera che Crevecoeur descrive come "orribile, feroce, cupo, bastardo e mezzo selvaggio" (Turner, 2012, p. 25) alle leggende del Mississippi, ancora ricordate una generazione dopo tramite la storia orale, i criminali, i combattenti professionisti, gli assassini di Indiani e gli squilibrati. Turner sostiene che l'opera di [[w:Mark Twain|Mark Twain]] può essere vista come il ponte letterario tra le tradizioni orali del Mississippi e la scrittura successiva di Miller. Twain cercò di riprodurre sulla pagina il vernacolo rude del periodo, portando la vita degli emarginati a un pubblico istruito più ampio. Non sorprende che fosse impossibile rendere giustizia alla lingua a causa della sua intrinseca volgarità, ma anche a ragione dell'argomento. Gli americani volevano che i loro uomini di frontiera e gli abitanti dei fiumi fossero colorati ma rispettosi della legge, interessanti ma subordinati. Twain fu limitato dal momento in cui viveva e scriveva. La cultura americana stava rivendicando i suoi fuorilegge, centrando la sua memoria collettiva sugli umili contadini, che ricavavano i loro mezzi di sussistenza dal deserto con gratitudine, e sugli immigrati che non parlavano inglese e non volevano altro che un lavoro stabile per i loro figli. Miller apparteneva a un'altra tradizione; l'America che era stata costruita non sulle spalle del lavoro onesto, ma piuttosto l'America della frontiera con tutta la venialità e la criminalità che l'accompagnava, un'America che aveva offerto brevemente una seconda possibilità a un popolo per riordinare come voleva vivere l'uno con l'altro, per decidere da soli cosa fosse il successo o il fallimento. Sebbene non sarei necessariamente d'accordo con quella che considero l'eccessiva identificazione da parte di Turner di Miller con una prospettiva storica apertamente americana, c'è qualcosa di giusto nel localizzare Miller all'interno dell'ambiente fuorilegge, sia in senso letterario che sociale. L'idea di due concettualizzazioni dell'America che vivono e crescono fianco a fianco, entrambe rivendicando come fondamento la formazione stessa della nazione, diventerà più evidente per Miller nei suoi anni a Big Sur. L'ipotesi che si possa avere una comunità all'interno di una nazione, comunità che vive più da vicino le origini della nazione rispetto a quella del paese stesso, è qualcosa su cui Miller arriverà a riflettere.
Penso che sia fruttuoso considerare l'idea di Miller come "fuorilegge" accanto a quella di Miller l'espatriato. Innumerevoli libri sono stati scritti sugli espatriati letterari americani degli anni ’20 e ’30 e non ho intenzione di ripercorrere sentieri battuti, tuttavia vale la pena chiarire come Miller fosse diverso e per certi versi simile ad altri scrittori e artisti di questo periodo e come plasmò il suo rapporto con la patria. Miller non era unico nel senso che si sentiva alienato dalla politica, dallo stile di vita e dai valori morali prevalenti del periodo. Non fu l'unico in quanto scelse di lasciare l'America; aveva la capacità finanziaria di prendere una tale decisione. Nel suo articolo "Henry Miller: The Pathology of Isolation" (1952) Alwyn Lee ha osservato che lo stesso Miller era "importante come simbolo di quanto profonda fosse cresciuta una frattura tra la nostra cultura e le sue stesse origini, come questo secolo possa escludere coloro che apparentemente vi vivono dentro". Ciò è interessante in quanto tocca non solo l'alienazione di Miller dal proprio tempo, ma anche quanto l'America fosse diventata alienata dalle sue radici "fuorilegge". Lee è anche irremovibile nel separare Miller dalla ''[[w:Generazione perduta|Lost Generation]]'', contribuendo allo stereotipo dei primi letterati espatriati come in qualche modo fasulli ed effeminati, mentre l'esistenza povera di Miller in qualche modo conferma la sua autenticità dalla parte sbagliata:
{{q|Those of the lost generation (Hemingway, Fitzgerald, Cowley, etc) were mere truants, who despite bull fights, the Ritz, or the Left Bank remained American as Dodsworth-not-yet-returned natives enjoying a temporary expatriation. Not Miller, a true waif, achieved exile without nostalgia, which Santayana, who ought to know, says is a bad thing... a dramatic form of inner condition rendered him rootless, an internal exile, able in ''The Air-Conditioned Nightmare'', to see his country with a tourist’s eye.|Baxter, 1961, p. 160}}
In ''Henry Miller: Literature and Life'' (1986) J.D. Brown collega direttamente la durata dell'"esilio spirituale" di Miller ai suoi livelli di rabbia. Miller si è completamente immerso e identificato con la cultura francese, nonostante le difficoltà con la lingua. È indiscutibile che il tempo di Miller fosse speso alla periferia della società rispettabile, almeno nei suoi primi anni a Parigi. Miller era più probabile che si aggirasse in un caffè frequentato da prostitute e dai loro protettori, che non al ''Les Deux Magots'' o al ''Café de Flore''. La sua rottura dall'America sembrava in qualche modo più permanente e completa di quella di altri scrittori americani. In ''American Writers in Paris 1920-39'' (1980) Karen Lane Rood afferma che "egli conosceva intimamente la litania di lamentele formulate in precedenza da espatriati e aveva vissuto nel cuore di una società industrializzata e disumana molto più a lungo di coloro che erano fuggiti a Parigi negli anni Venti. Il suo rifiuto dell'America era quindi ineguagliabile nella sua amarezza." (Rood Lane, 1980, p.283) In ''Henry Miller: Expatriate'' (1961) Annette Baxter osserva che questo tipo di alienazione può avere conseguenze acute per l'artista: "la tendenza naturale dell'artista di vivere interiormente, di portare avanti un perpetuo monologo interiore, può intensificarsi, rendendolo, quando perde il contatto con la vita che lo circonda, più vulnerabile alla disorganizzazione artistica e personale." (Baxter, 1961, p.16) Questo sembra certamente essere stato a volte il caso di Miller; tuttavia direi che Miller è sempre rivolto all'esterno e questo è qualcosa su cui tornerò a tempo debito. Un'influenza cruciale sull'esperienza di espatriato di Miller è stata la sua profonda messa in discussione dello stile di vita americano. Miller si stava allontanando da qualcosa tanto quanto si stava avvicinando a qualcosa andando a Parigi.
Ancora una volta va sottolineato che Miller non era solo nel provare questi sentimenti, che erano sentimenti diffusi tra l'[[w:intelligencija|intellighenzia]] americana negli anni ’20. Ancora una volta, Miller non era l'unico nel suo rifiuto di quella che vedeva come "vita americana". Samuel Putnam ha descritto questo sentimento come "i valori materiali schiaccianti imposti da una civiltà standardizzata e fatta a macchina, la mancanza di qualsiasi morte spirituale, la falsità, il sentimentalismo, l'ipocrisia, la repressione che accompagna una tale civiltà" (Baxter, 1961, p. 3) Malcolm Cowley ha parlato di una "rivolta diffusa tra gli artisti americani contro il puritanesimo, il proibizionismo e i ''[[:en:w:Booster club|booster club]]''" (Rood Lane, 1980, p. 12) Miller fu adamantino in età avanzata nello spiegare che non aveva mai fatto parte della scena letteraria americana espatriata. Nell'intervista della ''[[w:The Paris Review|Paris Review]]'' del 1963 chiarì che non aveva mai incontrato [[w:Gertrude Stein|Gertrude Stein]] né conosciuto nessuno del suo gruppo. Propagò con cura l'impressione di se stesso come scrittore solitario, indipendente e autonomo. Ciò potrebbe essere in parte dovuto al fatto che Edmund Wilson ha collocato Miller in quello che chiama "''The Twilight of the Expatriates'' (Il crepuscolo degli espatriati)", mentre altri critici, in particolare Philip Rahv nel suo articolo "Sketches in Criticism: Henry Miller" (1957), continuano a vedere Miller come non appartenente a nessuno dei due decenni in questione, a causa della sua mancanza di impegno ideologico negli anni ’30 e della sua incapacità di connettersi con la comunità degli espatriati negli anni ’20. Non sono sicuro che cercare di incasellare Miller in questo modo sia terribilmente utile. Annette Baxter colloca Miller all'interno di questa scuola di pensiero come segue:
{{q|Whereas the disillusionment of the twenties encouraged escape from native inadequacies and iniquities, the disillusionment of the thirties provided a strong incentive for home-based reform. The expatriate of the thirties must then have been little affected by contemporary social and political movements. In abandoning his country at this time, he was expressing not only his dissatisfaction with America, but also with collectivist ideals. While the expatriate of the twenties seemed to be transferring his loyalty from one country and its institutions to another, his successor a decade later felt that loyalty was a tenable concept only when it sprang from a deep personal involvement with one’s environment, whatever it may be. Thus the expatriates of the thirties appear more as isolated figures, each searching for fulfillment on his own terms, rather than as adherents to a self-conscious cult of
disenchantment.|Baxter, 1961, p. 6}}
Poteva non aver fatto parte della ''Lost Generation'' o forsanche dei resti di ciò che ne era rimasto negli anni ’30, ma Miller fu tutt'altro che solo. Fece affidamento sulla gentilezza di estranei fin dal primo giorno, coltivando amicizie che gli avrebbero offerto cibo, alloggio, sesso o denaro. Intellettualmente, i suoi anni più fruttuosi furono trascorsi a Villa Seurat, circondato da altri scrittori, artisti, mistici e filosofi. Fu ben lontano dal lupo solitario che si riteneva egli fosse stato.
Il ritorno di Miller in America nel 1939 non fu una scelta. Costretto a lasciare l'Europa dall'imminente guerra, Miller partì con poca sicurezza finanziaria, lasciando in custodia il manoscritto del ''Tropic of Capricorn'' nella cassaforte del suo editore. Prenderò in considerazione il ritorno di Miller in relazione alle sue crescenti credenze buddhiste Zen più avanti in questa introduzione — ciò su cui ho intenzione di concentrarmi qui è cosa intendiamo quando parliamo dell'antiamericanismo di Miller:
{{q|There was a reason, however, for making the physical journey, fruitless though it proved to be. I felt the need to effect a reconciliation with my native land... I didn’t want to run away from it, as I had originally. I wanted to embrace it, to feel that the old wounds were really healed, and set out for the unknown with a blessing on my
lips... The American coast looked bleak and uninviting to me. I didn’t like the look of the American house; there was something cold, austere, something barren and chill about the architecture of the American home. It was home, with all the ugly, evil, sinister connotations which the word contains for a restless soul. There was a frigid, moral aspect to it which chilled me to the bone.|Miller, 1945, pp. 10-11}}
Il succitato brano da ''The Air-Conditioned Nightmare''' (1945) illustra perfettamente le speranze e le paure che Miller sentiva al suo ritorno in America. Inizia nella speranza, con la fiducia di un uomo che ha trascorso l'ultimo decennio evolvendosi e diventando emotivamente e intellettualmente più forte. Desidera perdonare l'America per tutte le offese e le sofferenze del passato, per tornare da pari a pari. Tuttavia, vedendo la costa americana, viene immediatamente assalito dai suoi vecchi demoni. Si sente sgradito, un eterno estraneo. Parte di questo si riferisce ai pregiudizi di Miller: il suo crescente senso di presentimento ha le fondamenta nelle sue vecchie percezioni. L'uso di parole come "frigido" e "austero" evoca immagini dell'infanzia germanica di Miller con tutto il trauma che l'accompagna. L'America che Miller vede è protestante, puritana e morta. Ha preso una decisione su questo prima ancora di posar piede a terra. Potrebbe avere ragione o meno a pensarla in questo modo, tuttavia ciò dà il tono alla reintegrazione di Miller nella società americana. Potrebbe anche spiegare perché Miller sceglie di non visitare la sua famiglia fino a un mese dopo il suo ritorno. L'America con cui Miller ha un tale problema è il paese industrializzato e ossessionato dal capitale che crede abbia corrotto e alienato le persone dalla propria terra e dal proprio benessere:
{{q|I can think of no street in America, or of people inhabiting such a street, capable of leading one on towards the discovery of the self. I have walked the streets in many countries of the world but nowhere have I felt so degraded and humiliated as in America. I think of all the streets in America combined as forming a huge cesspool, a
cesspool of the spirit in which everything is sucked down and drained away to everlasting shit.|Miller, 1939, p. 4}}
Miller è sconvolto dal ruolo di espatriato riconoscente che dovrebbe interpretare a New York. È circondato da persone che gli dicono quanto deve essere felice di essere sfuggito alla guerra in Europa, quanto è fortunato ad essere un americano, "The expatriate had come to be looked upon as an escapist. Until the war broke out it was the dream of every American artist to go to Europe... With the outbreak of the war a sort of childish, petulant chauvinism set in. ‘Aren’t you glad to be back in the good old U.S.A?’" (Miller, 1945, p. 16) ''The Air-Conditioned Nightmare'' è feroce nella sua rappresentazione dell'America e non sorprende che, nonostante fosse pronto per la pubblicazione nel 1942, non sia stato pubblicato fino a dopo la guerra. In un periodo di iperpatriottismo, Miller era in contrasto con la stragrande maggioranza dei suoi compatrioti, ma determinato a esporre quella che vedeva come la verità:
{{q|Everything worth saying about the American way of life I could put in thirty pages... nowhere else in the world is the divorce between man and nature so complete. Nowhere have I encountered such a dull, monotonous fabric of life as here in America... Actually we are a vulgar, pushing mob whose passions are easily mobilized by demagogues, newspaper men, religious quacks, agitators and such like. To call this a society of free people is blasphemous. What have we to offer the world beside the superabundant loot which we recklessly plunder from the earth under the maniacal delusion that this insane activity represents progress and enlightenment?|Miller, 1945, p. 20}}
Penso che sia interessante che Miller metta in evidenza la dissonanza tra il popolo americano e la sua terra. Ciò si ricollega alla percezione da parte di Turner di Miller come erede dell'autentica tradizione "fuorilegge". Il capitalismo ha alienato le persone non solo dal loro lavoro ma anche dalla loro terra. Miller li vede come degli sfigati senz'anima, spinti a lavorare più forte per una fantasia inappagante di successo e felicità:
{{q|The saddest sights of all (in America) are the automobiles parked outside the mills and factories. The automobile stands out in my mind as the very symbol of falsity and illusion. There they are, thousands upon thousands of them, in such profusion that it would seems as if no man were too poor to own one. When the American
worker steps out of his shining tin chariot he delivers himself body and soul to the most stultifying labor a man can perform.|Miller, 1944, p. 196}}
Non vorrei arrivare al punto di dipingere Miller come un proto-ambientalista, ma mostra una crescente consapevolezza in ''The Air-Conditioned Nightmare'' del tributo che l'industrializzazione ha estorto alla terra. Anche [[:en:w:Wallace Fowlie|Wallace Fowlie]] intuì questa connessione tra Miller e la terra, sebbene la collocasse all'interno della tradizione [[w:Trascendentalismo|trascendentalista americana]]:<ref>La connessione tra Miller e il Transcendentalismo è stata esaurientemente analizzata in numerosi scritti di studiosi milleriani. I collegamenti sono facili da vedere e Miller fu particolarmente aperto sull'influenza di [[w:Walt Whitman|Whitman]] sul suo sviluppo intellettuale. Uno dei libri più interessanti sull'argomento è, McCarthy, H. (1971). "Henry Miller’s Democratic Vistas" (Su Miller e Whitman). ''American Quarterly'', 23, pp. 221-235. McCarthy sostiene che Parigi può essere vista come il Walden Pond di Miller e, anche se non sono sicuro di quanto sia riuscito a dimostrarlo, penso che sia un'interpretazione interessante. Più recentemente Eric D. Leman ha ancora una volta collocato Miller in uno stile di vita trascendentalista a Big Sur. Non c'è nulla di nuovo nella ricerca in questo settore, ma continua a suscitare interesse. Posso solo dedurre che questo fa parte del desiderio di ricollegare in qualche modo Miller alle sue radici americane. Leman, E.D. (2015) "Big Sur and Walden: Henry Miller’s Practical Transcendentalism" In Decker, J. (cur.) ''Henry Miller: New Perspectives''. Bloomsbury, Londra.</ref>
{{q|He has always been the pure singer of individual freedom who was a-political because he believed that to give up to a capitalistic regime for a socialistic regime was simply to change masters. His personal creed may be attached in part to the European utopia of the noble savage, and in part to the American tradition of return to nature we read in Thoreau and Whitman. His sense of anarchy is partly that of Thoreau and partly that of the Beat generation.|Fowlie, 1975, p. 16}}
Direi che questo è il senso emergente del bisogno di armonia da parte di Miller, un altro esempio delle sue credenze buddiste Zen. Vede l'America additata come l'epitome del successo e della felicità, del progresso e della civiltà, ed è disgustato dalla realtà. Come mostrerò nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo|Capitolo 4]]''', man mano che il Buddismo Zen di Miller cresceva, Miller iniziava a vedere l'America come il suo opposto assoluto. L'avidità, la brutalità e la sofferenza che Miller vedeva come la vera America erano così lontane dalla spiritualità con cui Miller cercava di vivere, che si disperava per il futuro. È giusto dire che si può aprire qualsiasi pagina a caso di ''The Air-Conditioned Nightmare'' e trovare Miller che inveisce contro quella che vedeva come la realtà dell'America; tuttavia i livelli viscerali di rabbia che possiamo quasi sentire filtrare dalla pagina erano francamente indifendibili. Il buddhismo Zen di Miller stava fiorendo insieme al suo odio e uno dei due doveva cedere. Passerò ora a mostrare come il buddhismo Zen di Miller sia diventato il fondamento più importante della sua vita e lo abbia aiutato a sostenere la vita in America per il resto della sua vita.
Per comprendere il lavoro di Miller e ciò che stava cercando di ottenere, è essenziale comprendere la narrativa che Miller creò della propria vita. Nell'affrontare la creazione di se stesso non solo vediamo come Miller adatti il suo uso delle proprie esperienze di vita, ma anche quanto sia importante che la sua opera sia intesa come romanzi che stimolano spiritualmente i lettori. Quando Miller esitava sulla pubblicazione americana di ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'' nel 1961, ben consapevole della potenziale controversia, scrisse al suo editore [[:en:w:Barney Rosset|Barney Rosset]]:
{{q|I would triumph as the King of Smut. I would be given the liberty to thrill, to amuse, to shock, but not to edify or instruct, not to inspire revolt. Certainly you must be aware that throughout my autobiographical works, including ''The Colossus of Maroussi'', ''The Books in My Life'', ''Hamlet and the Oranges'', the overlying thought is to inspire and to awaken, not merely to titillate and amuse the reader.|Calonne, 2015, p. 127}}
Ciò che questo dimostra è che Miller era ben consapevole di quanto la sua reputazione sarebbe stata danneggiata e collegata per sempre alla pubblicazione di ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'' in America. Vale anche la pena notare che Miller non considera più ''Tropic of Cancer'' o ''Tropic of Capricorn'' come "autobiografico" e che immagina la sua scrittura come qualcosa che dovrebbe essere di ispirazione e istruzione per i suoi lettori. Questo comincia ad avere più senso se vediamo Miller come egli vedeva se stesso, un uomo profondamente spirituale, che aveva raggiunto un livello di risveglio attraverso la sua sofferenza. Credo che Miller volesse che i suoi scritti fossero intesi come una cronaca del suo viaggio verso l'illuminazione buddista, ma è importante svelare la spiritualità di Miller e la sua evoluzione nel corso della sua vita. Miller fu un autodidatta per tutta la vita, avendo trovato l'istruzione formale così restrittiva che lasciò il [[w:City College (New York)|City College di New York]] dopo solo un mese. Leggeva molto di letteratura, filosofia e politica e sembra che avesse letto per la prima volta ''[[w:Buddhismo Vajrayāna|Esoteric Buddhism]]'' (1884) di [[w:Alfred Percy Sinnett|A. P. Sinnett]] quando aveva solo diciotto anni. Nello stesso periodo incontrò il ''[[w:Daodejing|Tao Te Ching]]'' di [[w:Laozi|Lao Tzu]] e fu presentato alla [[w:Società Teosofica|Società Teosofica]] dal fratello del suo collega, Robert Hamilton Challacombe. Challacombe appare come "Roy Hamilton" nel ''Tropic of Capricorn'' e per molti versi è il primo di una serie di uomini saggi a cui Miller si rivolgeva per ricevere insegnamento. Fu attraverso Challacombe che Miller sentì per la prima volta il nome [[w:Vivekananda|Swami Vivekananda]]:
{{q|I felt I was in the presence of a being such as I had never known before... He was indeed strange, but so sharply sane that I at once felt exalted. For the first time I was talking to a man who got behind the meaning of words and went to the very essence of things. I felt that I was talking to a philosopher, not a philosopher such as I had encountered through books, but a man who philosophized constantly – and who lived this philosophy which he expounded. That is to say, he had no theory at all, except to penetrate to the very essence of things and, in the light of each fresh revelation to so live his life that there would be a minimum of discord between the truths which were revealed to him and the exemplification of these truths in action... Naturally his behaviour was strange to those about him. It had not, however, been strange to those who knew him out on the Coast where, as he said, he was in his own element. There apparently he was regarded as a superior being and was listened to with the utmost
respect, even with awe.|Miller, 1939, p. 147}}
Non molto tempo dopo, Miller si trasferì in California con la speranza di diventare un cowboy, ma in realtà per lasciarsi alle spalle la sua vita piuttosto banale e i problemi personali a New York. Miller alla fine non riuscì a diventare un cowboy; tuttavia quello che possiamo constatare è che già a ventun anni Miller era alla ricerca di spiritualità e di una comunità che la pensasse allo stesso modo. Fu anche durante questo viaggio che Miller ascoltò la conferenza di [[w:Emma Goldman|Emma Goldman]] e fu esposto per la prima volta all'ideologia anarchica. Di ritorno a New York, Miller acconsentì al desiderio di sua madre di lavorare a fianco del padre nella sua sartoria e tramite gli ebrei dell'Europa orientale che vi lavoravano scoprì e/o discusse ''[[:fr:w:L'Évolution créatrice|L'Évolution créatrice]]'' di Bergson, ''[[:de:w:Der Untergang des Abendlandes|Der Untergang des Abendlandes]]'' di Spengler, ''[[:de:w:Der Antichrist|Der Antichrist]]'' di Nietzsche e ''[[:en:w:The Secret Doctrine|The Secret Doctrine]]'' della [[w:Helena Blavatsky|Blavatsky]]. Miller stava lentamente cominciando a considerarsi un emarginato, mettendo in discussione il quadro sociale in cui era stato educato e come immaginava il suo futuro in esso. Durante la Rivoluzione russa, Miller ascoltò le lezioni all'aperto di Goldman, Larkin e Harrison. Lesse ''[[:en:w:The Conquest of Bread|La Conquête du Pain]] (La conquista del pane)'' di [[w:Pëtr Alekseevič Kropotkin|Kropotkin]] (1892) e iniziò a considerare l'idea delle comunità di mutuo soccorso. Durante questo periodo Miller sposò la prima moglie Beatrice Wickes, una rispettabile pianista borghese che Miller avrebbe dipinto come una tiranna, sessualmente repressa, nel ''Tropic of Capricorn''. Nonostante fossero infelici quasi dall'inizio, rimasero insieme abbastanza a lungo da avere un figlio insieme, il cui avvento portò Miller a fare domanda di lavoro alla [[w:Western Union|Western Union]]. Questo periodo della vita di Miller è vitale per qualsiasi comprensione si voglia avere di lui, in quanto è il successivo decennio che gli fornirà le esperienze di vita che non solo costituiranno il suo materiale primario, ma modelleranno anche il modo in cui Miller vede se stesso.
L'impiego alla Western Union è l'ultimo tentativo da parte di Miller di avere un lavoro e una vita normali e stabili. Il fatto che Miller abbia descritto la Western Union come "The Cosmodemonic Company" dà l'idea che proprio non fosse adatto alla posizione. La sua crescente avversione per il capitalismo americano e la cultura che aveva prodotto maturerà in qualcosa di simile all'odio entro la fine del suo periodo alla Western Union. La sua posizione di responsabile del personale lo portò a vedere in prima persona la disperazione degli uomini nel cercare lavoro e il suo ruolo arbitrario nell'accettarli o meno. Miller descrive questo periodo come un periodo in cui incontrò veramente i disadattati della società, negati alla vita americana moderna. La sua identificazione con l'emarginato inizia a cristallizzarsi, mentre la sua consapevolezza della disuguaglianza e della natura capricciosa del capitalismo inizia a prendere piede. In superficie, Miller era un piccolo borghese di successo; era un impiegato di concetto con una moglie e una figlia piccola. Sotto stava soffocando; odiava la vita familiare, si vergognava del potere che il suo lavoro gli dava sulla vita della gente comune e desiderava diventare uno scrittore. La vita di Miller sarebbe potuta benissimo continuare così, come avviene per milioni di altre persone, se non avesse incontrato [[w:June Mansfield|June Mansfield]] alla Wilson's Dancehall nell'estate del 1923.<ref>Quel poco che si sa di June Mansfield è visto attraverso gli occhi degli altri. A parte Miller, abbiamo ricordi di lei da parte di Anaïs Nin, Perles e Brassai, ma niente da lei stessa. Molti critici sono arrivati a credere che Mansfield fosse bipolare e che questa instabilità poteva essere la causa delle sue molte bugie sul suo passato. In diversi momenti della sua vita mentì sul suo nome, età, religione e famiglia. Non è stato nemmeno possibile affermare quando Mansfield sia morta, poiché cambiò nuovamente il suo nome, e il suo numero di previdenza sociale era sospettato di essere stato utilizzato in frodi dopo la sua "morte". Per un esame di quella che molto probabilmente è la verità sulla Mansfield, si veda: Decker, J. M. (2006) "June Mansfield: Remnants of a Life". ''Nexus: The International Henry Miller Journal'', Volume 3, pp. 82-97.</ref> Mansfield era una ballerina a cottimo, ventunenne, e Miller si infatuò di lei sin dal loro primo ballo. Miller sembrava essere ben consapevole dall'inizio della loro relazione che questo era un momento fondamentale nella sua vita:
{{q|I was approaching the thirty-third year of my life, the age of Christ crucified. A wholly new life lay before me, had I the courage to risk all. Actually, there was nothing to risk; I was at the bottom rung of the ladder, a failure in every sense of the word... That this was to be the grand week of my life, to last for seven years, I had no idea of course. To make the fatal step, to throw everything to the dogs, is in itself an emancipation: the thought of consequences never entered my head. To make absolute, unconditional surrender to the woman one loves is to break every bond save the desire not to lose her, which is the most terrible bond of all.|Miller, 1949, p. 5}}
Che Miller si vedesse come un fallito in un momento in cui al mondo esterno sembrava fosse al suo massimo successo, dice molto. Il concetto di successo di Miller ha rotto irrevocabilmente con quello che è predominante in America. Mansfield gli fornisce l'impulso per divorziare da sua moglie (e in realtà abbandona sia Beatrice che sua figlia neonata) e molto rapidamente di dimettersi dal suo lavoro sicuro e diventare uno scrittore a tempo pieno. La rottura di Miller con la società borghese fu rapida e permanente.
Come ho già affermato, la nostra immagine della Mansfield è sempre attraverso lo sguardo di qualcun altro. Per Miller era la forza inizialmente liberatrice ma infine distruttiva che alterò in modo permanente la sua vita. In "Notes on June" sotto il titolo "Destructiveness", egli dipinge un ritratto dellai Mansfield che è allo stesso tempo impetuoso ed esilarante con un pizzico di apprensione:
{{q|Clothes, towels, shoes, socks, hats, expensive gowns, worn to shreds in no time, or ruined by cigarette holes, by spillt [''sic''] wine or gravy, or paint. Habit of doing what she likes regardless of what she has on — because it would cramp her style. Allowing others to wear her things and ruin them for her: fur coat, beautiful slippers, evening wrap, mantillas, scarves, etc.|Miller, 1971, p. 143}}
Ci sono due cose degne di nota in questo brano; in primo luogo Miller teme che qualcuno così sprezzante nel suo atteggiamento nei confronti degli oggetti possa esserlo anche nelle relazioni. In secondo luogo, il catalogo di Miller delle cose di Mansfield e la sua disapprovazione per il trattamento che le riservava rivelano la sua educazione tedesca. Miller si preoccupò fino alla fine della vita che non si sarebbe mai veramente staccato dalle lezioni puritane di sua madre e in questo passo vediamo il disagio di Miller con ciò che percepisce come sciatteria e spreco. In queste poche righe, scritte all'inizio della loro relazione, vediamo le questioni che la distruggeranno. Mansfield è incostante e irresistibile, Miller è impaurito e insicuro. Miller ora inizia la più peripatetica delle esistenze con la Mansfield; questo includeva la vendita di caramelle porta a porta, l'apertura di un bordello/[[w:Speakeasy (proibizionismo)|''speakeasy'']] con Mansfield, il chiedere apertamente l'elemosina, la prostituzione di Mansfield. Calonne sostiene che possiamo leggere questo periodo della vita di Miller come una sua imitazione inconscia della vita di un ''[[w:saṃnyāsa|sannyasin]]'' indù, un mendicante errante che ha voltato le spalle al materialismo ed è dedicato a una vita dello spirito. Non sono sicuro d'essere d'accordo fino a questo punto, ma quello che suggerirei invece è che questo è il periodo che Miller vede come il crogiolo della sua sofferenza. L'introduzione da parte di June Mansfield della sua amante, Jean Kronski,<ref>Si sa molto poco di Jean Kronski, compreso il suo vero nome. È stata identificata dagli studiosi di Miller come Marion Fish o Mara Andrews, ma non è stata trovata alcuna prova conclusiva della sua identità. Si pensa che avesse ventun anni quando si coinvolse con Mansfield e Miller. Miller le diede lo pseudonimo di Stasia e Thelma in diverse opere e il suo ritratto di lei è come una donna mentalmente instabile e distruttiva, con il suo bizzarro aiutante fantoccio, il Conte Bruga. I biografi di Miller credono che sia morta in un manicomio a New York nel 1930. Per le poche informazioni disponibili, si veda: Orend, K. (2007) "Dear Ghost – A Few Fragments of Henry Miller’s Nemesis, Jean Kronski". ''Nexus: The International Henry Miller Journal''. Volume 4, pp. 197-217.</ref> nelle loro vite nell'ottobre 1926 portò Miller a una tale disperazione che tentò di suicidarsi. Le umiliazioni quotidiane che le donne gli imposero e la sua paura che Mansfield lo abbandonasse sembrano aver seriamente sconvolto Miller. Quando Miller arrivò a casa una notte nel marzo 1927 e trovò una nota sul tavolo che gli diceva che Mansfield e Kronski erano salpati quella mattina per Parigi senza dirglielo, si sentì distrutto e senza speranza per il futuro. Miller avrebbe scritto e riscritto questo periodo relativamente breve della sua vita in molti dei suoi romanzi. Vediamo il suo rapporto e matrimonio con Mansfield seguito dall'avvento di Kronski raccontato dal punto di vista dell'anno dopo in ''Crazy Cock'' (1928-30), fino alla prospettiva maturata dal tempo in ''Nexus'' nel 1960. Il motivo per cui Miller passa trent'anni tornando sempre allo stesso periodo, è che riconosce questo come il tempo in cui la sua vita cambiò inequivocabilmente. Riesce a vedere la sofferenza che sopportò attraverso la lente del buddhismo Zen; Miller cerca di comprendere la sua sofferenza tramite la [[w:Quattro nobili verità|Seconda e la Terza Nobile Verità]]. Tratterò questo argomento in modo più dettagliato nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo|Capitolo 4]]'''; direi, tuttavia, che è importante vedere la ripetizione del materiale di Miller alla luce dei concetti buddhisti Zen di consapevolezza e accettazione. Il ritorno di Mansfield a New York (senza Kronski) e l'eventuale partenza di Miller per Parigi nel febbraio 1930 (pagata da uno dei "patroni" della Mansfield) segneranno l'inizio della fine della loro relazione e, nonostante i tentativi di riconciliazione, divorzieranno nel 1934.
L'immersione di Miller nella spiritualità continuò a Parigi, come anche il suo interesse per l'astrologia e l'occulto. Tramite [[w:Anaïs Nin|Anaïs Nin]] conobbe l'astrologo Conrad Moricand<ref>'''Conrad Moricand''' (1887-1954) è stato un astrologo svizzero che si immerse nell'astrologia e in tutte le forme di misticismo che culminarono nella pubblicazione di Moricand, C. (1923) ''Les Interprètes: Essai De Classement Psychologique D'après Les Concordances Planétaires''. Nabu Press, Parigi. Moricand è raffigurato in ''A Devil in Paradise'' di Miller, come un mostro ossessionato da se stesso, tuttavia la validità di questo ritratto è stata messa in dubbio da alcuni critici. Moricand proveniva da una famiglia benestante, ma morì senza un soldo in una casa per indigenti pagata da ''Le Fondation Suisse'' a Parigi, una fondazione creata ironicamente dalla sua stessa famiglia (tra gli altri).</ref> e per un periodo Miller e Moricand furono inseparabili. I titoli ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'' si riferiscono ai segni astrologici piuttosto che ai cerchi di latitudine. Sebbene la loro amicizia finisse male, come raccontato in ''A Devil in Paradise'' (1956), Miller mantenne un interesse per l'astrologia per tutta la vita e spesso si faceva leggere la sua carta prima di prendere decisioni importanti. Fu Moricand a presentare Miller ad [[w:Aleister Crowley|Aleister Crowley]] e alla sua fazione rosacrociana Ordo Templi Orientis (OTO). Miller lesse ''[[:en:w:The Astrology of Personality|Astrology of Personality (L'astrologia della personalità)]]'' (1936) di [[w:Dane Rudhyar|Dane Rudhyar]] e tenne una corrispondenza con l'autore.
Attraverso il collega David Edgar, membro di Villa Seurat, Miller venne introdotto agli scritti del mistico ebreo [[w:Eric Gutkind|Erich Gutkind]],<ref>'''[[w:Eric Gutkind|Erich Gutkind]]''' (1877-1965) fu un filosofo ebreo tedesco il cui lavoro attingeva alle sue interpretazioni della [[Serie misticismo ebraico|Cabala]]. Si trasferì in America nel 1933 e insegnò alla New School e al College of the City of New York. Pubblicò tre libri che possono essere meglio descritti come un misto di pacifismo e misticismo: ''The Absolute Collective: A Philosophical Attempt to overcome our Broken State'' (1937) tradotto dall'originale tedesco in {{en}} da Gabain, M. C.W. Daniel Co, Londra. ''Choose Life: The Biblical Call to Revolt'' (1952) rist. Scholar’s Choice, Rochester, N.Y. 2015. ''The Body of God: First Steps Toward an Anti-Theology. The Collected Papers of Eric Gutkind'' (1969.) (cur.) Lucie B. Gutkind/Henry LeRoy Finch, Horizon Press: New York. ''The Body of God'' è la versione {{en}} della sua prima edizione ''Siderische Geburt: Seraphische Wanderung vom Tode der Welt zur Taufe der Tat'' (1910). Per meglio comprendere il lavoro di Gutkind e la sua influenza, si veda: Rutherford. H.C. (1975) ''Erich Gutkind as Prophet of the New Age''. Bradford, New Atlantis Foundation.</ref> trovando molto stimolante il suo ''The Absolute Collective: A Philosophical Attempt to over our Broken State'' (1937). Quando i diritti d'autore del ''Tropic of Cancer'' iniziarono a rendere più sicura la vita di tutti i giorni, Miller sembrò ritirarsi maggiormente dal mondo. Come mostro nel Capitolo 4, l'assorbimento di Miller nel far pubblicare ''Tropic of Cancer'' e poi la responsabilità che si assunse per farlo leggere e recensire da altri scrittori e critici, lo fece sentire un estraneo all'élite letteraria. Direi che questa umiliazione finale, come la percepiva Miller, portò a un'immersione ancora più profonda nella filosofia orientale. Nelle sue lettere a Emil Schnellock di questo periodo, scrive della sua immersione in Lao-Tzu e nel ''The Musings of a Chinese Mystic'' di [[w:Zhuāngzǐ|Chuang Tzu]]. A [[w:Lawrence Durrell|Lawrence Durrell]] scrisse:
{{q|Above all, the determination to be absolutely responsible myself for everything. I have no fight any longer with the world. I accept the world, in the ultimate sense. Yes, I fight and I bellyache now, but it’s rather old habit-patterns than anything real in me... And that is how I interpret your Chinese allusions. Am I right? One enters a
new dimension, certainly non-English, non-American, non-European. That world belongs to the past, to infancy - it gets sloughed off, like a snake’s skin. So how to talk to Eliot, Mairet, Orwell, Connolly — all these bloody, bleeding blokes with their navel-strings uncut.|MacNiven, 1988, p. 49}}
Nel 1938 Nin osservò che Miller stava entrando in una "fase mistica" e iniziava a trascorrere più tempo meditando, dipingendo acquerelli, ascoltando musica e generalmente "volgendosi verso l'interiore" (Calonne, 2014, p. 67). Iiniziò a limitare la sua vita sociale e scelse invece di comunicare inviando una lista di libri che riteneva importante per gli amici intimi. Inclusi in questi dodici titoli c'erano opere di Blavatsky, Howe, Sukuki e ''[[w:Bardo Tödröl Chenmo|Il libro tibetano dei morti]]''. Mentre il mondo diventava sempre più urgente e invadente – dopo tutto questa era la Parigi del 1938 – Miller si ritirò ulteriormente in se stesso e ulteriormente nel buddhismo Zen. La pubblicazione di ''Tropic of Capricorn'' nel maggio 1939 segnò la fine del suo soggiorno parigino. Miller era cambiato e si era evoluto in modo esponenziale durante il decennio; si trovava in un viaggio spirituale che sarebbe durato e avrebbe plasmato il resto della sua vita. Il ritorno forzato di Miller in America non iniziò in modo propizio; era di nuovo senza un soldo e senza casa. Proprio come i suoi primi anni a Parigi, fece affidamento sulla gentilezza degli amici per sopravvivere.
Scrisse due racconti "Quiet Days in Clichy" e "Mara-Marignan" che si uniranno per diventare ''Quiet Days in Clichy'' (1956) forse la sua rappresentazione più romantica e divertente di Parigi prima di intraprendere un viaggio attraverso il paese, il cui materiale avrebbe composto ''The Air-Conditioned Nightmare''. Il suo decennio all'estero non aveva fatto nulla per mitigare il disgusto di Miller nei confronti dell'America. La cultura materialista, nazionalista e distruttiva dell'anima americana lasciava Miller depresso e isolato. Il suo periodo a Detroit gli fece ricordare e materializzare iil ''Voyage to the End of the Night'' (1932) di Celine, ma anche visioni spengleriane di un inferno industrializzato su questa terra, "The Duraluminium City! A nightmare in stone & dust. Terrifyingly new, bright, hard — hard as tungsten. Glitter of cruelty. Tough to be a beggar here in winter. The city of the future! But what a future! ... Bomb Detroit out of existence!" (Miller, 1989, p. 264) La morte di suo padre richiese il ritorno di Miller a New York e l'opportunità di incontrare [[:en:w:Swami Nikhilananda|Swami Nikhilananda]], che gli diede le biografie di Ramakrishna e Vivekananda scritte da [[w:Romain Rolland|Rolland]]. Miller stava anche leggendo la ''[[w:Bhagavadgītā|Bhagavad Gita]], Cosmic Consciousness: A Study of the Evolution of the Human Mind'' (1901) e ''The Phoenix: An Illustrated Review of Occultism and Philosophy'' (1932) di [[w:Manly Palmer Hall|Manly P. Hall]]. L'effetto delle sue letture è chiaro da vedere:
{{q|Ramakrishna appeals to me tremendously — because he was the incarnation of joyousness, of wisdom, of tolerance, and above all because he found God everywhere, because he raised man beyond belief and devotion to a realization of his own divinity, his own creativeness... I do believe Ramakrishna went further than Christ — in his conception of man’s relation to man and to God. Ramakrishna corresponds to my own secret ideal of what man should be on earth.|MacNiven, 1988, p. 146}}
Miller andò a vivere in California nel 1942, stabilendosi infine a [[w:Big Sur|Big Sur]] nel 1944. Fece affidamento su amici e ammiratori per tutto; da un posto dove stare, a vestiti, a carta e penna. I suoi libri furono banditi in America ed era impossibile ottenere [[w:royalty|royalties]] dalla Francia a causa della guerra. La sua relazione con Nin stava lentamente e dolorosamente volgendo al termine e non aveva alcuna sicurezza di cui vantarsi. Tuttavia, una descrizione di Miller fatta da Gilbert Neiman mostra un uomo in pace non solo con il suo passato e presente, ma anche con qualunque cosa gli riservi il futuro:
{{q|Here is a person who grasped, who kept the infant in himself alive, and refused to strangle it. Like holding a red hot iron, he was seared time and again, until he plunged the iron straight into the pool of the sky. When he lost his suffering he lost his callouses, so now he can touch fire with hands as soft as a baby’s. That is one
way of losing suffering, yet only a handful of men throughout printed history have been able to do it.|Standish, 1994, p. 101}}
Miller aveva finalmente trovato la comunità che cercava da anni. Big Sur e l'area circostante erano un paradiso di spiritualità e vita alternativa. Coloro che lo circondavano praticavano una varietà di religioni e stili di vita, fornendo a Miller una comunità al di fuori dell'America che era arrivato a detestare. Viveva accanto a Jean Wharton della [[w:Cristianesimo scientista|Christian Science]], all'etnologa junghiana [[:en:w:Maud Oakes|Maud Oakes]] e a Jamie de Angelo, lo studioso [[w:Nativi americani|nativo americano]]. [[w:Jiddu Krishnamurti|Krishnamurti]] aveva la sua comune a Ojai e la [[:en:w:Vedanta Society|Vedanta Society]] aveva sede a Los Angeles: quando Miller si sentiva turbato visitava Swami Prabhavananda e si rinvigoriva. La vita a Big Sur era semplice e dura, ma Miller sembrava prosperare nella semplicità di una vita senza le comodità moderne. Viveva in una baracca senza elettricità né acqua, barattava per il cibo e andava in giro in mutande. Era completamente al verde e dovette inviare lettere di accattonaggio per ottenere vestiti, libri e materiale per scrivere, ma era felice. Tornando alla precedente rappresentazione che [[:en:w:Annette Kar Baxter|Annette Baxter]] ha fatto degli anni di Miller a Big Sur come isolati sia geograficamente che personalmente, suggerirei piuttosto che il cosiddetto isolamento di Miller non inibisce il suo costante desiderio di stabilire connessioni sia socialmente che intellettualmente.
Basta considerare l'enorme archivio di corrispondenza di Miller per vedere quanto Miller sia rimasto connesso. L'alienazione di Miller dall'America è ciò che lo spinge non solo ad andarsene ma, al suo ritorno, a rimanere connesso al mondo esterno come preferisce. Penso che sia fuorviante rappresentare gli anni di Miller a Big Sur come un periodo di insularità. La prospettiva di Miller diventa più focalizzata dopo il 1940, non a causa di un senso di alienazione, ma a causa del buddhismo Zen. Per quanto Miller sia disgustato dalla vita americana, non è più così arrabbiato nello stile riconoscibile da ''The Air-Conditioned Nightmare''. È sostituito da un approccio più misurato e deliberato, che cerca di comprendere e adattarsi attraverso gli insegnamenti Zen. Il cosiddetto isolamento di Miller è più una reazione alla sua pratica di consapevolezza e di non-coinvolgimento, che esplorerò entrambi nel Capitolo 4.
Miller visse in varie dimore a Big Sur fino a quando si trasferì a [[w:Pacific Palisades|Pacific Palisades]] nel 1963. Gli anni a Big Sur videro altri due matrimoni falliti, la nascita di altri due figli, infinite difficoltà finanziarie e il completamento di ''The Rosy Crucifixion'' insieme a molte altre pubblicazioni. Miller col tempo diventò una celebrità e un'attrazione per molti visitatori di Big Sur. Nel corso degli anni la cosa si rivelò stancante e mise questa copia della supplica di [[w:Mencio|Meng-tzu]] esposta sulla sua porta di casa:
{{q|When a man has reached old age and has fulfilled his mission, he has a right to confront the idea of death in peace. He has no need of other men; he knows them already and has seen enough of them. What he needs is peace. It is not seemly to seek out such a man, plague him with chatter, and make him suffer banalities. One should pass the door of his house as if no one lived there.|Calonne, 2014, p. 155}}
La visione del mondo esterno rispetto alla vita a Big Sur era in qualche modo in contrasto con la realtà. Nel suo famigerato articolo "The New Cult of Sex and Anarchy" pubblicato su ''Harper’s'' nel 1946, [[:en:w:Mildred Edie Brady|Mildred Edie Brady]] ritrasse la vita a Big Sur come una sorta di culto anarchico del sesso che adorava l'orgasmo sopra ogni altra cosa:
{{q|“The great oneness,” however, is an intimate participant in the sexual emotions of his worshippers. In fact, he reveals himself fully only in the self-effacing ecstasy of the sexual climax. This, they hold, is the moment of deepest spiritual comprehension of “the outer reality,” the one moment when there is living communication between
“the vital life source” and the individual... And is quite a different flavour from the revolt of the twenties – this lofty inner objective which turns every sexual encounter into a religious rite and give us, in this day of scientific agriculture and contraceptives, a modern version of ancient fertility cults. It is not on behalf of the
oranges and avocados, however, that “the source of all creation” is offered such intense pantomimes of worship.|Grana, 1990, p. 293}}
Il succitato passo dà un'idea di quanto sia bizzarro l'articolo di Brady. Usa tutti i nomi giusti (Freud, Bergson e Blavatsky) per far pensare ai lettori che Brady ha un'idea di ciò che lei chiama il "nuovo bohémien", ma lo scritto è molto sconclusionato e incoerente, e il suo strano collegamento tra sesso e verdure parla da sé. Dal 1958 in poi Big Sur era cambiato considerevolmente secondo la vicina di Miller, Nancy Hopkins:
{{q|Big Sur is beginning to get rather respectable, for as it has gotten more ‘chic’ the prices have risen accordingly and fewer and fewer of the Bohemian element can afford to buy or rent homes here... And Henry Miller has two cars (one a Cadillac) and plays ping-pong and has become positively bourgeois – his son reads nothing but comic books and his daughter pin-curls her hair at a pink-satin-and-tulle vanity table. Quel malheur! Whither the Left Bank?|Calonne, 2105, p. 121}}
Ma non esageriamo: la realtà della vita a Big Sur sta da qualche parte nel mezzo. I prezzi di certo aumentarono in quanto divenne un luogo più desiderabile in cui vivere, sia per le persone interessanti che vi abitavano, sia per la sua splendida posizione. L'articolo di Brady portò le sue conseguenze, come Miller ha ritratto in modo umoristico in ''Big Sur and the Oranges of Hieronymus Bosch'' (1957):
{{q|And there stands Ralph. Though it’s midsummer he’s wearing a heavy overcoat and fur-lined gloves... “Are you Henry Miller?” he says. I nodded, though my impulse was to say no. “I came to see you because I want to have a talk with you.” ...He continued by informing me that he too was a writer, that he had run away from it all (meaning job and home) to live his own life. “I came to join the cult of sex and anarchy,” he said, quietly and evenly, as if he were talking about toast and coffee. I told him there was no such colony. “But I read about it in the papers,” he insisted.|Miller, 1957, p. 45}}
Quale che fosse o non fosse la comunità di Big Sur e in che cosa potesse essersi trasformata, fornì a Miller il senso di comunità che aveva cercato per tutta la vita. Viveva in America, ma abbastanza distaccato da non sentire limitata la sua libertà personale. Aveva la tranquillità in cui lavorare senza la sensazione di essere solo e isolato dal resto del mondo. Era il posto giusto e il momento giusto.
La ricerca da parte di Miller di una comprensione spirituale della propria vita rimase con lui fino alla fine. Una delle sue ultime pubblicazioni è un opuscolo intitolato ''Mother, China, and the World Beyond'' (1977), una meditazione sulla morte, la reincarnazione, l'accettazione e il perdono. Nell'opuscolo, Miller racconta un sogno in cui è morto e s'incontra con sua madre nel periodo precedente alla propria reincarnazione. La madre chiede perdono per il maltrattamento riservato a Miller da bambino e Miller è sollevato nello scoprire che l'ha già perdonata. È orgogliosa dei successi di Miller e gli offre compassione e amore. Miller viene liberato dalle origini della sua sofferenza ed è in grado di abbracciare la sua prossima incarnazione.
In armonia con un motivo buddhista Zen, nel raggiungere la fine troviamo che siamo all'inizio. Per Miller raggiungere questo punto elevato di accettazione e perdono gli ha richiesto una vita di studio, esperienza, false partenze e, soprattutto, apertura. Nel '''Capitolo 1''' esaminerò l'influenza delle teorie di Otto Rank su Miller e la parte integrante che ebbero nella sua formazione come scrittore.
== Note ==
{{Vedi anche|Serie letteratura moderna|Serie misticismo ebraico}}
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" > <references/> </div>
{{Avanzamento|100%|14 luglio 2021}}
[[Categoria:La Filigrana Zen di Henry Miller|Introduzione]]
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La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Otto Rank
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{{La Filigrana Zen di Henry Miller}}
{{Immagine grande|Henry Miller, by Carl Van Vechten.tiff|530px|Henry Miller, fotografato da [[w:Carl Van Vechten|Carl Van Vechten]], 1940}}
= Sono un Artista: Henry Miller e Otto Rank =
[[File:Freud and other psychoanalysts 1922 - Otto Rank.jpg|137px|left|thumb|<small>[[w:Otto Rank|Otto Rank]], 1922</small>]]
[[w:Otto Rank|Otto Rank]] entrò nella vita di Henry Miller sia fisicamente che intellettualmente durante un periodo in cui Miller aveva vissuto un immenso sconvolgimento, geografico ed emotivo, e stava iniziando a gettare le basi non solo della sua creatività, ma anche della sua filosofia di vita. La scommessa di Miller nel lasciarsi alle spalle l'esistenza consolidata a New York e, soprattutto, sua moglie June, nel vago tentativo di scoprire la libertà personale e con essa la sua autentica creatività, aveva creato in Miller una sete di indagine e introspezione. Avendo dolorosamente rotto il contratto sociale prevalente, Miller si aprì a una gamma eclettica di influenze; era attivamente alla ricerca di nuovi modi per comprendere la società e il suo posto in essa. Miller flirtava pesantemente sia con [[w:Max Stirner|Stirner]] che con Nietzsche durante questo periodo, ma è Rank che si sarebbe rivelato l'influenza per tutta la vita. Rank è ricordato a malapena oggi; infatti, quando viene ricordato, di solito è in relazione a Miller e alle citazioni di Miller in ''The Books in My Life'' (1952).
Il fatto che il suo lavoro non sia in alcun modo paragonabile all'impatto dei pesi massimi intellettuali di Stirner e Nietzsche, lo ha portato a essere messo da parte dai critici di Miller. Che Rank sia una mente di second'ordine è discutibile, ma il suo effetto duraturo su Miller non lo è. Ciò che rendeva Rank così attraente per Miller era che stava rispondendo direttamente alle domande che Miller aveva in relazione a se stesso. Altri pensatori potrebbero aver offerto una panoramica più ampia e sfumata della storia, della società o della letteratura, ma non era quello che Miller stava cercando. I bisogni intellettuali di Miller erano profondamente individuali; voleva capire la natura della sua sofferenza passata e come aveva plasmato la sua creatività, voleva cogliere cosa significasse essere un artista individualmente e il suo posto all'interno della società. Queste domande erano vagamente inquadrate nella mente di Miller: ciò che Rank forniva era una struttura che rafforzava la validità delle domande in primo luogo, ma forniva anche i mezzi con cui costruire le risposte. Miller si avvicina a Rank con un'ipotesi fluida in mente. Che a volte semplifichi Rank per adattarlo alla sua agenda è chiaro — Miller non era uno psicoanalista qualificato né stava cercando di esserlo. Esplorerò l'influenza di Rank principalmente attraverso ''Tropic of Cancer'', poiché questo è stato scritto durante il contatto iniziale di Miller con Rank sia intellettualmente che personalmente; tuttavia continuerò a mostrare l'influenza duratura di alcuni concetti non solo sul lavoro successivo di Miller, ma anche come componente centrale della concezione che Miller ha di ciò che fa un artista.
Miller viveva a Villa Seurat durante questo periodo ed è importante capire l'effetto che questo ebbe sullo sviluppo intellettuale di Miller e come venne così tanto influenzato da Rank. ''Tropic of Cancer'' inizia con Miller che vive a "Villa Borghese", la versione immaginaria di Villa Seurat nel quattordicesimo ''[[w:arrondissement|arrondissement]]''.<ref>Non molto è stato scritto sugli abitanti della Villa Seurat, situata al 18 Villa Seurat, Parigi 75014. Il condominio esiste ancora oggi, senza alcun riconoscimento formale per i suoi ex abitanti, forse a causa della natura periferica della loro esistenza a Parigi. Per una migliore rappresentazione dell'atmosfera intellettuale e dello stile di vita di Villa Seurat si veda il Capitolo 4 di Bloshteyn, M.R. (2007) ''The Making of a Countercultural Icon: Henry Miller’s Dostoevsky''. University of Toronto, Toronto.</ref> L'atmosfera in cui Miller si trovò a Villa Seurat attirò molti scrittori e artisti tra cui [[w:Anaïs Nin|Anaïs Nin]], [[w:Lawrence Durrell|Lawrence Durrell]], Betty Ryan, Hans Reichel, [[w:Brassaï|Brassaï]], [[w:Alfred Perles|Alfred Perles]] e Michael Fraenkel. La creatività era l'unica cosa che tutte queste persone diverse avevano in comune, e più precisamente la natura della creatività. Coloro che si riunivano a Villa Seurat rimanevano affascinati da cosa fosse la creatività e da dove potesse venire. Questa ricerca di conoscenza portò molti di loro a consultare psichiatri nel tentativo di comprendere la propria vita come artisti.<ref>Questo era tutt'altro che l'unico gruppo che vedeva la psicoanalisi come un mezzo per comprendere la propria creatività. Per una visione più completa dell'influenza della psicoanalisi all'interno dei circoli artistici, si veda Micale, M.S. (cur.) (2003) ''The Mind of Modernism: Medicine, Psychology and the Creative Arts in Europe and America 1880-1940''. Stanford University Press, Redwood City.</ref> Fu durante questo periodo che Miller incontrò Michael Fraenkel, ritratto come Boris nel romanzo. Fraenkel doveva diventare lo stimolo intellettuale di Miller, spingendolo più forte di quanto fosse stato spinto prima a trasformare i suoi pensieri sconclusionati in una filosofia praticabile. Miller avrebbe ridicolizzato Fraenkel più tardi nella vita,<ref>'''Michael Fraenkel''' (1896–1957) nacque in Lituania ma emigrò con i suoi genitori a New York nel 1903. Fece fortuna comprando e vendendo enciclopedie e libri in rimanenza, e riuscì a ritirarsi a Parigi nel 1926 per fondare The Carrefour Press. Pubblicò principalmente il proprio lavoro e quello dei suoi amici. Le sue opere più famose riguardano entrambe direttamente Miller: Miller, H. e Fraenkel, M. ''Hamlet: Volumes 1 & 2''. Carrefour Press, 1939 & 1941) e il suo articolo su Miller: Porter, B. (1947) ''The Genesis of Tropic of Cancer'' in ''The Happy Rock''. Packard Press, Berkeley.</ref> specialmente per la sua affermazione che ''Tropic of Cancer'' non avrebbe mai potuto essere scritto senza di lui, ma il rigore intellettuale che Fraenkel portò nella vita di Miller durante questo periodo è ovvio, specialmente se si legge la loro corrispondenza, pubblicata col titolo: ''Hamlet: The Henry Miller-Michael Fraenkel Correspondence'' (1988).<ref>I due volumi di ''Hamlet'' nacquero come un lungo esercizio epistolare sul significato della morte in relazione all’''[[w:Amleto|Amleto]]'' di Shakespeare, di Fraenkel, Miller e Alfred Perles. Perles si ritirò presto, ma Miller e Fraenkel continuarono con il progetto dal 1935 al 1938, risultando nei due volumi che furono pubblicati rispettivamente nel 1939 e nel 1941 dalla Carrefour Press di Fraenkel.</ref> Contribuì ad aprire la mente di Miller alla [[w:filosofia|filosofia]] e alla [[w:psicoanalisi|psicoanalisi]]. Nin era particolarmente coinvolta con la [[w:psichiatria|psichiatria]] e consultò molti dei principali analisti dell'epoca. Come era abitudine di Nin, ogni nuovo analista diventava il sapore del mese solo per essere sostituito da qualcun altro di nuovo che offriva una prospettiva più in linea con le sue idee.<ref>Il rapporto di Nin con la psicoanalisi e gli [[w:Psicoanalista|psicoanalisti]] che frequentava era a dir poco non ortodosso. Nella sua biografia di Nin, Deidre Bair dimostra che Nin ebbe rapporti sessuali con alcuni dei suoi psicoanalisti durante il trattamento, tra cui [[w:René Allendy|René Allendy]] e Otto Rank. Esercitò anche per breve tempo la professione di psicoanalista a New York, nonostante nessuna formazione o qualifica professionale: vedi Bair, D. (1996) ''Anaïs Nin: A Biography''. Penguin Books, Londra. Similmente, Miller esercitò brevemente come analista dilettante nel 1935 durante una visita a New York, prendendo pazienti da Nin oberata di lavoro, prima di concludere che non era un lavoro adattto a lui.</ref> Attraverso Nin, Miller incontrò Otto Rank, un ex studente di Freud, il cui lavoro s'incentrava sulla natura dell'artista come individuo in relazione alla società. Le teorie di Rank sulla liberazione dell'artista e la necessità della rivalutazione del passato dell'artista, influenzeranno profondamente Miller per tutta la vita.
L'interazione tra i membri del gruppo in relazione alla psicoanalisi poteva essere spesso beffardamente umoristica nel tono, specialmente tra Miller e Durrell, ma nulla dovrebbe distrarre dal fatto che i concetti e i sistemi psicoanalitici erano di importanza centrale per Henry Miller e il gruppo che lo circondava in quel tempo. La Villa Seurat e coloro che la abitavano e la frequentavano, fornivano a Miller l'atmosfera intellettuale surriscaldata in cui la sua mente veniva costantemente sfidata e introdotta a nuove idee. Sebbene, più tardi nella vita, Miller sarebbe venuto a deridere molti dei suoi amici dei giorni di Villa Seurat, questo periodo avrebbe fornito a Miller il tempo forse più rigoroso e intellettualmente fruttuoso della sua vita. Il gruppo di Villa Seurat non era il solo in questo interesse per la psicoanalisi, ma in qualche modo non era al passo con le correnti letterarie contemporanee, che fornirono il passaggio a una posizione più politica e sociale di molti scrittori, artisti e critici. L'approccio alla psicoanalisi del gruppo di Villa Seurat si basava su alcune generalizzazioni piuttosto ''ad hoc'' riguardanti il [[w:Sigmund Freud|freudismo]]. Freud era visto come troppo scientifico ed empirico, e qualsiasi lavoro che mostrasse un'influenza freudiana veniva regolarmente ridicolizzato e scartato. Ad esempio, René Allendy, uno dei freudiani più importanti in Francia e fondatore della ''Société Psychoanalytique de Paris'', divenne uno dei primi obiettivi del disprezzo e della derisione del gruppo. Allendy aveva psicanalizzato sia Anaïs Nin che [[w:Antonin Artaud|Antonin Artaud]] all'inizio degli anni ’30, solo per essere menzionato come "senza fantasia", "dogmatico" e il suo approccio "troppo semplicistico" (Nin, 1966, p. 291) nel diario di Nin del periodo. La slealtà di Nin era particolarmente feroce considerando che Allendy era stato il suo amante e il suo analista per un certo numero di anni. Altri psicoanalisti e scrittori i cui interessi si incrociavano con quelli del gruppi furono trattati con riverenza. Quando il loro lavoro si concentrava su arte, spiritualità, letteratura, sesso e religione, artisti del calibro di [[w:Carl Gustav Jung|C.G. Jung]], E. Graham Howe, [[w:Havelock Ellis|Havelock Ellis]] e [[w:David Herbert Lawrence|D.H. Lawrence]] non potevano sbagliare — Howe, Ellis e Lawrence infatti esercitarono un'influenza duratura su Miller. La vera influenza sull'interesse del gruppo di Villa Seurat per la psicoanalisi può essere vista in ciò che pubblicarono sulla rivista ''The Booster'',<ref>''The Booster'' era la rivista dell’''American Country Club of France (ACCF)''. [[:en:w:Alfred Perles|Alfred Perlés]] assunse la direzione nell'estate del 1937 con l'intento di trasformarla in una rivista letteraria d'avanguardia che pubblicasse il lavoro degli abitanti di Villa Seurat e dei loro associati. Sotto la minaccia di un'azione legale da parte dell'ACCF, il nome fu cambiato in ''Delta''. ''The Booster'' pubblicò 4 edizioni e ''Delta'' solo 3. Perles è quasi interamente ricordato a causa della sua associazione con Miller. Nacque a Vienna nel 1897 da genitori ebrei cechi. Condusse una vita itinerante fino a stabilirsi a Parigi nei primi anni ’30. Venne regolarmente chiamato Joey o Carl da Miller ed è il personaggio principale, insieme a Miller in ''Quiet Days in Clichy''. Fu spesso ritratto come un donnaiolo incallito, anche se non di successo. Anaïs Nin trovò la sua attenzione così ossessiva che insistette che Miller lasciasse il loro appartamento condiviso a Clichy per trasferirsi a Villa Seurat. Era uno scrittore a sé stante, pubblicando diversi romanzi. Le opere chiave includono: ''Sentiments Limitrophes'' (1936) ''The Renegade'' (1943) e ''Alien Corn'' (1944) Fu letto poco durante la sua vita, ma continuò a pubblicare per tutta la vita, sebbene una ristampa di Perles, A. ''Sentiments Limitrophes'', (1984) Union Generale d'Editions, Parigi, mostra che esiste un interesse per i suoi scritti. È meglio conosciuto per i suoi ricordi relativi all'amicizia con Miller: Perles, A. (1956) ''My Friend Henry Miller: An Intimate Biography''. John Day Company, New York. Si trasferì in Inghilterra allo scoppio della seconda guerra mondiale e poco dopo ottenne la cittadinanza britannica. Cambiò il suo nome in Alf Barret, visse il resto della sua vita a Wells, Somerset, morendo nel 1990.</ref> che illustra la misura in cui la terminologia psicoanalitica permea i loro scritti, la loro apertura a nuove forme di creatività e l'uso della propria vita come artisti. L'influenza è facile da vedere se consideriamo l'editoriale per la terza edizione di ''The Booster'', in cui si dimostra la facilità con cui concetti psicologici complessi vengono utilizzati in una poesia, che chiaramente ci si aspetta debba essere compresa senza problemi. Questo spiega la saturazione della psicoanalisi nella vita quotidiana di Villa Seurat. In ''Ballad of Kretschmer's Types'', finalmente pubblicato integralmente nel 1960, Durrell poteva scrivere del "dualismo tipologico kretschmeriano delle strutture di personalità schizotime-ciclotime e schizoidi-cicloidi" (Durrell, 1962, p. 204), aspettandosi di essere pienamente compreso nel complesso gergo psicologico da coloro che loa leggevano.<ref>Si riferisce al lavoro dello psicologo tedesco [[w:Ernst Kretschmer|Ernst Kretschmer]] (1888-1964). Collegava il tipo di corpo allo stato psicologico. Il suo sistema di classificazione si basava su tre tipi principali di corpo: leptosomico (piccolo, magro e debole/introverso e timido), atletico (muscoloso e di grande ossatura) e pyknico (tozzo e grasso/amichevole e dipendente). Connetteva direttamente questi fisici ai tratti della personalità: lo schizotimico, che contiene una "proporzione psichestetica" tra polo sensibile e polo freddo, e il ciclotimico che contiene una "proporzione diatetica" tra felice e triste. Gli schizoidi sono costituiti dai caratteri iperestetici (sensibili) e anestetici (freddi) e i cicloidi sono costituiti dai caratteri depressivi (o come li chiama Kretschmer i "malinconici") e ipomaniacali, vedi: Kretschmer, E. (1931) ''Physique and Character''. Routledge, Londra. È ricordato oggi più che altro come un sostenitore della politica eugenetica nazista, essendosi dimesso dall'AAGP (The General Medical Society for Psychotherapy) nel 1933 ed entrando a far parte delle SS, vedi: Singer, L. (1988) "Ideology and Ethics: The Perversion of German Psychiatrists. Ethics by the Ideology of National Socialism". ''European Psychiatry'', 13, pp. 87-92.</ref> È difficile valutare l'influenza di ''The Booster'' all'interno della comunità letteraria, o se la rivista fosse veramente influente. In ''The Little Magazine'' (1947) Frederick Hoffman colloca ''The Booster'' sotto il titolo "The Psychoanalytical Theme" e in questo ha sicuramente ragione: la premessa di Hoffman, tuttavia, è che le piccole riviste di questo periodo erano per definizione d'avanguardia e come tali non cercavano alcuna influenza al di fuori di una piccola intellighenzia insulare. Questa idea di una scrittura minoritaria in diretta opposizione al mainstream è stata contestata da Mark Morrisson in ''The Public Face of Modernism: Little Magazines, Audiences and Reception, 1905-1920'' (2000), e ''The Booster'', anche se fuori tempo nella sceltta di Morrisson, è un esempio significativo di una rivista che cercò di connettersi con un pubblico più ampio in modo riconoscibile. Il layout e l'uso della pubblicità in ''The Booster'' erano molto in linea con quelli impiegati quando rappresentava genuinamente l'ACCF.<ref>Il lavoro di Morrisson si basa molto su Habermas e sul concetto di "sfera contropubblica". Sostiene che, piuttosto che esistere al di fuori del discorso pubblico, le piccole riviste in effetti cercavano di incorporare pubblicità, annunci economici e fotografia, ed erano ben consapevoli del concetto di prodotto nella società dei consumi. Morrisson usa ''The Masses'' come esempio di rivista che utilizzava la pubblicità e l'arte grafica sul modello delle riviste di massa più popolari dell'epoca. Sembrerebbe che la formattazione convenzionale avesse un effetto palliativo su un pubblico a volte ignaro.</ref>
Il fascino del gruppo di Villa Seurat per il mondo della psicoanalisi è facile da apprezzare. Per quanto intenso e coinvolgente fosse stato il loro studio collettivo dei giganti della psicoanalisi (e basta osservare la contorta annotazione fatta da Miller e Nin sulle loro copie personali dei testi per vedere con quale passione cercarono di comprendere appieno questi testi densamente accademici), tuttavia tale studio manca di focalizzazione e struttura. Ciò che diventa chiaro è che c'è un desiderio basilare di trovare un modello alternativo per comprendere l'esistenza umana. In un gruppo che aveva rifiutato sia la religione che la politica, c'era un vuoto che doveva essere riempito da un nuovo sistema o struttura. E la struttura di certo mancava nel gruppo nel suo insieme. Composto da diverse nazionalità, età e generi, e lavorando con mezzi diversi, l'unica cosa che unì il gruppo fu l'indirizzo e il desiderio di nuove prospettive sulla creatività e sulla vita. L'attrazione del gruppo per la psicoanalisi era una funzione della loro stessa mancanza di una prospettiva integrativa. La psicoanalisi può essere stata il collante che li teneva insieme intellettualmente, ma ciò non significa che fossero accoliti irragionevoli. La seguente citazione di Anaïs Nin mostra le rassicurazioni calmanti dell'ultimo psicoanalista in voga, tuttavia questo veniva temperato da una sfiducia di fondo della pratica stessa: "In the climate of his certainties, his leadership, there is the rest from doubt" (Nin, 1975, p.344). Nin scrive con foga sanguigna quasi religiosa, ma altrettanto emotivamente nota che la psicoanalisi "è diventata in realtà il peggior nemico dell'anima" (Nin, 1992, p. 363). I commenti che espongono la paura che la psicoanalisi fosse semplicemente un'altra ortodossia a cui obbedire erano regolari quanto i riconoscimenti ammirati, anche se va notato che queste righe dei diari di Nin sono in realtà citate da Rank che voleva fossero considerate in relazione al freudismo, ma che invece Nin le applicava qui a tutta la psicoanalisi.<ref>Rank era evidentemente molto apprezzato da Nin durante questo periodo, poiché i suoi diari sono pieni di citazioni dirette prese dai suoi scritti e viene rappresentato come l'unico psicoanalista che comprenda la vera natura della creazione artistica. Ma col tempo Rank sarebbe stato scartato da Nin ed è rappresentato nei suoi diari come un uomo che era incapace di vivere la vita istintivamente e poteva solo analizzare e sezionare l'esperienza, piuttosto che viverla.</ref> Possiamo vedere la crescente sfiducia nella psicoanalisi come mezzo per spiegare tutto, quando Miller scrisse derisorio ad Anaïs Nin: "But psychoanalysis is going to explain it. Yeah!!! Psychoanalysis will explain everything in time, the new state religion, ''Sic hoc semper aeternitus'' — or some such crap" (Miller, 1976, p.135). Questo continuo spostamento tra accettazione e rifiuto della psicoanalisi come mezzo per comprendere e interpretare le loro vite causò il tipo di attrito che non era unico per il gruppo. Il gruppo di Villa Seurat oscillava tra quella che alcuni analisti hanno definito la crescente tendenza dell'artista moderno verso le scienze cognitive come modo per assuefarsi al mondo disintegrante della sua immaginazione, e il conseguente abbandono, la necessità di creare artisticamente, cioè di salvaguardare la propria identità di artista contro le lusinghe delle spiegazioni logiche e della gravità scientifica.
Questa interpretazione della curiosità dell'artista moderno per la psicoanalisi porta direttamente a Otto Rank e al suo lavoro sull'artista nella società contemporanea. Quando Rank scrisse che "la deviazione della creazione artistica da un processo formativo a uno cognitivo mi sembra essere un'altra delle protezioni dell'artista contro il suo completo esaurimento nel processo creativo" (Rank, 1932, p. 205), avrebbe potuto star scrivendo appositamente per il gruppo di Villa Seurat e, soprattutto, per Miller. Delle numerose influenze della psicoanalisi sul gruppo di Villa Seurat, Rank è stato forse il più significativo. Il suo lavoro sembrava coincidere con molti degli argomenti a cui il gruppo era maggiormente interessato, coi suoi scritti che avevano una risonanza speciale per Miller. L'autore di ''Art and Artist'' (1932), un libro che ad un certo punto suscitò l'interesse di molti nel gruppo, verrà riconosciuto da Miller più tardi nella sua vita come una delle sue maggiori influenze, come è evidente nella sua riflessione: "Never shall I forget the impact which Otto Rank’s ''Art and Artist'' made upon me" (Miller, 1967, p. 84). È con Rank e l'influenza di alcune delle sue idee su Miller che il resto di questo capitolo sarà interessato.
Miller, a quanto pare, si imbattè per la prima volta in ''Art and Artist'' di Rank nell'anno della sua pubblicazione. Dall'inverno del 1932 in poi, ''Art and Artist'' fu uno dei temi preferiti nelle lunghe discussioni di Miller con Nin. Nel marzo 1933 Miller incontrò Rank, un incontro che riferì in modo molto dettagliato in una lettera di quattordici pagine a Nin: "there was in that quick, brilliant challenge of minds a tremendous and fathomless exultation" (Miller, 1988, p.108). Nin era già ben sotto l'influenza del lavoro di Rank dopo aver letto ''Der Doppelgänger (Il Doppio)'' (1914/1925), con la sua influente combinazione del motivo del "doppio", di narcisismo e incesto, che probabilmente potrebbe aver fornito a Nin una base più solida per il suo rivoluzionario romanzo autobiografico ''House of Incest'' (1936), già nelle prime fasi di revisione, rafforzando "an authoritative confirmation of the direction in which her own poetic instincts were leading her" (Jason, 1974, p. 74). Si può anche presumere che fosse a conoscenza di ''Das Inzest-Motiv in Dichtung und Sage (Il tema dell'incesto nella poesia e nella leggenda)'' (1912) di Rank, considerando quanto tematicamente fosse di interesse per la sua vita e il suo lavoro. Quindi è chiaro che sia Miller che Nin non erano solo in corrispondenza diretta con Rank, ma studiavano anche le sue teorie poiché entrambi lavoravano alle proprie opere seminali, ''Tropic of Cancer'' e ''House of Incest''. Prima di analizzare ulteriormente l'influenza dei concetti di Rank su Miller, è importante avere un'idea del lavoro e del contesto di Rank e di come questo a sua volta abbia influenzato le sue idee.
{{Immagine grande|Freud and other psychoanalysts 1922.jpg|640px|Freud e altri psicoanalisti: (da sin. a destra seduti) Freud, Sàndor Ferenczi e Hanns Sachs (in piedi) Otto Rank, Karl Abraham, Max Eitingon e Ernest Jones}}
Rank nacque a Vienna nel 1884 come Otto Rosenfeld. Nel 1905 si unì alla cerchia di Freud, che riconobbe subito le capacità di Rank. In occasione di una delle sue prime visite ai famosi incontri del mercoledì sera a casa di Freud, lesse al gruppo un suo articolo intitolato ''Kunst und Künstler (Arte e artista)'', che fu pubblicato nel 1907 come ''Der Künstler (L'Artista)''. Studiò all'Università di Vienna e conseguì il dottorato di ricerca nel 1911 con la sua tesi che esamina ''La Saga del Lohengrin'' essendo la prima tesi a utilizzare l'analisi freudiana. Divenne segretario personale di Freud nel 1907 e fu incaricato di redigere i verbali delle sedute della [[:en:w:Vienna Psychoanalytic Society|Società Psicoanalitica di Vienna]]; fu anche segretario generale dell'[[w:International Psychoanalytical Association|International Psychoanalytical Association]]. Rank era un vero seguace; revisionò e pubblicò le opere di Freud, si occupò delle sue questioni finanziarie ed ebbe il diritto di trattare/negoziare per conto di Freud. Negli anni ’20, Rank sembra aver iniziato a risentirsi dell'importanza di Freud nella sua vita e cercò invece di promuovere il proprio lavoro e la propria carriera. Mostrò a Freud il manoscritto per ''Das Trauma der Geburt (Il trauma della nascita)'', un'opera (pubblicata nel 1924) che sosteneva che l'esperienza della nascita fosse "the ultimate biological base of the psychical" (Rank, 1924, p. 13). Tutte le paure e le nevrosi successive, in effetti tutti i comportamenti successivi, derivavano dal tentativo di dominare il passaggio traumatico da una condizione di piacere ininterrotto a una condizione di privazione totale. Non passò molto tempo prima che Freud sentisse che questa teoria era una minaccia diretta ai suoi stessi insegnamenti e cominciò a prendere le distanze da Rank. Dal 1926 la relazione era diventata insostenibile per entrambi gli uomini e Rank sentì il bisogno di allontanarsi sia praticamente che geograficamente dalla vita e dall'influenza di Freud. Con il trasferimento di Rank a Parigi, questi mise in atto un allontanamento da Freud che avrebbe gettato un'ombra profonda sul resto della sua vita, lasciandolo con sensi di colpa e rimpianto per essersi lasciato Freud alle spalle. Questa lotta per liberarsi da Freud sembra aver dato a Rank l'esperienza che lo portò a considerare più da vicino il rapporto tra l'artista e la libertà di creare. Come ha sottolineato la sua biografa e allieva [[:en:w:Jessie Taft|Jessie Taft]],<ref>'''[[:en:w:Jessie Taft|Jessie Taft]]''' (1882-1960) completò la sua tesi su "The Woman Movement from the Point of View of Social Consciousness" nel 1913 all'Università di Chicago: cfr. Seigfried, C.H. (1993) ''Introduction to Jessie Taft, "The Woman Movement from the Point of View of Social Consciousness"''. ''Ipazia'', 8, pp. 215-218. Negatale una posizione accademica a causa del suo sesso, divenne una delle prime esperte americane in materia di collocamento e adozione di bambini. Incontrò Rank nel 1924 e tradusse ''Will Therapy'' dal tedesco all'inglese nel 1936. L'influenza di Rank è chiara nella sua opera principale: Taft, Jessie. (1933) ''The Dynamics of Therapy in a Controlled Relationship''. Macmillan Company, New York. Alla morte di Rank nel 1939, Taft ricevette tutti i suoi documenti accademici e personali e divenne la principale esponente americana del suo lavoro. Nel 1958 pubblicò ''Otto Rank, A Biographical Study Based on Notebooks, Letters, Collected Writings, Therapeutic Achievements and Personal Associations''. The Julian Press. New York.</ref> la devastazione personale con cui Rank visse in relazione alla liberazione da Freud alimentò il suo interesse su come l'artista debba liberarsi dai mentori e ristabilire il proprio spirito creativo. La visione di Rank riguardo a questa lotta per l'autoliberazione, come esplorata in ''Art and Artist'', può essere vista come un tema chiave nelle opere di Miller:
{{q|...the overcoming of previous supporting egos and ideologies from which the individual has to free himself according to the measure and speed of his own growth, a separation which is so hard, not only because it involves persons and ideas that one reveres, but because the victory is always at bottom and in some part, won over a part of one’s own ego. We may remark here that every production of a significant artist, in whatever form, and of whatever content, always reflects more or less clearly this process of self-liberation.|Rank, 1932, p. 375}}
Miller sarebbe stato in grado di simpatizzare con i sentimenti di trauma e colpa di Rank. Miller sentiva infatti un immenso senso di colpa per aver abbandonato suo padre a New York in cattiva salute, rovina finanziaria e moglie autoritaria, e arrivò a ritenere la propria sofferenza a New York e nei suoi primi anni a Parigi come il prezzo da pagare per la sua libertà artistica e liberazione da costrutti sociali e vita quotidiana:
{{q|Everything that belongs to the past seems to have fallen into the sea; I have memories, but the images have lost their vividness, they seem dead and desultory, like time bitten mummies stuck in a quagmire. If I try to recall life in New York I get a few splintered fragments, nightmarish and covered in verdigris. It seems as if my own proper existence had come to an end somewhere, just exactly where I can’t make out. I’m not an American anymore, nor a New Yorker, and even less a European, or a Parisian. I haven’t any allegiances, any responsibilities, any hatreds,
any worries, any prejudices, any passion. I’m neither for nor against. I’m a neutral.|Miller, 1934, p. 157}}
La ragione della venerazione di Rank da parte di Miller e Nin durante questo periodo è duplice: in primo luogo, la materia che trattava, il ruolo dell'artista e la creatività erano di intimo interesse per entrambi; in secondo luogo, il ruolo che Rank assegnava al paziente in psicoanalisi. Il freudismo si conformava all'idea che doveva esserci una svolta che si sarebbe verificata attraverso il ripetuto tentativo di trovare una verità oggettiva dal passato del paziente. Il metodo di Rank era molto più dinamico e, soprattutto, incentrato sulla capacità del paziente di accettare rapidamente il passato e andare avanti, piuttosto che un'analisi infinita del passato in un modo infruttuoso e in definitiva obsoleto, che secondo lui portava il paziente solo a un senso di impotenza. È facile capire perché questo ruolo più proattivo per il paziente sia piaciuto a Miller. Il concetto freudiano che l'impulso artistico provenisse da un senso incontrollato di sessualità frustrata era qualcosa a cui Rank aveva aderito nella sua prima carriera, ma nel momento in cui scrisse ''Art and Artist'' la sua visione cambiò. Sebbene non abbia mai completamente scartato l'influenza della sessualità frustrata nella creatività, vide il ruolo della volontà individuale come il fattore primario. Rank lo definì "the psychological factor par excellence" (Rank, 1932, p. 39).<ref>La relazione tra Freud e Rank, sia professionale che personale, era piena di sentimenti feriti, incomprensioni ed eventuale antipatia reciproca. La disintegrazione della loro relazione è registrata nelle loro lettere reciproche, cfr. Lieberman J. E. (2011) ''The Letters of Sigmund Freud and Otto Rank: Inside Psychoanalysis''. Johns Hopkins University Press, Baltimore.</ref> Rank chiarì l'importanza della volontà individuale in ''Art and Artist'' e in ''Will Therapy'' (1936), ed entrambe le opere mirano a dimostrare che esisteva nella sua mente una connessione esplicita tra creatività, volontà e psicoanalisi. Rank riteneva che "Art presupposes a voluntaristic psychology" e che il trattamento della nevrosi presupponesse inoltre una "voluntaristic psychology" (Rank, 1932, p. 375). All'interno di questa teoria, l'impulso vitale era dominato e incanalato dalla volontà individuale. Ancora una volta Rank non ignorò del tutto la nozione freudiana di sublimazione; semplicemente non era d'accordo sulla sua precisa natura. Invece, sosteneva che la creazione dell'arte fosse un atto cosciente della volontà individuale, piuttosto che una risposta inconscia a un percepito pericolo esterno o tabù sociale, e credeva che la repressione degli impulsi sessuali avesse poco a che fare con la creatività. Rank scrisse del "masterful use of the sexual impulse in the service of individual will" (Rank, 1932, p. 40), affermando che era la volontà che poteva indicare la via all'impulso sessuale e impiegarlo in modo creativo. Il concetto di volontà di Rank era un'ipotesi costruttiva e ottimista in contrapposizione a quella freudiana più negativa di repressione e inibizione. Le differenze tra i due uomini e le loro teorie sono evidenti nella distinzione di Rank: "To put it more precisely I see the creator-impulse as the life impulse made to serve individual will" (Rank, 1932, p. 39).
L'influenza di Rank su Miller è varia e complessa. Miller usa le teorie di Rank solo parzialmente e solo nella misura in cui gli sono utili. Va anche notato che i libri di Rank sono piuttosto densi e non sono stati scritti pensando ai laici. La comprensione di Miller potrebbe a volte non essere stata esatta, inoltre direi che Miller si avvicinò a Rank con un'ipotesi già in mente. Miller si stava godendo uno dei primi periodi stabili e intellettualmente fruttuosi della sua vita, in cui non doveva preoccuparsi dei soldi, stava finalmente scrivendo a tempo pieno e aveva in Anaïs Nin un'amante sostenitrice e campione. Miller credeva di dover affrontare il suo passato per essere in grado di scrivere onestamente e nel suo stile; il fatto che Rank stesse essenzialmente asserendo che ciò dovesse essere parte del processo artistico, di certo attrasse Miller.
Sebbene ''Tropic of Cancer'' non sia semplicemente la storia del matrimonio di Miller con la sua seconda moglie June Mansfield, in alcuni passaggi chiave vediamo Miller tentare di capire la sua relazione con Mansfield, un punto che è particolarmente interessante dato che la relazione stava arrivando alla fine durante la stesura del romanzo. Miller sarebbe tornato ripetutamente nei romanzi futuri alla sua relazione con la Mansfield, rielaborandola e rimontandola in una forma o nell'altra attraverso altri quattro romanzi. Ciò che è interessante in ''Tropic of Cancer'' è che vediamo Miller all'inizio del processo usare le idee di Rank non solo dell'impulso sessuale e della volontà individuale, ma anche del ruolo della reinvenzione all'interno del processo artistico. Nel passaggio seguente abbiamo un'idea della natura complessa della relazione tra Miller e Mansfield, ma anche un esempio della paura di Rank riguardo all'imperativo biologico sull'artista:
{{q|It seems to me I understand a little better now why she took such huge delight in reading Strindberg. I can see her looking up from her book after reading a delicious passage and, with tears of laughter in her eyes, saying to me: “You’re just as mad as he was... you want to be punished!” What a delight that must be to the sadist when she discovers her own proper masochist! When she bites herself, as it were, to test the sharpness of her teeth... We came together in a dance of death and so quickly was I sucked down into the vortex that when I came to the surface again I could not recognize the world. When I found myself loose the music had ceased; the carnival was over and I had been picked clean...|Miller, 1934, p. 185}}
Miller deve liberarsi dai suoi impulsi biologici e trasformare la sua esperienza in arte. Deve rifiutare la sinistra complessità del suo rapporto con Mansfield, per riacquistare la volontà individuale e la capacità di lavorare di nuovo. È l'esempio perfetto della teoria di Rank sull'impulso sessuale che si sottomette alla volontà individuale e a sua volta diventa materiale da cui creare. La sessualità di Mansfield è un rito di passaggio attraverso il quale Miller deve passare, acquisendo l'esperienza attraverso il recupero della propria volontà individuale di creare un'opera d'arte "It is not difficult to be alone if you are poor and a failure. An artist is always alone—if he is an artist. No, what the artist needs is loneliness. The artist, I call myself. So be it." (Miller, 1934, p. 72) Che Mansfield sia stata la musa ispiratrice di Miller è chiaro. Ella continua ad essere la scintilla che avvia la creatività del narratore come Mona/Mara in ''The Rosy Crucifixion'', entrando nella sua vita quando ha più bisogno di lei:
{{q|Embracing her, trembling with the warmth of her passion, my mind jumped clear of the embrace, electrified by the tiny seed she had planted in me. Something that had been chained down, something that had struggled abortively to assert itself ever since I was a child and had brought my ego into the street to glance around, now broke loose and went sky-rocketing into the blue. Some phenomenal new being was sprouting with alarming rapidity from the top of my head, from the double crown which was mine from birth.|Miller, 1949, p. 15}}
Rank anticipa il ruolo che Mansfield interpreterà per Miller e quello che Mara interpreta per il narratore:
{{q|Thus, as the artist-type becomes more and more individualized, he appears on the one hand to need a more individual ideology – the genius concept – for his art, while on the other his work is more subjective and more personal, until finally he requires for the justification of his production an individual “public” also: a single person for whom ostensibly he creates. This goes so far in a certain type of artist, which we call the Romantic, that actual production is only possible with the aid of a concrete Muse through whom or for whom the work is produced.|Rank, 1932, p. 51}}
Che la relazione iniziale di Miller e Mansfield abbia seguito questo schema è ben documentato. Mansfield credeva che Miller fosse un genio e lo incoraggiò attivamente a smettere di lavorare alla Western Union per iniziare a scrivere a tempo pieno. La fede di Mansfield in Miller era tale che era disposta a intraprendere qualsiasi tipo di lavoro per mantenerli a galla finanziariamente mentre Miller scriveva. In ''Sexus'' di Miller, gli amici vedono chiaramente quanto Mara sia cruciale per il benessere del narratore: "‘And you met her in a dance hall? Well I must congratulate you for having the sense to recognise the genuine article. That girl can make something of you, if you’ll let her. It’s not too late, I mean. You’re pretty far gone, you know. Another year of that wife of yours and you’re finished.’ He spat on the floor in disgust." (Miller, 1949, p. 69) Mara non è solo la Musa per il narratore, è davvero la sua salvatrice. La donna lo rimuove dalle catene della sua vita precedente, rinvigorisce e incoraggia la sua creatività. Lo riporta in vita. Secondo Rank, una Musa avrà sempre dei limiti: "If the poet values his Muse the more highly in proportion as it can be identified with his artistic personality and its ideology, then self-evidently he will find his truest ideal in an even greater degree in his own sex, which is in any case physically and intellectually closer to him." (Rank, 1932, pp. 52-53) La Musa femminile non si trova all'altezza del compito; non può essere una pari intellettuale. Col tempo l'artista si allontanerà nella speranza di trovare un discepolo del suo stesso sesso:
{{q|What aborted me in the beginnings, what almost proved to be tragedy, was that I could find no one who believed in me implicitly, either as a person or as a writer. There was Mara, it is true, but Mara was not a friend, hardly even another person, so closely did we unite. I needed someone outside the vicious circle of false admirers and envious denigrators. I needed a man from the blue.|Miller, 1949, pp. 28-29}}
Non solo Mara non è più sufficiente per stimolare la sua creatività, ma non è più un'entità separata. È stata assorbita dal narratore, sono uniti ma non da pari. Lei è in qualche modo inferiore ad un uomo che ancora non esiste.
È importante qui, per motivi di chiarezza, districare la teoria di Rank su artista e sessualità. Rank credeva che l'impulso creativo non fosse in alcun modo sessuale; piuttosto, era di natura marcatamente antisessuale. Nello scrivere che l'impulso creatore "expresses the antisexual tendency in the human beings, which we may describe as the deliberate control of the impulsive life" (Rank, 1932, p. 39), Rank stava esponendo la convinzione che la tendenza antisessuale nell'artista era una parte significativa della sua lotta contro il collettivo. L'impulso vitale innescava nell'uomo un desiderio di immortalità che veniva abitualmente soddisfatto biologicamente mediante la riproduzione sessuale o, in altre parole, in modo collettivo. Il narratore si allontana da Mara perché ha bisogno di sostituire l'imperativo biologico a quello dell'autocreazione. Si rivolge ad altri uomini non per un'omosessualità latente, ma per il dinamismo del rapporto allievo/insegnante più che per la frenesia della sessualità: "In this manner does the mature man, whose impulse to perpetuate himself drives him away from the biological sex-life, to live his own life over again in his youthful love; not only seeking to transform him into his intellectual counterpart, but making him his spiritual ideal, the symbol of his vanishing youth." (Rank, 1929, p. 56)
Si potrebbe certamente sostenere che la crescente amicizia di Miller con Lawrence Durrell potrebbe essere vista come la relazione stesso-sesso, allievo/insegnante, di cui scrive Rank. L'incontro tra Miller e Durrell e il loro legame immediato coincide con il periodo in cui Miller accettò che il suo matrimonio con Mansfield fosse finito e acconsentì al divorzio. Il narratore di ''Sexus'' fa chiaramente eco a Rank sull'imperativo biologico quando scrive: "If we were all angels we wouldn’t have any sex – we’d have wings. An airplane has no sex; neither has God. Sex provides for reproduction and reproduction leads to failure." (Miller, 1949, p. 465) Mara/Mona dà al narratore quella spinta iniziale e la conseguente liberazione di cui ha bisogno per staccarsi dal collettivo, ma col tempo lei gli diventa un ostacolo; non può progredire con lei ''in situ''. L'artista comprende la sua immortalità attraverso la sua creatività; cerca di staccarsi dal collettivo. L'evento principale in questo atto volontario e deliberato è la sua autonomina come artista:
{{q|...he, so to say, appoints himself as an artist, though this is only possible if the society in which he lives has an ideology of genius, recognizes it, values it... the creative, artistic personality is thus the first work of the productive individual.|Taft, 1958, p. 272}}
Per Miller questa idea di autonomina è un punto di riferimento cruciale nella sua comprensione della natura della propria creatività. In ''Tropic of Cancer'' abbiamo la famosa citazione a pagina uno: "A year ago, six months ago, I thought that I was an artist. I no longer think about it, I am." (Miller, 1934, p. 1) Miller aveva trovato la designazione che spiegava così tante delle domande che aveva avuto per tutta la vita. Scrive in modo molto eloquente della sua prima giovane virilità come un periodo di grande miseria, principalmente a causa della sua incapacità di comprendere la propria infelicità. Coloro che circondavano Miller sembravano essere felici della loro sorte nella vita; i suoi amici non mettevano in discussione né cercavano di eludere i ruoli loro assegnati. Più tardi, quando Miller lavorava alla Western Union, incontrò molte persone che erano infelici o cosiddetti disadattati sociali, ma non sembravano mai esprimere la sensazione che Miller aveva di non essere in grado di adattarsi. Questi disadattati infelici si trovavano in gravi difficoltà a causa di circostanze; in molti modi Miller si considera inadatto per natura. Datagli ogni opportunità per avere successo nella società, Miller fallisce sempre. Nella chiara dichiarazione di Miller di auto-designazione artistica rankiana, egli inizia a mettere in atto i concetti che lo porteranno a comprendere la sua incapacità di funzionare all'interno della società convenzionale. Miller inizia a capire che non era mai stato costruito per essere un membro onesto della comunità — come artista percepisce sia il suo passato che il presente in un modo nuovo. Ciò è particolarmente pertinente nel come Miller inizi ad apprezzare la sua infanzia. Rank è nettamente diverso da Freud in quanto non vede alcun legame tra la personalità artistica e l'infanzia:
{{q|Here then begins the ethical ideal-formation in the self although the individual may turn to external models, ideal figures from life or history. But these ideals he chooses in terms of his own individuality which, as we know, has nothing to do with infantile authorities, least of all the parents. It does not matter whether the individual succeeds wholly in freeing himself from the traditional moral concepts; probably he never does, especially not as long as he must live with other individuals who more or less depend on this traditional morality. It is important, however, that for everything creative, regardless of how it manifests itself, even in neurosis, we can thank this
striving of the individual, of his individual will to free himself from the traditional moral code and to build his own ethical ideals from himself...|Rank, 1936, p. 263}}
Il passaggio di cui sopra avrebbe risuonato profondamente per Miller. Il profondo antagonismo verso sua madre, il proprio senso di colpa per il trattamento riservato dalla famiglia alla sorella con problemi mentali e la vita sprecata di suo padre, avevano indotto Miller a considerarsi l'unico catalizzatore di cambiamento all'interno della sua famiglia, eppure pensava di averli delusi ripetutamente. La sua incapacità di finire il ''college'' o di trovare un lavoro stabile, l'umiliazione alla sua famiglia causata dalla sua relazione con una donna del vicinato molto più anziana e il suo abbandono della prima moglie e del figlio, portarono Miller a considerarsi un peso e un fallimento per la sua famiglia. L'idea che in qualche modo le sue calamità dell'infanzia, dell'adolescenza e della prima età adulta non lo definissero, ma che la sua volontà di affrontarle a viso aperto e di rivalutare la loro presa su di lui fosse in effetti parte del processo creativo, avrebbe dato a Miller un grande conforto. Miller avrebbe combinato le teorie di Rank sulle precedenti esperienze di vita dell'artista con il concetto di "Durata e compenetrazione" di Bergson per fornirgli una solida base su cui non solo comprendere la propria vita fino ad oggi, ma anche come materiale su cui scrivere. Le carenze di ieri divennero l'acqua per il mulino di oggi — cosa che esaminerò in riferimento a Bergson nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Henri Bergson|Capitolo 2]]'''; tuttavia fu tramite Rank che Miller iniziò ad espandere le sue idee sull'argomento. Non importava più che Miller non fosse stato in grado di assimilarsi alla vita normale di New York: non avrebbe mai dovuto. Il suo cosiddetto fallimento era un segno della provvidenza.
I tentativi da parte di Miller di liberarsi dai codici sociali sono i più basilari in ''Tropic of Cancer''. Possiamo percepire la rabbia di un uomo che sente di aver sprecato la sua vita adulta fino a quel punto, nel tentativo di conformarsi a regole che non capisce o a cui non tiene. ''Tropic of Cancer'' è pieno di passaggi che, attraverso amarezza e frustrazione, mostrano un uomo che lentamente si avvicina all'accettazione e al riesame del suo passato e a una scintillante speranza che il suo futuro debba essere migliore, se solo può rimanere onesto con se stesso:
{{q|Once I thought that to be human was the highest aim a man could have, but I see now that it was meant to destroy me. Today I am proud to say that I am inhuman, that I belong not to men or governments, that I have nothing to do with creeds and principles... I can see about me all those cracked forebears of mine dancing around the bed, consoling me, egging me on, lashing me with their serpent tongues... Side by side with the human race there runs another race of beings, the inhuman ones, the race of artists who, goaded by unknown impulses, take the lifeless mass of humanity and by the fever and ferment with which they imbue it turn soggy dough into bread and the bread into wine and the wine into song... A man who belongs to this race must stand up on the high place with gibberish in his mouth and rip out his entrails. It is right and just, because he must. And anything that falls short of this frightening spectacle, anything less shuddering, less terrifying, less mad, less intoxicated, less contaminating, is not art. The rest is counterfeit. The rest is human. The rest belongs to life and lifelessness.|Miller, 1934, pp. 255–256}}
Miller impiega molte delle idee di Rank nel brano precedente. Afferma chiaramente che gli artisti sono una forma separata di umanità; egli è separato dal collettivo senza vita dal suo rifiuto di accettare le regole e i codici dei loro padroni politici. Fa eco a Rank nella sofferenza che l'artista autentico deve sopportare e nell'accettazione da parte dell'artista di questa prova come mezzo mediante il quale produrrà arte genuina. Le idee di Miller sulla sofferenza e l'accettazione sonoqui agli inizi, ma direi che ciò che vediamo è l'inizio di Miller che si fa strada verso una concettualizzazione buddhista di questi tropi chiave, sia nella sua vita che nel suo lavoro. Questo è di nuovo un punto in cui è difficile dissociare Miller lo scrittore da Miller il narratore. È ovvio che ''Tropic of Cancer'' non è un esempio convenzionale di autobiografia, non ha una scala temporale lineare e interi passaggi sono pura fantasia, tuttavia direi che il narratore rappresenti la sensibilità di Miller, seppure non una sua rappresentazione diretta. C'è la sensazione che per Miller, proclamandosi artista, riconosca di aver superato un limite, impegnandosi irrevocabilmente nella sua nuova vita. L'opera principale dell'artista, quindi, la sua propria esistenza distinta, è quella di essere immortalata nell'arte, "For the creative impulse in the artist, springing from the tendency to immortalize himself, is so powerful that he is always seeking to protect himself against the transient experience, which eats up his ego. The artist takes refuge, with all his own experience only from the life of actuality, which spells for him mortality and decay..." (Rank, 1929, p. 38)
La teoria di Rank è un po' più complessa di quanto sembrerebbe a prima vista. Sostiene che la creazione dell'arte rimuove l'artista dalla vita: se l'artista si abbandona puramente nel creativo, è in uno stato simile alla morte. L'artista non può rifiutare la vita attraverso il ''medium'' artistico. Miller e Rank si fanno eco a vicenda su questo argomento. Quando Miller scrive che "...the conflict lies in the dual aspect of the artist’s creativity – creative impulse seeking to express itself in life and in art" (Miller, 1960, p. 109), egli sta adottando le idee di Rank sulla necessità dell'artista di trovare un rifugio dalla certezza della morte e del decadimento, un rifugio in cui l'artista crea e si sviluppa nell'arte, solo per poi scoprire di aver convertito le sue esperienze di vita dinamiche e vitali in qualcosa di "morto". "For not only does the created work not go on living, it is, in a sense, dead: both as regards the material, which renders it almost inorganic, and also spiritually and psychologically, in that it has no longer has any significance for its creator, once he has produced it." (Rank, 1929, p. 39) Miller ribadisce queste idee in ''The Wisdom of the Heart'' (1941):
{{q|But in the attempt to defeat death man has been inevitably obliged to defeat life, for the two are inextricably related... In order to accomplish his purpose, however, the artist is obliged to retire, to withdraw from life... If he chooses to live he defeats his own nature... Sin, guilt, neurosis — they are one and the same, the fruit of the tree of knowledge. The tree of life now becomes the tree of death. But it is always the same tree. And it is from this tree of death that life must spring forth again, that life must be reborn... Through madness and ecstasy the mystery of the Dionysian god is enacted and the drunken revellers acquire the will to die — to die creatively... to save man from the fear of death, so he may be able to die.|Miller, 1941, pp. 11-12}}
La persona creativa, quando questo gli si manifesta, rapidamente e inevitabilmente ritorna alla vita e all'esperienza, la cui transitorietà rafforza presto il suo bisogno di creare e di esteriorizzare ancora una volta:
{{q|A man with creative power who can give up artistic expression in favour of the formation of personality – since he can no longer use art as an expression of an already developed personality – will remould the self-creative type and will be able to put his creative impulse directly in the service of his own personality... But the condition of this is the conquest of fear of life, for that fear has led to the substitution of artistic production for life, and to the externalization of the all too mortal ego in a work of art. For the artistic individual has lived in art-creation instead of actual life... and has never totally surrendered himself to life... the creative type who can
renounce this protection by art and can devote his whole creative force to life and the formation of life will be the first representative of the new human type, and in return for this renunciation will enjoy, in personality-creation and expression, a greater happiness.|Rank, 1932, p. 413}}
Rank aveva ancora di più da dire sui pericoli che l'artista doveva affrontare. Se l'artista riusciva a superare il collettivo biologico (propagazione sessuale) e l'ideologia collettiva (religione e politica), doveva ancora affrontare quella che Rank chiamava "far more fitful emancipation" (Rank, 1989, p. 368). Questa era la battaglia che l'artista doveva condurre contro lo ''[[w:Spirito del tempo|Zeitgeist]]'' artistico, l'"artideology" (Rank, 1989, p. 3) del tempo. Il percorso dell'artista era quello che accettava, ma poi doveva rifiutare l'ascendente arte-ideologia del tempo. Così, dopo aver capitolato il suo individualismo a qualche ideologia collettiva, dopo essersi identificato con quella che è la moda accettata e aver selezionato "some recognized master as the ideal pattern" (Rank, 1989, p. 371), dopo (come Rank con Freud) plausibilmente essersi permesso d'essere uno studente e un accolito, "the representative of an ideology" (Rank, 1989, p. 46), l'artista deve ritrovare e riaffermare l'individualità "...he must escape from the ruling ideology of the present, which he has strengthened by his own growth and development, if his individuality is not to be smothered by it." (Rank, 1932, p. 368)
L'idea dell'interazione dell'artista con l'ideologia artistica del suo tempo è qualcosa che esaminerò in relazione ai [[w:Surrealismo|surrealisti]] nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Surrealismo|Capitolo 3]]'''. Sosterrò che Rank aveva così influenzato Miller che percepì la sua interazione con i surrealisti direttamente in termini di una ''"art-ideology"'' da esplorare ma alla fine rifiutata. Per Miller questo fu un passo importante nell'accettare e sviluppare il proprio stile. Durante la sua permanenza a New York Miller scrisse almeno tre romanzi di cui siamo a conoscenza: ''Clipped Wings'' (1922), ''Moloch'' (1927) e ''Crazy Cock'' (1928-1930), questi ultimi due pubblicati postumi. Miller pensava che per avere successo come scrittore doveva emulare lo stile di quegli scrittori che riteneva i migliori. Scriveva alla sua scrivania con una copia di [[w:Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]] o di [[w:Knut Hamsun|Hamsun]] aperta, modellando il suo stile di scrittura sul loro. Questa emulazione consapevole lo portò al [[w:blocco dello scrittore|blocco dello scrittore]] e a uno dei numerosi [[w:esaurimento nervoso|esaurimenti nervosi]] di Miller. Fu con la sua lettura di Rank che iniziò a rendersi conto che l'unico modo per scrivere era con la propria voce. Poteva comunque ammirare altri scrittori pur continuando a sviluppare il proprio stile; infatti era fondamentale che scrivesse onestamente per preservare la sua individualità:
{{q|I have made a silent compact with myself not to change a line of what I write. I am not interested in perfecting my thoughts, nor my actions. Besides the perfection of Turgenev I put the perfection of Dostoevski... Here then, in one and the same medium, we have two kinds of perfection. But in Van Gogh’s letters there is a perfection beyond either of these. It is the triumph of the individual over art.|Miller, 1934, p. 19}}
Uno dei capitoli più importanti di ''Art and Artist'' è "The Artist’s Fight with Art", e una caratteristica fondamentale di questa lotta è la lotta contro l'ideale artistico dominante. Gli artisti devono "carve their own individuality out of the collective ideology that prevails" (Rank, 1989, p. 368). L'artista non esiste nel vuoto: come sottolinea Rank, "we cannot understand the artist by a purely individual psychology, without taking account of the collective art-ideology" (Rank, 1989, p. 369). Queste sono le contraddizioni intrinseche nel lavoro di Rank. L'artista deve andare oltre le sue esperienze infantili e ignorare i costumi sociali della sua educazione, eppure Rank riconosce che probabilmente non può farlo. Parimenti, l'artista deve rompere con le ideologie artistiche del suo tempo, ma non può sperare di essere compreso senza di esse. C'è un inerente conflitto nelle teorie di Rank relative all'artista, con nulla di garantito alla fine. Voglio dire che questa idea del "viaggio più importante della destinazione" è qualcosa che sarebbe diventato veramente rilevante per Miller solo dopo il suo ritorno in America nel 1940. Ancora una volta possiamo vedere l'inizio del passaggio di Miller a una prospettiva più Orientale sulla vita: il concetto è una delle tante influenze che nel tempo avrebbero congelato e riorientato la visione di Miller della scrittura e della vita. Per Rank c'è un'altra caratteristica della personalità dell'artista che può creare problemi: un bisogno di assoluti, la ricerca intrinseca della completezza. Rank la chiamò "an overstrong tendency towards totality of experience" (Rank, 1989, p. 373), mettendo a confronto l'artista e il nevrotico in quanto entrambi possiedono questo bisogno necessario di certezza assoluta; sono quelli che Rank chiamava "totalists" (Rank, 1989, p. 376). La visione del totalista sull'esperienza della vita è assoluta, ma la realtà della vita non soddisfa questa esigenza. Data la sua "totality tendency" (Rank, 1989, p. 376), l'attrito causato all'artista nel vivere in due mondi (quello dell'arte e quello della vita) lo lascia sospeso tra entrambi, frustrato e traumatizzato. Così, "the artist ...in spite of the many difficulties and struggles, finds a constructive, a middle way: he avoids the complete loss of himself in life... by living himself out entirely in his creative work." (Rank, 1932, p. 373) Miller è un esempio da manuale del "totalist" di Rank, desideroso della totalità dell'espressione artistica, mentre si lamenta delle interruzioni della vita, ma a sua volta riconosce la necessità dell'attrito:
{{q|When I reflect that the task which the artist implicitly sets himself is to overthrow existing values, to make chaos about him order which is his own, to sow strife and ferment so that by the emotional release those who are dead may be restored to life, then it is that I run with joy to the great and imperfect ones, their confusion nourishes me, their stuttering is like divine music to my ears. I see in the beautifully bloated pages that follow the interruptions the erasures of petty intrusions, of dirty footprints, as it were, of cowards, liars, thieves, vandals, calunmiators.|Miller, 1934, p. 254}}
Ma se l'artista e il nevrotico sembrano condividere alcune caratteristiche molto importanti, allora in che modo differiscono? Rank affermò che la differenza cruciale era la capacità e, soprattutto, la volontà individuale di produrre, sostenendo che... "The neurotic is one who thinks life can be governed like a work of art, but this is a misconception art alone is made out of obsession, continuity, absolutism, the desire for complete construction, ending in fulfilment" (Nin, 1969, p. 151). Secondo Rank, il nevrotico è qualcuno in cui l'impulso creativo è diventato rachitico e deformato; è un artista latente con una volontà individuale fuorviata. La volontà del nevrotico si applica al riconoscimento degli assoluti nella sua vita e in questo inevitabilmente fallisce. L'arte sembra la soluzione al bisogno impellente di assoluti. Tuttavia, "constructive solution may lead into a condition no less dangerous than that of losing himself entirely in a life of transience" (Nin, 1969, p. 152). La "funzione di totalità" dell'artista-tipo "in the end makes all productivity, whether in itself or in a particular work, as much a danger for the creative ego as was the totality of experience from which he took refuge in his art" ( Nin, 1969, p. 154).
In "The Artist's Fight with Art", Rank espose anche un concetto che avrebbe avuto molta importanza per Miller più avanti nella sua vita, ovvero l'idea che l'artista debba non solo liberarsi dall'ideologia artistica dominante del giorno, ma anche liberarsi dalla propria arte. La spiegazione è che, come Rank alla fine capì, l'artista sente che... "artistic creation is an unsatisfactory substitute for real life" (Taft, 1958, p.290). Rank indica vari modi per sfuggire alle pretese assolute dell'arte fatte sull'artista. Uno dei modi è semplicemente di mettere da parte l'arte per un periodo di tempo. Nel caso di Miller non si trattava semplicemente di trovare il tempo per scrivere, ma anche di rispondere alla sua voluminosa corrispondenza di amici e fan, nonché la costante pubblicità che egli faceva del proprio lavoro. Miller dovette lavorare sodo per ricordare alla gente, specialmente dal suo "eremo"" di Big Sur, che stava ancora scrivendo e che era ancora rilevante. Rank avvertì anche personaggi come Miller e Nin di non lasciarsi sedurre via dal proprio lavoro nello studio della psicologia, come andava di moda. Lo studio della psicologia permette all'artista di passare "suddenly from the formative artist into the scientist, who wishes – really he cannot help himself – to establish or, rather, cannot help trying to establish, psychological laws of creation or aesthetic effect" (Rank, 1932, p. 387). La psicoanalisi e le scienze cognitive, così come, prevedibilmente, il mondo della religione e della politica, sono tutti rifugi sterili e improduttivi per la personalità creativa. Non si può fare a meno di leggere questo come un avvertimento da parte di Rank che, per quanto un sano interesse fosse il benvenuto, la psicoanalisi era meglio lasciarla agli esperti piuttosto che a curiosi impostori. Anche se non era questo il caso, avrebbe potuto benissimo scrivere ciò direttamente in riferimento a Miller e Nin, con le loro incursioni comiche nel farsi passare per analisti "professionisti".<ref>Calonne, D. S. (1996) "Anaïs Nin, Henry Miller and Psychoanalysis". In: Herron, P. (cur.) ''Anaïs: A Book of Mirrors'', Huntingdon Woods, MI.</ref>
Rank sembra essere stato ben consapevole del calice avvelenato che la psicoanalisi offriva all'artista. Riconoscendo le ideologie dell'arte contemporanea, comprendendo il suo posto al loro interno, usandole come misura, ma alla fine ignorandole, l'artista veniva lasciato in una posizione solitaria. Il conforto offerto all'artista dall'autodefinizione e dall'accettazione da parte del gruppo di quella designazione, era difficile da sostituire. La psicologia non dovrebbe essere vista come un mezzo per sfuggire al collettivo e scoprire l'individuo, solo per poi tornare al collettivo come un missionario. Rank ritenne ciò come la potenziale catastrofe dell'ascesa della psicologia nel ventesimo secolo, perché in ''Art and Artist'' sosteneva che una psicologia per definizione non potrebbe mai essere collettiva, insistendo sul fatto che "Psychology is the individual ideology par excellence" (Rank, 1932, p. 389). Se, come ha osservato Rank, alcuni artisti credevano che la psicoanalisi fosse una nuova religione o ideologia per sostituire quelle vecchie e scartate, ne sarebbero stati tristemente delusi. La psicologia non dovrebbe essere concepita come una nuova ideologia sociale e, anche consentendo il suo riconoscimento globale da parte della società, non può "fulfil and justify [the artist’s] personal conflict" (Rank, 1932, p. 391) come avevano tentato di fare i precedenti sistemi collettivi. Rank affermò abbastanza chiaramente che "today all collective means fail" (Rank, 1932, p.391), e poiché l'artista è ancora alla ricerca di una qualche forma di quadro ideologico o sistema di riferimento, egli è "thrown back on to an individual psycho-therapy" (Rank, 1989, p. 391), che conduce a una nuova impasse psicologica e nevrosi. Per Rank, l'intenso "psychological attitude towards himself and his art" (Rank, 1932, p. 388) potrebbe essere eccezionalmente pericoloso in quanto può portare l'artista a una più profonda introspezione e ossessione con se stesso:
{{q|His aim is not to express himself in his work, but to get to know himself by it; in fact, by reason of his purely individualistic ideology, he cannot express himself without confessing, and therefore knowing, himself, because he simply lacks the collective or social ideology which might make the expression of his personality artistic in the sense of earlier epochs. ...The more successful his discovery of truth about himself, the less he can create or even live, since illusions are necessary for both.|Rank, 1932, p. 390}}
Mi vengono in mente pochissimi scrittori per i quali le idee di Rank sull'artista e sull'egocentrismo sono più preveggenti. La chiave di Miller per trovare un modo autentico di scrivere era usare la propria vita come materiale. Certo, quanto si possa leggere il suo lavoro come autobiografico è discutibile, ma resta il fatto che i personaggi centrali sono persone reali della vita di Miller e che Miller in diverse fasi della sua vita vide il narratore nei suoi romanzi come rappresentasse se stesso. Lasciando da parte questi problemi, è fondamentale esaminare se Miller sia davvero caduto nella trappola descritta da Rank e, in tal caso, se si può sostenere che ne sia sfuggito. In primo luogo, è indiscutibile che Miller abbia usato la sua vita come materiale per scrivere. Non solo l'ha usata, ma ha usato ripetutamente alcuni episodi, nel corso della sua intera carriera. Basta considerare il suo incontro e il successivo matrimonio con June Mansfield e pensare a quante volte Miller scrive e riscrive questo periodo in una serie di romanzi, e capire che sia caduto nella trappola dell'egocentrismo — ma affermerei che questo non è esattamente ciò che sembra. Miller stava seguendo il concetto rankiano di rinascita artistica, riscrivendo il proprio passato per cercare l'illuminazione da una prospettiva presente. Può sembrare che Miller sia ossessionato dalla propria vita, ma ciò che in realtà sta facendoè rivalutarla denudandola per ottenerne comprensione. Ecco perché possiamo vedere un'evoluzione nella sua scrittura per quanto riguarda, in particolare, gli episodi traumatici. Se consideriamo il punto più oscuro di Miller (i mesi che precedono l'abbandono da parte di June Mansfield per andare a Parigi da sola con la sua amante), vediamo Miller contemplare il suicidio:
{{q|When a situation gets so bad that no solution seems possible there is left only murder or suicide... I was no longer a man; I was a creature returned to a wild state. Perpetual panic, that was my normal state. The more unwanted I was, the closer I stuck. The more I was wounded and humiliated, the more I craved punishment.|Miller, 1960, p. 37}}
''Nexus'' (1960) è essenzialmente un romanzo relativo alla discesa dei suoi tre personaggi principali nella malattia mentale. Miller è distrutto da sentimenti di inadeguatezza e impotenza di fronte al controllo della moglie su di lui. Non è in grado di immaginare la sua vita senza di lei, quindi accetta la sua crudeltà quotidiana, l'eventuale abbandono e il conseguente ritorno. La rappresentazione da parte di Miller di June Mansfield è stata ampiamente descritta e criticata, ed è uno dei motivi principali per cui viene accusato di misoginia e antisemitismo, ma penso che l'evoluzione delle sue rappresentazioni di June confermino non solo l'influenza di Rank, ma anche quella del crescente apprezzamento della filosofia orientale. June appare direttamente come Mara/Mona/Hildred in sei dei romanzi di Miller, in rappresentazioni che iniziano con June come sua musa e anima gemella, passando attraverso di lei come sua tormentatrice e ''[[w:succubo|succuba]]'' creativa, e culminando infine nell'interpretazione di June come una persona a sé stante e come parte integrante della sua carriera. Per quanto contraddittorie siano queste rappresentazioni e tenendo conto del fatto che June Mansfield non ha voce in capitolo su nessuna di esse, vediamo Miller evitare la trappola dell'egocentrismo di Rank perché sta usando la sua vita passata come veicolo per spingersi in avanti verso una nuova comprensione della sua vita e del suo lavoro, e l'eventuale passaggio a nuovo materiale. Miller forse si sofferma troppo su questo argomento secondo alcuni lettori e critici, ma direi che tale continua rielaborazione è ciò che poi gli concede la libertà di scrivere su argomenti diversi dalla propria vita e da una prospettiva diversa, tra cui il buddhismo. Queste sono problematiche che esaminerò in profondità nel Capitolo 4: per ora, è importante mappare completamente l'influenza primaria di Rank su Miller.
Miller e il gruppo di Villa Seurat consideravano l'artista come un essere di transizione, che incapsulava il vecchio mondo e il conseguente modo di fare le cose, ma ancheche apriva la strada al futuro. Rank condivideva questa prospettiva, ma al di là del ruolo che delineava dell'artista come precursore di una nuova umanità, non offre davvero uno schema concreto. In ''The Artist'', Rank dà al lettore un'idea di come potrebbe essere questo nuovo mondo e del ruolo che l'artista potrebbe ricoprire. Secondo Rank ogni periodo culturale si conclude in un clima di isteria collettiva a causa delle misure restrittive prese dalle società civili per controllare i propri membri. Queste restrizioni alle libertà personali e individuali sarebbero aumentate fino a diventare intollerabili per la maggioranza e a quel punto avverrebbe un crollo comunitario. La psicoanalisi avrebbe fornito i mezzi attraverso i quali i cittadini comuni sarebbero giunti a comprendere ciò che era accaduto e l'artista sarebbe stato la guida e la fonte di conoscenza, portando il pubblico alla consapevolezza e plasmando così il loro futuro collettivo.
Questo è forse il punto in cui Rank è più ottuso e questi sono concetti molto ariosi con pochissimi dettagli concreti collegati ad essi. Al lettore vengono offerte pochissime analisi o dettagli su come questo nuovo futuro avverrà, a parte le vaghe dichiarazioni sugli inevitabili crolli della società. Tuttavia, per Miller, il ruolo dell'artista in una società futura avrebbe assunto un'importanza reale. Come già sappiamo, Miller non vedeva alcun ruolo politico per l'artista: ciononostante, riconosceva che l'artista non viveva in un vuoto di sua creazione. Miller potrebbe aver giocato con l'idea dell'artista come l'avanguardia di qualche nuovo mondo coraggioso, e questa era, dopo tutto, un'idea che avrebbe fatto appello alla vanità di qualsiasi artista, ma Miller non era mai a suo agio con un ruolo che lo sentiva cooptato in un movimento più ampio. Per Miller questo "transitional being" (Taft, 1958, p. 288) prese la forma di un'estrema disperazione per lo stato del mondo, seguita da un'umile convinzione che la verità attraverso l'arte potesse essere l'unica salvezza di un sistema in bancarotta. Questo sarebbe poi diventato un tema continuo negli scritti di Miller durante gli anni ’40 e ’50, una disperazione catastrofica che dava luogo a una fede quasi innocente nella capacità redentrice dell'arte di cambiare il futuro:
{{q|When I look down at this fucked-out cunt of a whore I feel the whole world beneath me, a world tottering and crumbling, a world used up and polished like a leper’s skull. If there were a man who dared to say all that he thought of the world there would not be left of him a square foot of ground to stand on. When a man appears the
world bears down on him and breaks his back... If a man ever dared to translate all that is in his heart, to put down what is really his experience, what is truly his truth, I think then the world would go to smash...|Miller, 1934, pp. 249-250}}
Questo concetto era indubbiamente attraente per Miller, la cui vita a New York era stata fatta di sofferenza e dolore. Il suo lavoro alla Western Union lo faceva sentire un impostore e si vergognava di avere potere sulla vita di qualcun altro. La sua relazione e il successivo matrimonio con June Mansfield lo avevano portato al limite della sua sanità mentale e almeno due tentativi di suicidio. Secondo Miller, egli aveva subito l'inimmaginabile, solo per uscirne dall'altra parte. L'idea di Rank della qualità redentrice della sofferenza per produrre arte diede a Miller una filosofia con cui, ''a posteriori'', capire cosa gli fosse successo a New York. Non solo poteva capire perché era successo, ma poteva anche vederlo come una tappa necessaria del suo sviluppo come scrittore. Per Miller, il ruolo più importante dell'arte non era cambiare la società ma cambiare l'artista. La comprensione di questi concetti da parte di Miller lo faceva sempre tornare a se stesso come individuo e a come poteva crescere ed evolversi. L'obiettivo era la conoscenza e l'illuminazione individuali, mai il cambiamento della società. Rank conclude ''Art and Artist'' con una discussione sulla rinuncia all'arte da parte dell'artista. Se l'artista non dirigesse consapevolmente la propria creatività e la focalizzasse sulla propria vita, sarebbe intrappolato dalla falsa creatività della propria arte:
{{q|A man with creative power who can give up artistic expression in favour of the formation of personality – since he can no longer use art as an expression of an already developed personality – will remould the self-creative type and will be able to put his creative impulse directly in the service of his own personality. In him the wheel will have turned full circle, from primitive art, which sought to raise the physical ego out of nature, to the voluntaristic art of life, which can accept the psychical ego as part of the universe. But the condition of this is the conquest of the fear of life, for that fear has led to the substitution of artistic production for life, and
to the externalization of the all-too-mortal ego in a work of art. For the artistic individual has lived in art-creation instead of actual life... and has never wholly surrendered to life. In place of his own self the artist puts his objectified ego into his work, but though he does not save his subjective mortal ego from death, he yet
withdraws himself from real life. And the creative type who can renounce this protection by art and can devote his whole creative force to life and the formation of life will be the first representative of the new human type and in return for this renunciation will enjoy, in personality-creation and expression, a greater happiness.|Taft, 1958, p. 291}}
Rank espresse questa formula per una maggiore felicità in termini che devono aver avuto un certo fascino per Miller, delineando "a constructive process of acceptance and development of one’s individual personality as a new type of humanity" (Rank, 1932, p. 391). Nella seconda metà degli anni ’30, anche Miller era preoccupato dal concetto di personalità post-artistica: il suo lavoro traboccava di diverse innovazioni (molte delle quali orientate spiritualmente) di un nuovo tipo umano e la ricerca di una nuova espressione dell'anima e di trasformare la propria vita in un'opera d'arte rinunciando all'arte. Come aveva detto dopo l'incontro con Rank nel 1933, prima che si potesse entrare in una sfera dell'arte completamente nuova "there had to be that employment of the creative spirit upon oneself" (Miller, 1976, p. 109). Molte di queste idee furono profondamente influenzate da Rank. In effetti, l'idea dell'artista che rinuncia all'arte dopo averla trovata "an unsatisfactory substitute for real life" (Taft, 1958, p. 290) appare ripetutamente nelle lettere e nei saggi di Miller dell'epoca. Nella maggior parte di questi riferimenti, la rinuncia era un primo passo in "a new realm of being", dove non si avrebbe bisogno, come disse Miller nel 1938, "for art or religion because we shall be in ourselves a work of art" (Miller, 1941, p. 92).
Rank contribuì a dare a Miller una solida base per i suoi esperimenti sulla scrittura e su come considerare le proprie esperienze di vita come materiale da utilizzare. I concetti di Rank rispecchiavano molte delle preoccupazioni di Miller e del gruppo di Villa Seurat, e spingevano Miller a pensare in modo più critico su come percepiva il passato, ma anche su cosa significasse essere uno scrittore. La convinzione di Rank nell'importanza dell'artista nella società diede a Miller una spinta di fiducia in un momento in cui si sentiva un fallimento; improvvisamente i suoi fallimenti passati erano tribolazioni necessarie che doveva affrontare per fare di sé uno scrittore autentico. Ancora più importante, Rank fornì a Miller l'idea di una vita post-artistica, in cui la propria vita diventa la creazione. Questo concetto sarà cruciale nel viaggio di Miller verso l'illuminazione e il buddhismo.
== Note ==
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" > <references/> </div>
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[[Categoria:La Filigrana Zen di Henry Miller|Henry Miller e Otto Rank]]
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La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Henri Bergson
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2022-08-14T18:32:22Z
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{{La Filigrana Zen di Henry Miller}}
{{Immagine grande|Portrait of Henry Miller LCCN2004663333.jpg|450px|Ritratto di Henry Miller, 1940}}
<div style="color: teal; text-align: center; font-size: 0.8em;">Inner and outer have changed places. Equilibrium is no longer the goal — the scales must be destroyed.<br/>Let me hear you promise again all those sunny things you carry inside you.<br/>Let me try to believe for one day, while I rest in the open,<br/>that the sun brings good tidings. (''Tropic of Capricorn)</div>
= L'Arte del Divenire: Henry Miller e Henri Bergson =
[[File:Henri Bergson 1878.jpg|left|140px|thumb|<small>[[w:Henri Bergson|Henri Bergson]] nel 1878</small>]]
Come ho mostrato nel Capitolo precedente, l'uso da parte di Miller delle teorie di Otto Rank sulla formazione e il ruolo degli artisti, oltre alla necessità per l'artista di rivalutare ripetutamente la propria storia personale, sono stati profondamente influenti sull'evoluzione di Miller come scrittore. Allo stesso modo, il lavoro di [[w:Henri Bergson|Henri Bergson]] fornirà a Miller un modello attraverso il quale esplorare la propria storia di vita come mezzo per fornire materiale per i suoi libri; più specificamente attraverso il concetto di Bergson di stati psichici sovrapposti e l'idea che tutta l'esperienza accade nel presente. Per Miller questo era particolarmente utile come fondamento filosofico per l'utilizzo della sua vita personale come materiale di scrittura. Miller sarebbe tornato, nel corso della sua vita, a determinati periodi e a rivalutare la loro influenza retrospettivamente: e ciò ebbe un profondo effetto sulla sua evoluzione come scrittore e come uomo. Questo Capitolo mira a mostrare l'influenza delle teorie di Bergson su Miller e l'utilizzo specifico di tali teorie negli scritti di Miller. In nessun modo Miller è un discepolo di Bergson; egli usa le teorie di Bergson e la sua comprensione di esse, per promuovere la propria percezione della creatività e del mondo che lo circonda. In particolare Miller si occupa di "Durata e Intuizione", due delle teorie di Bergson che si uniranno per alterare il concetto di tempo, creatività e memoria di Miller.
Per comprendere Bergson è fondamentale capire in primo luogo cosa intende per "tempo".<ref>Bergson afferma che nell'istante in cui si tenta di misurare un momento, il momento è passato. Il tempo non è statico e quindi non può mai essere catturato. Il tempo può accelerare o rallentare per l'individuo, mentre in una comprensione meccanicista del tempo esso rimane lo stesso. La '''durata''' è indescrivibile e può essere rivelata solo indirettamente attraverso immagini che non riescono a connettersi con il quadro completo. In ''The Creative Mind'' [1946] (''La Pensée et le mouvant'', 1934) Bergson visualizza la Durata come "instead, let us imagine an infinitely small piece of elastic, contracted, if that were possible, to a mathematical point. Let us draw it out gradually in such a way as to bring out of the point a line which will grow progressively longer. Let us fix our attention not on the line as line, but on the action which traces it. Let us consider that this action, in spite of its duration, is indivisible if one supposes that it goes on without stopping; that, if we intercalate a stop in it, we make two actions of it instead of one and that each of these actions will then be the indivisible of which we speak; that it is not the moving act itself which is never indivisible, but the motionless line it lays down beneath it like a track in space. Let us take our mind off the space subtending the movement and concentrate solely on the movement itself, on the act of tension or extension, in short, on pure mobility. This time we shall have a more exact image of our development in duration". Per un'analisi più completa e di ampio respiro delle teorie di Bergson sul tempo e di come siano critiche oggi come lo erano in passato, specialmente in relazione ai progressi compiuti nell'era elettronica, si veda: Guerlac, S. (2006) ''Thinking in Time: An Introduction to Henri Bergson''. Cornell University Press, Ithaca.</ref> Bergson distingue il tempo come lo sperimentiamo realmente, vale a dire il tempo vissuto, che chiama "durata reale" (''durée réelle'') e il tempo empirista/meccanicista della scienza. Il tempo [[w:meccanicismo|meccanicista]] implica la sovrapposizione di concetti spaziali sul tempo, producendo così una versione distorta della cosa reale. Il tempo è percepito attraverso una successione di costrutti spaziali separati, proprio come guardare un film. All'individuo sembra di poter vedere il flusso continuo del movimento, ma la realtà è una successione di fotogrammi fissi o immagini fisse. Affermare che si possa misurare la ''Durata'' reale contando costrutti spaziali separati è un'illusione:
{{q|Space is not a ground on which real motion is posited; rather is it real motion that deposits space beneath itself. But our imagination, which is preoccupied above all by the convenience of expression and the exigencies of material life, prefers to invert the natural order of terms. Accustomed to seek its fulcrum in a world of ready-made
motionless images, of which the apparent fixity is hardly anything else but the outward reflection of the stability of our lower needs, it cannot help believing that rest is anterior to motion, cannot avoid taking rest as its point of reference and its abiding place, so that it comes to see movement as only a variation of distance, space
being thus supposed to precede motion.|Bergson, 1911, pp. 289–290}}
Il nostro concetto di tempo non è reale e vissuto, ma piuttosto secondario e appreso. Uno dei modi migliori in cui i critici hanno spiegato la teoria di Bergson è concettualizzare il tempo nelle varie posizioni delle lancette di un orologio, analoghe più o meno alle varie posizioni del sole e della luna nel cielo. Per Bergson questo non è il movimento del tempo puro, ma la sua misurazione, sequenze di giustapposizioni statiche nello spazio. Intendiamo il tempo come una cosa spaziale che in sostanza non lo è: per Bergson il tempo reale o ciò che lui chiama Durata è una qualità non una quantità, psichica non fisica. L'idea stessa che il tempo reale non sia la giustapposizione spaziale che immaginiamo che sia, e che la vita possa essere percepita in modo diverso attraverso la Durata, ebbe un impatto rivoluzionario nei primi anni del ventesimo secolo.<ref>Sebbene Bergson non sia necessariamente visto come uno dei grandi filosofi d'oggi, l'influenza del suo lavoro all'inizio del ventesimo secolo è innegabile, si veda: Pilkington, A.E. (2012) ''Bergson and his Influence: A Reassessment''. Cambridge University Press, Cambridge, per un esame di quanto influenti fossero le idee di Bergson in una varietà di campi e dell'impatto che avevano sui suoi contemporanei. Per un'analisi del rapporto problematico di Bergson con il Modernismo si veda: Burwick, F. e Douglass, P. (2010) ''The Crisis in Modernism: Bergson and the Vitalist Controversy''. Cambridge University Press, Cambridge.</ref> Le idee di Bergson si unirono a un dibattito culturale che stava già alterando come avremmo vissuto nel prossimo secolo, un dibattito sulla natura del libero arbitrio e della libertà individuale. I libri e le conferenze di Bergson raggiunsero un vasto pubblico nei circoli artistici, accademici e psicologici, non ultimo Henry Miller:
{{q|If I never understood a thing that was written in this book, if I had preserved only the memory of one word, creative, it is quite sufficient. This word was my talisman. With it I was able to defy the world, especially my friends. This book [''Creative Evolution''] became my friend because it taught me that I had no need of friends. It gave me the courage to stand alone, and it enabled me to appreciate loneliness... with this book in my hands, reading aloud to my friends, questioning them, explaining to them, I was made clearly to see that I had no friends, I was alone in the world.|Miller, 1939, p. 199}}
Che Miller avesse capito bene o meno Bergson è discutibile: infatti, sarebbe giusto dire che l'interesse e l'utilizzo di Bergson da parte di Miller sono limitati alle sue intenzioni programmatiche. Ciò che Miller ottenne da Bergson potrebbe non essere stata l'intera sua filosofia, o anche una vera lettura di parte di tale filosofia, ma l'oggetto di questo Capitolo non è accertare l'accuratezza della lettura da parte di Miller, ma determinare come fece uso della filosofia di Bergson, come questo abbia influenzato il suo concetto di creatività e tempo, e come insieme questi due lavorino l'uno sull'altro, in particolare sulla formazione del ''Tropic of Cancer'', ma anche l'effetto ispiratore duraturo che ebbero sulle opere di Miller.
Per Bergson gli stati psichici non si susseguono semplicemente, come nelle successive posizioni delle lancette di un orologio; anzi si pervadono, si sovrappongono, si compenetrano: "states of consciousness, even when successive, permeate one another and in the simplest of them the whole soul can be reflected." (Bergson, 1910, p. 98) Se vediamo la Durata come psichica piuttosto che spaziale, ne consegue che il passato dovrebbe permeare il presente:
{{q|Pure Duration is the form which the succession of our conscious state assumes when our ego lets itself live, when it refrains from separating its present state from its former states... Nor need it forget its former states: it is enough that, in recalling these states, it does not set them alongside its actual state as one point alongside
another, but forms both the past and the present states into an organic whole, as happens when we recall the notes of a tune, melting, so to speak, into one another.|Bergson, 1910, p. 100}}
Dalla citazione di cui sopra possiamo dedurre che la Durata non è tanto una conseguenza del tempo meccanico, quanto uno stato di atemporalità in cui c'è un continuo cambiamento. Miller affronta il problema a testa alta dalla prima pagina di ''Tropic of Cancer'':
{{q|Boris has just given me a summary of his views. He is a weather prophet. The weather will continue bad, he says. There will be more calamities, more death, more despair. Not the slightest indication of a change anywhere. The cancer of time is eating us away. Our heroes have killed themselves, or are killing themselves. The hero, then, is not Time, but Timelessness. We must get in step, a lock step, toward the prison of death. There is no escape. The weather will not change.|Miller, 1934, p. 1}}
C'è una sensazione di stagnazione e malattia fin dall'inizio del romanzo. Miller registra quanto sia pulito e organizzato l'appartamento e lo contrappone all'infestazione corporea di pidocchi di Boris. C'è un senso di inerzia e improduttività che impedisce il movimento e l'afflizione di Boris manifesta fisicamente questa letargia. Il tempo non è visto come una circostanza essenziale del cambiamento, ma al contrario, il tempo rende le cose immutabili, o in altre parole statiche. Il tempo diventa nient'altro che una routine, mimando le successive posizioni delle lancette di un orologio. Bergson e Miller vedono questa percezione del tempo come una condizione non di movimento ma di stasi; è un concetto creato dall'uomo che inibisce la libertà individuale. La Pura Durata è l'esatta antitesi di questo in quanto afferma, "even when successive, permeate one another". ''Tropic of Cancer'' inizia al presente e cambia continuamente dal passato al presente: è improbabile che gli eventi siano collegati al presente mentre il narratore siede alla sua macchina da scrivere, è evidente che Miller sta parlando di ciò che è stato fatto, piuttosto che di ciò che si sta facendo. Questa combinazione di passato e presente è avvincente se il tentativo è di illustrare qualcosa di Pura Durata poiché:
{{q|Any memory-image that is capable of interpreting our actual perception inserts itself so thoroughly into it that we are no longer able to discern what is perception and what is memory.|Bergson, 1911, p. 125}}
Alla fine del libro, l'episodio sulle rive della Senna viene prima descritto al passato e poi, man mano che l'intuizione si sviluppa, l'immagine del fiume che è passato, invade il presente:
{{q|After everything had quietly sifted through my head a great peace came over me. Here, where the river gently winds through the girdle of hills, lies a soil so saturated with the past that however far back the mind roams one can never detach it from its human background. Christ, before my eyes there shimmered such a golden peace that only a neurotic could dream of turning his head away. So quietly flows the Seine that one hardly notices its presence. It is always there, quiet and unobtrusive, like a great artery running through the human body. In the wonderful peace that fell over me it seemed as if I had climbed to the top of a high mountain; for a little while I would be able to look around me, to take in the meaning of the landscape.<br/>
Human beings make a strange fauna and flora. From a distance they appear negligible; close up they are apt to appear ugly and malicious. More than anything they need to be surrounded with sufficient space — space even more than time.<br/>
The sun is setting. I feel this river flowing through me — its past, its ancient soil, the changing climate. The hills gently girdle it about: its course is fixed.|Miller, 1934, p. 318}}
Possiamo vedere Miller sperimentare quella compenetrazione, la fusione del mondo materiale e dello spirito individuale, un'unificazione resa possibile solo attraverso l'applicazione dell'introspezione. Come afferma Bergson, "whilst introspection reveals to us the distinction between matter and spirit, it also bears witness to their union" (Bergson, 1911, p. 235). Il narratore è progredito in modo esponenziale dalla sua visione della prima pagina nell'abbandonare la sua concezione spazializzata del tempo e la sua sterile routine, si è risvegliato al movimento, per comprendere il cancro del tempo come un'illusione. In linea con il linguaggio di Miller, egli ha cambiato il clima. In tutto il ''Tropic of Cancer'', come osservato da [[:en:w:Katy Masuga|Katy Masuga]] in ''Henry Miller e How He Got That Way'' (2014) le parole, i ritmi e le espressioni applicate, gli episodi descritti, si uniscono per dare la sensazione di uno stato di flusso. In questo stato nulla è dato per scontato, nulla è sicuro o garantito. È uno stato in cui tutto si muove e cambia forma, compenetrandosi pur mantenendo lo slancio in avanti. In ''Matter and Memory (Matière et mémoire)'' Bergson afferma:
{{q|There is not, in man at least, a purely sensory-motor state, any more than there is in him an imaginative life without some slight activity beneath it. Our psychical life, as we have said, oscillates normally 'between these two extremes. On the one hand, the sensory motor states marks out the present direction of memory, being nothing else,
in fact, than its actual and acting extremity; on the other hand this memory itself, with the totality of its past, is continually pressing forward, so as to insert the largest possible part of itself into the present action.|Bergson, 1911, p. 219}}
È facile vedere l'influenza di Bergson direttamente in ''Tropic of Cancer''. Frammenti di esperienza reale o immaginata coesistono, completano, stridono e si compenetrano per illuminare il concetto di tempo e narrazione di Miller. Raoul Ibarguen descrive il senso del tempo di Miller in "Narrative Detours: Henry Miller and the Rise of New Critical Modernism" (1989) così:
{{q|Miller’s time is the time of writing: neither the time that shadows the year’s worth of events recorded in its anecdotes, nor a time of its present telling, nor the timelessness of ecstatic vision, but a time created by writing which opens the possibility of mimesis, retrospection, and dream coexisting without cohesion within the same narrative.|Ibarguen, 1989, p. 242}}
Immagini che non necessariamente si completano a vicenda e non sembrano favorire la trama in alcun modo comprensibile, sono utilizzate per dare la sensazione del movimento, il flusso inarrestabile del ritmo. Questo è qualcosa che esaminerò più in dettaglio nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Surrealismo|Capitolo 3]]''', specialmente in relazione agli esperimenti di Miller con l'Automatismo — tuttavia in questo capitolo vorrei esplorare come Miller usi questa forma di scrittura per esprimere i principi bergsoniani. Possiamo vedere Miller in pieno flusso mentre descrive la giornata del narratore che lavora come correttore di bozze; il ritmo potente della lingua e le immagini in continua evoluzione sovrapposte l'una sull'altra si accumulano a una velocità mozzafiato:
{{q|In between the rubber and silk markets and the Winnipeg grains there oozes a little of the fizz and sizzle of the Faubourg Montmartre. When the bonds go weak and spongy and the pivotals balk and the volatiles effervesce, when the grain market slips and slides and the bulls commence to roar, when every fucking calamity, every ad, every sport item and fashion article, every boat arrival, every travelogue, every tag of gossip has been punctuated, checked, revised, pegged and wrung through the silver bracelets, when I hear the front page being hammered into whack and see the frogs dancing around like drunken squibs, I think of Lucienne sailing down the boulevard with her wings outstretched, a huge silver condor suspended over the sluggish tide of traffic, a strange bird from the tips of the Andes with a rose-white belly and a tenacious little knob.|Miller, 1934, p. 160}}
Il lettore ha poche opportunità di assorbire ogni singola immagine. Invece ci rimane la sensazione di essere stati sopraffatti dall'assalto delle immagini: fermarsi a considerare è rinunciare al potere della scrittura di Miller. Le immagini, di per sé, non sembrano appartenere insieme o offrire molto alla scena individuale. Ciò che forniscono è l'impressione che il narratore stia sperimentando il concetto di memoria-immagini di Bergson, combinandosi in un istante per spingere il narratore in avanti. Tale ritmo vertiginoso porta alla sensazione che questo sia un romanzo in flusso, non un'opera finita e rifinita, ma un romanzo in via di divenire:
{{q|It was only this morning that I became conscious again of this physical Paris of which I have been unaware for weeks. Perhaps it is because the book has begun to grow inside me. I am carrying it around with me everywhere. I walk through the streets big with child and the cops escort me across the street. Women get up to offer me their seats. Nobody pushes me rudely any more. I am pregnant. I waddle awkwardly, my big stomach pressed against the weight of the world.|Miller, 1934, p. 26}}
Se questo viene letto bene, l'impressione deve essere che l'autore voglia farci credere che il libro non esiste ancora in una forma concettualizzata, ma si sta scrivendo, per così dire, proprio in questo momento, che si sta evolvendo come per un processo di scrittura automatica.
[[File:Henri Bergson (Nobel).jpg|140px|thumb|<small>[[w:Henri Bergson|Henri Bergson]] (1927)</small>]]
Secondo Bergson, l'atto creativo viene potenziato dalla sua applicazione di immagini prese dall'Inconscio, o in altre parole dalla sua connessione con la pura memoria: "And the operation may go on indefinitely — memory strengthening and enriching perception, which, in its turn becoming wider, draws into itself a growing number of complementary recollections." (Bergson, 1911, p. 123) La memoria diventa quasi indistinguibile dalla percezione presente e si verificano ripetute compenetrazioni:
{{q|They have no difficulty in showing that our complete perception is filled with images which belong to us personally, with exteriorized (that is to say, recollected) images, but they forget that an impersonal basis remains in which perception coincides with the object perceived... These two acts, perception and recollection, always interpenetrate each other, are always exchanging something of their substance as by a process of endosmosis.|Bergson, 1911, p. 72}}
Osmosi è una parola che Miller usa frequentemente nelle sue opere e penso che all'interno di ''Tropic of Cancer'' sia possibile collegare direttamente la nozione di osmosi di Miller al concetto di compenetrazione di Bergson:
{{q|A new ice age is setting in, the transverse sutures are closing up and everywhere throughout the corn belt the fetal world is dying, turning to dead mastoid. Inch by inch the deltas are drying out and the riverbeds are smooth as glass. A new day is dawning, a metallurgical day, when the earth shall clink with showers of bright yellow ore. As the thermometer drops, the form of the world grows blurred; osmosis there still is, and here and these articulation, out at the periphery the veins are all varicose....|Miller, 1934, pp. 164–165}}
Per Miller, l'osmosi è un fenomeno positivo, qualcosa di organico e naturale, che offre una forma di progresso più naturale rispetto a quella della tecnologia e della meccanizzazione. Bergson chiarisce l'ostilità nei confronti di questi due principi: da un lato, la via oggettivante della scienza e dell'Empirismo, che in parole povere considera tutti i fenomeni completamente esterni; dall'altro, il processo dell'[[w:Intuizione|Intuizione]] per cui gli stati di coscienza si compenetrano in Durata reale, "...while all that mechanics retains of time is simultaneity, all that it retains of motion itself – restricted, as it is, to a measurement of motion – is immobility" (Bergson, 1910, p. 119).
Nel succitato brano preso dal ''Tropic of Cancer'', il mondo è visto come quasi stazionario, prossimo a una battuta d'arresto. Questa stasi è una forma di morte per Miller. Il mondo meccanicista ha portato direttamente al deterioramento degli elementi umani, un argomento che Miller tratta a lungo in ''The Air Conditioned Nightmare'' (1945). Il necessario processo di gestazione e divenire è arrestato dall'induzione del pensiero meccanico, oggettivo, che porta alla stasi. Il fiume è una visione familiare nel lavoro di Miller in quanto ha la possibilità di muoversi spontaneamente e facilmente. Il moribondo e il senzavita sono costantemente contrapposti nella narrativa di Miller, inoltre egli considera l'opera della scienza non solo come quella in cui l'eterno movimento è impedito, ma anche come opera di distorsione e artificiosità:
{{q|The wallpaper with which the men of science have covered the world of reality is falling to tatters. The grand whorehouse which they have made of life requires no deterioration; it is essential only that the drains function adequately. Beauty, that feline beauty which has us by the balls in America, is finished. To fathom the new reality it is first necessary to dismantle the drains, to lay open the gangrened ducts which compose the genito-urinary system that supplies the excreta of art. The odor of the day is permanganate and formaldehyde. The drains are clogged with strangled embryos.|Miller, 1934, p. 165}}
Miller accettò l'osmosi come il principio fondamentale della vita. Pertanto, ne conseguì che la pratica scientifica di rappresentare la vita come entità separate e distinte è un'attività artificiale ideata per accogliere le basi dell'esistenza quotidiana, resistente a qualsiasi mezzo con cui l'attualità della vita può essere conosciuta. Come chiarisce Bergson:
{{q|Pure Intuition, external or internal, is that of an undivided continuity. We break up this continuity into elements laid side by side, which correspond in the one case to distinct words, in the other to independent objects. But, just because we have thus broken the unity of our original intuition, we feel ourselves obliged to establish
between the severed terms a bond which can only then be external and superadded.|Bergson, 1911, p. 239}}
Questo "bond (legame)" di cui scrive Bergson è analogo alla "carta da parati" di Miller. Il seguente passaggio si verifica nel mezzo di un panegirico su [[w:Henri Matisse|Matisse]]:
{{q|It is only later, in the afternoon, when I find myself in an art gallery on the Rue de Seze, surrounded by the men and women of Matisse, that I am drawn back again to the proper precincts of the human world. On the threshold of that big hall whose walls are now ablaze, I pause a moment to recover from the shock which one experiences when the habitual gray of the world is rent asunder and the color of life splashes forth in song and poem. I find myself in a world so natural, so complete, that I am lost. I have the sensation of being immersed in the very plexus of life, focal from whatever place, position or attitude I take my stance. Lost as when once I sank into the quick of a budding grove and seated in the dining room of that enormous world of Balbec, I caught for the first time the profound meaning of those interior stills which manifest their presence through the exorcism of sight and touch. Standing on the threshold of that world which Matisse has created I re-experienced the power of that revelation which had permitted Proust to so deform the picture of life that only those who, like himself, are sensible to the alchemy of sound and sense, are capable of gtransforming the negative reality of life into the substantial and significant outlines of art.|Miller, 1934, p. 162}}
Questo brano mostra chiaramente la compenetrazione bergsoniana all'opera, scritta al presente, mentre evidentemente descrive episodi di un passato fittizio o reale. Miller cerca di comunicare l'esperienza vissuta di atemporalità, sensazioni di tempo perduto, seguite da un acuto senso di centratura e consapevolezza di tutto. Secondo Bergson ciò che rimane nella coscienza, o ugualmente nell'inconscio, è presente, e indipendentemente da come la coscienza possa aver alterato i "fatti" del passato. Questo ricordo di immagini passate è autentico, semplicemente perché è presente: "That which is commonly called a fact is not reality as it appears to immediate intuition, but an adaptation of the Seal to the interests of practice and to the exigencies of social life" (Bergson, 1911, pp. 238-239).
Per Miller questo è un concetto che cambierà non solo il modo in cui scrive ma, soprattutto, ciò di cui scrive. Miller è spesso denigrato per la natura autobiografica del suo lavoro e per l'assoluta ripetitività delle esperienze di cui scrive ancora e ancora. Lasciando da parte le domande su quanto sia realmente autobiografico il suo lavoro, direi con forza che questa cosiddetta ripetitività è in realtà l'impiego da parte di Miller dell'idea di Bergson del passato sempre presente. Miller non è ossessionato dalla propria vita o privo di argomenti come alcuni critici hanno pensato; piuttosto vede il suo passato chiaramente presente nell'ora e adesso, fondendosi con l'atemporalità e consentendone la sua comprensione. Miller è pienamente consapevole dei concetti in gioco nel ''Tropic of Cancer'' in relazione alla "presentità". Nell'intervista del ''The Paris Review'' con George Wickes del 1961, Miller mostra non solo la sua concettualizzazione del ''Tropic of Cancer'' come opera del "presente immediato", ma anche una comprensione bergsoniana della natura compenetrante delle esperienze di vita come materiale:
{{q|I planned everything that I’ve written to date in about forty or fifty typewritten pages. I wrote it in notes, in telegraphic style. But the whole thing is there. My whole work from ''Capricorn'' on through ''The Rosy Crucifixion'' — except ''Cancer'', which was a thing of the immediate present — is about the seven years that I had lived with this woman, from the time I met her until I left for Europe. I didn’t know then when I was leaving, but I knew I was going sooner or later. That was the crucial period of my life as a writer, the period just before leaving America...|Wickes, 1961, p. 147}}
Questa è una citazione molto illuminante in quanto cattura Miller nella sua forma più schietta in relazione non solo alla natura autobiografica del suo lavoro, ma anche all'influenza di Bergson e Rank. Miller riconosce ''Tropic of Cancer'' come un'opera del "presente immediato", molto in linea con l'idea che ne sia l'esempio principale di un Miller che trova la sua voce autentica. Quando Miller ammette che tutto, dal ''Tropic of Capricorn'' a ''The Rosy Crucifixion'', in un periodo di vent'anni, fu influenzato dal suo coinvolgimento di sette anni con June Mansfield, possiamo vederlo come un esempio di Durata bergsoniana e Imperativo Biologico rankiano. Miller acquisisce la comprensione delle sue esperienze di vita e della loro duratura influenza creativa su di lui attraverso la compenetrazione del tempo. Scrive continuamente di questo periodo di sette anni perché fa parte del suo presente tanto quanto del suo passato, rivalutarlo porta a nuovi livelli di comprensione. Da un punto di vista rankiano, Miller scrive di questo periodo perché è attraverso tale crogiolo che Miller accetta e poi si libera dall'imperativo biologico, permettendo a se stesso di diventare un vero artista. La sofferenza che Miller ha sopportato, e l'illuminazione che ne ha tratto, è uno sprone continuo alla sua creatività.
Miller continua ad espandere la sua teoria della scrittura spiegando come ha trovato la propria voce. La cosa più interessante è come Miller combina Rank e Bergson per spiegare il suo lavoro; si stacca dai suoi eroi letterari per trovare la propria voce e il proprio linguaggio, una tappa chiave nell'evoluzione rankiana dell'artista, e adotta il narratore in prima persona per esplorare l'atemporalità bergsoniana delle proprie esperienze:
{{q|Anyway, it happened for me with ''Tropic of Cancer''. Up until that point you might say I was a wholly derivative writer, influenced by everyone, taking on all the tones and shades of every other writer that I had ever loved. I was a literary man, you might say. And I became a non-literary man: I cut the cord. I said, I will do only
what I can do, express what I am — that’s why I used the first person, why I wrote about myself. I decided to write from the standpoint of my own experience, what I knew and felt. And that was my salvation.|Wickes, 1961, p. 148}}
Finora ho mostrato l'impatto significativo che la teoria della Durata di Bergson ebbe sulla scrittura di Miller: l'atemporalità e la compenetrazione sfidarono e a tempo debito alterarono come e cosa Miller usò come materiale. Simile in grandezza a Miller era la teoria dell'intuizione di Bergson,<ref>Bergson sosteneva che ci sono due modi in cui un oggetto può essere riconosciuto, cioè in modo assoluto e in modo relativo. Il metodo con cui ciascuno è conosciuto contrasta: quest'ultimo metodo è ciò che Bergson chiama analisi, mentre il metodo dell'Intuizione appartiene al primo. L'intuizione è una sorta di esperienza, che ci connette alle cose in sé. Bergson descrive l'intuizione come un'esperienza di comprensione diretta e inseparabile durante la quale è possibile comprendere lo spirito essenziale o l'essere di un oggetto e realizzarne l'unicità. Come affermò Bergson in ''The Creative Mind: An Introduction to Metaphysics'' (1946): "The absolute that is grasped is always perfect in the sense that it is perfectly what it is, and infinite in the sense that it can be grasped as a whole through a simple, indivisible act of intuition, yet lends itself to boundless enumeration when analysed." (Bergson, pp. 159-162) In ''The Creative Mind'' Bergson fornisce due immagini come esempi per illustrare cosa intende per Intuizione, analisi, l'assoluto e il relativo. L'immagine primaria è una città ricreata con fotografie adiacenti scattate da ogni possibile prospettiva. La ricostruzione non potrà mai fornirci il senso dimensionale di camminare attraverso la città reale. La seconda immagine che utilizza Bergson è quella di cercare di spiegare la lettura di Omero a qualcuno che non capisce il greco antico — puoi tradurlo e fornire lunghe annotazioni e spiegazioni, ma non puoi riprodurre l'esperienza di leggere Omero nella lingua originale.</ref> e il resto di questo Capitolo mostrerà come entrambe queste teorie si siano combinate per spingere in avanti non solo l'ideale artistico di Miller, ma anche stimolare la sua visione del mondo in rapida evoluzione.
Bergson afferma che la conoscenza nella sua forma quotidiana assume l'aspetto esteriore di concetti; identifichiamo solo ciò che è vantaggioso per noi. Di conseguenza escludiamo tutto il resto, così facendo semplifichiamo e generalizziamo. È solo attraverso la creatività artistica che si può vedere la ricchezza della realtà, "for a few moments at least, for the artist diverts us from the prejudices of form and colour that come between ourselves and reality" (Bergson, 1924, p. 159). Similmente, Miller la vede come realtà quotidiane sotto forma di concetti opportuni, "the world of men and women whose last drop of juice has been squeezed out by the machine, and this mass of bones and collar buttons" (Miller, 1934, p. 162) che si allontanano per far posto a un senso di completezza della natura come esemplificato dall'artista. Il narratore milleriano sperimenta la sensazione di disorientamento e smarrimento anche se si trova nei "proper precincts of the human world" o, più significativamente, perché si trova all'interno di questi confini. Il mondo falso e artificioso di oggetti separati e disconnessi ha la propensione ad oscurare la realtà della Pura Durata, ma anche il linguaggio artificiale di parole separate e distinte, che simboleggiano questi oggetti. La principale difficoltà nell'essere uno scrittore interessato e influenzato da Bergson è l'idea che il linguaggio potrebbe non essere un mezzo competente attraverso il quale proiettare la verità:
{{q|We instinctively tend to solidify our impressions in order to express them in language. Hence we confuse the feeling itself, which is in a perpetual state of becoming, with its permanent external object, and especially with the word which expresses this object. In the same way as the fleeting duration of our ego is fixed by its projection in homogeneous space, our constantly changing impressions, wrapping themselves round the external object which is their cause, take on its definite outlines and its immobility.|Bergson, 1910, p. 130}}
Come la letteratura possa connettersi autenticamente con la realtà è una questione di grande importanza per Miller e una questione che esaminerò di nuovo nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Surrealismo|Capitolo 3]]''' in relazione ai surrealisti e all'automatismo. Direi, tuttavia, che è la risposta di Bergson a questa domanda che ha un effetto duraturo su Miller e limiterà direttamente la sua adesione e interesse per il [[w:Surrealismo|Surrealismo]]. Bergson sostiene che l'Intuizione ci fornisce una coscienza aperta e istantanea della vita mentre la viviamo in quel preciso momento. Se, invece, tentiamo di comprenderla come un oggetto razionalizzato, rischiamo di perderla del tutto. È ragionevolmente semplice per chi scrive accettare la dicotomia tra statico e dinamico, ma come può essere dimostrato in letteratura? Miller affronta questo punto cruciale vedendo il suo lavoro non come un romanzo finito e raffinato, ma piuttosto come un'opera dimostrativamente incompiuta. Lo scopo del ''Tropic of Cancer'' non è quello di presentare un'opera d'arte finita e statica; assorbe piuttosto il problema bergsoniano della capacità del linguaggio di connettersi alla realtà. Risponde a questo presentandosi come un tentativo di mostrare il processo in contrapposizione al prodotto:
{{q|I have no money, no resources, no hopes. I am the happiest man alive. A year ago, six months ago, I thought that I was an artist. I no longer think about it, I am. Everything that was literature has fallen from me. There are no more books to be written, thank God. This then? This is not a book. This is libel, slander, defamation of character. This is not a book, in the ordinary sense of the word. No, this is a prolonged insult, a gob of spit in the face of Art, a kick in the pants to God, Man, Destiny, Time, Love, Beauty... what you will.|Miller, 1934, pp. 1-2}}
Miller rispecchia le preoccupazioni sul linguaggio espresse da molti scrittori di questo periodo. Come ha notato [[:en:w:Ihab Hassan|Ihab Hassan]] in ''The Literature of Silence: Henry Miller and Samuel Beckett'' (1967), la convinzione di Miller che il linguaggio e le convenzioni letterarie che diventano nel migliore dei casi obsoleti e nel peggiore soffocanti per quanto riguarda la rappresentazione del presente, non erano unici solo per lui — questo è qualcosa che mostrerò che Miller condivide con i surrealisti (cfr. Capitolo 3). La comprensione e la risoluzione del problema da parte di Miller, tuttavia, è distintamente bergsoniana. La ponderata sottovalutazione del tempo meccanico ("It is the twentysomethingth of October") seguita dal rifiuto della letteratura e del linguaggio, che termina con un insulto "prolonged", mostrano l'influenza di Bergson. Il linguaggio nella sua manifestazione attuale non è altro che una successione di simboli statici. Il vecchio deve essere spazzato via per fare spazio al nuovo, in altre parole un linguaggio che dimostri il processo piuttosto che il prodotto. Possiamo considerare questo bisogno di distruggere e quindi rivedere il linguaggio, come un dispositivo artistico che si manifesta nei romanzi di Miller, specialmente quelli scritti a Parigi. La letteratura finirà per diventare ridondante: per Miller l'importante è riconoscere e abbracciare la nostra immersione nell'impulso del continuo divenire. Pur dandone una lettura bergsoniana, la vedo anche come un segnale per il crescente interesse di Miller per il buddhismo. Vedremo alcuni di questi concetti: in particolare il continuo divenire e il processo sul prodotto si concretizzano nella successiva adesione di Miller alle [[w:Quattro Nobili Verità|Quattro Nobili Verità]] buddhiste, un argomento che esaminerò in dettaglio nel Capitolo 4. Possiamo vederlo in una lettera a Lawrence Durrell:
[[File:Lawrence Durrell.png|thumb|right|140px|<small>[[w:Lawrence Durrell|Lawrence Durrell]]</small>]]
{{q|How I love the dying words of St. Thomas Aquinas: "All that I have written now seems so much straw! " Finally he saw. At the very last minute. He knew and he was wordless. If it takes ninety-nine years to attain such a moment, fine! We are all bound up with the Creator in the process. The ninety-eight years are so much sticks of wood to kindle the fire. It's the fire that counts... The child is alive with fire, and we the adults, smother it as best we can. When we cease throwing the wood of ignorance on the fire, it burst forth again. We must start from the beginning, not on the backs of dinosaurs-culture- that is, in all its guises.|Miller,1959, p. 36}}
Iniziamo a vedere la famigerata dichiarazione egoistica di Miller in ''Tropic of Cancer'' — "A year ago, six months ago, I thought that I was an artist. I no longer think about it, I am — sotto una luce diversa. Miller sta incanalando sia Bergson che Rank nella sua concettualizzazione di se stesso come artista. Miller l'artista resiste, si evolve e cambia. Incarna movimento, Durata e Intuizione. È dentro di sé, in vero stile rankiano, un'opera d'arte, immerso nella creazione e, soprattutto, nella ri-creazione. Come afferma Bergson "...a being which evolves more or less freely creates something new every moment." (Bergson, 1911, p. 297). Il processo di creazione deve di conseguenza includere le false partenze e i difetti così come i successi: "The telephone interrupts this thought which I should never have been able to complete. Someone is coming to rent the apartment..." (Miller, 1934, p. 11) Il lavoro in divenire non è qualcosa da nascondere o celare al lettore, ripulito fino all'accettabilità da un editore, ma piuttosto da accettare e accogliere come autentico. In un'intervista per ''[[w:Playboy (periodico)|Playboy]]'', Miller afferma:
{{q|I must confess there's a great joy for me, in cutting a thing down, in taking the ax to my words, and destroying what I thought so wonderful in the heat of first writing ... But this editing at least for me, is not aimed at achieving flawlessness. I believe that defects in a writer's worn, as in a person's character, are no less important than his virtues.|Miller, 1964, pp. 80–81}}
Miller ammette che il suo metodo di scrittura forse non è così grezzo come potrebbe sembrare a prima vista. La base per il suo ''editing'' sembra essere una certa piacevole distruttività piuttosto che l'aggiunta di un tocco di raffinatezza. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che non desidera alterare la sua ispirazione iniziale. L'intuizione istantanea dello scrittore, unita alla compenetrazione libera e casuale delle immagini della memoria, consente di scrivere immediatamente le parole.
Dopo aver esaminato come le teorie di Bergson abbiano influenzato Miller ed echeggiato molti dei suoi pensieri e sentimenti, vorrei esaminare più in dettaglio come questi concetti si manifestino nei personaggi di ''Tropic of Cancer'', prestando particolare attenzione al narratore ''milleresque''. È discutibile se il narratore sia in realtà una rappresentazione dello stesso Miller o meno. Miller fu contraddittorio su questo argomento ed evitò l'affermazione di essere il narratore andando invece a criticare lettori e critici per avere una visione così ristretta da vederlo come tale. Direi che non importa se Miller e il narratore sono la stessa cosa o semplicemente condividono alcuni dettagli biografici e prospettive filosofiche; non aggiunge o toglie nulla al romanzo o a qualsiasi suo studio. Il narratore è l'unico personaggio del romanzo che viene descritto; non si riduce mai a una selezione di aggettivi. Al narratore è permesso di crescere e svilupparsi per tutto il romanzo; arriva a personificare la comprensione di Bergson da parte di Miller. Non è un "tipo" come gli altri personaggi, e non è statico. Gli altri personaggi sono stereotipi: che siano visti attraverso i prismi della religione, del genere o del sesso, rimangono superficialità incartate, che fanno da contrappunto alla multidimensionalità del narratore.
È l'unico esempio di personaggio che perdura: i suoi stati coscienti si pervadono a vicenda; in altre parole, vive. Dopo il narratore, Van Norden<ref>Van Norden è basato sul giornalista americano Wambly Bald, che lavorò con Miller come correttore di bozze al ''Chicago/Paris Tribune'' nei primi anni ’30. Scherzava negli anni ’60 sul fatto di dover querelare Miller per averlo rappresentato come un demone del sesso, ma non sembra essersi preoccupato troppo di tale rappresentazione. Bald, W. (1987) ''On the Left Bank: 1929–1933''. Ohio University Press, Athens, fornisce accesso agli articoli di Bald del periodo. Per un'ampia panoramica dell'ambiente in cui lavorarono sia Bald che Miller, si veda: Weber, R. (2006) ''News of Paris: American Journalists in the City of Light Between the Wars''. Ivan.R. Dee Publishing, Chicago.</ref> è forse il personaggio più importante. Appare in vari episodi importanti della vita del narratore e le sue avventure spesso portano il narratore ad avere un momento di chiarezza, solitamente accucciato in termini bergsoniani. Van Norden è, tuttavia, a malapena definito come un'entità indipendente, "I like Van Norden but I do not share his opinion of himself. I do not agree, for instance that he is a philosopher, or a thinker. He is cunt struck, that's all. And he will never be a writer" (Miller, 1934, p. 4). È così che il lettore viene presentato a Van Norden a pagina 4 del romanzo. Non si impara molto di più su Van Norden, parla di scrivere un libro, ma non lo fa mai e passa tutto il suo tempo a rincorrere donne per sesso. Viene costantemente ridotto dal narratore a uno scrittore fallito; dipendente da incontri sessuali senza senso:
{{q|People think I’m a cunt-chaser... That’s how shallow they are, these high brows who sit on the terrasse all day chewing the psychological cud... I wish to Christ I could get up enough nerve to visit an analyst... Van Norden’s mind has slipped back to the eternal preoccupation: cunt... You get all burned up about nothing, he argues, about a crack with hair on it, or without hair... All that mystery about sex and then you discover that it’s nothing – just a blank.|Miller, 1934, p. 138}}
Sull'incapacità di Van Norden di scrivere il suo romanzo tanto atteso, il narratore è feroce, nonostante Miller abbia sofferto di alcuni degli stessi problemi creativi. Miller ha scritto molto su come i suoi primi tentativi di scrittura siano stati ostacolati dalla sua imitazione di Hamsun e Dostoevskij, cosa che ho già esaminato in relazione a Rank nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Otto Rank|Capitolo 1]]'''. ''Crazy Cock'' (1928-1930) e ''Moloch'' (1927), entrambi pubblicati postumi, e l'inedito ''Clipped Wings'' (1922), erano poco più che derivati e banali esercizi di scrittura, privi di originalità o valore, eppure Van Nordon viene deriso senza sosta per aver esibito gli stessi limiti:
{{q|The book must be absolutely original, absolutely perfect. That is why, among other things, it is impossible for him to get started on it. As soon as he gets an idea he begins to question it. He remembers that Doestoevski used it, or Hamsun, or somebody else. “I’m not saying I want to be better than them, I want to be different,” he explains. And so, instead of tackling his book, he reads one author after another to make absolutely certain that he is not going to tread on their private property. And the more he reads the more disdainful he becomes. None of them are satisfying; none of them arrive at that degree of perfection which he has imposed on himself. And forgetting completely that he has not written so much as a chapter he talks about them condescendingly, quite as though there existed a shelf of books bearing his name, books which everyone is familiar with and the titles of which it is therefore superfluous to mention.|Miller, 1934, p. 132}}
Miller spesso giustappone l'esistenza statica di altri personaggi per rendere chiaro il movimento e la progressione del narratore. Gli altri personaggi del libro sono contorni parzialmente disegnati, ombre oggettivate ma rappresentano, in tempi diversi, sfaccettature del carattere stesso del narratore. Queste sfaccettature vengono razionalizzate e rese statiche, il narratore deve spingersi oltre, abbracciare il movimento. Bergson chiarisce quanto possa essere dannoso questo stato:
{{q|The feeling itself is a being which lives and develops and is therefore constantly changing... But it lives because the duration in which it develops is a duration whose moments permeate one another. By separating these moments from each other, by spreading out time in space, we have caused this feeling to lose its life and its colour. Hence we are standing before our own shadow: we believe that we have analyzed our feeling, while we have really replaced it by a juxtaposition of lifeless states which can be translated into words, and each of which constitutes the common element, the impersonal residue, of the impressions felt in a given case by the whole of society.|Bergson, 1910, p. 133}}
L'opposizione del narratore al senzavita e alla staticità è illustrata di nuovo nel passo in cui Van Norden tenta di fare sesso con una prostituta. L'influenza di Rank è anche evidente nel fatto che Van Norden sta usando il sesso meccanicista o l'Imperativo Biologico come sostituto dell'esperienza vissuta e della creatività che ne deriva. Miller comprende l'incapacità di Van Norden di scrivere in una valutazione che incorpora sia Rank che Bergson. Ricorda i brani precedenti relativi a Matisse e, nel descrivere la giornata di un correttore di bozze, sono evidenti le immagini del mondo meccanicista:
{{q|As I watch Van Norden tackle her, it seems to me that I'm looking at a machine whose cogs have slipped. Left to themselves, they could go on this way forever, grinding and slipping, without ever anything happening... As long as that spark of passion is missing there is no human significance in the performance. The machine is better to watch. And these two are like a machine which has slipped its cogs. It needs the touch of a human hand to set it right. It needs a mechanic.|Miller, 1934, pp. 143-144}}
Allo stesso modo il personaggio di Papini rispecchia il vivere statico a cui il narratore si sforza di sfuggire. L'ossessione di Papini per l'apprendimento accademico è criticata con mezzi distintamente bergsoniani. Papini è un accademico che compila bibliografie e scrive saggi critici, è consumato dalla convinzione che dopo anni di studio non sappia ancora nulla. Papini incarna la condizione statica dell'intelletto: privo di Intuizione e Durata, concettualizza la vita attraverso il tempo e la quantità, ossessionato dal numero di libri che deve leggere entro una certa età. Di Papini non si conosce altro: serve solo a contrapporre la conoscenza statica, razionalizzata, alla sapienza fluida e intuitiva del narratore. Miller aveva un ben noto disprezzo per gli accademici e Papini serve a illustrare il disprezzo di Miller per coloro che si dipingono come istruiti e ben informati. Miller vedeva gli accademici come nient'altro che schiavi intellettuali, che dicevano cosa e come imparare. Moldorf è un personaggio con cui il narratore afferma di avere un'affinità; lo descrive come il suo ''[[w:doppelgänger|doppelgänger]]'':
{{q|We have so many points in common that it is like looking at myself in a cracked mirror... I have been looking over my manuscripts, pages scrawled with revisions. Pages of literature. This frightens me a little. It is so much like Moldorf... I can recall distinctly how I enjoyed my suffering. It was like taking a cub to bed with you.|Miller, 1934, p. 9}}
Questa è una visione affascinante della psiche del narratore: cosa vede in Moldorf che lo spaventa così tanto? È la capacità di Moldorf di trovare piacere nella sua sofferenza, che sicuramente ricorda la situazione del narratore prima di venire a Parigi? Ci sono una caterva di domande che questo brano pone, tuttavia, da una prospettiva bergsoniana, è interessante che nessuna di queste domande sia perseguita nel romanzo. Come con gli altri personaggi, a Moldorf non è permesso di far deragliare i progressi del narratore: Moldorf diventa semplicemente il mezzo attraverso il quale il narratore sfocia in uno sproloquio sugli ebrei;<ref>L'antisemitismo negli scritti di Miller è spesso accettato come un fatto senza una reale indagine sulle sue radici. Dopotutto, amava e idolizzava personaggi ebrei come Rank e Bergson. Gelosia, invidia, autoidentificazione inconscia? C'è una complessità nella rappresentazione degli ebrei di Miller che richiede più studio. Per un'opera che colloca il lavoro di Miller nel quadro dell'antisemitismo istituzionalizzato, vedere: Harap, L. (2003) ''Image of the Jew in American Literature: From Early Republic to Mass Immigration''. Siracusa University Press, Siracusa. Direi che l'antisemitismo letterario di Miller è in effetti un esempio del suo rifiuto della posizione morale "umana", si veda: Manniste, I. (2013) ''Henry Miller: The Inhuman Artist'', Bloomsbury Press, Londra. Con questo intendo dire che Miller ha cercato di rimuovere se stesso dal collettivo, sia politicamente che emotivamente. Miller voleva frenare la sua propensione a coinvolgersi nella sofferenza degli altri, quello che sono giunto a considerare come un primo esempio di distacco buddhista. Per una sintesi di questa interpretazione si veda: Cowe, J. (2016) "What Are You Going To Do About Max?: Understanding Anti-Semitism in Max". ''Nexus: The International Henry Miller Journal'': Volume 11.</ref> La sofferenza di Moldorf è vista come un tratto caratteriale ebraico e la natura soffocante del linguaggio formale sulla società:
{{q|They expected blood, bones, gristle, sinews. They chew and chew, but the words are chicle and chicle is indigestible. Chicle is the base over which you sprinkle sugar, pepsin, thyme, licorice. Chicle, when it is gathered by ''chicleros'', is O. K. The ''chicleros'' came over the ridge of a sunken continent. They brought with them an algebraic language. In the Arizona desert they met the Mongols of the North, glazed like eggplants. Time shortly after the earth had taken its gyroscopic lean when the Gulf Stream was parting ways with the Japanese current. In the heart of the soil they found tufa rock... Their language was lost. Here and there one still finds the remnants of a menagerie, a brain plate covered with figures.|Miller, 1934, p. 10}}
La progressione da un'immagine all'altra è fluida; ogni nuova immagine è prefigurata nella frase immediatamente precedente, i soggetti si sovrappongono e si compenetrano, spingendo in avanti il passaggio. Nessuna singola immagine è descritta per intero: solo la coscienza mutevole del narratore ha qualche dettaglio; come per altri personaggi, Moldorf è dimenticato nel flusso linguistico inarrestabile del narratore. Miller lo fa non solo attraverso la compenetrazione di tempo e immagini, ma anche usando il ritmo per realizzare l'impressione non di fabbricare una forma, ma di lasciarla evolvere:
{{q|Twilight hour. Indian blue, water of glass, trees glistening and liquescent. The rails fall away into the canal at Jaures. The long caterpillar with lacquered sides dips like a roller coaster. It is not Paris. It is not Coney Island. It is a crepuscular melange of all the cities of Europe and Central America. The railroad yards below me, the tracks black, webby, not ordered by the engineer but cataclysmic in design, like those gaunt fissups in the polar ice which the camera registers in degrees of black.|Miller, 1934, p. 3}}
Lo scopo principale del narratore non è quello di dare corpo agli altri personaggi nella speranza di fornire al lettore una visione più completa di se stesso visto attraverso lo sguardo degli altri, ma piuttosto di usarli come mezzo e stimolo per comprendere il proprio viaggio, un viaggio concepito in termini bergsoniani. La verità del luogo non è la sua posizione nello spazio o anche la sua posizione geografica, ma piuttosto l'effetto che ha sulla Durata della coscienza narrante, la realtà dell'osmosi del narratore.
Che sia Bergson che Miller sottoscrivessero il concetto di statico opposto a dinamico, il mondo degli oggetti esterni autonomi come divergente dalla Durata, non implica necessariamente che rifiutassero l'esistenza di un mondo materiale al di fuori della coscienza. Avrebbero semplicemente sostenuto che questo mondo esterno non può essere veramente riconosciuto in alcun modo empirico, con qualsiasi mezzo che lo scinda in unità distaccate e distinte. In breve, che non può essere conosciuto attraverso la concettualizzazione. Questo chiarisce in parte i normali passaggi di Miller dall'ordinario allo straordinario, al mondo della fantasticheria onirica:
{{q|There are balmy days in childhood when, perhaps because of the great retardation of the time, one steps outdoors into a world which is dozing. It is not the world of humans, nor is it the world of nature which is drowsing — it is the inanimate world of stones, minerals, objects. The inanimate world in bud... With the slow-motion eyes of childhood one watches breathlessly as this latent realm of life slowly reveals its pulse beat. One becomes aware of the existence of those invisible rays which emanate perpetually from the most remote parts of the cosmos and which radiate from the microcosm as well as from the macrocosm. "As above, so below." In the twinkle of an eye one is divorced from the illusory world of material reality; which every step one places himself anew at the carrefour of these concentric radiations which are the true substance of an all-encompassing and all-pervading reality. Death
has no meaning. All is change, vibration, creation, and re-creation.|Miller, 1953, p. 317}}
Vale la pena citare lo stralcio piuttosto lungo di ''Plexus'' (1953) di cui sopra per due ragioni. In primo luogo, mostra che Miller continuò per tutta la sua carriera ad avere una comprensione del mondo e della propria creatività infusa con l'insegnamento di Bergson. In secondo luogo, conduce a una discussione sull'uso della memoria da parte di Miller nelle sue opere. Ho esaminato i modi in cui Intuizione e Durata si sono combinate per cambiare il modo in cui Miller vede il tempo e l'atemporalità, è quindi fondamentale capire la parte che la memoria ha giocato nel processo creativo di Miller. Considerando la natura ripetitiva degli episodi di cui scrisse durante la sua carriera, cosa ha significato la memoria per Miller? Il narratore in ''Plexus'' parla della natura spirituale della memoria; il processo del ricordo suscita la consapevolezza dell'esistenza dello spirito, ciò che Miller chiama "the angelic being". Per Miller, dar credito all'esistenza della materia non confuta l'esistenza dello spirito. Miller scrive che "in the twinkle of an eye", cioè per un processo di intuizione immediata, "one is separated from the illusory world of material reality".
Miller, e del resto Bergson, non sosterrebbero che la materia è illusoria, ma che lo è un concetto di realtà come essenzialmente materiale. Miller riconosce la materia per quello che è, cioè la accetta come immagine, e sottoscrive anche la convinzione che lo spirito possa essere stimolato dalla funzione della memoria. Secondo Bergson "If, then, spirit is a reality, it is here, in the phenomenon of memory, that we may come into touch with it experimentally" (Bergson, 1911, p. 81). L'implicazione qui è che il cervello, un'immagine della materia come un'altra, non può essere la mente, ma solo l'apparato mediante il quale la mente si trasmette. Questa è una domanda con cui Miller ha lottato in relazione all'Automatismo Surrealista come esaminerò nel Capitolo 3, e la sua risposta rimane coerente con Bergson:
{{q|Thoughts never cease to stir the brain. Occasionally we perceive a difference between thoughts and thought, between that which thinks and the mind which is all thought. Sometimes, as if through a tiny crevice, we catch a glimpse of our dual self. Brain is not mind, that we may be certain of. If it were possible to localize the seat of
the mind, then it would be truer to situate it in the heart. But the heart is merely a receptacle, or transformer, by means of which thought becomes recognizable and effective. Thought has to pass through the heart to become active and meaningful.|Miller, 1952, p. 281}}
Per Miller, che intitola uno dei suoi libri ''Remember to Remember'' (1947), la memoria è significativa. Direi che per Miller, la memoria non è un ricordo sigillato di un incidente passato, ma piuttosto una sensazione che si verifica attraverso la Durata e l'Intuizione. Nella sua introduzione a ''My Friend Henry Miller'' (1956) di Alfred Perles, dà un suggerimento della sua prospettiva su questo argomento, "He had an uncanny way of flying ahead into the hereafter and bringing back good reports. It was as if he had discovered the way to connect with the secret processes of memory, make himself one with his ‘Id’" (Perles, 1956, p. 10). Miller non sta descrivendo Perles come una sorta di mistico con la capacità di vedere il futuro, ma piuttosto come qualcuno che può incarnare sia la Durata che l'Intuizione; ha la capacità di unire il suo essere presente con il ricordo del suo passato, e secondo Miller si rende completo:
{{q|I make this slight digression in order to point out that there are two memories (if not more) which can be tapped, and which, if at times they appear conflicting, are meant to yield different results. The one which Perles has relied on in this book is the soul's memory. It may often be at variance with facts, dates, events. But it is the authentic record...|Perles, 1956, p. 10}}
[[File:Henri Bergson 2.jpg|right|140px|thumb|<small>[[w:Henri Bergson|Henri Bergson]] al tempo del suo Premio Nobel (1927)</small>]]
Nella sua descrizione di Perles, Miller potrebbe facilmente riferirsi a se stesso. Le rappresentazioni contrastanti dell'esperienza vissuta negli scritti di Miller non sono esempi di ricordi errati o tentativi di riscrivere la storia, ma piuttosto il funzionamento della teoria della compenetrazione di Bergson o ciò che sia Miller che Bergson chiamano la memoria dell'anima. In ''[[w:Henri Bergson#Materia e Memoria|Matter and Memory (Matière et Mémoire)]]'' Bergson sostenne che ci sono due diversi tipi di memoria: in primo luogo la memoria che si rivela sotto forma di abitudini (cioè, la memoria automatica priva di pensiero o introspezione), e in secondo luogo la memoria pura, impossibile da distinguere sia dalla sogno sia dallo spirito, arricchendo continuamente la situazione esistente di un passato che è esso stesso sempre presente. Quindi, "...pure memory is a spiritual manifestation. With memory we are indeed in the domain of spirit" (Bergson, 1911, p. 320). Poiché il presente è arricchito dalla memoriaspirito, ne viene debitamente modificato, e così quando ricordiamo una situazione del passato così com'era poi cambiata, cambiata di nuovo dall'atto di ricordare, questa memoria, essendo essa la memoria dello spirito, può non registrarsi accuratamente con i fatti del passato. Il tempo meccanico, la misura del tempo, è legato a tutto ciò che è banale e sgradevole. L'episodio con Mona, la moglie del narratore, che chiude il primo "capitolo", si ritiene sia avvenuto un anno prima della stesura, eppure è descritto al presente. Questo ha un significato bergsoniano se si accetta l'assunto che il passato sia solo la nostra memoria di esso, o come scrisse Bergson: "there is no essential difference between a past that we remember and a past that we imagine" (Bergson, 1911, p. 310). Sappiamo che per Bergson un "fact" non è la realtà "as it appears to immediate intuition" ed è a questa intuizione istantanea che Perles sta attingendo. Da qui le affermazioni di Henry Miller in ''Tropic of Capricorn'', "It was going on this way all the time, even though every word I say is a lie... But the truth can also be a lie. The truth is not enough. Truth is only the core of a totality which is inexhaustible" (Miller, 1939, p. 190), non solo rispondono alle domande relative alle discrepanze autobiografiche nei suoi romanzi, la natura ripetitiva dei suoi soggetti, ma mostra anche l'influenza duratura di Bergson sulla sua creatività e sui suoi romanzi.
Che Bergson abbia fornito a Miller la fondamentale base filosofica per sperimentare la sua prosa è innegabile, tuttavia non si può ignorare che l'influenza di Bergson, almeno in stampa, inizia a diminuire nei romanzi successivi di Miller. Questo ovviamente può essere attribuito alle tendenze "gazza ladra" di Miller, ma penso che ci sia un cambiamento nel modo in cui Miller vuole che la sua narrativa di vita sia percepita. Direi che mentre Miller si sforza di controllare come viene letto il suo lavoro, egli sacrifica volentieri gli aspetti più sperimentali della sua scrittura in cambio della leggibilità. In tutto ''The Rosy Crucifixion'' c'è un maggiore senso dell'importanza dei dettagli storici che in ''Tropic of Cancer'' o ''Tropic of Capricorn''. In una lettera a Emil Schnellock del novembre 1938, Miller sembra suggerire che ''Tropic of Capricorn'' possa essere letto come il primo volume di ''The Rosy Crucifixion'':
{{q|If it was Turner’s water colours in the department store window which ignited the flame, what supplied the fuel and the ground-work was your own valiant labours over the draught-board every day, and the feeling you gave me about painting in general, to say nothing of the conversations in Prospect Park about Europe and her culture! (You’ll see a brief reference to this in ''Capricorn'', Vol.1. I have said little about you in this first volume; but in No. 2 [''The Rosy Crucifixion''] you will loom up more largely. Vol.1 is a long “preface”, so to speak. Should be regarded as a pillar or portal to the whole work.|Miller, 1968, p. 113}}
Questa è un'ammissione molto interessante di Miller in relazione alla natura autobiografica del suo lavoro, ma anche a come le idee di Bergson sul tempo cambieranno man mano che scriverà la trilogia di ''The Rosy Crucifixion'' nel corso degli anni. ''Tropic of Capricorn'' e ''The Rosy Crucifixion'' hanno una sovrapposizione di materiale, in particolare quella del suo matrimonio con Mansfield. Appare come Mara o Mona in entrambe le opere. Se confrontiamo l'episodio in cui Miller capisce che il suo matrimonio con Mansfield è finito, la cosa più interessante è la reintroduzione del tempo meccanico nella narrazione. In ''Tropic of Capricorn'' manca, "Passing beneath the dance-hall, thinking again of this book. I realized suddenly that our life had come to an end: I realized that the book I was planning was nothing more than a tomb in which to bury her – and the me which had belonged to her" (Miller, 1939, p. 334). Tuttavia, si consideri lo stesso episodio raccontato ventun anni dopo in ''Nexus'', "About five that afternoon, in a mood of utter despair. I sat down at the typewriter to outline the book I told myself I must write one day. My Doomsday Book. It was like writing my own epitaph... Musing thus, an appalling thought suddenly struck me. It was this – our love is ended" (Miller, 1960, pp. 165-166).
Questa reintroduzione del tempo meccanico potrebbe avere le sue radici nel desiderio di accessibilità di Miller nel suo lavoro. Per quanto sperimentali siano ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'', Miller capì che erano difficili da leggere. La scala temporale non lineare e gli episodi di fantastica scrittura automatica possono avere un effetto disorientante sulla narrazione. Alla fine degli anni ’40 Miller, in linea con le sue convinzioni buddhiste Zen, voleva che il suo lavoro fosse letto e compreso come cronaca del suo viaggio spirituale in corso. Per essere istruiti e illuminati, i lettori dovevano essere in grado di capire ciò che stavano leggendo. William A. Gordon paragona le differenze tra ''Tropic of Capricorn'' e ''The Rosy Crucifixion'' come analoghe alle parti [[:en:w:The Sound and the Fury#Part 1: April 7, 1928|uno]] e [[:en:w:The Sound and the Fury#Part 4: April 8, 1928|quattro]] di ''[[w:L'urlo e il furore|The Sound and the Fury]]'':
{{q|''Tropic of Capricorn'' is intuitive, symbolic, even manic in structure and style. Its order is by association rather than by the logic of narration. Its texture and tone are dreamlike, almost surrealist. It resembles the timeless world of [[:en:w:Compson family|Benjy Compson]]. ''The Rosy Crucifixion'' is straightforward narrative in style, though with interpolated fantasy passages. Overall is feels more like a narrative... ''The Rosy Crucifixion'' tells us in narrative form what happened during the period; ''Tropic of Capricorn'' expresses in symbolic form the meaning of the events and ties them into the past, the early life of Henry Miller.|Gordon, 1968, pp. 138-139}}
In ''[https://www.google.co.uk/books/edition/Form_and_Image_in_the_Fiction_of_Henry_M/24RIwgEACAAJ?hl=en Form and Image in the Fiction of Henry Miller]'' (1970), Jane A. Nelson arriva al punto di vedere ''The Rosy Crucifixion'' come l'analisi più facile da capire di ''Tropic of Capricorn'', "His confessions are accounts of his struggle to arrive at the meaning of self. His anatomies appear when he no longer has to integrate his vision, but can turn to an analysis of its meaning and an intellectual dissection of its elements" (Nelson, 1970, p. 187). Dobbiamo comprendere la lotta del Miller per trovare la sua voce autentica di scrittura, e la natura sperimentale della sua prosa ha portato a una forma di scrittura più fluida, ma una volta trovato il suo "sé" si calma dal mettere alla prova i limiti della propria immaginazione e tecnica. Miller scrisse a Durrell nel luglio 1944: "This [''The Rosy Crucifixion''] revives the mantic and the obscene, and how! And will be devilishly long. But readable. Yes, that I can promise — very readable" (Miller, 1961, p. 195). Miller sembra riconoscere la decisione consapevole che ha preso di rendere il suo lavoro più leggibile. L'atemporalità bergsoniana è sostituita da una sequenza narrativa lineare convenzionale. È in questo periodo, in particolare in ''Art and Outrage: A Correspondence About Henry Miller Between Lawrence Durrell and Alfred Perles'' (1961) che Miller inizia a usare il termine "autobiographical romances" per riferirsi alla sua narrativa. Appare improvvisamente un taccuino da cui Miller prende suggerimenti:
{{q|And so, on the fateful day, in the Park Department of Queen’s County, N.Y., I mapped out the whole autobiographical romance – in one sitting. And I have stuck to it amazingly well considering the pressures this way and that... Oh, yes, but before I forget – one important thing! Remember always that, with the exception of “Cancer”, I am writing counter-clockwise. My starting-point will be my end-point – the arrival in Paris – or, in another way of speaking, the break-through. So what I am telling about is the story of a man you never met, never knew; he is mostly of a definite period, from the time he met June (Mona-Mara) until he leaves for Paris. Naturally, some of what he is at the time of writing comes to the fore. Inevitable. But the attempt is – I am talking only of the auto-novels of course – to be and act the man I was during that seven-year period.|Miller, 1961, p. 29}}
Quello che possiamo constatare da questa lettera a Durrell è che Miller ha raggiunto un punto in cui è in grado di suddividere in compartimenti il suo lavoro e il suo narratore. Vede il "definite period" dei suoi sette anni con Mansfield come materiale solo per i suoi "auto-novels" in contrasto con quelle che potrebbero essere chiamate le sue opere più spirituali e ideologiche. Il narratore come partecipante attivo, che è evidente in ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'', è stato sostituito da un narratore onnipotente in ''The Rosy Crucifixion''. Questo narratore esercita il controllo sul suo messaggio e cerca di controllare come sarà ricevuto dai suoi lettori; ottiene questo potere scegliendo di semplificare il suo stile e impiegando una cornice temporale lineare convenzionale. Si potrebbe obiettare che Miller stia scegliendo di sacrificare gli aspetti più estremi della sua creatività per raggiungere un pubblico più ampio, cosa da ricordare riguardo a Miller e al Surrealismo nel Capitolo 3. Miller mise alla gogna i Surrealisti per quello che vedeva come l'ottundimento del loro messaggio per fare appello alle masse, eppure sembra che Miller sia disposto a fare lo stesso.
Man mano che ''The Rosy Crucifixion'' procede, i riferimenti storici diventano più evidenti. Sono pochi e distanti tra loro in ''Sexus'' e sono spesso oscuri: "In this way it fell about one day that I received an astonishing letter from that Dostoevski of the North, as he was called: [[w:Knut Hamsun|Knut Hamsun]]. It was written by his secretary, in broken English, and for a man who was shortly to receive the Nobel Prize; it was to say the least a puzzling piece of dictation" (Miller, 1949, p. 367). È giusto dire che non molte persone che leggevano ''Sexus'' all'epoca o dopo, avrebbero subito saputo che Hamsun aveva vinto il [[w:Premio Nobel per la letteratura|Premio Nobel]] nel 1920. I tentativi di Miller di collocare storicamente gli episodi in ''The Rosy Crucifixion'' diventano meno intelligenti, ma più evidenti in ''Plexus'' e ''Nexus''. Impiega immagini e parole di uso comune immediatamente riconoscibili come del periodo. Da ''Plexus'': "‘Well, Henry’, says Ulric, cornering me at the sink, ‘how goes it? This is to your success!’ He raises his glass and downs it. ‘Good stuff! You must give me the address of your bootlegger later’" (Miller, 1953, p. 360). Usando la parola "[[w:distillazione clandestina|bootlegger]]" Miller sa che il lettore sarà immediatamente in grado di collocare il romanzo in tempo e ambiente. Similmente, in ''Nexus'' abbiamo la versione particolare del narratore sulla ''[[w:Età del jazz|Jazz Age]]'':
{{q|At Sheridan Square we hopped out. No trouble finding a joint. The whole Square seemed to be belching tobacco smoke; from every window there came the blare of jazz, the screams of hysterical females wading in their own urine; fairies, some in uniform, walked arm in arm, as if along the Promenade des Anglais, and in their wake a trail of perfume strong enough to asphyxiate a cat. Prohibition was a wonderful thing. It made everyone thirsty, rebellious and cantankerous. Especially the female element. Gin brought the harlot out. What filthy tongues they had. Filthier
than an English whore’s.|Miller, 1960, p. 153}}
Miller ambienta la narrazione all'interno di un ampio quadro storico, collegando la partenza di Mona e Stasia per Parigi con il volo di [[w:Charles Lindbergh|Lindbergh]] attraverso l'Atlantico. C'è l'inclusione di persone reali in ''Nexus'', che non hanno più alias come in ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'', anche se va notato che i protagonisti principali hanno ancora nascoste le loro vere identità. Quando il narratore e Stasia discutono delle persone famose che hanno incontrato, le persone sono reali, a differenza di Apollinaire in ''Tropic of Capricorn'' o ''Matisse'' in ''Tropic of Cancer'' "Thus far in my life I have met only two writers whom I could call artists: John Cowper Powys and Frank Harris. The former I knew through attending his lectures; the latter I knew in my role as merchant tailor, the lad, in other words, who delivered his clothes, who helped him on with his trousers" (Miller, 1960, p. 304). Incorporando i nomi delle celebrità nelle sue opere, Miller vi aggiunge un livello di autenticità storica e biografica. Tanto per la cronaca, Miller incontrò Cowper Powys e Harris esattamente come descritto nello stralcio. È discutibile se veramente ''The Rosy Crucifixion'' abbia preso materiale complesso e lo abbia reso più facile da capire. Sono d'accordo sul fatto che Miller volesse rendere più accessibile la narrativa della sua vita e direi che sia le analisi di Nelson che quelle di Gordon sono corrette. Man mano che Miller divenne più sicuro di sé e meno nevrotico riguardo al suo passato, è chiara la sua nuova fiducia nell'affrontare il materiale. Andrei oltre e sosterrei che man mano che le credenze buddhiste di Miller divennero più influenti nel tempo, egli iniziò a praticare un certo distacco da episodi dolorosi; fu in grado di uscire dai tumultuosi detriti emotivi e rivalutare quel periodo di sette anni con chiarezza. Tale riesame e rivalutazione probabilmente non risultarono nella letteratura "impegnata" sulla scala di ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'', ma mostrano la progressione di Miller verso una nuova comprensione del suo passato e un'eventuale rottura da esso.
Ciò che distingue anche ''The Rosy Crucifixion'' come opera molto diversa da ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'' è il modo in cui Miller si allontana da una rappresentazione rigorosamente bergsoniana dell'atemporalità. Al posto di Durata e compenetrazione, abbiamo ''"flash forward"'' e le intrusioni del narratore. Ogni impressione di "osmosi" è sostituita da rigide divisioni di tempo. Miller utilizza tecniche associate alle autobiografie convenzionali; tempi chiari, ricordi e lezioni apprese:
{{q|The Poles were a race apart and their language clung to me like smoking ruins from a past I had never known. How was I to guess then, that one day I would be riding through their outlandish world in a train filled with Jews who shivered with fear whenever a Pole addressed them? Yes, I would be having a fight in French (me, the little shit from Brooklyn) with a Polish nobleman – because I couldn’t bear to see these Jews cowering in fear. I would be travelling to the estate of a Polish count to watch him paint maudlin pictures for the Salon d’Automne. How was I to imagine such an eventuality, riding through the swamplands with my savage, bile-ridden friend Stanley? How could I believe that, weak and lacking ambition, I should one day tear myself away, sever all ties, look back on this which I am riding through as if it was a nightmare told by an idiot in a railway station on a bitter cold night when you change trains in a trance?|Miller, 1949, pp. 87-88}}
Ci sono diversi momenti che vengono ricordati in questo brano, il periodo che viene ricordato, il periodo in Francia e "this day", ma sono tutti distinti. Questa rigida separazione del passato dal presente mostra quanto Miller si sia allontanato da Bergson. Si potrebbe anche sostenere che Miller stia finalmente stabilendo la separazione tra se stesso e il narratore. Si potrebbe sostenere che la stessa atemporalità bergsoniana sia del ''Tropic of Cancer'' che del ''Tropic of Capricorn'' consente loro di esistere separati dal mondo; la loro introspezione li isola dalla realtà vissuta fuori dalla sfera di Miller. ''The Rosy Crucifixion'' è l'opposto; vuole essere localizzato, collocato nel suo tempo. Direi che questo è perché Miller sta cercando di mostrare movimento; sia in senso bergsoniano di propulsione in avanti, ma anche in senso buddhista Zen. Miller vuole che il lettore si impegni con la narrazione della sua vita da una prospettiva spirituale e, di conseguenza, il narratore interrompe costantemente la storia per impartire un po' di saggezza spirituale, "If I had come across this piece of wisdom in the period I am writing of I doubt if it would have had any effect on me" (Miller, 1953, p. 490), e più avanti nel romanzo, "At my elbow, as I write these lines is a photograph torn from a book, a photograph of an unknown Chinese sage who is living today" (Miller, 1953, p. 562). Miller sta segnalando ciò che vuole che il lettore capisca e una conseguenza di ciò è una consapevole semplificazione dei dispositivi narrativi. Miller è attento a separare chiaramente i diversi periodi di tempo, anche nelle poche sequenze oniriche di ''The Rosy Crucifixion'' viene chiarito al lettore che il tempo lineare è stato spostato solo brevemente, "That night I had a very disturbing nightmare..." (Miller, 1953, p. 228). Mentre la mescolanza dei tempi all'interno di un paragrafo, a volte all'interno di una frase in ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'', si aggiunge all'esperienza sconcertante per il lettore, Miller è piuttosto deliberato nel suo uso in ''The Rosy Crucifixion''. È finita la corsa alle immagini e alla compenetrazione, sostituita da introduzioni piuttosto ortodosse ai capitoli di ''Plexus'', "Once again we are living in a sedate neighbourhood, not far from Fort Greene Park" (Miller, 1953, p. 323) e" With the turn of the solstice a new phase of existence has opened for us – not in the sunny South but in Greenwich Village" (Miller, 1953, p. 350) oppure "Back to the old homestead, or to put it another way – back to the street of early sorrows. Mona lives with her family, I with mine" (Miller, 1953, p. 450).
C'è una notevole differenza nel modo in cui lo stesso periodo è rappresentato in ''Tropic of Capricorn'' e in ''The Rosy Crucifixion'', con la storia personale che sostituisce le impressioni più generali. Continuando a sostituire lo sperimentale con dispositivi convenzionali, Miller inizia a utilizzare accorgimenti di trama piuttosto goffi per quanto riguarda il tempo. ''Sexus'' termina con un salto temporale, "Let us jump a few years – into the pot of horror" (Miller, 1949, p. 489). Alla fine di ''Sexus'', il narratore è distrutto dalla relazione lesbica di sua moglie ed è da lei apertamente umiliato, "‘Hush, hush!’ she said, and sticking her tongue out, she licked my face. ‘You dear, lovely little creature!’ ‘Woof! Woof!’ I barked. ‘Woof!, woof, woof!’" (Miller, 1949, p. 506). ''Plexus'' continua la storia in ordine cronologico, ma piuttosto che il ritratto dell'uomo distrutto che abbiamo lasciato in ''Sexus'', ''Plexus'' si apre con il narratore sempre più irritato da sua moglie e dalle sue stranezze. Abbiamo la stessa storia, raccontata in ordine cronologico, ma dando rappresentazioni dell'episodio del tutto disparate. Si potrebbe attribuire questo a una scrittura pigra da parte di Miller o semplicemente a una cattiva scrittura come gli disse Durrell.<ref>In una lettera a Miller datata 5 settembre 1944, Durrell critica fortemente ''Sexus'' e il nuovo stile di Miller: "Received Sexus from Paris and am mid-way through volume II. I must confess I’m bitterly disappointed in it... the moral vulgarity of so much of it is artistically painful... what a pity, what a terrible pity for a major artist not to have critical sense enough to husband his forces, to keep his talent aimed at the target. What on earth possessed you to leave so much twaddle in? I understand that with your great sweeping flights you occasionally have to plough through an unrewarding tract of prose. But the strange thing is that this book
gives very little feeling of real passion... But really this book needs taking apart and regluing... All the wild
resonance of Cancer and Black Spring has gone – and you have failed to develop what is really new in your prose, and what should set a crown on your work – the new mystical outlines are all there; but they are lost, lost damn it in this shower of lavatory filth which no longer seems tonic and bracing, but just excrementitious and sad. One winches and averts the face." (MacNiven, 1988, pp. 232-233)</ref>
Tuttavia, ciò che Miller sta effettivamente facendo è cercare di portare suspense nei suoi romanzi. Vuole che al lettore rimanga un senso di dramma, che voglia sapere cosa accadrà dopo. Questo è uno stratagemma abbastanza comune nella scrittura autobiografica, ma l'uso che ne fa Miller è pesante. Usa un dialogo piuttosto goffo per indicare ciò che verrà dopo, "Wonderful while it lasted. Just ducky. I had lost all interest in my job. All I thought of was to begin writing... Things were definitely riding to a fall" (Miller, 1953, p. 15). Usando frasi come "while it lasted" Miller rende ovvio che la situazione si deteriorerà e il lettore scoprirà perché se continua a leggere. Miller continua a usare il tempo presente, usandolo per introdurre una nuova fase nella storia e per dare l'impressione del saggio narratore che può scrutare tutto: "It is only for a few brief months that this heavenly period lasts. Soon it will be nothing but frustration. Until I get to Paris only three short scripts will ever be published – the first in a magazine dedicated to the advancement of the coloured people, the second in a magazine sponsored by a friend and which has but one issue, and the third in a magazine revived by good old Frank Harris" (Miller, 1953, p. 79). C'è la sensazione che Miller si stia contenendo, usa termini come "But I am getting ahead of myself..." (Miller, 1953, p. 84). È uno sforzo per lui attenersi a una struttura temporale lineare, mantenere in ordine sequenza dopo sequenza. Questo è in diretto contrasto con ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'', dove la narrazione è fluida e aperta.
Nel tentativo da parte di Miller di registrare questo periodo di sette anni della sua vita il più fedelmente possibile, deve scegliere consapevolmente di allontanarsi non solo dalla natura sperimentale della sua scrittura, ma anche dalla compenetrazione bergsoniana. Sacrifica l'innovazione per l'accessibilità. Molti critici, in accordo con Lawrence Durrell, vedono ''The Rosy Crucifixion'' come un declino nell'abilità letteraria di Miller. Non sono necessariamente in disaccordo con loro, ma se uno guarda oltre il merito puramente letterario dell'opera, si può forse vedere cosa Miller stava cercando di fare. ''The Rosy Crucifixion'' è stato scritto dal 1949 al 1960 e riflette i cambiamenti avvenuti con Miller. Quello che possiamo constatare è Miller che lavora attraverso quello che credeva essere il periodo cruciale di sette anni della sua vita che lo aveva formato: mentre rivaluta questo periodo la sua percezione di esso cambia. Vede la sua vita come un viaggio spirituale e porta quella sensibilità nella trilogia stessa. Vuole che venga letta, quindi la rende più leggibile. Ha una chiara comprensione del suo passato, quindi vi porta chiarezza nella sua rappresentazione. Miller non sta negando l'influenza di Bergson, ma l'incorpora nella sua coscienza e va avanti, va oltre. ''Tropic of Cancer'' e ''Tropic of Capricorn'' mostrano come la filosofia di Bergson possa essere espressa in prosa, permettendo a Miller di sperimentare con tempo, rima e linguaggio. Nel 1949 con la pubblicazione di ''Sexus'', Miller aveva trovato la sua voce autentica e aveva fiducia in se stesso come scrittore. Voleva esplorare il suo passato da una posizione di sicurezza e inquadrarlo come un viaggio spirituale.
== Note ==
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[[Categoria:La Filigrana Zen di Henry Miller|Henry Miller e Henri Bergson]]
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La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Surrealismo
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{{La Filigrana Zen di Henry Miller}}
{{Immagine grande|Portrait of Henry Miller LCCN2004663334.jpg|350px|Primo piano: Henry Miller, 1940}}
<div style="color: teal; text-align: center; font-size: 0.8em;">After everything had quietly sifted through my head a great peace came over me.<br/>Here, where the river gently winds through the girdle of hills, lies a soil so saturated with the past<br/>that however far back the minds roams one can never detach it from its human background.<br/>Christ, before my eyes there shimmered such a golden peace that only a neurotic<br/>could dream of turning his head away. (''Tropic of Cancer)</div>
= Rifiuto del Messaggio Automatico: Henry Miller e il Surrealismo =
[[File:André Breton.JPG|right|240px|thumb|<small>[[w:André Breton|André Breton]] (1924), poeta e teorico del [[w:Surrealismo|Surrealismo]]</small>]]
Uno dei campi più fruttuosi dello studio di Miller è stato quello di valutare il suo lavoro attraverso i modi in cui è stato influenzato dal [[w:Surrealismo|Surrealismo]]. Importanti studi accademici di riferimento hanno incluso ''Henry Miller and Surrealist Metaphor: Riding the Ovarian Trolley'' (1996) di Gay Louise Balliet, ''A Self-Made Surrealist: Ideology and Aesthetics in the Work of Henry Miller'' (2000) di Caroline Blinder e, più recentemente, ''Henry Miller and the Surrealist Discourse of Excess'' (2001) di Paul Jashan. Nell'ultima antologia accademica che offre una rivalutazione del lavoro di Miller, ''Henry Miller: New Perspectives'' (2015), il saggio di Sarah Garland "A Surrealist Duet: Word and Image in Into the Night Life with Henry Miller and Bezalel Schatz" continua questa lunga tradizione. Pur riconoscendo quanto possa essere utile leggere Miller tramite il prisma del Surrealismo e quanto siano state importanti queste opere nello stabilire Miller come scrittore meritevole di una ricerca approfondita, direi che forse è più produttivo vedere la relazione di Miller con il Surrealismo come uno di contemplazione, impegno ma, in definitiva, rifiuto. Miller iniziò con una visione romanticizzata del Surrealismo, ebbro del suo senso di liberazione personale e creativa dopo il suo trasferimento a Parigi, percependo il Surrealismo come simbolo di una cultura più aperta e intellettuale; il prodotto di un paese che celebrava e rispettava le arti in diretto contrasto con le esperienze di Miller in America. Possiamo vedere la gioia di Miller per la sua nuova libertà in una lettera che inviò in patria al suo amico Emil Schnellock nel 1930, solo un mese dopo essere venuto a Parigi:
{{q|A bookstore with some of Raoul Dufy's drawings in the window. Drawings of charwomen with rosebushes between their legs. An album of Cocteau's Dessins. Exhibition inside of Kandinsky's latest. A treatise on the philosophy of Jean Miro. Then my eye falls on something of rare interest: a book by a Frenchman, illustrated by himself. It is called ''A Man Cut in Slices''. Each chapter begins “the same in the eyes of his family,” “the same in the eyes of his mistress,” etc. I read a few lines and my heart leaps with joy. It is another piece of Surrealism. I believe in it with all my heart. It is an emancipation from classicism, realism, naturalism, and all the other outmoded isms of past and present. Why must literature lag behind painting and sculpture and music? Why must we consider always the intelligence of the reader? Is it not for the reader to endeavor to understand us?|Miller, 1991, p. 28}}
Nonostante la barriera linguistica, Miller era determinato a raggiungere e prendere parte al gruppo surrealista, arrivando al punto di scrivere quella che equivaleva a una lettera di apprezzamento a [[w:Luis Buñuel|Luis Buñuel]] dopo la proiezione di ''[[w:Un chien andalou - Un cane andaluso|Un Chien Andalou]]''. Scrisse anche una serie di articoli su film e artisti surrealisti: ''The Golden Age'' su Bunuel e ''L’Age d'Or'' di Dalì, ''Scenario'' un tentativo di sceneggiatura per un film surrealista basato su ''House of Incest'' di Anaïs Nin (1936), ''The Eye of Paris'' (1937) sul fotografo Brassai, culminando con "An Open Letter to Surrealists Everywhere" (1939), una critica all'ideologia del movimento stesso. "Scarcely anything has been as stimulating to me as the theories and the products of the Surrealists" (Miller, 1939, p. 188), scrisse Miller nel 1938, vicino alla fine del suo soggiorno a Parigi. La parola chiave qui è "stimulating": Miller usò il Surrealismo come piattaforma intellettuale da cui esplorare particolari interessi che già aveva, in particolare il ruolo dell'Inconscio nella scrittura e quale ruolo politico, se del caso, dovrebbe avere lo scrittore. Come dimostrerò, per quanto Miller ammirasse i surrealisti, il più delle volte non era d'accordo con loro. Per quanto interessanti fossero le idee di Breton sull'[[w:Manifesto surrealista|Automatismo]], Miller alla fine lo respinse quasi del tutto e trovò la posizione politica del surrealista francamente incomprensibile. Ciò che penso che il Surrealismo abbia davvero simboleggiato per Miller è ciò che Rank chiamava "l'ideologia dell'arte" del suo tempo. Come ho già dimostrato nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Otto Rank|Capitolo 1]]''', secondo Rank l'artista deve comprendere, partecipare, ma alla fine scartare e superare il movimento artistico prevalente del suo periodo. Piuttosto che essere una grande influenza sulla scrittura di Miller o sulla sua concettualizzazione di se stesso come artista, il Surrealismo è stato un test che Miller ha dovuto completare per passare al livello successivo della sua vita artistica nel modello Rankiano. Parimenti, sosterrò che la resistenza di Miller all'Automatismo è profondamente radicata nel concetto bergsoniano secondo cui lo scrittore deve impegnarsi, rivalutare e partecipare attivamente al processo creativo piuttosto che saltare direttamente allo stato puro di creatività promesso dall'Automatismo. Esaminando la relazione di Miller col Surrealismo attraverso l'ambito di Automatismo/Inconscio e impegno politico, mostrerò come Miller fosse affascinato, ma alla fine respingesse i principi basilari del Surrealismo come falsi.
È importante in primo luogo capire esattamente cosa intendesse André Breton per ''[[w:Manifesto surrealista|Automatismo]]'' e in secondo luogo perché fosse di tale interesse per Miller.<ref>Miller e Breton non furono amici durante il periodo di Miller a Parigi, tuttavia si scrissero spesso negli anni successivi, si veda: Branko, A. (2008) "The Unpublished Correspondence of Henry Miller and Andre Breton, the Steady Rock 1947-1950". ''Nexus: The International Henry Miller Journal'', 5, pp. 150-174. Breton partecipò alla difesa di Miller durante la lotta per la pubblicazione dei suoi libri senza la minaccia di procedimenti giudiziari in Francia nel 1946. ''Un comite de defence d'Henry Miller'' includeva Breton, Bataille, Satre, Camus e Gide più altri noti scrittori francesi, che pubblicarono oltre 200 articoli a sostegno dell'opera di Miller: si veda il capitolo 6 di Ladenson, E. (2012) ''Dirt for Art’s Sake: Books on Trial from Madame Bovery to Lolita''. Cornell University Press, Ithaca.</ref> Uno dei principali mezzi di espressione surrealista era la scrittura automatica, come definita da Breton in "The Automatic Message" (1933). L'Automatismo si fondava principalmente sull'affermazione che un flusso di parole non censurato e senza alcun abbellimento cosciente poteva in effetti indicare profonde verità metafisiche e universali. Questo era essenziale per Breton poiché credeva che fosse l'unico modo per trascrivere accuratamente l'Inconscio, credendo che l'Inconscio avesse un linguaggio distintivo, quello che caratterizzava come un ''"murmure"'', un mormorio che esiste contemporaneamente nella mente umana, e che in circostanze normali è oscurato dalla nostra razionalità. I nostri impulsi antisociali e sovversivi sono incorporati nel mormorio e devono essere negati e controllati per mantenere un'interazione sociale civile. I surrealisti erano felici di ritrarre l'Automatismo come una prospettiva originale sul rapporto tra creatività e punto di vista irrazionale. Tuttavia, non furono certo i primi a esplorare questo tema e stavano anche attingendo pesantemente alle esperienze di lavoro di Breton negli ospedali psichiatrici militari durante la prima guerra mondiale. Avendo una formazione medica di base, per favorire la propria ipotesi Breton fu in grado di utilizzare precedenti ricerche mediche in manicomi in cui i pazienti erano affetti da follia generante particolari forme di riacutizzazioni isteriche di carattere irrazionale. [[w:Max Ernst|Max Ernst]] lo aveva anche introdotto al lavoro di [[:en:w:Hans Prinzhorn|Hans Prinzhorn]],<ref>'''[[:en:w:Hans Prinzhorn|Hans Prinzhorn]]''' nacque a Hemer, Westfalia nel 1886. Conseguì il dottorato presso l'Università di Vienna in Storia dell'Arte e Filosofia nel 1908. In seguito si specializzò in medicina e psichiatria, prestando servizio come chirurgo dell'esercito durante la prima guerra mondiale. Nel 1919 lavorò presso l'Università di Heidelberg, principalmente ampliando la collezione d'arte esistente, prodotta da pazienti mentali, iniziata da Emil Kraepelin. Continuò a lavorare in questo campo anche dopo aver lasciato la sua posizione, e nel 1922 completò ''Artistry of the Mentally Ill'' (1972) Springer Publishing, New York, uno dei primi studi accademici sull'arte come mezzo per comprendere la malattia mentale. Il suo lavoro non fu preso sul serio all'interno dei circoli accademici e non riuscì a trovare un'altra posizione universitaria. Morì di tifo nel 1933. La sua ricerca fu, purtroppo, utilizzata dai nazisti nella loro mostra di Arte Degenerata del 1937. Per un esame dell'importanza della collezione si veda: Bussine, L. (1998) ''Beyond Reason: Art and Psychosis – Works from the Prinzhorn Collection. University of California Press, Oakland.</ref> il celebre psichiatra e storico dell'arte tedesco che aveva analizzato le opere d'arte dei pazienti mentali riscontrando connessioni tra l'autoespressione e la malattia. Come dimostra Blinder, tale ricerca medica, in combinazione con un'attrazione per lo spiritismo popolare dal diciannovesimo secolo fino a post-prima guerra mondiale, alimentò un interesse generale per il soprannaturale e, per i surrealisti, la nozione di voci ed echi da altre dimensioni. Questo col tempo lasciò il posto a ciò che i surrealisti chiameranno "le merveilleux", il meraviglioso come essenza del sé, spogliata da razionalità e ragione. Chi meglio dell'artista e scrittore per essere la nostra guida in questa nuova terra? Eliminando l'ordine, la struttura e la tecnica, l'artista e lo scrittore potevano scoprire e accedere alla vera creatività del meraviglioso attraverso l'impiego della scrittura e del disegno ''automatici''.
La difficoltà dell'Automatismo era come inquadrare il suo valore. Come avere una struttura che sostenesse un sistema di scrittura che fondamentalmente non poteva essere predeterminato, ma aveva comunque un significato creativo? Lo stesso Breton lo riconobbe quando scrisse che è praticamente impossibile "grasp involuntary verbal representation and fix it on the page without imposing on it any kind of qualitative judgment" (Breton, 1978, p. 97). Breton capì che uno dei problemi principali dell'Automatismo è che poteva essere visto come una strategia calcolata per conferire alla mente delle capacità che è impossibile classificare. Breton, anticipando tali critiche, si mise subito sulla difensiva:
{{q|I will not hesitate to say that the history of automatic writing in surrealism has been one of continuing misfortune. But the sly protests of the critics ...aggressive on this point will not prevent me from acknowledging that for many years I have counted on the torrent of automatic writing to purge, definitively, the literary stables.|Breton, 1978, p. 100}}
L'Automatismo doveva offrire qualcosa di nuovo, differenziato dalle categorizzazioni prevalenti della creatività, per fornire sia un quadro di attualità che un obiettivo riconoscibile:
{{q|It remains for us to suppress... both that which oppresses us in the moral order and that which "physically", as they say, deprives us of a clear view. If only, for instance, we could have these celebrated trees cleared out of the way! The secret of surrealism lies in the fact that we are convinced something is hidden behind them. Now one
needs but examine the various methods of doing away with trees to perceive that only one of them remains to us, depending in the final analysis, on our power of voluntary hallucination.|Breton, 1978, p. 45}}
Non è difficile discernere l'influenza delle "allucinazioni volontarie" di Breton su Miller durante il suo soggiorno a Parigi. Alcuni passaggi in ''Tropic of Cancer'' giocano con allucinazioni e scrittura in [[w:flusso di coscienza|flusso di coscienza]]:
{{q|Tania, where now is that warm cunt of yours, those fat, heavy garters, those soft, bulging thighs? There is a bone in my prick six inches long. I will ream out every wrinkle in your cunt, Tania, big with seed. I will send you home to your Sylvester with an ache in your belly and your womb turned inside out. Your Sylvester! Yes, he knows how to build a fire, but I know how to inflame a cunt. I shoot hot bolts into you, Tania, I make your ovaries incandescent. [...] After me you can take on stallions, bulls, rams, drakes, St. Bernards. You can stuff toads, bats, lizards up your rectum. You can shit arpeggios if you like, or string a zither across your navel. I am fucking you, Tania, so that you'll stay fucked. And if you are afraid of being fucked publicly I will fuck you privately. I will tear off a few hairs from your cunt and paste them on Boris' chin. I will bite into your clitoris and spit out two franc pieces...|Miller, 1934, p. 5}}
C'è una qualità allucinatoria nella scrittura di Miller in questo stralcio. Non è un cosiddetto resoconto normale di un sogno sessuale ad occhi aperti nel senso che perde molto rapidamente la percezione di tempo lineare: scrive di ciò che ha fatto e di ciò che farà a Tania, un esempio di compenetrazione bergsoniana. Le immagini sembrano sovrapporsi e c'è un senso di velocità crescente nella prosa, un aumento di tensione, sia sessuale che letteraria. Oltre a questo abbiamo una varietà di immagini che non sembrano appropriate all'argomento; l'immaginario animale può essere appena comprensibile, anche se un po' bizzarro, ma la peculiare inclusione di strumenti musicali e lo sputar fuori "two franc pieces" è un ottimo esempio di scrittura a flusso di coscienza. L'effetto complessivo è di movimento inarrestabile, un impeto di creatività che colloca il non-familiare nell'identificabile; la réverie sessuale riconoscibile è sostituita da episodi surreali di immagine-memoria.
Tutte e tre le opere prodotte da Miller durante quel decennio, ''Tropic of Cancer'', ''Black Spring'' (1936) e ''Tropic of Capricorn'' (1939) mostrano tracce di Miller alle prese con concetti surrealisti. Le domande che Miller si pone, fortemente influenzato dalle sue letture di Rank e Bergson, sono spesso interpretate attraverso parametri surrealisti. In ''Black Spring'' Miller abbraccia l'idea dell'Automatismo e della rottura con la realtà, entrando davvero nella creatività inconscia:
{{q|I am in the hands of unseen powers. I put the typewriter away and I commence to record what is being dictated to me. Pages and pages of notes, and for each incident I am reminded of where to find the context... I am exultant and at the same time I am worried. If it continues at this rate I may have a haemorrhage. About three o’clock I decide to obey no longer. Someone is dictating to me constantly- and with no regard for my health. I tell you, the whole day passes this way, I’ve surrendered long ago. O.K., I say to myself. If it’s ''ideas'' today, then it’s ideas. ''Princesse, a vos ordres''. And I slave away, as though it were exactly what I wanted to do myself. After dinner I am quite worn out. The ideas are still inundating me, but I am so exhausted that I can lie back now and let them play over me like an electric message... The pencil is in my hand again, the margin crammed with notes. It is midnight. The dictation has ceased. A free man again.|Miller, 1936, pp. 60-61}}
All'interno di questo brano possiamo vedere Miller sia abbracciare che rifiutare l'Automatismo e per estensione il Surrealismo stesso. Miller all'inizio si trova "esultante" mentre le parole si riversano da lui, un portale creativo si è aperto, il suo inconscio si scatena, ma ha presto dubbi sulla sua fecondità letteraria. Non ha alcun controllo sulle parole o su come vengono fuori, questo è il punto cruciale dell'Automatismo e Miller ne è spaventato. Miller è intellettualmente passivo, è semplicemente il recipiente attraverso il quale vengono le parole: è davvero diverso dalla macchina da scrivere o da carta e matita? È esausto e incapace di continuare, quando finisce il "dettato" ha perso ore, ma è finalmente "a free man again". Ciò che attrae Miller nell'Automatismo è l'idea di spazzare via i vecchi modi di scrivere convenzionali. Vuole vedere la letteratura rinvigorita, il linguaggio usato per riflettere il presente. L'idea di convenzione letteraria è ripugnante per Miller quanto lo è per i surrealisti; tuttavia, dove differiscono radicalmente è nel ruolo dello scrittore nel plasmare la propria opera. Miller non ha interesse a essere un tramite verso il meraviglioso, vuole plasmare direttamente questo proprio lavoro. Per Breton, la passività o ciò che egli chiama "disattenzione e indifferenza" deve essere praticata in ogni momento:
{{q|...an inevitable delectation (after the fact) in the very terms of the texts obtained, and in particular in the images and symbolic figurations abounding in them, has had a secondary effect of diverting most of their authors from the inattention and indifference which, at least during the production of such texts, must be maintained. This attitude, instinctive in those who are used to appreciating poetic value, has had the vexing consequence of giving the participant an immediate awareness of each part of the message received.|Breton, 1978, p. 107}}
Non appena lo scrittore cerca di plasmare la sua opera, l'effetto impreciso della memoria e della personalità diventa evidente. Il disturbo all'Automatismo causato dalla memoria e dalla personalità dello scrittore porta alla contaminazione dello scrittore come trasmettitore del messaggio Automatico. Come hanno notato altri critici, portato alla sua logica conclusione, l'Automatismo trasforma gli scrittori in macchine, i ''media'' della creatività piuttosto che gli architetti. Miller non riesce a comprendere l'arte umana priva di memoria e personalità o, del resto, il ruolo attivo dello scrittore nella propria creatività. L'affidamento di Miller alla memoria come forza creativa ci riporta alla definizione di pensiero di Bergson come un processo continuo di divenire e può essere visto come parte integrante della struttura di Miller nella sua ricerca di un percorso individuale verso l'illuminazione:
{{q|In reading my books, which are purely autobiographical, one should bear in mind that... I have frequently discarded the chronological sequence in favour of the spiral or circular form of progression. The time sequence which relates one event to another in linear fashion strikes me as falsely imitative of the true rhythm of life. The
facts and events which form the chain of one's life are but the starting points along the path of self-discovery. I have endeavoured to plot the inner pattern, following the potential being who was constantly deflected from his course, who circled around himself, was becalmed for long stretches, sank to the bottom, or vainly essayed to
reach the lonely, desolate summits. I have tried to capture the quintessential moments wherein whatever happened produced profound alterations.|Miller, 1970, p. 101}}
All'interno di "An Open Letter to Surrealist Everywhere" (1939) vediamo Miller affrontare l'essenza stessa dei suoi problemi con il Surrealismo. "An Open Letter to Surrealist Everywhere" è un saggio sconclusionato che affronta una varietà di argomenti, che spesso sembrano andare fuori strada ma alla fine ci fornisce l'interpretazione molto personale di Miller sui punti di forza e di debolezza del movimento. L'area di esame iniziale di Miller è il rapporto tra la politica e l'artista, in particolare il ruolo che l'artista dovrebbe svolgere come arbitro di cambiamento. Il rapporto del Surrealismo con la politica di estrema sinistra,<ref>La politica del Surrealismo può essere caratterizzata come estrema sinistra, poiché comunismo, anarchismo e trotskismo furono tutti seguiti da diversi membri del gruppo in tempi diversi, si veda: Spiteri, R. e Lacoss, D. (2003) ''Surrealism, Politics and Culture''. Ashgate Publishing, Surrey, per un'analisi di come i surrealisti concettualizzavano l'arte come mezzo politico, il ruolo delle mostre come luoghi di lotta politica e l'influenza a lungo termine di questo sull'intellighenzia francese. Non sorprende che, considerando quanto fosse fratturata l'estrema sinistra durante questo periodo, i surrealisti riflettono le divisioni interne che erano evidenti nella politica di sinistra più ampia. Breton e i suoi compagni sostennero Leon Trotsky e la sua Opposizione Internazionale di Sinistra per un po', sebbene Breton divenne più esplicitamente anarchico dopo la seconda guerra mondiale nel suo sostegno alla Federazione Anarchica. Louis Aragon lasciò effettivamente il gruppo nel 1932 per impegnarsi a tempo pieno nel Partito Comunista; similmente, Benjamin Péret, Mary Low e Juan Breá, si schierarono con i comunisti, ma in seguito si unirono al POUM durante la guerra civile spagnola, si veda: Greeley, R.A. (2006) ''Surrealism and the Spanish Civil War''. Yale University Press, New Haven, per un esame dell'effetto profondo della guerra sull'arte surrealista ma anche della scissione tra surrealisti spagnoli e francesi. Wolfgang Paalen credeva in una completa scissione tra il gruppo e la politica. Dalí sostenne il sistema capitalista e la dittatura fascista di Franco in Spagna, tuttavia era abbastanza solo in questo e fu considerato un traditore da Breton.</ref> per quanto complesso, lasciava Miller indifferente. Miller poteva forse trovare un terreno comune su concetti come l'Automatismo e godersi il dibattito sulla follia nell'arte, ma non poteva comprendere o accettare le aspirazioni politiche del Surrealismo. Ciò che vediamo è la profonda sfiducia di Miller nei confronti del collettivo e il tributo che questo inevitabilmente esige dall'individuo.
Miller credeva che i surrealisti fossero diventati così politicizzati da essersi ingannati nel pensare che i movimenti artistici avessero il potenziale per una vera rivoluzione politica, quando per Miller l'unica speranza per cambiare la società proveniva dall'autoesame e dalla volontà individuale di auto-progresso. Il profondo scetticismo politico di Miller nasce dalla ferma convinzione che "There is no feasible scheme for universal liberation" (Miller, 1939, p.153) e, come tale, egli è diametralmente opposto alla struttura socialista di Breton per il Surrealismo, come anche ai quadri sfacciatamente ideologici per la letteratura in generale. Per Miller, la ricerca della libertà è vista in termini bergsoniani, rifiuta la razionalizzazione del creativo; il linguaggio e la concettualizzazione dell'artista politico lo confondono:
{{q|Creation is fundamentally personal and religious. It has nothing to do with liberty and justice, which are idle words signifying nobody knows precisely what. It has to do with making poetry, or, if you will, with making life a poem. It has to do with the adoption of a creative attitude towards life.|Miller, 1939, p. 152}}
"An Open Letter to Surrealists Everywhere" continua attaccando in dettaglio il principale surrealista, [[w:Paul Éluard|Paul Éluard]]. Miller considerava Éluard un amico personale e ammirava apertamente il suo lavoro, tuttavia per Miller Eluard era colpevole di due grandi peccati, in primo luogo la politicizzazione del suo lavoro e poi l'"abbassamento" del processo creativo per raggiungere il collettivo:
[[File:Eluard Harcourt 1945 2.jpg|240px|thumb|right|<small>[[w:Paul Éluard|Paul Éluard]] in 1945</small>]]
{{q|Below the belt all men are brothers. Man has never known soli-tude except in the upper regions where one is either a poet or a madman—or a criminal. “To-day,’ writes Paul Éluard, “the soli-tude of poets is breaking down. They are now men among men, they have brothers.’ It is unfortunately too true, and that is why the poet is becoming more and more rare. I still prefer the anarchic life; unlike Paul Éluard I cannot say that the word “fraternization” exalts me. Nor does it seem to me that this idea of brotherhood arises from a poetic conception of life... The brotherhood of man is a permanent delusion common to idealists everywhere in all epochs: it is the reduction of the principle of individuation to the least common denominator of intelligibility. It is what leads the masses to identify themselves with movie stars and megalomaniacs like Hitler and Mussolini... That Paul Éluard is desperately lonely, that he strives with might and main to establish communication with his fellow-man, I understand and subscribe to with all my heart. But when Paul Éluard goes down into the street and becomes a man he is not making himself un-derstood and liked for what he is—for the poet that he is, I mean. On the contrary, he is establishing
communication with his fellow-men by capitulation, by renunciation of his individuality, his high role. If he is accepted it is only because he is willing to surrender those qualities which differentiate him from his fellow-men and make him unsympathetic and unintelligible to them.|Miller, 1939, p. 151}}
Per Miller l'esperienza creativa è profondamente radicata nell'individuo, prevede un ottundimento di quel processo, e per difetto una mancanza di autenticità, quando è incatenato all'opportunità politica. Il ruolo dell'artista è quello di combinare l'esperienza creativa e quella vissuta per creare la verità — se questo poi porta gli altri a un percorso simile, ben venga. Condurre attivamente le masse a qualsiasi tipo di posizione, tuttavia, è un anatema per Miller. C'è una purezza nell'atto della creazione che è unicamente individuale e per Miller non è, e non può, essere parte di un dibattito politico più ampio. Scritto nel 1938, il saggio è pieno di presagi per ciò che accade a una società quando gli artisti rifiutano la loro posizione tradizionale e discendono alla politica delle masse:
{{q|The Surrealists are trying to open a magic chamber of man’s being through knowledge. That is where the fatal mistake lies. They are looking backwards instead of forwards. To discredit the world of reality, as they suggest, is an act of will, not of fate. What is really discredited is done silently, unostentatiously, and alone. People band together to proclaim an ideal, or a principle, to establish a movement, to organize a cult. But if they believed, each and every one wholeheartedly, they would have no need of numbers, nor of creeds, nor of principles, etc. The fear of standing alone is the evidence that the faith is weak. Man is happier when he is in a crowd; he feels safe and justified in what he is doing. But crowds have never accomplished anything, except destruction. The man who wants to organize a movement is invoking aid to help tear down something which he is powerless to combat singlehanded. When a man is truly creative he works single-handed and he wants no help. A man acting alone, on faith, can accomplish what trained armies are incapable of accomplishing. To believe in one’s self, in one’s own powers, is apparently the most difficult thing in the world. Unfortunately there is nothing, absolutely nothing, more efficacious than believing in one’s self. When a movement dies there is left only the memory of the man who originated the movement, the man who believed in what he was saying, what he was doing. The others are without name; they contributed only their faith in an idea. And that is never enough.|Miller, 1939, p. 184}}
Miller riconosce la necessità negli esseri umani di riunirsi nella speranza di ottenere un cambiamento politico, ma vede questo come un errore e un'illusione: nulla può essere realizzato dalle masse che non debba essere prima realizzato dall'individuo. Per Miller ciò che il collettivo politico simboleggia non è altro che la mentalità del gregge insita in ognuno di noi, un'incapacità di prevedere un autentico cambiamento individuale — piuttosto è più facile percepire il cambiamento all'interno dei confini accettabili, parametri che sono socialmente accettabili per lo ''status quo''. In termini bergsoniani, il cambiamento politico è diventato così concettualizzato da rendere obsoleta l'idea stessa.
L'artista deve vivere al di sopra delle preoccupazioni politiche del collettivo, quasi su un piano intellettuale più elevato, e quando cerca di entrare nella sfera politica deve rendersi conto della vera natura delle masse. Per Miller le masse erano qualcosa di cui sospettare, e le vedeva come intrinsecamente stupide, avide e facilmente guidate. Proprio per questo usa apertamente i nomi di Hitler e Mussolini per illustrare che le masse desiderano un dittatore, non la libertà. Per quanto nobili possano essere le convinzioni politiche dei surrealisti, Miller ritiene che le masse desiderino essere guidate, a destra o a sinistra, non fa alcuna differenza: l'istituzionalizzazione della politica è determinata in generale da una riduzione: "it is the reduction of the principle of individuation to the least common denominator of intelligibility" (Miller, 1939, p. 152). L'appello della politica richiede la degradazione dell'intelletto per fare appello alle masse idiote. Per Miller, il ruolo dell'artista è quello di "revive the primitive, anarchic instincts which have been sacrificed for the illusion of living in comfort" (Miller, 1939, p. 156). Questo stordimento dell'intelletto per fare appello alle masse ripugnava Miller, sia che provenisse dai dittatori di destra o dagli intellettuali di sinistra. Miller non chiedeva o vedeva la necessità di un leader:
{{q|I am not against leaders per se. On the contrary, I know how necessary they are. They will be necessary as long as men are insufficient unto themselves. As for myself, I need no leader and no god. I am my own leader and my own god. I make my own bibles. I believe in myself — that is my whole credo.|Miller, 1939, p. 158}}
L'atteggiamento di Miller nei confronti dell'impegno politico durante questo periodo ha ricevuto molta attenzione da parte della critica, soprattutto a causa di "[[:en:w:Inside the Whale and Other Essays|Inside the Whale]]" di [[w:George Orwell|George Orwell]] (1940), un saggio in tre parti che mescola una revisione superficiale della scrittura di Miller fino a quel momento, insieme a un attacco personale più aneddotico contro la passività politica di Miller, insieme a una panoramica generale della letteratura in quel momento, il tutto attraverso il prisma del racconto biblico di [[w:Libro di Giona|Giona e la Balena]]. Molti critici hanno visto "[[:en:w:Inside the Whale|Inside the Whale]]" come un attacco diretto a Miller; tuttavia lo vedo come una continuazione delle lettere che i due scrittori si erano scambiati alcuni anni prima.<ref>Per un approccio più sfumato alla relazione tra Orwell e Miller, si veda: Colls, R. (2013) ''George Orwell: English Rebel''. Oxford University Press, Oxford.</ref> Orwell ammirava molto Miller e viceversa, tuttavia qui si trovavano due scrittori che gravitavano verso poli opposti in relazione all'azione politica. Mentre Miller si sposta, o più precisamente si allontana, dalla politica e dall'azione collettiva, Orwell è più convinto che mai che questo sia un lusso che il mondo non può permettersi. Il concetto stesso di realtà per Orwell e per Miller è in netto contrasto:
{{q|I liked ''Tropic of Cancer'' especially for three things, first of all a peculiar rhythmic quality in your English, secondly the fact that you dealt with facts well known to everybody but never mentioned in print... thirdly the way in which you would wander off into a kind of reverie where the laws of normal reality were slipped just a
little but not too much... but I think on the whole in ''Black Spring'' you have moved too much from the ordinary world into a sort of Mickey Mouse universe where people and things don’t have to obey the rules of space and time. I dare say I am wrong and have missed your drift altogether, but I have a sort of belly-to-earth attitude and always feel uneasy when I get away from the ordinary world where grass is green and stones are hard etc.|Colls, 2013, p. 45}}
Mentre Miller inizia a giocare di più con i concetti bergsoniani di tempo e realtà nel suo lavoro e, fino a un certo punto, col Surrealismo (specialmente in ''Black Spring''), Orwell non riesce a fare il salto creativo insieme a lui. Ciò che Orwell fa è mettere Miller in contrasto con altri scrittori, mostrando quanto fosse fuori passo il pacifismo di Miller, ma anche quanto la passività, come la vedeva Orwell, fosse parte di un tutto più grande:
[[File:George Orwell, c. 1940 (41928180381) (cropped).jpg|240px|right|thumb|<small>[[w:George Orwell|George Orwell]] (1940)</small>]]
{{q|I first met Miller at the end of 1936, when I was passing through Paris on my way to Spain. What most intrigued me about him was to find that he felt no interest in the Spanish war whatever. He merely told me in forcible terms that to go to Spain at that moment was the act of an idiot. He could understand anyone going there from purely
selfish motives, out of curiosity, for instance, but to mix oneself up in such things from a sense obligation was sheer stupidity. In any case my ideas about combating Fascism, defending democracy, etc., etc., were all baloney. Our civilization was destined to be swept away and replaced by something so different that we should scarcely regard it as human — a prospect that did not bother him, he said. And some such outlook is implicit throughout his work. Everywhere there is the sense of the approaching cataclysm, and almost everywhere the implied belief that it doesn't
matter. The only political declaration which, so far as I know, he has ever made in print is a purely negative one. A year or so ago an American magazine, the ''Marxist Quarterly'', sent out a questionnaire to various American writers asking them to define their attitude on the subject of war. Miller replied in terms of extreme pacifism, an
individual refusal to fight, with no apparent wish to convert others to the same opinion — practically, in fact, a declaration of irresponsibility.|Orwell, 1961, p. 149}}
Direi che ciò che Miller sta praticando qui è il distattaccamento buddhista. Se qualcuno vuole fare la guerra per l'esperienza che comporta, quella è una sua scelta, ma farlo per un'ingenua convinzione in una causa o per dovere non ha senso. Orwell riconosce che Miller asserisce la sua posizione senza alcun tentativo di convertire gli altri alle sue convinzioni, vedendola attraverso l'incredulità come un'ammissione di irresponsabilità. Penso che questo dimostri ancora una volta quanto siano distanti Miller e Orwell, non solo politicamente, ma anche per quanto riguarda il modo in cui prevedono l'azione politica. Orwell non può concepire che si possa mantenere una credenza profondamente radicata e non cercare di convertire gli altri al proprio modo di pensare, mentre Miller ha una visione molto buddhista dell'azione e capisce che non ha senso se l'individuo non arriva a rendersene conto personalmente. Miller non vede alcuna differenza tra fascismo, comunismo e democrazia, perché sono tutte variazioni su un tema, truccate per costringere l'individuo a entrare nel collettivo, per mantenere lo ''status quo'' ottuso:
{{q|I am against revolutions because they always involve a return to status quo. I am against the status quo both before and ''after'' revolutions. I don’t want to wear a black shirt or a red shirt. I want to wear the shirt that suits my taste. And I don’t want to salute like an automaton either. I prefer to shake hands when I meet someone I like. The fact is, to put it simply, I am positively against all this crap which is carried on first in the name of this thing, then in the name of that. I believe only in what is active, immediate and personal.|Miller, 1961, p. 160}}
Miller nega le distinzioni politiche, credendo che una parte non sia migliore o peggiore dell'altra, perché tutti cercano di preservare un modo di vivere collettivo che Miller vede come un rifiuto fondamentale dell'individualità. Rivoluzione è una parola vuota e senza senso all'interno di quella che non è altro che retorica politica. Principalmente, la posizione di Miller è quella di un semplice individualista che non riconosce alcun obbligo a nessun altro, in ogni caso, nessun obbligo verso la società nel suo insieme: un modo espressamente individualistico buddhista di vedere la guerra in arrivo e come funzionare al suo interno. Orwell identifica la completa adesione di Miller alla fede nell'individualismo, ma piuttosto che riconoscere l'importanza delle riserve di Miller riguardo all'estetizzazione della politica all'interno dell'avanguardia, Orwell percepisce l'individualismo di Miller come un atteggiamento passivo. Orwell ha ragione nel percepire la passività di Miller, ma non credo che la capisca per quello che è veramente. Orwell è così intensamente politico che è molto difficile per lui vedere che la posizione di Miller non è quella di negazione o quella di un uomo intrinsecamente egoista incapace di pensare agli altri, ma la posizione di un uomo che ha preso una strada diversa, che rifiuta di partecipare a una situazione che vede come poco più di una pantomima sociale.
Le opinioni di Miller sulla guerra furono fortemente ispirate dalla sua lettura dello psicoterapeuta britannico E. Graham Howe. Esaminerò l'influenza di Howe su Miller in modo più dettagliato in relazione al buddhismo nel '''[[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo|Capitolo 4]]''', tuttavia, in breve, Howe vedeva la guerra come un gioco controllato di nozioni obsolete del bene contro il male / giusto contro errato, messo in scena e orchestrato dagli arbitri dello ''status quo'' politico. Miller e Orwell non sarebbero potuti provenire da posizioni più diametralmente opposte, sinceramente sostenute e inflessibili. Orwell sminuisce Miller, ridicolizzandolo per la sua vita letteraria a Parigi, isolata dalle realtà politiche che lo circondano:
{{q|When ''Tropic of Cancer'' was published the Italians were marching into Abyssinia and Hitler's concentration camps were already bulging. The intellectual foci of the world were Rome, Moscow, and Berlin. It did not seem to be a moment at which a novel of outstanding value was likely to be written about American dead-beats cadging drinks in the Latin Quarter. Of course a novelist is not obliged to write directly about contemporary history, but a novelist who simply disregards the major public events of the moment is generally either a footler or a plain idiot. From a mere account of the subject matter of ''Tropic of Cancer'' most people would probably assume it to be no more than a bit of naughty-naughty left over from the twenties.|Orwell, 1957, p. 10}}
I critici hanno osservato che il problema con "An Open Letter to Surrealists Everywhere" è che Miller non si dichiara chiaramente uno scrittore apolitico, mentre denigra coloro che vedono la loro responsabilità di agire e scrivere a sostegno di una credenza sincera. La critica di Miller agli scrittori politici e in particolare ai surrealisti è di nuovo ammantata di ideali rankiani. Lo scrittore deve affrontare la sua vita così com'è e poi farne dell'arte; ricadere sulla politica è negare la vita come opera d'arte in sé:
{{q|In every age, just as in every life worthy of the name, there is the effort to reestablish that equilibrium which is disturbed by the power and tyranny which a few great individuals exercise over us. This struggle is fundamentally personal and religious... One of the most effective ways in which it expresses itself is in killing off the tyrannical influences wielded over us by those who are already dead. It consists not in denying these examplars, but in absorbing them, assimilating them, and eventually surpassing them. Each man has to do this for himself. There is no feasible scheme for universal liberation.|Miller, 1939, p. 152}}
Il giudizio di Miller sui surrealisti è chiaramente rankiano, nel senso che accusa i surrealisti di non aver vissuto. Hanno permesso che la loro arte si separasse dalla loro vita e il risultato è che hanno smesso di vivere – di conseguenza le loro vite non sono più arte in se stesse e questa disconnessione li ha portati alla sterilità della politica:
{{q|It seems to me that this struggle for liberty and justice is a confession or admission on the part of all those engaging in such a struggle that they have failed to live their own lives. Let us not deceive ourselves about ‘humanitarian impulses’ on the part of the great brotherhood.|Miller, 1939, p. 157}}
Miller ignora le complessità della politica nel movimento surrealista e anche le divergenze tra i singoli surrealisti e il loro livello di impegno politico. Similmente, non riconosce il baluardo che il Surrealismo offriva all'intellighenzia di sinistra nell'era del [[w:realismo socialista|realismo socialista]] sovietico. Miller sarebbe stato ben consapevole di queste distinzioni, ma le avrebbe ritenute irrilevanti rispetto alla sua visione incrollabile del ruolo individuale dell'artista e dell'effetto tossico di artisti e scrittori che si posizionano all'interno della sfera politica — tuttavia a volte ciò porta a un Miller che semplifica eccessivamente la natura politica dei surrealisti e si apre alle accuse di travisamento del gruppo per adattarlo alla sua agenda, certamente non qualcosa di cui Miller non era stato colpevole prima e che non ne sarebbe stato di nuovo dopo il 1939.
L'antipatia di Miller per gli artisti che si impegnavano politicamente fu una posizione a cui arrivò abbastanza facilmente e sarebbe stato impossibile fargliela cambiare. L'altra domanda principale che affrontò in "An Open Letter to Surrealists Everywhere", tuttavia, non ebbe una risposta così facile. Nell'esaminare le opinioni di Miller sull'Automatismo, ho acennato alla divergenza tra le opinioni di Miller e quelle dei surrealisti sulla natura della creatività e su come tale creatività viene espressa. I surrealisti basavano gran parte del loro concetto sul ruolo dell'Inconscio nella creatività. Anche se non rientra nello scopo di questo Capitolo fornire un'analisi approfondita dell'influenza di Freud sui surrealisti, userò la teoria freudiana dell'Inconscio utilizzata da Breton.<ref>L'influenza di Freud sui surrealisti è ricca, complessa e varia. Per un'analisi di come i surrealisti avessero assorbito queste idee sia nella loro arte, ma anche nel loro concetto fondamentale di sé, vedere: Lomas, D. (2000) ''The Haunted Self: Surrealism, Psychoanalysis, Subjectivity''.Yale University Press, New Haven. Per una discussione su come i concetti freudiani abbiano influenzato le donne surrealiste, ma anche su come le loro controparti maschili abbiano riprodotto alcune ambiguità innate nell'opera di Freud relativa al genere, si veda: Lusty, N. (2007) ''Surrealism, Feminism, Psychoanalysis''. Ashgate Publishing, Surrey.</ref> Miller collegò il bisogno di azione politica dei surrealisti a un più ampio malessere sociale, l'incapacità di credere nel potenziale dell'individuo e la conseguente propensione a guardare verso l'Inconscio per una risoluzione:
{{q|Our world is suffering from mental disorders—from the insanities and neuroses of one form and another. Just as literature swings at times from the poetic to the prosodic, so nowadays we have the swing from the physical disorders to the mental, with the inevitable emergence of new types of genius cropping out among the mental healers. All that the creative personality demands is a new field for the exercise of its powers; out of the dark, inchoate forces, these personalities will, by the exercise of their creative faculties, impose upon the world a new ideology, a new and vital set of symbols. What the collective mass desires is the concrete, visible, tangible substance... This they can pore over, chew, masticate, tear to pieces or prostrate themselves before. Tyranny always works best under the guise of liberating ideas. The tyranny of ideas is merely another way of saying the tyranny of a few great
personalities.|Miller, 1939, p. 157}}
Ovviamente qui sono in gioco questioni molto più ampie, ma Miller è direttamente interessato a ciò che vede come "The exploration of the Unconscious which is now under way is a confession of the bankruptcy of the spirit" (Miller, 1939, p. 170) o, come dice Breton in "The Automatic Message", "the determination of the precise constitution of the subliminal" (Breton, 1934, p. 100). Entrambi arrivano al ruolo dell'Inconscio da punti molto diversi: quello di Miller è il sospetto, quello di Breton è la rivelazione. Miller non nega l'influenza che l'Inconscio ha sulla creatività, tuttavia più Breton tenta di determinarne i termini precisi, più Miller prova disagio, iniziando a vedere il processo creativo come castrato da esso piuttosto che rinvigorito. A questa preoccupazione si aggiunge il fatto che a Miller sembra che i surrealisti non pensino che l'Inconscio richieda un ulteriore esame in sé stesso come concetto:
{{q|The stress on the Unconscious forces of man does not necessarily imply the elimination of consciousness. On the contrary, it implies the expansion of consciousness. There can be no return to an instinctive life, and in fact, even among primitive men I see no evidence of purely instinctive life.|Miller, 1939, p. 189}}
Miller inizia a capire quale sia il suo vero problema con il Surrealismo e ci riporterà di nuovo al suo concetto di artista influenzato dalle sue letture di Bergson e Rank. Il rapporto tra il primitivo e l'istinto è alla radice della creatività sia per Miller che per i surrealisti. In parole povere, i surrealisti definiscono l'Inconscio nei termini di una potenza istintiva e comprensiva all'interno dell'umanità, suggerendo di conseguenza che un ritorno al primitivo libererà l'umanità dalla contaminazione soffocante della razionalità. Per Miller l'Inconscio non è visto in questi termini, non è il mezzo o la destinazione della vera creatività. Piuttosto, in termini rankiani, è l'incapacità di impegnarsi con l'attrito della vita. L'attrito tra l'Inconscio e il Conscio è essenziale per la visione della creatività di Miller; i surrealisti cercano l'assimilazione nell'Inconscio, mentre Miller richiede dissidenza e discordia. Sia Miller che i surrealisti usano la parola "primitive" nel senso positivo di una rottura libera dalle convenzioni, ciò su cui non sono d'accordo è come avviene tale rottura. È chiaro che i surrealisti hanno modificato la teoria dell'Inconscio di Freud per adattarla al loro argomento più ampio, e allo stesso modo la critica di Miller si basa sulla sua valutazione piuttosto antagonistica del freudismo, tuttavia ciò che le loro opinioni opposte sull'Inconscio fanno è di riportarci nuovamente all'Automatismo e all'individualità dell'artista.
La romanticizzazione surrealista del primitivo come terra promessa creativa a cui si accede attraverso l'Inconscio è profondamente sospetta per Miller, in quanto nega il razionale come parte integrante del processo creativo, ma anche che, giunto alla sua naturale conclusione, confuta il posto legittimo dell'artista equiparando l'istinto artistico a qualcosa che può essere curato. Poiché il surrealista abbraccia l'idea del disturbo mentale come un aspetto chiave dell'Inconscio, Miller lo vede come dannoso per la ricerca dell'artista di comunicare con la società. L'artista richiede rispetto per il suo ''medium'' se vuole essere in grado di collegarsi con il suo piccolo gruppo di individui che la pensano allo stesso modo — una designazione di follia, indossata come segno di orgoglio o meno, lo rende impossibile. L'Automatismo basato com'è sulle emanazioni dell'Inconscio, diventa il grande agente democratizzante del processo creativo. In teoria ognuno può incanalare il proprio Inconscio nell'invenzione così la posizione formalmente elitaria dell'artista diventa obsoleta o quantomeno ridotta. [https://www.google.co.uk/books/edition/A_Self_made_Surrealist/Qy8dFdaux3oC?hl=en Caroline Blinder] mostra che la comprensione di Breton delle radici dell'Automatismo nel linguaggio porterebbe a mettere da parte lo scrittore dal suo stesso lavoro:
{{q|Breton classifies as visual images that are liable to be actions or pictures of an external reality which by nature are already laden with significance, and which we as a result have a propensity to sentimentalise or understand according to our own psychological make-up. In Breton's rationale, Automatism's deference to words in themselves must be seen in the light of a complete stress on the impersonality of the manifestations. Breton, by concentrating exclusively on the legitimacy of the words rather than the artist from whom they come, looks to de-sentimentalise and depersonalise language. In order for Breton to do this he has to de-emphasise the writer's capacity to reason. Reason, as Breton understands it, is instrumental in "subjecting the works of the spirit to its irrevocable dogmas" and thus deprives us "of the mode of expression which harms us the least".|[https://www.google.co.uk/books/edition/A_Self_made_Surrealist/Qy8dFdaux3oC?hl=en Blinder, 2000, p. 24]}}
Breton collega la Coscienza e le inibizioni con la ragione, ribadendo la tesi dello scrittore che cede il controllo all'Inconscio, per liberarsi da un'altra forma di oppressione. Come dimostra Blinder, "If the instinctual and desire-driven in Freudian terms negatively impacts our potential as social beings, it confirms for the Surrealists that it is in actuality a radical way of subverting conventional social structures" (Blinder, 1999, p. 24). L'approccio più visionario di Miller è in qualche modo in contrasto con Breton poiché vede il convenzionale e il familiare come strano e spettacolare in sé e per sé e quindi giustifica la sua attenzione nel raccontare l'ordinario come straordinario. Ad esempio in ''Black Spring'' combina ininterrottamente per quasi tre pagine i nomi di personaggi famosi, persone comuni, oggetti e aziende, assorbendo la quotidianità nel romanzo attraverso elenchi. Eccone un breve estratto:
{{q|...And then suddenly, like Jacob when he mounted the golden ladder, suddenly all the voices of heaven break loose. Like a geyser spurting forth from the bare earth the whole American scene gushes up — American Can, American Tel&Tel, Atlantic and Pacific, Standard Oil, United Cigars, Father John, Sacco&Vazetti, Uneeds Biscuit, Seaboard Air Line, Sapolio, Nick Carter, Trixie Friganza, Foxy Grandpa...|Miller, 1936, p. 203}}
Miller usa le liste<ref>Sull'uso di elenchi e liste come modalità espressiva nella letteratura e nell'arte, si veda Umberto Eco, ''[[w:Vertigine della lista|Vertigine della lista]]'', Milano, Bompiani, 2009.</ref> come una forma di Automatismo per stabilire un senso del luogo, del tempo o dell'umore. Lo aveva anche usato con grande efficacia in ''Tropic of Cancer'':
{{q|Tania is a fever, too — ''les voies urinaires'', Café de la Liberte, Place des Vosges, bright neckties on the Boulevard Montparnasse, dark bathrooms, Porto Sec, Abdullah cigarettes, the adagio sonata ''Pathetique'', aural amplifications, anecdotal séances, burnt sienna breasts, heavy garters, what time is it, golden pheasants stuffed with chestnuts, taffeta fingers, vaporish twilights turning to ilex, acromegaly, cancer and delirium, warm veils, poker chips, carpets of blood and soft thighs.|Miller, 1934, p. 5}}
Per Miller, la facoltà visionaria dello scrittore funziona per portare una nuova visione del mondo immediato, qualcosa che gli oggetti in sé, per quanto peculiari e insoliti possano sembrare, non possono fornire:
{{q|The Surrealists themselves have demonstrated the possibilities of the marvelous which lie concealed in the commonplace. They have done it by juxtaposition. But the effect of these strange transpositions and juxtapositions of the most unlike things has been to freshen the vision... The vision precedes the arrangement, or rearrangement. The world doesn’t grow stale. Every great artist by his work re-affirms this fact. The artist is the opposite of the politically-minded individual, the opposite of die reformer, the opposite of the ideal-fat. The artist does not tinker with the universe: he recreates it out of his own experience and understanding of life. He knows that the transformation must proceed from within outward, not vice Versa. The world problem becomes the problem of the Self. The World problem is the projection of die inner problem. It is a process of expropriating the world, of becoming God. The striving toward this limit, the expansion of the Self, in other words, is what truly brings about the condition of the marvelous. Knowledge is not involved, nor power. But vision.|Miller, 1939, p. 157}}
Miller riconosce il concetto surrealista del meraviglioso, ma sente che hanno dimenticato la sua importanza nella loro ricerca del politico e la loro dipendenza dall'Inconscio per spiegare tutto. Miller ribadisce ancora una volta che non può esserci creatività autentica che non abbia origine dal [[w:Sé (coscienza)|sé]]. È qui che Miller fa una differenziazione che nella sua mente invalida ciò che i surrealisti stanno cercando di fare rispetto a ciò che vede se stesso fare. Entrambi sono interessati al meraviglioso, ma per Miller i surrealisti stanno reagendo "against the crippling, dwarfing harmony imposed by French culture" (Miller, 1939, p. 194), mentre la sua interazione con il meraviglioso è direttamente legata alla sua creatività. Miller sottolinea che la ricreazione dell'esperienza individuale non consente la retorica o l'azione politica se lo scopo è creare comunicazione, quindi tale comunicazione deve essere istintiva e individuale, ed è proprio questo bisogno di comunicare che è il segno del vero artista. L'indipendenza artistica dell'individuo non è la priorità assoluta dell'Automatismo, mentre per Miller si potrebbe quasi dire l'esatto contrario:
{{q|Will analysis, or revolution, or anything else dissolve this picture? Is understanding a goal in itself, or is understanding a by-product? Do we want a closer rapport between artist and collectivity, or do we want an increasing tension? Do we want art to become more communicative, or do we want it to be more fecundating? Do we want every man to become an artist and thus eliminate art?|Miller, 1939, p. 158}}
Miller chiude il cerchio nella sua critica dei surrealisti: per Miller il ruolo dell'artista è quello di creare e vivere autenticamente, poiché l'uno non è possibile senza l'altro — l'artista non è un membro normale della società. Non è possibile per tutti diventare artisti: per Miller artista è una designazione acquisita attraverso la sofferenza e l'allontanamento dalle comodità e dalle sicurezze della vita quotidiana. Non esiste un modo rapido per attingere alla propria creatività, nessuna botola speciale nella mente che può essere aperta su richiesta.
In ''A Self-Made Surrealist: Ideology and Aesthetics in the works of Henry Miller'', Caroline Blinder esplora uno dei racconti inediti di Miller "Last Will and Testament" scritto negli anni ’30, come esempio di una ''pastiche'' milleriana. Utilizza i tropi surrealisti della strutturazione casuale delle frasi giustapposti con l'erotico non convenzionale per prendere in giro quanto seriamente i surrealisti si prendessero:
{{q|The thing to know is if you are crazy or only making literature. To know si l'affaire est dans le sac! That when you turn around there is no shadow behind you or if you're asked for your carte d'identité you don't have to take off your gloves first. When I open the door I see a pair of socks lying on the floor of the closet; not to bend down and touch them with your hands but to quickly kick them about three inches to the left and rear. The post man wakes up at five thirty punkt; to know when to write without disturbing him. Everybody is alone, and it is worse to be alone when you are with people. If you lived on the same street all your life and there was no time, except at the end, several years later, when it is too late. Because it snows does not prove that time elapses.|Blinder, 1999, p.26}}
Blinder paragona la ''pastiche'' di Miller a ''The Immaculate Conception (L'Immaculée Conception)'' (1930) di Breton, fornendo un altro esempio della declinante pazienza di Miller con i surrealisti. Breton era ben consapevole dell'incredulità con cui venivano accolte alcune delle sue affermazioni. Nella sua introduzione a ''The Immaculate Conception'', potrebbe rivolgersi direttamente a Miller, anche se ovviamente non è così:
{{q|Finally, it must be pointed out that numerous pastiches have been recently put into circulation, texts not always easy to distinguish from authentic ones, since all criteria of origin are objectively absent. These few obscurities, these failures, these flounderings, these imitations, now more than ever require, in the interest of the activity we wish to conduct, a complete return to principles.|Breton, 1930, p. 92}}
[[File:Yvan Goll, Surréalisme, Manifeste du surréalisme, Volume 1, Number 1, October 1, 1924, cover by Robert Delaunay.jpg|240px|right|thumb|<small>[[w:Yvan Goll|Yvan Goll]], ''Surréalisme, Manifeste du surréalisme'', Volume 1, Numero 1, 1° ottobre 1924, copertina di [[w:Robert Delaunay|Robert Delaunay]]</small>]]
Se l'Automatismo è un tentativo genuino di creare una letteratura che di fatto si sottrae alle parabole convenzionali in modo non razionale e de-intellettualizzato, allora il fondamento stesso di ''The Immaculate Conception'', con la sua struttura e il simbolismo apertamente religioso, deve essere visto come una complicata istanza di "puro" Automatismo. Breton non sa come affrontare la probabilità che l'ampiezza intellettuale e l'attenta strutturazione del processo Automatico in sé stesso ne interroghino la chiarezza in termini di processo inconscio. Quello che Miller vedeva come un evidente paradosso era l'impiego di un discorso estremamente sofisticato per caratterizzare qualcosa di universale oltre che anti-razionale. È evidente che Miller non si occupa di questo problema così francamente come fece qualche tempo dopo nella sua ''Open Letter to Surrealists Everywhere'', ma mentre l'approccio di Miller è intenzionalmente vago in "Last Will and Testament", poiché non vi è alcun argomento rilevabile nel testo stesso, deve tuttavia essere inteso in relazione a ciò che imita, in particolare il capitolo "The Original Judgement". Uno dei modi principali in cui non sono d'accordo con Blinder è come vede ciò che Miller sta cercando di fare con "Last Will and Testament" — lo vede come un esempio di Miller che sperimenta con l'Automatismo, ''pastiche'' sì, ma con sincerità. Non sapremo mai il mese e l'anno esatti in cui Miller lo scrisse, ciononostante, come ho affermato, il tono scherzoso è nel migliore dei casi beffardo e nel peggiore dei casi sprezzante. Nell'esaminare i modi in cui entrambi i testi si relazionano e tuttavia differiscono, penso che mostri il crescente senso di Miller dei limiti che il Surrealismo gli presentava.
''The Immaculate Conception'' è un'opera sperimentale che cerca di riprodurre disturbi mentali mimeticamente assortiti, al fine di rivelare l'assurdità nella formazione delle barriere sociali tra il normale e l'anormale, un tema ricorrente nell'opera surrealista ''[[w:Nadja (Breton)|Nadja]]''<ref>Le somiglianze tra l'eroina di Breton, ''Nadja'' (1928) e la rappresentazione di June Mansfield da parte di Miller in ''Tropic of Cancer'' sono evidenti. Il protagonista Andre incontra per caso Nadja per strada e se ne innamora perdutamente. Nadja è disinibita e unica; sembra essere la musa intellettuale di Andre. Mentre Nadja rivela di più sulla sua vita passata, diventa subito evidente che è pazza e quando viene rivelata la sua realtà, Andre sente la sua attrazione svanire. L'assenza di Nadja dalla sua vita gli permette di sceglierla come sua musa perpetua; lei è ancora una volta misteriosa e avvincente, sempre disponibile nei suoi ricordi. Miller citò ''Nadja'' come uno dei libri più influenti della sua vita e le somiglianze tra June e Nadja sono evidenti. Per i paralleli tra le rappresentazioni delle donne in ''Nadja'' e ''Quiet Days in Clichy'', si veda Sazama-Moreau, S.T. (1999) ''Women and Paris in Andre Breton’s Nadja and Henry Miller’s Quiet Days in Clichy''. University of Maryland Press, Bethesda.</ref> (1928) di Breton: Nadia, la donna la cui follia è poeticizzata, viene ricoverata di forza. La concentrazione surrealista sulla follia è evidente anche in una serie di fotografie di donne isteriche in gran parte prese da riviste mediche. In queste fotografie i soggetti isterici erano caratterizzati come sull'orlo dell'orgasmo, ponendo l'accento sul ruolo erotico e sovversivo che i surrealisti cercavano di collegare all'[[w:isteria|isteria]]. Ciò è significativo, in quanto illustra come i surrealisti evitino intenzionalmente le caratteristiche sgradevoli e angosciose dell'essere in preda all'isteria. Così facendo il soggetto isterico, di solito una donna, si spersonalizzava al punto che i suoi sintomi diventavano anche la sua funzione. In altre parole, il soggetto isterico e instabile era visto prima di tutto nei termini di una nuova icona surreale — rappresentativa dell'associazione desiderata tra l'irrazionale, l'erotico e il folle, come attestano le fotografie che raramente nominano i soggetti stessi, centrandosi così sul significato tematico dell'isteria. L'uso dell'isteria come mezzo per significare gli aspetti estatici oltre che erotici del surreale si manifesta in ''The Immaculate Conception'' attraverso ripetuti tentativi di combinare lo scientifico, la simulazione di un disturbo clinico, con la finzione, la tecnica poetica di Éluard e Breton. Allo stesso tempo, i surrealisti erano pienamente consapevoli delle tradizionali connessioni tra le manifestazioni religiose di completa devozione e quelle che potevano essere viste come forme isteriche di rappresentazione. In questo senso, ''The Immaculate Conception'' si distingue anche come parabola religiosa del processo creativo stesso. L'esplicito contesto allegorico e la strutturazione del testo si aggiunge alla difficoltà di determinare quanto eccelle come rappresentazione di un testo Automatico o meno. Prevedibilmente, Breton cerca di alleviare la potenziale confusione situando il lavoro in modo sicuro all'interno del campo sperimentale dell'Automatismo:
{{q|The authors particularly wish to stress the sincerity of the present undertaking which consists of submitting the five essays that follow to the consideration of both laymen and specialists. The slightest suggestion of any borrowing from clinical texts or of pastiche, skilful or otherwise, of such texts, would of course be enough to make these pieces both pointless and wholly ineffective.|Breton, 1930, p. 47}}
Ciò che è soprattutto peculiare inş questa introduzione alla seconda parte del libro "The Possessions", è che Breton lascia aperta la possibilità a quali laici e specialisti si riferisca esattamente. Intende dire che il testo può resistere ad un attento esame da parte di esperti di malattie mentali o intende di esperti di Automatismo? Evidentemente Breton ed Éluard vogliono rappresentare i testi come propri, e certamente sembrano pensare che l'efficacia dei testi risieda nella loro autenticità. Il dilemma è che qualsiasi indagine sull'autenticità di per sé è impegnativa se non irrealizzabile per quanto riguarda l'Automatismo.
Il titolo ''The Immaculate Conception'' può essere visto da un lato come un segno della nascita del Surrealismo come evento sacro e dall'altro come un segnale di una nuova era della creatività. In questo senso, come ha lungamente sottolineato Caroline Blinder, il quadro semantico per la deificazione del processo creativo può essere letto contemporaneamente come religioso e antireligioso; una vaghezza su cui Éluard e Breton giocano con calcolo per tutto il testo. Scritto in una certa misura in difesa del disordine e dell'anarchia insiti nelle menti di persone presumibilmente disturbate, il testo funziona comunque in modo rituale, con i vari capitoli come ricreazioni del caos e stazioni sulla strada della salvezza. La difficoltà di ''The Immaculate Conception'' risiedeva quindi sia nella sua costruzione che nel modo in cui il suo programma si manifesta nella terminologia religiosa per tutto il libro.
La prima parte di ''The Immaculate Conception'' intitolata "Man" comprende cinque testi che registrano lo sviluppo dal concepimento e nascita alla morte. Ciò che è manifesto, tuttavia, è il modo in cui tre dei cinque testi trattano le fasi prenatali; "Conception", "Intra-Uterine life" e "Birth" riguardano tutte la realizzazione della [[w:libido|libido]] nell'utero, e le sezioni successive "Life" e "Death" dimostrano l'attesa nostalgia per questo svanito armonioso stato prenatale. Nella seconda sezione: "The Possessions", le febbri psicotiche sono annotate da Breton ed Éluard in uno stato Automatico. La parola "Possessions" suggerisce anche la demonologia che in questo caso è secolarizzata in quanto gli autori si lasciano possedere da deliri di natura psicotica piuttosto che religiosa.
Più di numerosi altri testi cosiddetti Automatici, ''The Immaculate Conception'' incarna l'infattibilità di far dettare Automatismo puro dall'inconscio. La breve panoramica fornita sopra mostra l'enorme pianificazione, sia strutturale che tematica, che deve essere stata posta nella realizzazione di ''The Immaculate Conception''. Ancora una volta, il titolo stesso aggiunge una svolta ironica al concetto di puro Automatismo, poiché il testo può essere visto come il prodotto dello sforzo collaborativo di Breton ed Éluard, piuttosto che di un'illuminazione paradisiaca. In questo senso Blinder suggerisce che l'interpretazione stessa da parte di Miller di segmenti di ''The Immaculate Conception'' potrebbe, in teoria, essere vista, non come una sovversione dell'Automatismo, ma solo come una versione alternativa, proprio come ''The Immaculate Conception'' può essere intesa quale versione surrealista della nascita del cristianesimo con un tocco laico.
Per quanto riguarda l'Automatismo, "Last Will and Testament" di Miller riesce comunque a eludere i chiari vincoli dei significanti religiosi e mentali, così evidenti nel titolo e nei sottotitoli dei capitoli nel ''piece'' di Breton ed Éluard. Nonostante i chiari riferimenti religiosi in ''The Immaculate Conception'', Breton sostenne che fosse stato scritto mediante l'Automatismo. Spiegò che i movimenti considerevoli della prosa continua erano stati scritti in istanti disinibiti di Automatismo e poi assemblati in capitoli in un secondo tempo.
Resta quindi il soggetto di come creare e rappresentare l'arbitrarietà e l'autenticità del processo Automatico all'interno di qualcosa che in definitiva punta a una sfera predeterminata. "Last Will and Testament" di Miller segna sotto molti aspetti una delle sue più lucide rivalutazioni del principio surrealista dell'Automatismo. Ciò che Miller fa è aprire il carattere ciclico bloccato dell'argomento surrealista, poiché mette in dubbio la capacità surrealista di imitare veramente la follia che è una parte così fondamentale dell'estetica surrealista. Come Miller riassume succintamente a metà strada in "Last Will and Testament": "None of this is sufficiently crazy" (Blinder, 1999, p. 30). È possibile che Miller stia parlando a se stesso e alla sua incapacità di entrare in uno stato di delirio, ma se si considera la prima riga di "Last Will and Testament", "The thing to know is if you are crazy or only making literature" (Blinder, 1999, p. 30), sembrerebbe che Miller ritenga la follia una parte cruciale di ogni processo creativo in sé. In questo senso, la follia di Miller, piuttosto che uno stato delirante di natura completamente diversa, è una condizione accettata in cui l'autore si ritrova. Mentre sia Miller che i surrealisti tentano di scrivere frasi che potrebbero mettere in parallelo le discontinuità, l'osservazione di Miller sottolinea tuttavia la necessità per lo scrittore di sapere fin dall'inizio quale sia la sua strategia. Ciò che Miller commenta, è da un lato il progetto surrealista in ''The Immaculate Conception'', fondato com'è sullo sforzo di imitare i processi di pensiero dei folli, e contemporaneamente l'intrinseca irrealizzabilità di farlo in modo convincente attraverso un pezzo di letteratura. Ciò che Miller sembra sottolineare è che qualsiasi tentativo di replicare la follia attraverso l'Automatismo può essere solo un esercizio di simulazione intellettuale e qui sta il problema per Miller. L'Automatismo diventa nient'altro che un'indulgenza intellettuale una volta che, secondo Miller, rifiuta di riconoscere i suoi limiti. C'è qualcosa di pateticamente comico nell'affermazione di Breton che ''The Immaculate Conception'' sia nato dall'Automatismo, perfettamente redatto e in forma di capitoli. Alla fine, per quanto Miller ammiri Breton e condivida alcune delle posizioni surrealiste, la sospensione dell'incredulità richiesta è solo un passo troppo esagerato per Miller.
Direi che il rapporto di Miller con i surrealisti è chiaramente influenzato dalle sue letture di Rank e Bergson. Miller partecipa pienamente al concetto di "artideology" di Rank in quanto è attratto dal movimento artistico prevalente del suo tempo, artisticamente, intellettualmente e politicamente. Nella teoria rankiana è essenziale che Miller incorpori i surrealisti nel suo pensiero e nella sua scrittura: per passare a un'arte pienamente realizzata basata sulla vita, Miller non deve isolarsi nella speranza di mantenere pura la sua arte, ma deve abbracciare il crogiolo attraverso il quale la sua arte autentica sarà prodotta. Il surrealismo è una barriera attraverso la quale Miller deve passare. Miller utilizza i tropi surrealisti per esplorare e perfezionare la propria visione, ma alla fine si spinge oltre, arrivando a considerarli restrittivi e intransigenti:
{{q|When I was living in Paris... we used to say, "let's take the lead." That meant going off the deep end, diving into the unconscious, just obeying your instincts, following your impulses, of the heart, or the guts, or whatever you want to call it. But that's my way of putting it, that isn't really surrealist doctrine; that wouldn't hold water, I'm afraid, with an Andre Breton. However the French standpoint, the doctrinaire standpoint, didn't mean too much to me. All I cared about was that I found in it another means of expression, an added one, a heightened one, but one to be used very judiciously...|Brooks, 1963, p. 148}}
Nei suoi usi dell'Automatismo, Miller utilizza costantemente una prospettiva bergsoniana, incentrata sull'idea di creatività come qualcosa che scaturisce dalla capacità dello scrittore di vedere la natura interrelata delle proprie esperienze di vita in relazione al tempo. Per Bergson non esiste una pura sorgente di creatività situata nell'Inconscio, ma piuttosto un complesso palinsesto di esperienze nonché l'atemporalità della comprensione, che lo scrittore deve accettare e abbracciare per essere veramente creativo. Miller può usare l'Automatismo come tecnica letteraria, ma rimane fedele ai principi bergsoniani; ipotizza l'idea dell'artista e del suo universo in termini bergsoniani, l'artista non ha bisogno di "rearrange the objects and conditions of this world" (Miller, 1962, p. 157) perché non sono altro che concettualizzazioni, basate su un modello razionale e scientifico che l'artista ha già confutato. Parimenti, Miller vede il ruolo del meraviglioso attraverso Rank in quanto l'artista deve progredire oltre il mondo politico, pur riconoscendolo, verso un senso più profondo di sé: interiorizzare i problemi collettivi e distillarli nella purezza della consapevolezza interiore, individuale. Penso che Miller stia anche dimostrando una comprensione buddhista della sua creatività, combinando le due principali influenze filosofiche della sua vita, usandole come strumento per interagire con il principale movimento artistico e ideologico del suo tempo, ma alla fine arrivando ad una conclusione che è intrinsecamente buddhista.
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[[Categoria:La Filigrana Zen di Henry Miller|Henry Miller e Surrealismo]]
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La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Buddhismo
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{{La Filigrana Zen di Henry Miller}}
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= La Filigrana Zen: Henry Miller e il Buddhismo =
[[File:Patriarchs of Zen Buddhism Yamamoto Jakurin Hanging scroll color on silk Kofukuji-ji temple Nagasaki Pref.jpg|thumb|240px|right|<small>''Patriarchi del Buddhismo Zen'' (colore su tela, XVII secolo), Yamamoto Jakurin, Kofukuji-ji Temple, Nagasaki</small>]]
Il rapporto di Miller con il [[w:Buddhismo Zen|buddhismo Zen]] è allo stesso tempo complesso e semplice, principalmente a causa della natura dello stile di scrittura di Miller e dell'abitudine per tutta la vita di avvicinarsi a filosofie e dottrine influenti in modo frammentario piuttosto che nel loro insieme. Come ho mostrato nei capitoli precedenti, lo stile di scrittura di Miller è quello di essere in un processo di divenire: ciò che il lettore vede è un lavoro in corso, non un prodotto finito e rifinito. Vediamo Miller esplorare, abbracciare e gettar via posizioni filosofiche in tutti i suoi romanzi, spesso contraddicendo posizioni prese precedentemente o semplificando teorie complicate per adattarle al suo scopo. Da nessuna parte questo è più evidente che nella sua relazione con il buddhismo Zen, tuttavia direi che nel coglierlo ci avviciniamo a una comprensione dell'essenza stessa di Miller, l'uomo e lo scrittore. Se cerchiamo influenze Zen nei singoli romanzi possiamo certamente trovarle: ''Tropic of Cancer'' (1934) è pieno dei simboli Zen di fluidità e rinascita, basta considerare l'ultimo paragrafo ambientato presso la Senna per constatarlo, o considerare ''The Rosy Crucifixion Trilogy ''(1949, 1953, 1960), tre romanzi che esplorano la sofferenza di Miller come mezzo per il suo eventuale risveglio spirituale. Tuttavia, esaminare solo opere selezionate significa non riuscire a vedere il quadro più ampio del viaggio spirituale completo di Miller. Molti critici hanno riconosciuto il buddhismo Zen di Miller, specialmente nelle sue ultime opere meno acclamate dalla critica, ma non sono riusciti ad apprezzare il fatto che '''''tutti''''' gli scritti di Miller sono un'espressione del suo viaggio verso l'illuminazione Zen. Ciò è in parte dovuto alla diversa qualità della produzione successiva di Miller — il costante rimaneggiamento dello stesso materiale, sebbene parte integrante dell'idea di Miller della propria creatività influenzata dal buddhismo Zen, non sempre ha prodotto un lavoro ben scritto e innovativo. Ironia della sorte, quando la reputazione e la commercializzazione di Miller erano al loro apice negli anni ’60, egli produceva lavori scadenti per pagare le bollette, o novelle esoteriche che sembravano più un trattato buddhista zen che opere di fantasia. Probabilmente questa caduta nella qualità della produzione portò il lavoro successivo di Miller ad essere ignorato dai critici o sorvolato come la fase Zen poco interessante di Miller. Lo scopo di questo Capitolo è mostrare che Miller non ebbe una fase buddhista Zen, ma che piuttosto le sue opere complete possono essere lette come il suo complicato percorso verso l'illuminazione Zen, un viaggio problematico e contorto, ma un percorso che tuttavia può essere individuato dalle sue prime opere fino al buddhismo Zen palese dei suoi ultimi anni.
La natura eclettica delle influenze religiose di Miller può essere fatta risalire ai suoi anni formativi a New York. Il rapporto tra religione e avanguardia in America durante l'ultimo decennio del diciannovesimo secolo e l'inizio del ventesimo secolo è per molti versi unico e ci offre una visione fruttuosa dell'interesse permanente di Miller per le diverse religioni. Sebbene in seguito Miller sarebbe stato associato, almeno nella mente del pubblico, al buddhismo Zen della costa occidentale, un'associazione confermata dal suo aver scritto la prefazione a ''The Subterraneans'' (1959) di Jack Kerouac, direi che gli antecedenti religiosi di Miller sono radicati in una tradizione americana molto più antica. In [https://www.google.co.uk/books/edition/Henry_Miller_and_Religion/VpX7f39T1SAC?hl=en ''Henry Miller and Religion'' (2007), Thomas Nesbit]<ref>Il libro di Nesbit nel complesso mira a collocare Miller all'interno di una cornice religiosa cristiana, sebbene riconosca le influenze orientali — la sua premessa è una di influenze e di immagini cristiane e cataloga i romanzi di Miller come esempio di scrittura confessionale simile a Sant'Agostino.</ref> delinea tre fattori principali che differenziano il clima religioso e artistico di fine Ottocento/inizi Novecento da quello del successivo [[w:esoterismo|esoterismo]] della West Coast degli anni ’50 e ’60.<ref>Sebbene l'interesse di Miller per lo Zen si sia intersecato con quello del più ampio movimento della West Coast, è importante riconoscere che quello di Miller non era in alcun modo, per quanto marginale, una parte del gruppo. Tonkinson, C. (1996) ''Big Sky Mind: Buddhism and the Beat Generation''. Thorsons Publishing, Londra, offre un'analisi a tutto tondo dell'influenza dei vari filoni del buddhismo e del loro impatto sui [[w:Beat Generation|Beat]].</ref> In primo luogo, le precedenti comunità religiose cercavano un collegamento tra religione e scienza; affermerei che cercassero di fornire una dimensione spirituale all'assalto sconcertante della modernità. In secondo luogo, cercarono di includere il cristianesimo, a vari livelli, nei loro insegnamenti piuttosto che escluderlo o sostituirlo. In terzo luogo, l'élite culturale accettò e fu significativamente coinvolta nella promulgazione di nuove forme di pensiero e pratiche spirituali.<ref>L'epicentro geografico di questi eventi è stato il [[w:Greenwich Village|Greenwich Village]]. Un'area di New York a lungo associata a demografia mista, dal 1880 circa in poi fu la capitale intellettuale del paese. Sebbene gran parte della sperimentazione sociale e religiosa sia stata un'esperienza puramente di classe medio/alta, il ruolo dei gruppi di immigrati nella formazione intellettuale del Greenwich Village non dovrebbe essere sottovalutato vedi: Beard, R. e Berlowitz, L. (2003) ''Greenwich Village: Culture and Counterculture''. Rutgers University Press, New Jersey. Miller dovette molto alla comunità ebraica dell'Europa orientale per i suoi primi contatti con filosofia e spiritualità.</ref>
L'allontanamento dalla religione istituzionale tra l'élite culturale ha le sue radici nel [[w:trascendentalismo|movimento trascendentalista]] della metà del diciannovesimo secolo, con il suo connubio tra filosofia orientale, autosufficienza e mondo naturale. Allo stesso modo, in questo periodo fiorirono il [[w:Nuovo Pensiero|New Thought]], i [[w:Bahá'í|Baha’i]], il [[w:Cristianesimo scientista|Cristianesimo scientista]] e i [[w:Rosacroce|Rosacroce]]. Probabilmente la più influente di tutte queste sette fu la [[w:Società Teosofica|Theosophical Society]] (Società Teosofica), fondata a New York nel 1875. Fondata da [[w:Helena Blavatsky|Madame Blavatsky]], la sua popolarità crebbe negli anni successivi fino a poter vantare oltre 9000 aderenti negli anni ’20. Sotto la guida della carismatica [[w:Annie Besant|Annie Besant]], attirò l'interesse di molti noti artisti e scrittori tra cui [[w:T. S. Eliot|T.S. Eliot]], [[w:Vasilij Vasil'evič Kandinskij|Wassily Kandinsky]], [[w:L. Frank Baum|L. Frank Baum]] e [[w:Thornton Wilder|Thornton Wilder]].<ref>Uno dei modi più interessanti per affrontare questo periodo di sconvolgimento religioso è vederlo come parte di un fenomeno più ampio della cultura americana, ovvero la ricerca di un'utopia. Nel suo libro [https://www.google.co.uk/books/edition/The_Quest_for_Utopia_in_Twentieth_Centur/s-_tAAAAMAAJ?hl=en ''The Quest for Utopia in Twentieth Century America 1900-1960'' (1998) Syracuse University Press, New York, Timothy Miller] sostiene che il comunitarismo è essenziale per il modo in cui gli americani concepiscono il cambiamento politico e sociale, e che in nessun momento della propria storia l'America è stata senza comuni dedite a modelli di vita alternativi. La ricerca di un'utopia è un'esperienza prettamente americana che inizia con i Pellegrini. In molti modi la vita di Miller a [[w:Big Sur|Big Sur]] incarna questo modello: la disillusione nei confronti della società contemporanea, la ricerca di una comunità alternativa, l'iniziale romanticismo di una nuova vita e l'inevitabile insoddisfazione della realtà.</ref> Il movimento [[w:Georges Ivanovič Gurdjieff|Gurdjieff]], promuovendo una combinazione di sviluppo personale, spiritualità e danza, ebbe un grande successo in America grazie agli sforzi di [[w:Alfred Richard Orage|A. R. Orage]], l'editore della rivista letteraria, ''[[:en:w:The New Age|The New Age]]''. Grazie a Orage molti scrittori ed editori scoprirono gli insegnamenti di Gurdjieff, tra cui [[:en:w:Jane Heap|Jane Heap]] e [[:en:w:Margaret C. Anderson|Margaret Anderson]] – editori di ''[[:en:w:The Little Review|The Little Review]]'', con Anderson che arrivò al punto di pubblicare un libro intitolato ''The Unknowable Gurdjieff'' nel 1956 – [[w:Katherine Mansfield|Katherine Mansfield]], [[w:Hart Crane|Hart Crane]] e [[w:Jean Toomer|Jean Toomer]].
[[File:Ramakrishna.jpg|150px|thumb|left|<small>[[w:Ramakrishna|Ramakrishna]] a [[:en:w:Dakshineswar|Dakshineswar]]</small>]]
[[File:Swami Vivekananda 1896.jpg|150px|thumb|right|<small>[[w:Vivekananda|Swami Vivekananda]] in meditazione</small>]]
Tuttavia, è forse il movimento Vedanta che offre il miglior esempio di ciò che Michel Foucault in ''The History of Sexuality'' (1978) chiamava "the formation of a reverse discourse" (Foucault, 1978, p.101), l'appropriazione e il rimodellamento delle religioni e filosofie orientali da parte degli stessi asiatici per fare appello alla mentalità occidentale. Il ''[[:en:w:Parliament of the World's Religions|World Parliament of Religions]]'' si aprì a Chicago nel 1893 e introdusse gli americani al [[w:Vedānta|Vedanta]] di [[w:Vivekananda|Swami Vivekananda]] e agli insegnamenti di [[w:Ramakrishna|Ramakrishna]].<ref>Si può dire che il Vedanta sia esistito prima di Shankara, tuttavia egli fu il primo grande sostenitore dei suoi insegnamenti. In breve, il Vedanta segue i tre testi principali dell'Induismo: le ''Upanishad'' (il punto di partenza per la rivelazione), i ''Brahma Sutra'' (i testi logici) e la ''Bhagavad Gita'' (il testo pratico). In molti modi Vivekananda è davvero un neo-vedantaista poiché resiste all'enfasi di Shankara sull'"illusionismo universale" secondo cui tutto il mondo è illusione e rifocalizza il Vedanta sul suo concetto di "realismo universale", l'idea europea di realismo metafisico. Per una comprensione del Vedanta praticato da Shankara si veda: Satchidanandndra, S. S. (1997) ''The Method of the Vedanta: A Critical Account of the Advaita Tradition''. Motilal Banarsidass, Dehli. È interessante confrontarlo con: Swahananda, S. (2012) ''Vedanta and Vivekananda''. Ramakrishna Mission, Kolkata, una valutazione che pone Vivekananda in primo piano e filosoficamente al centro.</ref> In ''Orientalism and Religion: Post Colonial Theory, India and "The Mystic East"'' (1999) Richard King esamina come Vivekananda abbia preso quella che era una forma relativamente convenzionale di induismo e l'abbia modificata per soddisfare la sensibilità occidentale.<ref>Narendranath Dutta conosciuto come '''Swami Vivekananda''' nacque nel 1863 a Calcutta e morì nel 1902. Profondamente influenzato dall'insegnamento di Ramakrishna, Vivekananda ha il merito di aver rivitalizzato l'induismo in India e fu una grande influenza intellettuale nella nascente causa nazionalista. È un personaggio profondamente divisivo che per alcuni introdusse la dottrina della tolleranza interreligiosa in Occidente mentre per altri fu un ciarlatano che imbastardì le religioni orientali per renderle appetibili al pubblico occidentale e, cosa non trascurabile, per assicurarsi denaro e fama. Per un riesame critico di Vivekananda e del suo lascito, si veda: Chattopadhyay, R. (1999) ''Swami Vivekananda in India: A Corrective Biography''. Motilal Banarsidass, Delhi.</ref> Presentando i principi centrali dell'induismo tramite la filosofia del teologo indiano dell'ottavo secolo [[w:Śaṅkara|Adi Shankara]], egli concepì in un colpo solo un modello di quella che in precedenza era considerata una religione pagana decadente e idolatra e rese appetibile agli americani e agli europei un modello che sarebbe col tempo ritornato all'Asia stessa, rendendo gli asiatici aderenti e "attori" nelle loro stesse religioni. La filosofia dell'[[w:Advaita Vedānta|Advaita Vedanta]] proposta da Shankara consolidò i concetti di ''[[w:Ātman (buddhismo)|Ātman]]'', il Sé autentico, e il ''[[w:Brahman|Nirguna Brahman]]'', l'anima suprema o Dio. Ponendo l'attenzione sull'esperienza spirituale unica dell'individuo e sul tropo riconoscibile dell'entità suprema o realtà, Vivekananda modellò una religione liberata dalle sue radici geografiche e dalle sfaccettature più sgradevoli, modificata e adattata ai gusti occidentali. Alzò ancora una volta la posta quando tentò di incorporare il buddhismo nel Vedanta, proponendo il concetto di una religione universale. Come King spiega in grande dettaglio, Vedanta e buddhismo non appartengono insieme in alcun modo, storicamente o teologicamente; lo sforzo di Vivekananda di mostrare il buddhismo come una componente antica del Vedanta fu fatto in un certo modo cinicamente. Se non altro Vivekananda capì esattamente cosa voleva il pubblico occidentale e, per quanto possa sembrare opportunistico, ben comprese l'appetito d'inclusività e di filosofie onnicomprensive. Fu in grado di capire molto rapidamente quella che sarebbe stata chiamata più tardi, nel XX secolo, [[:en:w:Perennial philosophy|Filosofia Perenne]]; la convinzione che tutte le religioni condividano una verità fondamentale universale per quanto diversi possano essere i loro insegnamenti e le loro pratiche. Vivekananda stava attingendo consapevolmente o inconsapevolmente a un percorso già ben tracciato per il suo pubblico americano: i trascendentalisti nei decenni precedenti avevano integrato tali idee nelle loro opere e anche la Società Teosofica includeva "Wisdom-Religion" o "Ancient Wisdom" nella propria dottrina. [[w:Aldous Huxley|Aldous Huxley]], un seguace del Vedanta, illustra perfettamente la comprensione occidentale di questi concetti chiave nel suo libro, ''[[w:La filosofia perenne|The Perennial Philosophy (La filosofia perenne)]]'' (1945); mostrando come dalla metà del ventesimo secolo la visione ibrida di Vivekananda fosse accettata come la rappresentazione ascendente dell'autentico induismo/buddhismo dall'[[w:intelligencija|intellighenzia]] occidentale:
[[File:Aldous Huxley - photo Henri Manuel.jpg|right|230px|thumb|<small>[[w:Aldous Huxley|Aldous Huxley]] (1925)</small>]]
{{q|... the metaphysic that recognizes a divine Reality substantial to the world of things and lives and minds; the psychology that finds in the soul something similar to, or even identical to, divine Reality; the ethic that places man's final end in the knowledge of the immanent and transcendent Ground of all being... the thing is immemorial and universal. Rudiments of the perennial philosophy may be found among the traditional lore of primitive peoples in every region of the world, and in its fully developed forms it has a place in every one of the higher religions... The Buddha declined to make any statement in regard to the ultimate divine Reality. All he would talk about was Nirvana, which is the name of the experience that comes to the totally selfless and one-pointed... Maintaining, in this matter, the attitude of a strict operationalist, the Buddha would speak only of the spiritual experience, not of the metaphysical entity presumed by the theologians of other religions, as also of later Buddhism, to be the object and (since in contemplation the knower, the known and the knowledge are all one) at the same time the subject and substance of that experience... The Perennial Philosophy is expressed most succinctly in the Sanskrit formula, ''tat tvam asi'' ("That thou art"); the ''Atman'', or immanent eternal Self, is one with ''Brahman'', the Absolute Principle of all existence; and the last end of every human being, is to discover the fact for himself, to find out who he really is.|Huxley, 1945, p.7}}
Sempre più spesso artisti, scrittori e pensatori cercavano idee religiose che abbracciassero la modernità: il ruolo attivo dell'individuo all'interno del proprio percorso spirituale, scientifico e psicoanalitico, e l'idea del processo creativo come divino. In [https://www.google.co.uk/books/edition/Children_of_Fantasy/aym7AAAAIAAJ?hl=en ''Children of Fantasy: The First Rebels of Greenwich Village'' (1978), Robert Humphrey] cattura perfettamente lo spirito del tempo: "Although Greenwich Villagers held diverse views on art and politics, they agreed that the individual should be liberated. To this end, they encouraged artistic freedom, violated conventional mores, and supported a radical reorganisation of society" (Humphrey, 1978, p. 251). Questa ossessione per la liberazione personale non poteva mai essere soddisfatta entro i rigidi confini della religione organizzata e istituzionale. Man mano che venivano sperimentati nuovi modelli di vita, è naturale che anche la religione si evolvesse per riflettere lo [[w:spirito del tempo|spirito del tempo]].
Come notato da Robert Nesbit, Miller non faceva parte dell'élite culturale di questo periodo. Dato che aveva abbandonato il ''college'' della classe operaia, vivendo a Brooklyn, Miller non si mescolava in circoli intellettuali come quelli del Greenwich Village. Sappiamo dai ricordi di Miller, tuttavia, che ha frequentò molte conferenze pubbliche durante gli anni 1910 e 1920, comprese quelle della Società Teosofica e di [[:en:w:Benjamin Fay Mills|Benjamin Fay Mills]], un predicatore evangelico che incorporò l'insegnamento di Swami Vivekananda nei suoi sermoni. Miller raccontò spesso la storia del suo primo incontro con Mills, quando fu così colpito dal sermone che si offrì di svolgere compiti umili in cambio di lezioni private, una storia che Nesbit suggerisce esemplifica sia l'entusiasmo di Miller che la sua posizione sociale relativamente bassa. Questi furono gli anni culmine del circuito delle conferenze pubbliche come mezzo attraverso il quale influenzare il cambiamento della società e Miller scrisse a lungo per tutta la sua vita dell'educazione che gli veniva offerta frequentando tali conferenze. Se ascoltare i discorsi di [[w:Emma Goldman|Emma Goldman]] lo portava alla letteratura/teatro europei e alla filosofia anarchica, allora la Theosophical Society indubbiamente lo introdusse alla filosofia orientale.<ref>L'introduzione di Miller ai principali testi buddhisti avvenne attraverso la sua interazione con la Società Teosofica. Fondata da Madame Blavatsky e Henry Steel Olcott nel 1875, sposava lo studio comparativo delle diverse religioni con l'autotrasformazione attraverso la ricerca di poteri umani latenti e inspiegabili. Per vedere come il buddhismo svolse un ruolo chiave all'interno della società, si veda: Prothero, S. R. (2010) ''The White Buddhist: The Asian Odyssey of Henry Steel Olcott''. Indiana University Press, Bloomington. Per un'analisi più esaustiva del buddhismo di Olcott, si veda: Obeyesekere, G. (1995) "The Two Faces of Colonel Olcott: Buddhism and Euro-Rationality in the Late 19th Century". In: Everding, U. (cur.) ''Buddhism and Christianity: Interactions between East and West''. The Goethe Institute, Colombo, pp. 32-71.</ref> ''Secret Doctrine'' (1888) e ''The Voice of the Silence: Chosen Fragments from the “Book of Golden Precepts” for the Daily Use of Lanoos'' (1889) di Madame Blavatsky, ebbero un profondo impatto sulla consapevolezza religiosa di Miller; come fece anche ''Esoteric Buddhism'' (1883) di [[w:Alfred Percy Sinnett|A. P. Sinnett]] (1883).
[[File:Soyen Shaku.jpg|150px|thumb|right|<small>[[w:Soyen Shaku|Shaku Sōyen]] (1860-1919)</small>]]
La prima e più influente forma di buddhismo con cui Miller avrebbe avuto familiarità fu lo Zen, portato in Occidente dalla delegazione giapponese al ''[[:en:w:Parliament of the World's Religions|Parliament of the World's Religions]]'' nel 1893. Vivekananda non fu il solo a discernere l'appetito occidentale per "nuove" credenze religiose.<ref>Lo '''[[w:Buddhismo Zen|Zen]]''' è una scuola di [[w:Buddhismo Mahāyāna|buddhismo Mahayana]] che fiorì in Giappone dal XII secolo in poi, dopo la sua introduzione dalla Cina. Ci sono due rami principali dello Zen, [[w:Rinzai-shū|''Rinzai-shū'' (臨済宗, Scuola Rinzai)]] e [[w:Sōtō-shū|Soto (''Sōtō-shū'' 曹洞宗)]] . In breve, ''Rinzai'' si dedica allo studio di ''Koens'' (scritture), mentre ''Soto'' enfatizza la meditazione come mezzo per l'illuminazione. Sebbene esistano altre differenze, parimenti ci sono altrettante somiglianze. Lo Zen occidentalizzato comprende entrambe le tradizioni. Da una prospettiva sociale, l'influenza delle due scuole di Zen fu di vasta portata in Giappone. Si veda: Sharf, R.H. (1993) "The Zen of Japanese Nationalism". ''History of Religion'', 33, pp.1-43, per un'analisi dei ruoli svolti dallo Zen sia nella politica che nella moderna tradizione militare giapponese.</ref> [[w:Soyen Shaku|Soyen Shaku]] e il suo accolito [[w:Daisetsu Teitarō Suzuki|D. T. Suzuki]] cercarono di reinventare il buddhismo in modo tale da fare appello alle preoccupazioni occidentali. In "Publishing Eastern Buddhism: D.T. Suzuki’s Journey to the West" (2009), Judith Snodgrass dimostra come Shaku abbia cercato di presentare il [[w:Buddhismo Mahāyāna|buddhismo Mahayana]] giapponese in sintonia con "the latest developments in Western philosophy and science" (Snodgrass, 2009, p. 49). Col tempo Suzuki avrebbe promosso lo Zen come la forma suprema del buddhismo o "the essence of Buddhism" (Snodgrass, 2009, p. 65). Questo processo di selezione e omissione ricorda Vivekananda, con ''Outlines of the Mahayana'' (1907) di Suzuki che presenta "the familiar deinstitutionalized, deritualized, philosophical expression of Shin Bukkyo (the ‘new Buddhism’ of Japan) as a universal religion" (Snodgrass, 2009, p. 61-62). Come chiarisce Judith Snodgrass, le delegazioni giapponesi erano ben consapevoli di ciò che avrebbe risuonato con il pubblico americano:
{{q|Mahayana Buddhism was designed to appeal to Americans as positive, self-reliant, and life affirming... the Mahayana is the teaching of the Buddha; Eastern Buddhism is not pessimistic or nihilistic; although it is a religion of self-reliance, people are not left unaided; Mahayana offers a non-interventionist system of moral retribution, is rational, is compatible with science, and... “philosophical thought in this twentieth century runs parallel to Mahayana Buddhism”’|Snodgrass, 2009, p. 61}}
[[File:Lightofasia.jpg|150px|thumb|right|<small>''[[:en:w:The Light of Asia|The Light of Asia]]'' (1885) di [[:en:w:Edwin Arnold|Sir Edwin Arnold]]</small>]]
Il buddhismo Zen è la rappresentazione del buddhismo che la maggior parte degli occidentali avrebbe conosciuto nel ventesimo secolo. I suoi insegnamenti erano in netto contrasto con la precedente tradizione umanista/razionale europea del diciannovesimo secolo, come esemplificato dal poema narrativo di [[:en:w:Edwin Arnold|Edwin Arnold]], ''[[:en:w:The Light of Asia|The Light of Asia]]'' (1879), che ritraeva un Buddha assomigliante a Cristo, e personificava il cristianesimo vigoroso dell'era vittoriana con un taglio spiccatamente "protestante".<ref>È difficile comprendere l'atteggiamento vittoriano nei confronti del buddhismo senza tener conto dell'[[w:orientalismo|orientalismo]]. I vittoriani, nel complesso, sembravano essere in grado di comprendere il buddhismo solo paragonandolo a forme di cristianesimo, ad esempio vedendo il buddhismo in termini di Riforma: ''Theravada'' come cattolicesimo e ''Mahayana'' come protestantesimo, con tutti i pregiudizi che tale paragone comporta. Per un'analisi di questi problemi si veda: Almond, P. C. (1988) ''The British Discovery of Buddhism''. Cambridge University Press, Cambridge. L'esperienza americana è simile a quella britannica nel senso che il buddhismo venne assorbito attraverso il filtro della fede protestante, tuttavia tale argomentazione può essere sostenuta anche per un primo controculturalismo in quanto molti dei primi aderenti americani erano già dissidenti dalla religione organizzata e vivevano ai margini della società, alla ricerca di un modo di vivere alternativo, cfr. Tweed, TA (2009) ''The American Encounter with Buddhism 1844-1912: Victorian Culture and the Limits of Dissent''. Università della Carolina del Nord, Chapel Hill.</ref> Lo Zen ricreava la religione come un evento personale ed essenzialmente privato, senza una dottrina restrittiva e sufficientemente fluido da accogliere individui disparati alla ricerca di un'esperienza religiosa unica e individuale.
È importante capire perché il buddhismo, e in particolare il buddhismo Zen, abbia attratto così tanto l'intellighenzia occidentale nel ventesimo secolo. In [https://www.google.co.uk/books/edition/Oriental_Enlightenment/qdoyw_6Y3cYC?hl=en ''Oriental Enlightenment: The Encounter between Asian and Western Thought'' (1997), J.J. Clarke] delinea come quello che egli chiama il buddhismo "modernista" sia entrato nel discorso culturale; per modernista intende ovviamente le pratiche Zen e Vedanta. Secondo Clarke, il buddhismo "had helped give expression and substance to a sense of deep cultural crisis and to loss of faith in the West’s idea of progress in scientific rationalism, and to a need for new modes of representation" (Clarke, 1997, p. 101). Il buddhismo prese piede come risultato della necessità di rivalutare ciò che il progresso aveva veramente significato nel secolo scorso, un modo per comprendere il profondo malessere spirituale che affliggeva molti all'interno dell'élite culturale. In [https://www.google.co.uk/books/edition/Encountering_Buddhism_in_Twentieth_Centu/4bXwAAAAQBAJ?hl=en ''Encountering Buddhism in Twentieth-Century British and American Literature'' (2013) Lawrence Normand] afferma: "Buddhism in twentieth-century Western culture has been registered, enacted, imagined and tested; and literary form and language have changed in response to Buddhist ideas and practices" (Normand, 2013, p. 7). Come spiegare più nei particolari come e perché il buddhismo Zen catturò l'immaginazione dell'élite culturale laddove altre religioni e il buddhismo "protestante" del XIX secolo avevano fallito? Non si può esagerare nell'affermare che lo Zen sia stato "shaped by and defined to satisfy contemporary social needs" (Normand, 2013, p. 15). Le traduzioni errate, la reimmaginazione e la distorsione volontaria del buddhismo per creare un nuovo modello adatto allo scopo, permisero agli interessi occidentali di manipolare i principi fondamentali dello Zen. Uno dei modi in cui possiamo vedere più chiaramente questa manipolazione è nel concetto del Sé. Nel buddhismo tradizionale, vale a dire la scuola ''[[w:Buddhismo theravada|Theravada]]'' che ha origine in India ed è la più antica scuola di pensiero buddhista, ci sono due differenze principali dallo Zen.<ref>Le differenze tra il buddhismo Theravada e Mahayana sono tanto geografiche quanto spirituali. Il buddhismo Theravada è spesso conosciuto come buddhismo del Sud poiché la maggior parte dei suoi aderenti provengono da India, Sri Lanka, Laos e Birmania, mentre Mahayana fiorì in Cina, Corea e Giappone. Condividono le stesse credenze fondamentali nell'insegnamento del Buddha, ma divergono su alcune aree chiave. In primo luogo, Theravada fa molto affidamento sul Canone Pali, scritture ritenute la registrazione diretta delle parole del Buddha; Mahayana de-enfatizza l'importanza delle scritture. La principale differenza dottrinale è il concetto del Sé (''anatta''), l'insegnamento che non c'è anima o sé. Mahayana va oltre e introduce il concetto di vuoto (''sunyata''). Questo concetto porta invariabilmente a differenti interpretazioni di altre dottrine. Molti degli studi sulla storia del buddhismo iniziano collocandolo geograficamente e quindi seguono un certo percorso ideologico. Uno dei pochi lavori che offre una solida esplorazione delle differenze tra le due scuole e le implicazioni storiche della scissione è Kalupahana, D. (1984) ''Buddhist Philosophy: A Historical Analysis''. University of Hawaii, Honolulu.</ref>[[File:Daisetsu Teitarō Suzuki photographed by Shigeru Tamura.jpg|thumb|150px|right|<small>[[w:Daisetsu Teitarō Suzuki|Daisetsu Teitarō Suzuki]] (1953)</small>]] In primo luogo, il Sé non esiste nel ''Theravada'' – in effetti tale credenza sarebbe vista come un ostacolo insormontabile per un'ulteriore illuminazione – e in secondo luogo lo studio delle scritture chiave deve essere intrapreso con l'intuizione di un monaco o maestro, attribuendo quindi grande importanza alla vita monastica. Secondo il buddhismo tradizionale, uno dei più grandi errori è "that a permanent, eternal, immutable, independent self exists" (Lusthaus, 2002, p. 538). Lo Zen e il buddhismo tradizionale sono diametralmente opposti riguardo alla nozione del Sé e questo rimodellamento può essere attribuito direttamente a D. T. Suzuki che comprese l'importanza primaria del Sé come concetto per gli occidentali e comprese anche la rilevanza culturale del Sé come pietra di paragone psicologica che il pubblico occidentale conosceva attraverso il lavoro ampiamente diffuso di Freud e Jung e le loro teorie sull'inconscio. Questo connubio di pensiero culturale, religioso e intellettuale che in superficie non necessariamente andavano d'accordo, è stato il colpo da maestro di Suzuki. L'idea di una religione senza scritture, anche se è discutibile quanto ciò sia vero in riferimento allo Zen, che permise all'individuo di progredire senza anni di studio e stretta aderenza a un rigido schema di pratica, può anche in qualche modo aver contribuito al fascino dello Zen. Come notato da [https://www.unilu.ch/fileadmin/fakultaeten/ksf/institute/relsem/Dok/CV_Martin_Baumann_2020.pdf Martin Baumann] nel suo saggio "Modern Interpretations of Buddhism in Europe" (2012), è stato fatto uno sforzo "to mold, reshape and indigenise Buddhist teaching and practices to the needs of the autonomous individual" (Baumann, 2012, p. 127). Il buddhismo tradizionale rifiuta il Sé e insegna invece i principi di ''anatta'' (non-sé) e ''sunyata'' (vuoto), "The terms ‘non-self’ and ‘emptiness’ do not signify ‘void’ or ‘vacancy’ but rather that there is no thing, including a person, that has ‘self-nature’ or ‘metaphysical essence’" (Normand, 2013, p. 16). Come spiega [[:en:w:Steven Collins (Buddhist studies scholar)|Steven Collins]] nel suo articolo "Buddhism in Recent British Philosophy and Theology" (1985), c'è un'enorme differenza tra la tradizione occidentale del Sé e quella del buddhismo tradizionale:
{{q|The western tradition, in its religion, philosophy, politics, and many other areas, has given a specific and privileged status to the concept of the person, both descriptively and normatively. There really are such entities, individuated and continuous; and are worthy of a kind of respect and moral evaluation qualitatively different to that accorded to any other part or inhabitant of the natural world... Buddhism, on the other hand, denies that the words person or self denote anything ultimately real. They are only of use in picking out certain aspects of the conventional world of human experience.|Collins, 1985, pp. 475-476}}
La focalizzazione del Sé da parte del buddhismo Zen fu una rottura fondamentale con il buddhismo tradizionale, sia teologicamente, ma anche geograficamente, in quanto recise la connessione con l'Oriente, anche se nel tempo le pratiche Zen sarebbero tornate in Asia e avrebbero posto lo Zen come una dottrina d'ispirazione unicamente occidentale, che rifletteva ma anche anticipava i bisogni occidentali.
[[File:Isherwood_and_Auden_by_Carl_van_Vechten,_1939.jpg|thumb|150px|right|<small>[[w:Christopher Isherwood|Christopher Isherwood]] (a sinistra) e [[w:Wystan Hugh Auden|Wystan Hugh Auden]] (a destra), ritratti da [[w:Carl Van Vechten|Carl Van Vechten]] nel 1939</small>]]
[[File:Hermann Hesse.jpg|thumb|150px|right|<small>Ritratto di [[w:Hermann Hesse|Hermann Hesse]] (olio di [[:de:w:Ernst Würtenberger|Ernst Würtenberger]], 1905)</small>]]
Sebbene il buddhismo abbia indiscutibilmente avuto un'enorme influenza su molti scrittori, è importante riconoscere che non tutti si impegnarono facilmente con i concetti buddhisti o non lo fecero per niente. [[w:David Herbert Lawrence|D. H. Lawrence]], uno scrittore che integrò molti principi buddhisti nei suoi scritti, lottò comunque "to rationalize nirvana and anatman (non-self) to his conceptions of individualism and desire" (Franklin, 2008, p. 196). [[w:Wystan Hugh Auden|W. H. Auden]] e [[w:Christopher Isherwood|Christopher Isherwood]] parodiarono la fede nel buddhismo in voga nel mondo occidentale come cura per tutti i mali moderni, nella loro opera teatrale ''[[:en:w:The Ascent of F6|The Ascent of F6]]'' (1958). All'estremo opposto c'era George Orwell che, come sottolinea Normand, era apertamente ostile al buddhismo e agli occidentali che aderivano ai suoi principi, condannando l'attrazione per "a touch of Oriental mysticism as an intellectual affectation that carried no cost", denunciando "the mythos of the peaceful, religious and patriarchal East..." (Normand, 2013, p. 10).<ref>È difficile caratterizzare la relazione tra il buddhismo e l'intellighenzia britannica in questo periodo. Per alcuni fu una fase passeggera o un'affettazione, per altri invece rappresentò lo stimolo per interrogarsi più profondamente su come vivevano, mentre per altri fu l'inizio di un impegno per tutta la vita con il buddhismo. Ad esempio, Christopher Isherwood poteva sì aver deriso la nuova moda della spiritualità orientale, ma si impegnò nel Vedanta per tutta la vita, servendo come caporedattore della ''Vedanta Society Press'' dal 1945-47 e come membro del consiglio dal 1951-62. Pubblicò 40 articoli su ''Vedanta and the West'' (la pubblicazione ufficiale della Vedanta Society) tra il 1943-69 e tradusse alcuni testi buddhisti chiave insieme a Swami Prabhavananda. Franklin, J.J. (2008) ''The Lotus and the Lion''. Cornell University Press, Ithaca, fornisce un'eccellente panoramica della storia culturale del periodo ed esamina il ruolo continuo dell'impero nel plasmare l'immagine in evoluzione del buddhismo in Gran Bretagna. McMahan, D.L. (2008) ''The Making of Buddhist Modernism''. Oxford University Press, Oxford, esamina i molti fattori che entrarono nel riproporre il Buddha al consumo moderno e occidentale, ed esamina anche il ruolo dei teorici e degli scrittori buddhisti occidentali nella "purificazione" della filosofia orientale.</ref> Normand usa il ''[[w:Siddharta (romanzo)|Siddartha]]'' (1922) di [[w:Hermann Hesse|Hermann Hesse]] per dimostrare come il buddhismo fosse rappresentato nella letteratura dell'epoca, ma anche come il buddhismo si fosse trasformato per creare il mezzo attraverso il quale un occidentale intraprende un viaggio di autoilluminazione; il tradizionale ''Bildungsroman'' occidentale messo in atto attraverso concetti buddhisti."Hesse effects a cultural misrepresentation of Asian beliefs into dominant Western terms, to convert the complex religious traditions of Buddhism into a mystical, romantic Protestantism" (Normand, 2013, p. 14). Il protestantesimo [[w:Pietismo|pietista]] di Hesse è qualcosa che evidentemente giaceva molto profondamente dentro di lui e quindi forse non sorprende che mentre si ribella contro la sua cultura e la sua educazione puritane, confrontando e contrapponendo il buddhismo con la screditata religione della sua nascita, non può tuttavia non comprenderlo attraverso quegli stessi mezzi discutibili. In [https://www.google.co.uk/books/edition/Veneration_and_Revolt/KuxWY3w4qmEC?hl=en ''Veneration and Revolt: Hermann Hesse and Swabian Pietism'' (2009) Barry Stephenson]] esplora l'influenza duratura della rigida educazione pietista di Hesse sulle sue opinioni politiche e morali, e scopre che Hesse non riuscì a scrollarsi di dosso il pietismo religioso e il conservatorismo regionale della sua prima infanzia. Normand afferma che forse dovremmo leggere il romanzo come un dialogo sul buddhismo, come anche sul taoismo e sull'induismo. È discutibile quanto sia realmente "buddhista" il romanzo e lo stesso Hesse aveva comunque una relazione complessa con le religioni orientali; resta tuttavia il fatto che viene ancora letto come un'opera buddhista — anche se a volte attraverso una lente orientalista. In un diario del 1920 Hesse mostra una sgradevole omogeneizzazione sia dell'India che del buddhismo:
{{q|My preoccupation with India, which has been going on for almost twenty years and has passed through many stages, now seems to me to have reached a new point of development... now Buddhism appears to me more and more as a kind of very pure, highly bred reformation — a purification and spiritualization that has no flaw but its great zealousness, with which it destroys image-worlds for which it can offer no replacement.|Otten, 1977, p. 74}}
Hesse sembra sostenere che il buddhismo elimina le vecchie credenze senza offrire alcuna sostituzione sostanziale. C'è un profondo cinismo alle radici di ''Siddhartha'', che enuncia l'incapacità di Hesse di trovare compimento all'interno del buddhismo. Quando Siddhartha pronuncia queste parole al Buddha, riflettono l'incapacità di Hesse di raggiungere uno stato di illuminazione:
{{q|You have learned nothing through teachings, and so I think, O Illustrious One, that nobody finds salvation through teachings. To nobody, O Illustrious One, can you communicate in words and teachings what happened to you in the hour of your enlightenment... That is why I am going on my own way—not to seek another and better doctrine, for I know there is none, but to leave all doctrines and all teachers and to reach my goal alone—or die.|Hesse, 1922, p. 27}}
Siddhartha continua nelle sue riflessioni, rispecchiando principalmente i concetti occidentalizzati di Hesse su ciò che è effettivamente il buddhismo e su come potrebbe essere utilizzato nella sua ricerca del Sé. Hesse non è interessato alle diverse scuole di buddhismo e alle loro idee ampiamente contrastanti sul Sé e invece fonde tutto nel suo bisogno di porsi al centro della narrazione:
[[File:Standing Bodhisattva Gandhara Musee Guimet.jpg|thumb|150px|<small>Statua di [[w:Siddharta Gautama|Siddharta Gautama]] ([[w:Buddha|Buddha]]), raffigurato come [[w:bodhisattva|bodhisattva]]</small>]]
{{q|What is it that you wanted to learn from teachings and teachers, and although they taught you much, what was it they could not teach you? And he thought: It was the Self, the character and nature of which I wished to learn. I wanted to rid myself of the Self, to conquer it, but I could not conquer it, I could only deceive it, could only
fly from it, could only hide from it... The reason why I do not know anything about myself, the reason why Siddhartha has remained alien and unknown to myself is due to one thing, to one single thing—I was afraid of myself, I was fleeing from myself. I was seeking Brahman, Atman, I wished to destroy myself, to get away from myself, in order to find in the unknown innermost, the nucleus of all things, Atman, Life, the Divine, the Absolute. But by doing so, I lost myself on the way... I will no longer study Yoga-Veda [''sic''], Atharva-Veda, or asceticism, or any other teachings. I will learn from myself, be my own pupil; I will learn from myself the secret of Siddhartha.|Hesse, 1922, pp. 31-32}}
''Siddhartha'' illustra perfettamente le profondità a cui il buddhismo era penetrato nella psiche letteraria occidentale; che un romanzo convenzionale di formazione si manifestasse attraverso una struttura buddhista e che fosse riconoscibile ai suoi lettori come tale, ma anche che i concetti buddhisti esplorati all'interno del romanzo fossero inquadrati in una tradizione buddhista Mahayana così trasparente, dimostra sicuramente la totalità dell'unione tra l'Occidente e il buddhismo Mahayana.
Miller scrisse ampiamente sull'influenza di ''Siddhartha'' sulla sua comprensione del buddhismo e lo elencò come uno dei cento libri più importanti per lui in ''The Books in My Life'' (1969): è interessante notare che possiamo vedere la stessa mancanza di chiarezza nell'utilizzo di concetti buddhisti da parte di Miller, più o meno allo stesso modo di Hesse. In una lettera a Irving Stettler contenuta in ''From Your Capricorn Friend'' (1978), Miller chiarisce la sua ambigua relazione con il buddhismo Zen:
{{q|I know who I am, which is another way of saying ‘Fuck you Jack, I’m not going on your bandwagon. Not even if you are a Zen Buddhist.’ Hesse gave me ''Siddhartha'', for which I am eternally grateful. And because of that wonderful book, I not only killed in me the Jesus, the Buddha, the Mahomet, but the guy I once thought I was who was in fact just another horse’s ass. In short, I became myself.|Miller, 1984, p. 81}}
Per quanto Hesse possa essere stato influente per Miller,<ref>Miller ripagò Hesse introducendo la sua opera a James Laughlin della ''New Directions Publishing'' e incoraggiando Laughlin a pubblicare ''Siddhartha'' in America in lingua inglese nel 1951. ''Siddhartha'' divenne poi il bestseller della ''New Directions'' negli anni 1960, con vendite superiori alle 1.300.000 copie.</ref> è importante sottolineare ancora una volta che Miller non è discepolo di alcun movimento o scuola di pensiero. Nei capitoli precedenti ho mostrato come Miller abbia adottato e assorbito certi concetti solo in quanto adattava la sua propulsione in avanti alla comprensione di se stesso. Miller prende ciò che gli è utile dal buddhismo Zen; non è in alcun modo un seguace di tale "religione". Le affermazioni di Miller sulla sua relazione personale con il buddhismo Zen sono assolutamente contraddittorie. Ad esempio, può scrivere a Lawrence Durrell alquanto seriamente quanto segue:
{{q|Zen is my idea of life absolutely, the closest thing to what I am able to formulate in words. I am a Zen addict through and through. Except for the ‘monastic regime’, which I don’t believe in at all and see no necessity for. But if you want to penetrate Buddhism, read Zen. No intelligent person, no sensitive person, can help but be Buddhist. It’s clear as a bell to me.|Macniven, 1988, p. 481}}
Purtuttavia, poteva anche includere il buddhismo in quelle che vedeva come religioni morte:
{{q|Fundamentally I am a religious man without a religion. I believe in a Supreme Intelligence... call it God if you like... I have no need of ‘texts’. The churches, even Buddhism, are only a travesty of religion, in my opinion. Often, one is right in calling oneself more religious, more of a believer in that sense, than many who claim they are.|Miller, 1972, p. 36}}
È quindi impossibile classificare Miller come un buddhista Zen nel senso più stretto della parola, eppure il buddhismo Zen gli offriva un mezzo per esistere in un mondo che disprezzava e al quale credeva di non appartenere. In "Zen Buddhism as Radical Conviviality in the Works of Henry Miller, Kenneth Rexroth and Thomas Merton" (2013), Manuel Yang sostiene che uno dei modi in cui comprendere il buddhismo Zen di Miller è vederlo attraverso il prisma della convivialità. Come ho già sottolineato, Miller non aveva a che fare con il buddhismo Zen come istituzione storica, con l'oppressione che accompagna ogni religione istituzionale, ma come canale per trovare un mezzo con cui potesse vivere e, soprattutto, accettare il mondo così com'è. Yang usa la teoria della convivialità di [[w:Ivan Illich|Ivan Illich]]<ref>'''Ivan Illich''' (1926-2002), di madre ebrea sefardita e padre cattolico, è stato un filosofo austriaco e [[w:presbitero|presbitero]]. Il suo interesse per le cause della povertà e dell'alienazione nella moderna società americana lo mise in contrasto con il Vaticano, come anche la sua posizione sul controllo delle nascite e il disarmo nucleare durante il suo periodo come sacerdote a Washington Heights. Dopo essere stato licenziato dal suo lavoro all'Università Cattolica di Porto Rico, fondò nel 1961 il CIDOC, un centro di ricerca che apparentemente offre corsi di lingua ai missionari, ma in realtà è un ''"think tank"'' interessato agli effetti negativi dello sviluppo industriale nel Terzo Mondo. ''Tools for Conviviality'' (1973), Harper and Row, New York, è stata la seconda di quattro opere filosofiche pubblicate da Illich. Sulla scia dei temi che studia nel suo primo libro ''Deschooling Society'' (2000), Marion Boyers Publishing, Londra, in relazione al sistema educativo, Illich esamina la natura istituzionale della conoscenza e le élite che essa produce. Queste élite controllano gli strumenti della conoscenza, sia in senso pratico che come valuta sociale; la meccanizzazione ha impoverito la maggior parte dei lavoratori lasciandoli dipendenti da macchinari o strumenti costantemente obsoleti. I lavoratori sono controllati dalla macchina piuttosto che liberati grazie ad essa. Illich sostiene che gli strumenti devono essere restituiti al lavoratore per consentirne utilizzi multipli e autonomi.</ref> per spiegare i modi in cui gli insegnamenti Zen si rivolgevano alla corrente controculturale dei tempi:
{{q|I choose the term ‘conviviality’ to designate the opposite of industrial productivity. I intend it to mean autonomous and creative intercourse among persons, and the intercourse of persons with their environment; and this in contrast with the conditioned response of persons to the demands made upon them by others, and a man-made environment. I consider conviviality to be individual freedom realized in personal interdependence and, as such, an intrinsic ethical value.|Illich, 1973, p. 11}}
Il buddhismo Zen rappresentava per Miller un mezzo attraverso il quale poteva accedere a una comunità di pensatori affini, persone avverse al cosiddetto progresso del moderno capitalismo industriale, che cercavano il risveglio spirituale e sperimentavano diversi modelli di vita. Il profondo antagonismo di Miller verso "soulless, tasteless twentieth century America" giocò un ruolo importante nella sua concezione del buddhismo Zen. Il modo in cui Miller vedeva la vita in America era in diretta opposizione a come pensava che la vita dovesse essere vissuta. In "Children of the Earth", uno dei saggi che compongono ''Stand Still Like the Hummingbird'' (1962), probabilmente l'opera più Zen di Miller, inizia confrontando la vita in Francia con quella americana. Scrive del suo ritorno in Francia dopo vent'anni di vita in America, produce uno stereotipo romanticizzato dei francesi come una popolazione contenta con molto poco e profondamente legata alla terra ed a un senso nazionale del ''terroir'':
{{q|The visitor to France cannot help but be impressed by the smiling look of the land. Love of the soil is an expression which still means something here. Everywhere there is evident the touch of the human hand; it is a constant, patient, loving attention which the French give their soil... As for France, what has she is the way of comforts – which is about all we have to offer of value? To me it is as if nothing has changed since I left in 1939. I see no radical change in the French way of life. All the so-called comforts and improvements which Americans are endlessly striving to create – and in the process making themselves wretched and uncomfortable – are missing here. Everything is still antiquated and complicated. Nothing gets done with dispatch and efficiency.|Miller, 1962, p. 11–12}}
Per quanto banale e compiacente sia la visione di Miller della Francia negli anni ’50, è poco più di un punto di partenza per attaccare ciò che vede nella natura infantilizzata dell'America. In una bizzarra filippica che attacca il ruolo delle madri americane nel produrre e perpetuare un sistema in cui gli uomini non sono nient'altro "but a worker and provider" (Miller, 1962, p. 11), afferma inoltre che per le donne americane il maschio, qualunque fosse il suo rapporto con la donna, "is a creature to be bullied, exploited and traduced" (Miller, 1962, p. 11). Questo confronto troppo semplificato tra lo stile di vita francese e quello americano porta Miller direttamente a un attacco alla vita moderna utilizzando i principi del buddhismo Zen come percorso verso un diverso modello di vita. Inizia mettendo in discussione le idee di contentezza e felicità e cosa significano effettivamente in una società moderna e capitalista. Afferma di aver incontrato raramente un individuo "content in his mode of life" (Miller, 1962, p. 13) e che coloro che hanno raggiunto un livello di appagamento "are already living in the world of the future" ( Miller, 1962, p. 13) intendendo certi santi, santoni e saggi. Secondo Miller, questi saggi direbbero: "Accept the world as it is! Only through complete acceptance, they would insist, does one arrive at emancipation" (Miller, 1962, p. 13). Miller critica la vita moderna attraverso le [[w:Quattro nobili verità|Quattro Nobili Verità]] buddhiste: mostra che la nostra incapacità di accettare la sofferenza come parte della vita, e il nostro sforzo verso la felicità porta solo alla miseria, al malcontento e alla violenza.<ref>Le '''[[w:Quattro nobili verità|Quattro Nobili Verità]]''' sono la via da seguire per essere liberati dalla sofferenza (''dukkha''):
# ''Dukkha'': tutte le cose e gli stati temporanei sono insoddisfacenti;
# L'inizio di ''dukkha'': tuttavia desideriamo e ci aggrappiamo a queste cose e stati; in tal modo, rinasciamo continuamente.
# La fine di ''dukkha'': se smettiamo di desiderare e di aggrapparci, non rinasceremo.
# Come porre fine a ''dukkha'': seguendo il sentiero buddhista, vale a dire comportandosi in modo decente, non agendo sugli impulsi e praticando la consapevolezza e la meditazione, portando all'autocontrollo.
Le Quattro Nobili Verità sono il fondamento stesso del pensiero e della vita buddhisti, in quanto tali sono
indiscutibili, tuttavia esistono differenze nella pratica tra le sette Theravada e Mahayana; gli usi e l'efficacia dello yoga sarebbero una di queste differenze. Per una panoramica dell'argomento vedere: Tesering, G. T. (2005) ''The Four Noble Truths: The Foundation of Buddhist Thought''. Wisdom Publications, Somerville, MA.</ref> Il consumismo e la produttività industriale del capitalismo avanzato, come sostenuto dai valori americani, produce l'esatto contrario di ciò che promette:
{{q|But it is not emancipation that the great majority seeks. When pressed, most men will admit that it takes but little to be happy. (Not that they practice this wisdom!) Man craves happiness here on earth, not fulfilment, not emancipation. Are they utterly deluded, then, in seeking happiness? No, happiness is desirable, but it is a byproduct, the result of a way of life, not a goal which is forever beyond one’s grasp. Happiness is achieved en route. And if it be ephemeral, as most men believe, it can also give way, not to anxiety or despair, but to joyousness which is serene and lasting. To make happiness the goal is to kill it in advance. If one must have a goal, which is questionable, why not self-realization? The unique and healing quality in this attitude toward life is that in the process goal and seeker become one.|Miller, 1962, p. 13}}
La formulazione classica delle "quattro nobili verità", esposta nel "Discorso della messa in moto della ruota della Dottrina" (''Dharmacakrapravartana Sūtra'', sans., ''Dhammacakkappavattana Sutta'', pāli)<ref>L'esposizione di questa dottrina è riportata nel [[w:Canone pāli|Canone pāli]] all'interno del ''[[w:Saṃyutta Nikāya|Saṃyutta Nikāya]]'' (nel ''Dhammacakkappavattana Sutta''){{Cita web
| autore= Thanissaro Bhikkhu
| titolo= Dhammacakkappavattana Sutta Setting the Wheel of Dhamma in Motion
| url= http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/sn/sn56/sn56.011.than.html
| lingua= en
| editore= Access to Insight
| accesso= 5 aprile 2009}}, e nel [[w:Canone cinese|Canone cinese]] nello ''[[w:Záhánjīng|Záhánjīng]]'' (雜含經, giapp. ''Zōgon agonkyō'', collocato nello '' [[w:Āhánbù|Āhánbù]]'', [[w:T.D.|T.D.]] 99.2.1a-373b) che poi è la traduzione in cinese del testo [[w:sanscrito|sanscrito]] ''Saṃyuktāgama'' al cui interno è collocato il ''Dharmaçakrapravartana Sūtra''. Da tener presente che i due testi appartengono a due scuole differenti del [[w:Buddhismo dei Nikāya|Buddhismo dei Nikāya]]. Il primo appartiene alla scuola [[w:Theravāda|Theravāda]] e originario, probabilmente, della scuola indiana [[w:Vibhajyavāda|Vibhajyavāda]]; il secondo appartiene invece alla scuola [[w:Mūlasarvāstivāda|Mūlasarvāstivāda]] che deriva a sua volta dalla scuola [[w:Sarvāstivāda|Sarvāstivāda]].</ref> è:
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|duḥkha-satya
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|苦諦
|kǔdì
|k'u-ti
|kutai
|sdug-bsngal-gyi bden-pa
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| align=center | II
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|samudaya-satya
|samudaya sacca
|集諦
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|jūtai
|kun-'byung-gi bden-pa
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|Verità della cessazione del dolore
|nirodha-satya
|nirodha sacca
|滅諦
|mièdì
|mieh-ti
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|'go-pa'i bden-pa
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| align=center | IV
|Verità della via che porta alla cessazione del dolore
|mārga-satya
|magga sacca
|道諦
|dàodì
|tao-ti
|dōtai
|lam-gyi bden-pa
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|}
Nel buddhismo Zen, il desiderio (''lobha'') è uno dei tre veleni, il desiderio per tutto ciò che offre la gratificazione individuale non può che portare al male (''akusala'') e alla sofferenza (''dukkha''). Miller pone sia la causa che la soluzione esattamente sulle spalle dell'individuo. Sostiene che l'uomo non vive in un "vacuum of historical facts" (Miller, 1962, p.1 5), ma piuttosto che il tempo non ha posto nelle questioni dello spirito: "the gate is ever open. Today is like all other days. There is only today" (Miller, 1962, p. 15). Miller sostiene che non viviamo in un tempo unico; la storia ci fornisce solo un falso senso di conoscenza e forse un senso di debolezza in relazione al cambiamento:
{{q|Again and again it has been pointed out that there is no issue on the historical level. No genuine solutions are possible through political, social or economic changes, or even through moral transformations. The only level on which vital, meaningful change may take place is the level of spirit. To be regenerate means that one must travel back to the source, recover the creative powers with which to meet all problems.|Miller, 1962, p. 15}}
Quello che Miller sta facendo qui è descrivere [[w:Satori|Satori]], il quarto passo delle Quattro Nobili Verità. Il satori è spesso spiegato come uno stato di unità; un'armonia di mente e corpo ottenuta lasciando andare l'ego, il desiderio ecc. Si tratta anche di vivere nel presente, accettare ciò che non può essere cambiato e praticare il distaccamento; cioè accettare la sofferenza e così liberarsene. In questo modo l'individuo può condurre una vita equilibrata e armoniosa. In "Samahdi All The Time: Henry Miller and Buddhism", David Calonne sostiene che i principi Zen di Miller di distaccamento e individualismo coesistevano insieme a un'empatia profondamente sentita per la sofferenza degli altri e al desiderio di agire in loro difesa. Questa contraddizione fondamentale tra l'accettazione del buddhismo Zen e il desiderio di agire, è quella con cui Miller lottò per risolverla nel suo quotidiano. In "Children of the Earth" Miller affronta la difficoltà del distaccamento nella vita:
{{q|Confronted with the naked horror of the world as one knows it today, I relive the anguish, the melancholy, the despair which I knew as a young man... Viewing the world as would a visitor from another planet, I have become involved once again in the throes of universal torment. As a young man, brash, impulsive, ridden with ideals, I came close to being annihilated by the sorrow and misery which surrounded me on all sides. To do something for my fellow man, to help deliver him, became my personal affair. Like every fanatical idealist, I ended up making my own life so
miserable and complicated that soon all my time, all my efforts, all my ingenuity, were consumed in the mere struggle to survive. Though speedily disillusioned as to my own powers, I never became indifferent to the plight of those about me. It did appear to me, however, that something like a stubborn refusal to be aided was inherent in man’s nature. In the process of saving my own skin I gained a little wisdom, a greater sense of reality, and a compassion which stilled the senseless conflicts that had ravaged me.|Miller, 1962, p. 17}}
Miller acquisisce un senso di armonia solo quando smette di combattere contro la sofferenza che sperimenta personalmente e vede intorno a sé. Lascia andare l'illusione di poter fare una qualche differenza, e con questo rifiuto dell'ego trova la pace. Etichetta coloro che agiscono come "fanatical idealists" (Miller, 1962, p. 17) e vede solo la perpetuazione della sofferenza in azione. "Children of the Earth" può essere considerato come una serie di esperienze e osservazioni della vita di Miller che servono a illustrare il suo viaggio attraverso le Quattro Nobili Verità.
Continua spiegando come la sua vita a Big Sur gli abbia dato un senso più forte di vivere una vita Zen. Lì, Miller aveva finalmente trovato una comunità in cui si sentiva a casa e accettava. Nonostante il suo forte senso dell'individualismo, Miller era una persona profondamente socievole che aveva sempre cercato individui con la stessa mentalità. Dalla sua confraternita ''Xerxes'' di Brooklyn, ai disadattati della Western Union Company, agli abitanti di Villa Seurat a Parigi, Miller aveva bisogno di essere circondato dalla stimolazione offerta dal contatto umano. Per quanto si lamentasse del costo del suo lavoro nel trattare con altre persone, sia in termini di tempo che di energie spese, cercava un senso di comunità ovunque vivesse. In "Children of the Earth" conclude il saggio descrivendo come egli viva una vita buddhista Zen in mezzo alla comunità di Big Sur: "I found myself living the life I had always desired to live, a member of a small community, seemingly isolated and apart from the world" (Miller, 1962, p. 18). Riconosce di aver sperimentato a Big Sur "the full bitterness of Hell and the delights of Paradise" (Miller, 1962, p. 18), ma è rapido a tornare a una comprensione Zen della sua vita e in particolare della pratica del distaccamento praticata all'interno di una comunità:
{{q|Living apart and at peace with myself, I came to realize more vividly the meaning of the doctrine of acceptance. To refrain from giving advice, to refrain from meddling in the affairs of others, to refrain, even though the motives be of the highest, from tampering with another’s way of life — so simple, yet so difficult for an active spirit! Hands off! Yet not to grow indifferent, or refuse aid when it is sincerely demanded. Living thus, practicing this simple way of life, strange things occurred; some might call them miraculous.|Miller, 1962, p. 18}}
Possiamo vedere che per Miller è uno sforzo vivere lo stile di vita Zen, deve resistere all'impulso di essere coinvolto nelle vite degli altri. C'è ancora in lui una parte del giovane che aveva descritto in precedenza nel saggio, l'uomo che cercava di aggiustare e cambiare ciò che lo circondava. Miller riconosce l'apparente egoismo di questo stile di vita, ma torna di nuovo ai concetti Zen per spiegare le sue scelte: "To come back to Big Sur, to my new-found freedom, my inner peace, my sense of at-homeness and at-oneness... Is it selfish of me to try to preserve it?... Can it be shared? And to whom would it have meaning, the meaning which it has assumed for me?" (Miller, 1962, p. 18). La risposta di Miller a questo, è vedere anche la domanda come una forma di ego. L'urgenza di spiegare o condividere la sua illuminazione ne nega l'essenza stessa:
{{q|And all the while an obsessive desire was shaping itself, namely, to lead the anonymous life. The significance of this urge I can explain simply — to eradicate the zealot and the preacher in myself. “Kill the Buddha!” the Zen master is known to say occasionally. Kill the futile striving, is the thought. Do not put the Buddha (or the Christ) beyond, outside yourself. Recognize him in yourself. Be that which you are, completely. Naturally, when one attains to this state of awareness, there is no need, no urge, to convert the other to one’s way of thinking.|Miller, 1962, p. 18}}
[[File:HenryMillerMuseum.jpg|thumb|200px|right|<small>La ''"Henry Miller Memorial Library"'' a [[w:Big Sur|Big Sur]]. Henry Miller visse a Big Sur dal 1944 al 1962</small>]]
Quello che abbiamo qui in molti modi è la voce fiduciosa di Miller, un uomo che ha trovato la sua strada e ha una struttura completa attraverso la quale comprendere tutti gli aspetti della sua vita. È importante tuttavia mostrare la progressione di Miller fino a questo punto, come sia arrivato a tale coerenza per quanto riguarda il buddhismo Zen. Se osserviamo alcuni dei suoi primi scritti, possiamo vedere Miller alle prese con le nozioni di base del buddhismo Zen, senza la comprensione di vederle all'interno di tale cornice. In "Reflections On Writing", uno dei saggi che comprende ''The Wisdom of the Heart'' (1941), Miller lotta per conciliare il ruolo dell'artista con il distaccamento buddhista Zen. A volte si avverte la rabbia nelle sue parole: non si tratta del distaccamento praticato negli ultimi anni, ma piuttosto della rabbia dello scrittore disilluso e sottovalutato. Miller inizia esaminando quanto tempo abbia impiegato per trovare la propria voce autentica nella sua scrittura. Spiega come abbia copiato gli stili di scrittori che ammirava, tra cui Dostoevskij, Hamsun e Mann, e come questa imitazione lo abbia portato a non essere in grado di scrivere o funzionare — "Finally I came to a dead end, to a despair and desperation which few men have known, because there was no divorce between myself as a writer and myself as a man: to fail as a writer meant to fail as a man. And I failed" (Miller, 1941, p. 243). Continua descrivendosi come "less than nothing" (Miller, 1941, p. 243) e cominciamo davvero a percepire un certo suo godimento nell'infelicità. Nessuno sembra aver sofferto più di Miller; pochissimi avrebbbero potuto anche solo cominciare a comprendere tale infelicità. Si avverte anche un certo disprezzo per l'intera comunità letteraria. Miller deve ancora riuscire ad andare oltre la sua rabbia verso una comunità da cui sente di essere stato offeso:
{{q|We are dealing with crystalline elements of the dispensed and shattered soul... It was quite impossible for me, therefore, to think of writing novels, quite equally unthinkable to follow the various blind alleys represented by the various literary movements in England, France and America. I felt compelled, in all honesty, to take the disparate and dispersed elements of our life — the ''soul'' life, not the cultured life and manipulate them through my own personal mode...|Miller, 1941, p. 250}}
Miller si distingue dai suoi contemporanei, in particolare da quelli coinvolti in movimenti letterari, e segnala che il suo è un percorso diverso, in qualche modo più autentico. Parte dell'amarezza di Miller durante questo periodo era senza dubbio legata alle recensioni di ''Tropic of Cancer''. Si era permesso di credere che il suo romanzo sarebbe stato accolto molto più favorevolmente di quanto non lo fosse stato o più apprezzato pubblicamente. T.S. Eliot considerò il romanzo "A very remarkable book, with passages of writing as good as I have seen in a long time... a rather magnificent piece of work" (Potter, 2001, p. 86), ma rifiutò a Miller l'uso delle sue parole come pubblicità. Eliot alluse alla possibilità di pubblicare alcuni dei lavori di Miller per Faber & Faber, ma ciò sembra alquanto improbabile poiché Eliot usava il nome di Miller come sinonimo di "unprintable (impubblicabile)". Eliot riferì al consiglio di amministrazione di Faber che ''The Black Book'' (1938) di Lawrence Durrell aveva problemi di censura per oscenità semplicemente per aver citato il nome di Miller in una frase (Potter, 2011, p. 86). La recensione complessivamente positiva di Edmund Wilson è interessante in quanto Miller vi rispose direttamente in una lettera a ''The New Republic'' nel 1938 criticando quello che riteneva come il fraintendimento fondamentale di Wilson sul ruolo del narratore: "He gives us the genuine American bum come to lead the beautiful life in Paris; and he lays him away forever in his dope of Pernod and dreams" (Baxter, 1961, p.166). La rabbia di Miller sembra essere rivolta al fatto che Wilson vede ''Tropic of Cancer'' come un'opera di finzione, o come Wayne Booth vede lo scambio in ''Rhetoric of Fiction'' (1983), un esercizio nella ricerca d'ironia a tutti i costi da parte del critico moderno. Miller a questo punto ha ancora difficoltà a separarsi personalmente dal narratore e quindi immagina offese ovunque: "The theme of the book is myself, and the narrator or the hero, as your reviewer puts it, is also myself... it is me, because I have painstakingly indicated throughout the book that the hero is myself" (Cohn, 2000, p. 35). Quanto sia positiva la recensione di Wilson rimane discutibile, dopotutto scrive quanto segue:
{{q|The tone of the book is undoubtedly low; ''The Tropic of Cancer'', in fact, from the point of view both of its happenings and of the language in which they are conveyed, is the lowest book of any real literary merit that I ever remember to have read... there is a strange amenity of temper and style which bathes the whole composition even
when it is disgusting or tiresome.|Aschenbrenner, 1974, p. 485}}
L'incapacità di Miller di accettare che la natura sessuale di ''Tropic of Cancer'' avesse reso quasi impossibile pubblicarlo nella sua forma completa nel Regno Unito e in America, lo portò a sentirsi offeso dalla più ampia comunità letteraria.<ref>Miller era ben lungi dall'essere l'unico scrittore a soffrire per le rigide leggi sulla censura in questo periodo, cfr. Potter, R. (2013) ''Obscene Modernism: Literary Censorship and Experiment 1900-1940''. Oxford University Press, Oxford. Ciò che forse differenzia Miller dagli altri scrittori censurati è che egli sembra vederlo come un attacco personale piuttosto che come parte di un problema più ampio. La successiva battaglia per la pubblicazione di ''Tropic of Cancer'' in America, stranamente, ebbe poco a che fare con Miller personalmente. La lotta iniziò nel 1950 e si concluse nel 1964 con il caso "Supreme Court in Grove Press, Inc. v Gerstein". Molti scrittori ed editori combatterono per la pubblicazione dei libri di Miller, ma Miller stesso passò in secondo piano principalmente a causa del suo timore che il governo lo punisse per le sue opinioni pacifiste sulla guerra del Vietnam in corso. Per una descrizione del processo e dei relativi dibattiti, si veda: Hutchison, E.R. (1968) ''Tropic of Cancer on Trial: A Case History of Censorship''. Grove Press, New York.</ref> Miller deve aver saputo che, consentendo alla Obelisk Press di pubblicare il libro in Francia, ciò equivaleva a etichettare la sua opera come pornografica e che gli editori tradizionali si sarebbero rifiutati di essere associati al suo nome, nonostante le recensioni positive di artisti del calibro di Orwell, [[w:Ezra Pound|Pound]], Eliot e [[w:Blaise Cendrars|Cendrar]]. Questo non vuol dire che Miller abbia preso le cose alla leggera o che abbia accettato che ''Tropic of Cancer'' non fosse un successo immediato. La tormentata relazione di Miller con il proprietario di Obelisk Press, [[:en:w:Jack Kahane|Jack Kahane]], potrebbe aver contribuito ai suoi sentimenti di essere un emarginato. Kahane aveva accettato, a considerevole rischio personale, di pubblicare Miller. In precedenza aveva ceduto i diritti francesi a ''Lady Chatterley’s Lover'' (1928) per paura di essere perseguito e chiuso, ma nonostante non volesse perdere un'altra occasione di pubblicazione, offrì a Miller un misero contratto: nessun anticipo e il 10% di royalty sulle vendite.<ref>Black Manikin Press alla fine acquistò i diritti francesi per ''Lady Chatterley’s Lover''; nel 1930 erano state pubblicate tre edizioni pari a 11.000 copie e il ricavato di Lawrence fu di 90.000 franchi francesi.</ref> In ''Obelisk: A History of Jack Kahane and the Obelisk Press'' (2007), Neil Pearson esamina il tempestoso rapporto di lavoro tra Kahane e Miller, e penso che questo spieghi in qualche modo l'antagonismo di Miller verso la comunità letteraria durante questo periodo. Sebbene Miller sia sempre stato grato a Kahane per aver colto l'occasione di pubblicarlo, nel tempo arrivò a vedere Kahane come un dilettante e nel peggiore dei casi un sabotatore. Kahane dilazionò la data di pubblicazione prestabilita, alla fine pubblicando solo un terzo del manoscritto completato, e alla fine fu superato in astuzia da Anaïs Nin che accettò di offrirgli in prestito i soldi per coprire i costi di stampa; successivamente Kahane sostenne che Miller dovesse farsi una reputazione prima della pubblicazione. Kahane insistette sul fatto che Miller dovesse produrre un trattato su D.H. Lawrence per stabilire le sue credenziali intellettuali, una richiesta che Miller trovò sia offensiva che imperdonabile:
{{q|It is humiliating to me to sit in your office and be requested to write a little brochure about this man or that man in order to introduce myself. I don’t want any introduction. I wanted simply to stand up and let go – be knocked over for it or lauded for it. But not apologize, not explain myself. I can’t tell you how ignominious that felt to me.|Pearson, 2007, p. 438}}
Sebbene l'opuscolo su Lawrence non si concretizzò mai, Miller trascorse una quantità eccessiva di tempo nella rispettiva ricerca; tempo che riteneva avrebbe potuto essere utilizzato in modo più produttivo. La pubblicazione di ''Tropic of Cancer'' non fu la fine delle tribolazioni di Miller; sentiva che Kahane non stava promuovendo il libro come avrebbe dovuto e si mise a farne la pubblicità da solo. Miller inviò copie a tutti i colleghi scrittori o critici che pensava potessero essergli utili. La cosa più famosa è che ne inviò una copia a Ezra Pound a Rapallo, nonostante non lo avesse mai incontrato. Pound esclamò "At last, an unprintable book that is fit to read" (Pearson, 2007, p. 443) e lo passò prontamente al suo visitatore [[:en:w:James Laughlin|James Laughlin]], che col tempo avrebbe pubblicato Miller in America tramite la sua casa editrice [[w:New Directions|New Directions]]. Miller stava godendo di una grande fortuna, anche se un po' per caso, ma Miller pensava solo al fatto che doveva fare quello che avrebbe dovuto fare Kahane. Miller, nella sua stessa mente, aveva sofferto così tanto per arrivare a questo punto e sentiva che non stava ottenendo le sue giuste ricompense; Kahane venne a personificare le cause dell'angoscia di Miller. Anche se Miller stava realizzando i suoi sogni, era ancora l’''outsider'' che doveva lavorare più duramente degli altri per un posto a tavola.
Miller avrebbe continuato a ritenere di vivere fuori dalla comunità letteraria, e forse dalla società nel suo insieme, specialmente durante la seconda guerra mondiale. Il buddhismo Zen di Miller lo aveva condotto a un pacifismo che molti contemporanei trovavano insondabile, e in questa posizione possiamo vedere l'influenza di E. Graham Howe nella concettualizzazione della [[w: nonviolenza|nonviolenza]] di Miller. Anche in ''The Wisdom of the Heart'' vediamo Miller continuare con la sua capacità di incorporare le filosofie di altre persone nel proprio percorso. Per molti anni gli scritti di E. Graham Howe furono conosciuti principalmente per il sostegno da parte di Miller in ''The Wisdom of the Heart''. Howe fu uno psicologo britannico della prima metà del XX secolo, uno dei primi editori di articoli relativi alla psicoanalisi e membro fondatore della famosa [[:en:w:Tavistock and Portman NHS Foundation Trust|Tavistock Clinic]] di Londra. La recente pubblicazione di una selezione dei suoi saggi in [https://www.google.co.uk/books/edition/The_Druid_of_Harley_Street/0REJzmeZqKMC?hl=en ''The Druid of Harley Street: The Spiritual Psychology of E. Graham Howe'' (2012)] porterà, si spera, a una rivalutazione del suo lavoro separatamente dal suo legame con Miller.<ref>'''Eric Graham Howe''' nacque in Inghilterra nel 1896 e morì nel 1975. All'inizio del ventesimo secolo fu in prima linea nella comunità psicoanalitica nel Regno Unito. Fece da mentore sia ad Alan W. Watts sia a R.D. Laing. Watts, A.W. (1936) ''The Spirit of Zen''. Grove Press, New York, deve molto al lavoro pionieristico di Howe sulla filosofia orientale e sulla coscienza individuale, mentre Laing scrisse la prefazione di Howe (1965) ''Cure or Heal?: A Study of Therapeutic Experience''. George Allen & Unwin Publishing, Londra, definendolo un "master psychologist". Le altre opere chiave di Howe includono: ''The Open Way: A Study of Acceptance''. (1942) Methuen Publishing, Londra, e ''The Triumphant Spirit: A Study of Depression''. (1951) Faber & Faber, Londra.</ref> L'opera di Howe che più attrasse Miller e di cui scrive esaurientemente in ''The Wisdom of the Heart'' è ''War Dance: A Study in the Psychology of War'' (1937). Vista la data di pubblicazione, non sorprende che questo sia un'opera che affronta il tema del bene e del male e come comprendere questi concetti attraverso la filosofia orientale. La lunghezza con cui Miller discute di ''War Dance'', credo dimostri che sta ancora lottando con il suo impegno per la non-azione in un periodo storico in cui l'azione sembrava non solo desiderabile, ma anche necessaria. In breve, Howe sostiene che le cause della guerra sono dovute alla convinzione dell'umanità che ci sia una scelta tra il bene e il male; il primo deve essere abbracciato e al secondo si deve resistere: "eliminate that opposite our adversary, calling him Satan the evil one, thereby reducing everything to a seemingly single unity" (Howe, 1937, p. 132). Quando vediamo la vita all'interno di questi parametri, vediamo la vita come una serie di alternative, alternative che perpetuano un senso di discordia e frattura. La manifestazione fisica di questa polarità è la guerra. Per Howe l'unica soluzione è l'accettazione:
{{q|Life is the law of our acceptance, but who can stand the strain of life and love it? This acceptance of the reality of things as they are, actively passive, co-operative and reciprocating, as a seed planted in darkness, operating in the unseen, unconditionally accepting the full measure of experience... Seeking only to be a servant of that creation of which it is the living image, acting as a reflecting mirror of a deeper light, our single task is faithfully to tend that light within the intellect which, through its illumination, is prepared to see all things and live among them.|Howe, 1937, p. 147}}
Miller riecheggia Howe quando scrive:
{{q|By acceptance of ''all'' the aspects of life, good and bad, right and wrong, yours and mine, the static, defensive life, which is what most people are cursed with, is converted into a dance, “the dance of life” as Havelock Ellis called it... the dance is an end in itself, just like life. The acceptance of the situation, ''any'' situation, brings about a flow, a rhythmic impulse towards self-expression.|Miller, 1941, p. 253}}
Miller vede la chiave dell'accettazione nella resa. La resa al dolore, alla miseria e alla sconfitta diventa l'accettazione positiva della vita così com'è. Ancora una volta vediamo Miller aggrapparsi alle Quattro Nobili Verità, usando i concetti di sofferenza, accettazione e risveglio per spiegare il mondo che lo circonda. In tempo di guerra, Miller nega la sua importanza e cerca l'illuminazione attraverso il buddhismo Zen:
{{q|It is the long way round, which always proved to be the shortest way after all. It means the assimilation of experience, fulfilment through obedience and discipline: the curved span of time through natural growth rather than the speedy, disastrous, short-cut. This is the path of wisdom, and the one that must be taken eventually, because all the others only lead to it.|Miller, 1941, p. 254}}
È facile capire perché la scrittura di Miller immediatamente prima della seconda guerra mondiale e durante essa, abbia suscitato tale negatività. Ho già esaminato l'attacco di George Orwell al pacifismo e alla mancanza di impegno politico di Miller in "Inside The Whale" (1940) nel [[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Surrealismo|Capitolo 3]], tuttavia è importante riconoscere quanto Miller fosse fuori passo con i suoi amici intimi; sia Lawrence Durrell che Alfred Perles si unirono all'esercito britannico e trovarono incomprensibili le credenze Zen di Miller in quel momento.<ref>Sebbene Miller fosse indubbiamente fuori passo sia con i suoi amici che con l'opinione pubblica, altri scrittori sostennero il pacifismo durante la guerra per una serie di ragioni. Huxley e Isherwood si rifiutarono di combattere e così facendo rimasero fedeli alle loro convinzioni buddhiste/vedanta, allo stesso modo Vera Brittain, John Middleton Murry e W.H.Auden aderirono alle loro convinzioni pacifiste cristiane, con i primi due membri impegnati della ''Peace Pledge Union''. Altri notevoli pacifisti, Leonard Woolf, Bertrand Russell e A. A. Milne, ritenevano che l'unica risposta realistica al nazismo fosse la guerra. Si veda: Piette, A. e Rowlinson, M. (2012) ''The Edinburgh Companion to British and American War Literature''. Edinburgh University Press, Edinburgh.</ref> Nel 1941, la visione della guerra di Miller fu profondamente influenzata dal buddhismo Zen e altrettanto profondamente influenzata dalle idee alternative di Howe:
{{q|...evading our real problems from day to day we have produced a schism, on the one side of which is the illusory life of comfortable security and painlessness, and on the other disease, catastrophe, war and so forth. We are going through Hell now, but it would be excellent if it really was hell, and if we really went through with it... Those who are trying to put the onus of responsibility for the dangers which threaten on the shoulders of the “dictators” might well examine their own hearts and see whether their allegiance is really “free” or a mere attachment to some other form of authority...|Miller, 1941, p. 263}}
Ciò che Miller sta sostenendo qui è che la guerra è una realtà creata dall'uomo basata sull'incapacità dell'umanità di accettare la sofferenza come parte della vita. Il nostro bisogno di negare la sofferenza porta a una visione binaria della vita — decisioni semplicistiche che rifiutano il tutto. Quando Miller discute dell'inferno e del suo desiderio che lo stessimo realmente attraversando, utilizza sia la visione di Howe della guerra come risultato fabbricato di scelte artificiali, sia l'idea buddhista Zen di un ritorno al nulla. Miller vuole ricominciare da capo con una ''tabula rasa'' e solo la completa distruzione della civiltà può raggiungere tale obiettivo. Miller si rende conto che la seconda guerra mondiale non porterà a nessun cambiamento o evoluzione fondamentale per l'umanità, ma la vede piuttosto come rappresentazione della "danza di guerra" di Howe e un rito di passaggio capitalista.
[[File:China (Chinese characters).svg|thumb|150px|right|''"Cina"'' in [[w:caratteri cinesi semplificati|caratteri cinesi semplificati]] (sopra) e [[w:caratteri cinesi tradizionali|tradizionali]] (sotto)]]
Questa idea di ricominciare da capo con una ''tabula rasa'' è qualcosa con cui Miller giocò nel suo concetto di '''''Cina'''''. Per Miller, la ''Cina'' non è un paese o un luogo geografico, ma piuttosto uno stato d'animo, o più precisamente, uno stato dell'essere. Gli studiosi di Miller sono da tempo in disaccordo su come la ''Cina'' dovrebbe essere intesa all'interno dei suoi scritti, ma ciò su cui si è d'accordo è quanto sia utile interpretare ciò a cui Miller stava cercando di arrivare in alcuni dei suoi brani più filosofici e contorti. La ''Cina'' è spesso interpretata come un mezzo con cui avanzare un'ipotesi esistente, piuttosto che come una filosofia, finanche una destinazione spirituale di per sé. In ''A Self-Made Surrealist: Ideology and Aesthetics in the Work of Henry Miller'' (2000) di Caroline Blinder, la ''Cina'' è vista attraverso il prisma di una narrativa surrealista complessiva; come uno strumento che Miller usa per giocare con le forme della realtà. Per Katy Masuga nel suo articolo "Henry Miller, Deleuze and the Metaphor of China" (2009) la ''Cina'' può essere vista come rizomatica in quanto si basa su "connection and heterogenity", quindi "any point of a rhizome can be connected to anything other, and must be" (Deleuze e Guattari, 2003, p. 7), in linea con l'inclusione di Miller in ''A Thousand Plateaus: Capitalism and Schizophrenia'' (1980) di [[w:Gilles Deleuze|Deleuze]] e [[w:Félix Guattari|Guattari]]. James M. Decker vede elementi della ''Cina'' come una destinazione, anche se si ferma di colpo vedendola come una destinazione puramente in relazione alla libertà artistica in ''Henry Miller and the Narrative Form: Constructing the Self, Rejecting Modernity'' (2005). È più interessato a cooptarlo nella sua teoria della forma a spirale; una teoria che comprende lo stile narrativo radicale di Miller in relazione allo sviluppo del tempo. Forse l'esame più approfondito di ''Cina'' appare in ''Henry Miller: The Inhuman Artist'' (2013) di Indrek Manniste, un libro che considera le basi filosofiche di Miller principalmente contestualizzando il suo lavoro attraverso i tropi tematici modernisti chiave della decadenza della civiltà occidentale, della tecnologia e del ruolo dell'artista; interpretato principalmente attraverso l'influenza di Nietzsche e Spengler, mentre lo inquadra come uno scrittore modernista nella grande tradizione. L'ipotesi di Manniste ruota attorno ai concetti del presente tradizionale e del presente completo. Sono concetti che abbiamo già preso in considerazione nel [[La Filigrana Zen di Henry Miller/Henry Miller e Henri Bergson|Capitolo 2]] con Bergson, in quanto legati al tempo e all'artista. In breve, il presente tradizionale è tempo lineare, storico; tempo che è confezionato e concettualizzato per noi. Il presente completo ricorda "Durata" e "Intuizione" di Bergson in quanto richiede all'artista di rompere con le nozioni convenzionali di tempo e comprendere la differenza tra tempo e temporalità, per abbracciare l'ora/adesso. Per Manniste ''Cina'' è la manifestazione intellettuale della volontà di Miller di creare uno spazio per gli artisti. Sì, riconosce Miller come un [[w:sinologia|sinofilo]] impegnato, ma è soprattutto il rifiuto di Miller della civiltà occidentale in tutte le sue manifestazioni e la sua convinzione della ''Cina'' "as the ultimate realm to which art or artistic activities should lead..." (Manniste, 2013, p. 95). Quindi prosegue riconoscendo che l'arte e la ''Cina'' non sono il fine in se stesse poiché la creazione dell'arte è solo il mezzo attraverso il quale l'artista si libera del passato e tocca l'autenticità, una teoria che ricorda molto la rinascita artistica di Rank — l'obiettivo è la vita:
{{q|Art... is only a preparation, an initiation into the way of life. The goal is liberation, freedom... To continue writing beyond the point of self-realization seems futile and arresting. The mastery of any form of expression should lead inevitably to the final expression — mastery of life.|Miller, 1941, p. 209}}
È come se Manniste alludesse al buddhismo Zen di Miller, ma non fosse disposto ad andare alla conclusione logica della ''Cina''. ''Cina'' è chiaramente la concettualizzazione di Miller riguardo a ''Anatman'' (non-sé o non-essere) non come scrittore ma come essere umano. Incorporando le sue precedenti influenze di Bergson e Rank, Miller vede il tempo e l'atemporalità, morte in utero e rinascita artistiche, come i mezzi attraverso i quali procedere verso ''Samhadi'' (autoconsapevolezza) e ''Prajna'' (intuizione improvvisa). La ''Cina'' è qualcosa che Miller può ottenere solo attraverso il buddhismo; è un modo di vivere, un viaggio che richiede l'adesione alle Quattro Nobili Verità e la pratica dell'[[w:Nobile Ottuplice Sentiero|Ottuplice Sentiero]]. 19 La padronanza di cui scrive Miller è la padronanza della vita che può essere raggiunta solo attraverso il concetto buddhista del retto vivere; cioè l'impiego quotidiano del Nobile Ottuplice Sentiero. In una delle pubblicazioni finali di Miller, ''Mother, China and the World Beyond'' (1977), egli delinea sia le sue opinioni finali su sua madre sia come immagina la Cina. C'è la sensazione che Miller stia tornando all'inizio della sua vita, che desideri esplorare il suo rapporto con la madre, ma da una prospettiva intrinsecamente Zen. Anche in ''Mother, China and the World Beyond'' torna su un terreno ben battuto con un attacco all'America e una chiara posizione di sé come buddhista Zen:
{{q|Even as a boy the name ''China'' evoked strange sensations in me. It spelled everything that was vast, marvellous, magical, ''and'' incomprehensible. To say China was to stand things upside down. How marvellous that this same China should stir in the old man who is writing these words the same strange, unbelievable thoughts and feelings... We of the Western world are so very, very young, mere babes compared to the Hindus, the Chinese, the Egyptians, to mention only a few peoples. And, with our youth goes ignorance, stupidity and arrogance. Worse, our intolerance, our failure to even try to understand other peoples’ ways. We in America are perhaps the worst sinners.|Miller, 1977, pp. 27-28}}
Gli elementi del "'''Nobile Ottuplice Sentiero'''" e i differenti modelli di interpretazione, sono presentati nella seguente tabella:<ref>Per un esame di come tutti questi fattori devono funzionare all'unisono per la vera illuminazione, si veda: Bodhi, B. (1994) ''The Noble Eightfold Path''. Buddhist Publication Society, Sri Lanka. Cfr. anche William Chu (2004) ''Encyclopedia of Buddhism'', Robert E. Buswell, cur., McMillan USA, New York, pp. 635-640.</ref>
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| align=center | II
|''Retta intenzione'' – Pensieri caritatevoli e premurosi in contrasto con cattiva volontà e piacere individuale
|Samyak-saṃkalpa
|Sammā saṃkappa
|正思惟
|Zhèng sīwéi
|Cheng ssu-wei
|Shō shiyui
|Yang dag pa'i rtog pa
|-
| align=center | III
|''Retta parola'' – Astenersi da pettegolezzi, falsità e linguaggio crudele
|Samyag-vāc
|Sammā vācā
|正語
|Zhèngyǔ
|Cheng-yü
|Shōgo
|Yang dag pa'i ngag
|-
| align=center | IV
|''Retta azione'' – Astenersi da promiscuità, dall'uccidere o rubare. Essere consapevoli dei diritti degli altri
|Samyak-karma-anta
|Sammā kammanta
|正業
|Zhèngyè
|Cheng-yeh
|Shōgō
|Yang dag pa'i las kyi mtha'
|-
| align=center | V
|''Retta sussistenza'' – Non praticare un mestiere contrario alle credenze buddhiste, ad es. schiavitù o lavoro di macellazione
|Samyag-ājiva
|Sammā ājīva
|正命
|Zhèngmìng
|Cheng-ming
|Shōmyō
|Yang dag pa'i 'tsho ba
|-
| align=center | VI
|''Retto sforzo'' – Assumersi la responsabilità di fare uno sforzo per vivere da buddhista
|Samyag-vyāyāma
|Sammā vāyāma
|正精進
|Zhèng jīngjìn
|Cheng-ching-chin
|Shō shōjin
|Yang dag pa'i rtsol ba
|-
| align=center | VII
|''Retta presenza mentale'' – Essere consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, pensieri e parole
|Samyak-smṛti
|Sammā sati
|正念
|Zhèngniàn
|Cheng-nien
|Shōnen
|Yang dag pa'i dran pa
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| align=center | VIII
|''Retta concentrazione'' – La pratica costante della meditazione porta a una mente chiara e calma ed è essenziale per la massima attenzione della saggezza e dell'illuminazione
|Samyak-samādhi
|Sammā samādhi
|正定
|Zhèngdìng
|Cheng-ting
|Shōjō
|Yang dag pa'i ting nge 'dzin
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Miller continua con un resoconto sconclusionato della propria identificazione con i cinesi, non in senso ideologico o politico perché, come afferma, queste cose non sono importanti per lui. Si identifica con loro in senso spirituale e come antitesi agli americani. Per quanto in precedenza abbia celebrato i francesi, la realtà dell'essere cinese è di scarso interesse per Miller. È l'essenza di ciò che considera utile in entrambe queste culture, i francesi come legati alla loro terra e i cinesi come profondamente spirituali, che è ciò che per Miller rende il tutto. La visione dell'America di Miller non mostra segni evidenti di cambiamento; trova la cultura sempre ripugnante e ne attende la fine:
{{q|America tries to give the world an image of a unified nation, “one and indivisible.” Nothing could be further from the truth. We are a people torn with strife, divided in many ways, not only regionally. Our population contains some of the poorest and most neglected people in the world. It probably also contains the most rich people of any country in the world. There is race prejudice to a great degree and inhumanity to man even among the dominant Caucasians. As I hinted earlier, America is rapidly going down the drain. The old countries, poor for the most part, I expect will take over in a very few years. And the people who invented the firecracker will outlive those who invented the deadly atom bomb.|Miller, 1977, p. 31}}
Il messaggio di Miller potrebbe non essere cambiato, ma il suo modo di presentarlo sì. Sparita è la rabbia apoplettica dei suoi primi anni, sostituita da una calma accettazione di ciò che sarà. Miller conclude ''Mother, China and the World Beyond'' con un appello a chi continuerà a non guardare ai leader per liberarsi, bensì a guardarsi dentro:
{{q|As long as the rich rule there will be chaos, wars, revolutions. The leaders to look to are not in evidence. One has to hunt them out. One should remember, as Swami Vivekananda once put it, that “before Gautama there were twenty-four other Buddhas.” Today we can no longer look for saviours. Every man must look to himself. As some great sage once said: “Don’t look for miracles, ''you'' are the miracle.”|Miller, 1977, pp. 32-32}}
In ''Mother, China and the World Beyond'' Miller affronta la sua ''bête noir'' originale nella forma di sua madre. Non è difficile vedere che la relazione traumatica di Miller con sua madre modellò non solo le sue future relazioni con le donne, ma anche i suoi sentimenti di disprezzo per se stesso. Miller sentì sempre di aver in qualche modo deluso sua madre non essendo in grado di conformarsi a ciò che si aspettava da un figlio. Questo senso di fallimento col tempo si mescolò ad un odio profondo; Louise Miller sembra sia stata una persona brutale e dispotica. In ''Mother, China and the World Beyond'' Miller affronta la loro riconciliazione dopo la morte, un aldilà concepito nella spiritualità Zen. Miller e sua madre aspettano entrambi la reincarnazione, ma devono prima affrontare e accettare i loro errori passati. Louise Miller accetta la sua stupidità passata e dice a Miller: "You see, son, all we have to do here is to learn from our past mistakes, so when we are ready to be incarnated again, we will have learned our lesson. We have all time on our hands here. Some learn faster than others and are gone before one really knows them" (Miller, 1977, p. 8). Informa Miller che non esiste un governo perché non ce n'è bisogno, tutto l'odio e il pregiudizio sono spariti dai loro cuori e dalle loro menti. Miller interroga sua madre su una varietà di argomenti e si stupisce ed eè felice delle sue risposte Zen. Le chiede tutto ciò che forse desiderava nella vita: perché non lo sostenne come scrittore e perché si oppose violentemente alla sua relazione con Pauline Chouteau, la sua prima amante molto più anziana? Miller riceve tutte le risposte di cui ha bisogno; è in pace con sua madre. Il fatto che l'unico modo in cui Miller possa trovare una soluzione con sua madre sia trasformarla in qualcosa che non era è interessante, ma sicuramente adatto per il divano dello psicanalista. Il suo buddhismo Zen gli permette di concepire un modo in cui è possibile darle il suo perdono e accettare il comportamento materno. Il messaggio finale di Miller è di autocoscienza, accettazione e speranza. Interagisce con quelli che si potrebbero sostenere sono i suoi due grandi temi: la mancanza di amore materno e l'alienazione dal proprio paese. Li risolve mediante il suo utilizzo delle Quattro Nobili Verità del buddhismo Zen.
{{Immagine grande|禅機(鳥窠道林・白居昜)-Zen Encounter (Niaoke Daolin and Bai Juyi) MET 36 100 39 O1 sf.jpg|800px|''Incontro Zen: Niaoke Daolin e Bai Juyi'', attribuito a [[:fr:w:Shōkei Kenkō|Shōkei Kenkō]] (inchiostro su carta, XVI secolo)}}
== Note ==
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" > <references/> </div>
{{Avanzamento|100%|25 luglio 2021}}
[[Categoria:La Filigrana Zen di Henry Miller|Henry Miller e Buddhismo]]
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Saeculum Mirabilis
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<div style="text-align:center"><span style="font-size: 1.7em;">'''SAECULUM MIRABILIS'''</span>
<span style="font-size: 1.3em;">''Albert Einstein e l'internazionalismo liberale del XX secolo''</span>
<br/>
''[[Serie delle interpretazioni|Nr. 15 della Serie delle interpretazioni]]''
<br/>
<span style="font-size: 1.25em;">''Autore:'' '''[[Utente:Monozigote|Monozigote]] 2022'''</span>
<br/>
[[File:Albert Einstein signature.svg|230px|center|Firma di Einstein]]
[[File:Albert Einstein .jpg|480px|center|Caricatura di Albert Einstein, di Louis P. Hirshman - 1940]]
</div>
==Indice==
[[File:Histoire de la relativité - six personnalités.jpg|left|41px|Histoire de la relativité - six personnalités]]
[[File:Jiri Srna Einstein.jpg|380px|right|Albert Einstein]]
'''{{Modulo|Saeculum Mirabilis/Copertina|Copertina}}'''
: ● — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Introduzione|Introduzione}}
: 1. — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Capitolo 1|L'intellettuale pubblico globale}}
: 2. — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Capitolo 2|I fondamenti del pensiero}}
: 3. — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Capitolo 3|Pacifismo}}
: 4. — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Capitolo 4|Sionismo e Israele}}
: 5. — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Capitolo 5|La bomba e la corsa agli armamenti}}
: 6. — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Capitolo 6|Governo mondiale}}
: 7. — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Capitolo 7|Libertà e guerra fredda}}
: ● — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Conclusione|Conclusione}}
: ● — {{Modulo|Saeculum Mirabilis/Note|Note}}
'''{{Modulo|Saeculum Mirabilis/Bibliografia|Bibliografia}}'''
{{-}}
== PREMESSA ==
Questo wikilibro propone un nuovo sguardo alle opinioni politiche di [[w:Albert Einstein|Einstein]] sulla base del fatto che, nonostante la vasta letteratura su di lui, attualmente non esiste uno studio sinottico su questo argomento. Il presente studio colloca saldamente Einstein nel contesto della politica internazionale del ventesimo secolo. Piuttosto che esaminare Einstein in isolamento, esploro le sue connessioni con un gruppo di intellettuali globali che costituivano una "[[w:Internazionale Liberale|internazionale liberale]]" informale, i cui membri furono ripetutamente chiamati ad esercitare la loro influenza su grandi questioni internazionali del momento. Nell'esplorare Einstein stiamo anche esplorandone le idee chiave — soprattutto l'[[:en:w:Liberal internationalism|internazionalismo liberale]] — e gli eventi politici del Novecento come anche il ruolo degli intellettuali in politica.
<div class="usermessage" style="background-color:yellow; height:65px; text-align:center; font-size: 0.9em; color:brown; line-height: 20px;">
'''N.B.:''' Citazioni estese da fonti secondarie in {{Lingue|de|el|en|fr|la}} sono lasciate nell'originale.<br/>
[[Image:PD-icon.svg|25px|Public domain]] Sotto lo pseudonimo [[Utente:Monozigote|Monozigote]] rilascia in '''[[w:dominio pubblico|dominio pubblico]]''' tutti i suoi scritti su [[w:Wikibooks|Wikibooks]] [[File:Wikibooks-logo-it.svg|35px|Wikibooks]]
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{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}}
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Saeculum Mirabilis/Capitolo 1
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Monozigote
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/* La Prima Campagna di Einstein */ testo
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{{Saeculum Mirabilis}}
[[File:Coloreinstein1.jpg|540px|thumb|center|Albert Einstein (1921)]]
== L'intellettuale pubblico globale ==
È importante, all'inizio, stabilire che tipo di pensatore fosse Einstein nel campo della politica e dell'etica sociale. Non era un filosofo professionista né un teorico sociale, ma un personaggio pubblico con vedute profondamente radicate e le cui opinioni erano ricercate su questioni che spesso avevano scarso collegamento con le sue aree di conoscenza specialistica. Con poche eccezioni degne di nota, le dichiarazioni e gli scritti di Einstein su questioni sociali e politiche raramente superavano le poche pagine. Molte erano ancor più brevi. Questa era per lui un'attività secondaria, anche se di vitale importanza. La [[w: fisica|fisica]] veniva prima. Trascorreva la maggior parte del suo tempo coprendo pagine e pagine con formule e diagrammi matematici scarabocchiati, alcuni dei quali si riversavano sulle bozze di lettere e dichiarazioni che stava preparando per pubblico consumo. Se la maggior parte delle sue energie erano dedicate alla fisica, fu comunque un appassionato promotore dei principi liberali radicali sulla scena mondiale. Come ha giustamente affermato un commentatore, la sua attività politica "was very clearly work, not merely a hobby".<sup>1</sup> L'elenco dei suoi interventi è straordinariamente lungo e mostra che dalla Prima guerra mondiale in poi fu continuamente impegnato in corrispondenze, firma di petizioni e incontri associati a una varietà di cause. L'intensità del suo coinvolgimento variava. Ci fu un'esplosione di attività negli anni immediatamente successivi alla sua elevazione a stato di celebrità sulla scia della Prima guerra mondiale. Questo periodo includeva il suo primo viaggio negli Stati Uniti, il suo coinvolgimento iniziale con il [[w:Sionismo|sionismo]], la partecipazione a varie cause di pace, l'appartenenza all'[[:en:w:International Committee on Intellectual Cooperation|International Committee on Intellectual Cooperation]] della [[w:Società delle Nazioni|Società delle Nazioni]] e le interviste alla stampa tedesca sugli sconvolgimenti che accompagnarono la transizione del potere dalla Germania Imperiale alla [[w:Repubblica di Weimar|Repubblica di Weimar]].
Un altro picco arrivò durante l'agitazione internazionale per il disarmo nel 1931-1932. Einstein scrisse o parlò a nome di singoli oppositori della guerra in paesi così diversi come Bulgaria, Danimarca, Stati Uniti, Germania, Jugoslavia, Polonia, Svizzera, Belgio, Svezia e Italia, oltre a fornire numerosi articoli, discorsi e dichiarazioni da leggere fuori per suo conto alle conferenze quando non poteva partecipare. Ovunque andasse per lavoro scientifico, era chiamato a tenere discorsi da organizzazioni pacifiste locali grandi e piccole, comprese le associazioni studentesche a Oxford e un certo numero di università negli Stati Uniti. Nel maggio 1932, quando un'importante conferenza internazionale sul disarmo a Ginevra si impantanò in controversie sulle quantità consentite e sui tipi di armi, si recò direttamente a Ginevra con altri notabili pacifisti e tenne una conferenza stampa nel tentativo di reindirizzare la conferenza verso i punti fondamentali. Gli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale furono di pari intensità per Einstein, poiché sosteneva che il governo mondiale fosse l'unico mezzo per prevenire una corsa agli armamenti nucleari e un'altra guerra mondiale. In questo periodo, ma soprattutto negli anni 1946-1948, era raramente fuori dagli interessi del pubblico, che ora includeva la televisione. E, naturalmente, la stessa bomba atomica, sebbene non fosse stata creata da Einstein e nemmeno concepita da lui come una possibilità quando aveva ideato la sua formula per l'equivalenza massa-energia, in definitiva fu il risultato di scoperte teoriche che egli aveva fatto. Riusciva a malapena a spezzare il legame nella mente delle persone tra Einstein e l'era atomica, che gli garantiva un'autorità peculiare agli occhi di coloro che cercavano la pace internazionale e il controllo delle armi atomiche. I primi anni '20, 1931–2 e la fine degli anni '40 furono evidentemente momenti salienti della sua attività pubblica, ma sono notevoli nella sua lunga carriera soprattutto per la pura intensità, non per il tipo, di coinvolgimento. La sua attenzione era continua.<sup>2</sup>
Alla base delle sue convinzioni c'era un impegno per la promozione di valori umani e ampiamente liberali, che erano spesso espressi in modo radicale e intransigente. Se le idee stesse di per sé non erano originali, il modo in cui le esprimeva dimostrava una sorprendente individualità, che portò a posizioni che eludevano le solite categorie del dibattito politico. Era un socialista dichiarato che abbracciava l'individualismo, un fervente critico del capitalismo che odiava il comunismo sovietico, un uomo di "cosmic religious belief" che non aveva tempo per la religione organizzata, un sionista dichiarato che nutriva profondi scrupoli circa l'instaurazione dello stato politico di Israele e un solitario impegnato in una serie di cause sociali.
Ciò a cui tutto questo aggiunge è stato oggetto di molti dibattiti. Un individuo così multiforme attirava l'attenzione, sfavorevole oltre che favorevole, per una serie di ragioni diverse. I legami tra le sue diverse cause erano generalmente impliciti piuttosto che esplicitamente articolati. All'inizio degli anni '50 un giovane fisico indiano inviò ad Einstein il dattiloscritto di un articolo sulla sua "filosofia della vita" (di Einstein). Nel suo paragrafo introduttivo [[:en:w:Jagdish Mehra|Jagdish Mehra]] osservava: "one of the difficulties of such a study is that it is hard to discover, in Einstein’s speeches and writings, any systematic position in social ethics. Thus I prefer to speak of his convictions rather than positions in social philosophy."<sup>3</sup> Einstein evidentemente approvò il ritratto che Mehra fece di lui, poiché rispose: "apart from too unwarranted praise I find your characterization of my convictions and personal traits quite veracious and showing psychological understanding".<sup>4</sup> Sebbene ci siano motivi per sostenere che c'è una maggiore coerenza nel pensiero di Einstein di quanto Mehra riconosca, Mehra coglie il carattere "occasionale" degli interventi di Einstein su questioni sociali e politiche.
Einstein era evidentemente più che un polemista, ma qualcosa di meno che un pensatore sistematico in questo campo. Poiché teneva profondamente alle questioni che abbracciava, era continuamente attratto dall'arena pubblica, ma poiché era soprattutto uno scienziato, spesso si risentiva del tempo che prendevano dal suo lavoro scientifico. A volte la sua irritazione si manifestava, almeno in privato. Scrisse a un amico nel 1946: "If you see my name brought up from time to time in connections with political excursions, you shouldn’t think that I spend much time on such matters since it would be sad to waste much energy for the skimpy soil of politics. From time to time, however, a moment arrives when I cannot help myself..."<sup>5</sup> Per quanto gli fosse difficile dire di no alle richieste di unirsi a questa o quella causa, a volte lo faceva, e questi casi sono tanto istruttivi quanto le volte disse di sì. Era disposto a consentire che il suo nome fosse usato pubblicamente ma non a un costo o per conto di qualsiasi causa. Ci sono occasioni, che verranno descritte nei Capitoli successivi, in cui diede un fermo ''no'' alle richieste o ritirò con rabbia il suo sostegno scoprendo che la causa non era come pensava. Ci sono anche volte in cui il suo nome fu invocato contro la sua volontà. Sebbene molto richiesto, era comunque molto discriminante nelle cause che sosteneva e nella forma di supporto che dava. In breve, si preoccupava di gestire la sua immagine oltre che il suo tempo, per quanto poteva.
=== L'educazione politica di Albert Einstein ===
Se si deve giudicare dall'attività pubblica, Einstein si mostrò per la prima volta come animale politico nell'autunno del 1914 con la firma di una dichiarazione di opposizione alla Prima guerra mondiale, argomento trattato più avanti in questo Capitolo. Tuttavia, gli atteggiamenti manifestati allora si erano sviluppati ben prima. Una capacità fin dall'infanzia di concentrarsi intensamente su argomenti che lo interessavano e andare per la propria strada indipendentemente dalle aspettative degli insegnanti e degli altri adulti indicava una innata indipendenza d'animo. Scrive un recente biografo: "His conviction that he learned best on his own would repeatedly get him in trouble".<sup>6</sup> Non era che Einstein si impegnasse in una ribellione aperta, ma che fosse apparentemente immune dalla paura dell'autorità. Non era incline a fidarsi di ciò che gli veniva detto dagli insegnanti e spesso mostrava il suo scetticismo in quello che ora sarebbe chiamato linguaggio del corpo: un'aria di distacco, un sorriso consapevole, uno sguardo di disprezzo. Come notò sua sorella in una memoria di suo fratello, per lui era particolarmente sgradevole l'atmosfera militare della scuola in Germania, l'addestramento sistematico alla venerazione dell'autorità, "which was supposed to help pupils get used to military discipline". L'indipendenza della mente di Einstein e l'odio istintivo per i valori militari si comunicavano evidentemente ai suoi insegnanti. In uno scambio di classe molto citato mentre Einstein era ancora a scuola a Monaco, l'insegnante disse che sarebbe stato molto più felice se Einstein avesse lasciato la scuola. Einstein protestò di non aver fatto nulla di male, al che l'insegnante rispose: "your mere presence undermines the respect of the class for me.".<sup>7</sup>
[[File:Jost Winteler (1846–1929) um 1880.jpg|240px|right|thumb|[[:en:w:Jost Winteler|Jost Winteler]] nel 1880]]
Qualcosa di più vicino a una nota politica entra in gioco quando, all'età di 16 anni, Einstein si stabilisce in Svizzera quando la sua famiglia emigrò in Italia in seguito al fallimento dell'attività elettrica del padre. La sua partenza dalla Germania – inizialmente si pensava che sarebbe rimasto a Monaco per finire il liceo – fu in gran parte dovuta al desiderio di evitare il servizio militare.<sup>8</sup> Durante il suo primo anno in Svizzera non avrebbe potuto trovare un alloggio più congeniale di quello che trovò con la famiglia di [[:en:w:Jost Winteler|Jost Winteler]], che era insegnante di greco e latino alla scuola dove Einstein si iscrisse per prepararsi allo studio al [[w:Politecnico federale di Zurigo|Politecnico di Zurigo]]. Winteler era un individuo di mentalità particolarmente liberale che incoraggiava una discussione libera e aperta di idee politiche e attualità attorno alla tavola da pranzo. Era un internazionalista convinto e sprezzante del nazionalismo ristretto, soprattutto di tipo tedesco, di cui aveva avuto esperienza diretta, avendo studiato in Germania negli anni immediatamente successivi alla guerra di unificazione nel 1870-1871. Einstein divenne praticamente parte della famiglia e rimase in stretto contatto, chiamando Jost Winteler e sua moglie "Papà" e "Mamma". Sua sorella [[w:Einstein (famiglia)#Maria "Maja" Einstein (sorella minore di Albert)|Maja]] sposò Paul Winteler. Einstein parlava sempre con affetto e rispetto di Jost Winteler e della scuola. Ricordò più tardi nella vita che la scuola aveva lasciato un'impressione indimenticabile su di lui "through its liberal spirit and the plain seriousness [''schlichten Ernst''] of its teachers who did not look to external authority for support".<sup>9</sup> Fu naturale che successivamente Einstein prendesse la cittadinanza svizzera, una decisione, insiste la sorella, dovuta non a motivi utilitaristici ma "in the light of the ‘inner accord of his political convictions with the Swiss democratic constitution."<sup>10</sup>
Un elemento più esplicitamente politico appare nell'intrigante storia del rapporto di Einstein con [[w:Friedrich Adler (politico)|Friedrich Adler]], figlio del leader socialista austriaco [[w:Viktor Adler|Victor Adler]] e anche lui studente di fisica, sebbene all'[[w:Università di Zurigo|Università di Zurigo]] piuttosto che al Politecnico. Sapendo che Einstein era attratto dai principi socialisti, si sforzò di iscrivere Einstein ai socialdemocratici, ma senza successo. Einstein era, decise Adler, sicuramente e correttamente, "a typical emotional socialist" che era contrario alla politica programmatica.<sup>11</sup>
Il contrasto con Adler è istruttivo. Adler sentì l'attrazione della fisica e della politica con quasi uguale forza, anche se nel suo caso la politica vinse, almeno per un po'. A un certo punto, Adler era in lizza per succedere a Einstein come professore di fisica all'Università di Zurigo in occasione del trasferimento di quest'ultimo nel 1911 a Praga, ma non passò molto tempo prima che Adler tornasse a Vienna e abbandonasse la fisica per il lavoro politico, portandolo in contatto con figure come [[w:Lev Trockij|Lev Trockij]], che parlava dell'"inimitable revolutionary temperament" del giovane Adler.<sup>12</sup>
Il seguito è altrettanto istruttivo. Mentre Einstein faceva una dichiarazione pubblica di opposizione alla Prima guerra mondiale e poi si dedicò a un intenso lavoro sulla [[w:Relatività generale|Teoria Generale della Relatività]] con occasionali incursioni in ulteriori faccende politiche di basso profilo, l'odio di Adler per i guerrafondai emerse nel 1916 col suo assassinio del Primo Ministro Ministro d'Austria, [[w:Karl von Stürgkh|Conte Stürgkh]]. L'intera storia è straordinaria ed è stata ben raccontata da [[:en:w:Peter Galison|Peter Galison]].<sup>13</sup> Ai fini del presente Capitolo è sufficiente riferire che, durante il processo di Adler, Einstein si offrì di comparire come testimone in difesa di Adler e scrisse persino all'imperatore austro-ungarico per chiedere clemenza a favore di Adler, dicendo: "with not a single word will I prettify this act, but with regard to the psychological situation of the perpetrator... it seems to me to have to do with a tragic accident rather than a crime".<sup>14</sup>
Alla fine, Einstein non fu chiamato. Adler venne dichiarato colpevole e condannato a morte, ma la sua esecuzione fu sospesa. Con l'imminente crollo dell'impero austro-ungarico alla fine della guerra, il governo uscente concesse un'amnistia ai prigionieri politici e Adler fu liberato. In curioso contrappunto alla storia politica, Adler riprese la fisica mentre era in prigione e redasse un libro in cui attaccava la teoria della relatività di Einstein.
Il rapporto con Adler ci dice molto sull'approccio di Einstein alla politica. Oltre alla sua radicata resistenza ai partiti politici istituzionalizzati, mostra la sua tendenza ad avvicinarsi alla politica in termini personali, la sua disponibilità a comprendere, anche se non a giustificare, atti di sfida all'autorità intrapresi per conto di cause nobili e, forse in modo più significativo, una disposizione ad ammirare posizioni più estreme di quelle che abitualmente adottava lui stesso. Nei decenni successivi la gamma di interessi di Einstein si espanse e il suo coinvolgimento si approfondì, ma il suo approccio alla politica mostrò importanti elementi di continuità con il suo io precedente.
=== L'ascesa dell'intellettuale globale ===
[[File:John Dewey cph.3a51565.jpg|240px|right|thumb|[[w:John Dewey|John Dewey]] nel 1919]]
Albert Einstein era una personalità dall'individualità così sorprendente che è spesso presentato isolatamente dai suoi contemporanei. Le sue parole sono spesso citate in una forma decontestualizzata come "parole di saggezza" di una grande mente.<sup>15</sup> Per essere onesti con i compilatori di tali raccolte, la propensione di Einstein per l'espressione concisa si prestava a tale presentazione. Tuttavia, questo metodo di presentazione non solo smentisce la natura dipendente dal contesto del suo pensiero, ma oscura i suoi legami con i colleghi intellettuali. I suoi scritti facevano parte di una conversazione di portata globale tra una vasta gamma di menti. Per cogliere il significato del contributo di Einstein al dibattito sociale e politico, non è sufficiente descrivere il contenuto delle sue idee e nemmeno collocarle nel contesto di eventi storici, per quanto importanti siano questi. Lo si vede meglio in relazione a un fenomeno che nella sua piena fioritura è un prodotto del Novecento: quello dell'intellettuale pubblico globale. Einstein faceva parte di un gruppo ristretto e altamente selezionato di influenti pensatori, scienziati e scrittori di fama internazionale le cui opinioni erano considerate di altissimo valore e con maggiori probabilità di influenzare l'opinione pubblica all'interno e all'esterno del governo. Nella prima metà del ventesimo secolo l'ala liberale dell'opinione internazionale comprendeva, insieme a Einstein, Bertrand Russell, George Bernard Shaw, Thomas Mann, John Dewey, Romain Rolland, Mahatma Gandhi, Albert Schweitzer e H.G. Wells. All'interno delle singole nazioni le liste delle persone influenti erano considerevolmente più lunghe ma di importanza locale piuttosto che internazionale. Einstein ''et al.'' erano un'élite all'interno di un'élite, in quanto il loro ''status'' trascendeva i confini nazionali. Non formavano un gruppo o un partito, ma piuttosto una rete indistinta con membri fluttuanti. Altre figure di spicco si sovrapposero a loro, tra cui [[w:Stefan Zweig|Stefan Zweig]], [[w:Heinrich Mann|Heinrich Mann]], [[w:Henri Barbusse|Henri Barbusse]], [[w:Arnold J. Toynbee|Arnold Toynbee]] e altri. Quando l'argomento di una campagna o di un problema era scientifico, negli elenchi figuravano altri scienziati. Si può cavillare sulla parola "liberale" come etichetta – Shaw e Rolland si sono spostarono decisamente all'estremità sinistra dello spettro liberale nei loro anni successivi – ma, per quanto diverse fossero le loro origini e posizioni su una serie di questioni, c'erano somiglianze familiari tra le idee che detenevano e nei ruoli che erano chiamati a svolgere. Negli anni tra le due guerre e oltre, anni pieni di crisi, furono ripetutamente invitati a firmare lettere a favore della pace e della democrazia e contro l'oppressione e la guerra aggressiva. Il 6 dicembre 1937 Einstein ricevette il seguente telegramma dal filosofo americano [[w:John Dewey|John Dewey]] in seguito all'[[w:Seconda guerra sino-giapponese#L'invasione della Cina|attacco giapponese alla Cina]]:
{{citazione|Wish you join us making following statement. Same request has been sent Messrs Gandhi Romain Rolland, Bertrand Russell... Consent understood without hearing contrary in five days. In view of wanton destruction of oriental civilization and for the sake of humanity, peace and democracy, we propose peoples of all countries organize voluntary boycott against Japanese goods, refuse to sell and load war materials to Japan and cease cooperation with Japan in ways that help her aggressive policy while giving every possible assistance to China for relief and self-defense until Japan has evacuated all her forces from China and abandoned her policy of conquest.<sup>16</sup>}}
Einstein rispose in termini positivi ma il suo consenso a partecipare mostrava una chiara preoccupazione per la sua reputazione. Rispose: "I am happy to join your action, assuming that the three other gentlemen are equally ready to do so", aggiungendo, con parole che trasmettono precisamente la sua concezione del ruolo che lui e altri come lui stavano assumendo, che "the idea of intellectually [''geistig''] oriented men acting jointly to influence public opinion in the direction of reason and justice has been a constant preoccupation of mine".<sup>17</sup>
Quando Einstein scrisse queste parole, l'intervento degli intellettuali in politica era già ben consolidato. Fu negli anni '90 dell'Ottocento, sulla soglia dei cambiamenti che crearono la società di massa globalizzata del XX secolo, che i commentatori dell'[[w:Affare Dreyfus|Affare Dreyfus]] in Francia iniziarono a usare la parola "intellettuale" come sostantivo per descrivere una classe di persone. Il termine si diffuse rapidamente in inglese e in altre lingue europee. Sebbene suscettibile di molte interpretazioni, il termine "intellettuale" ha acquisito due chiare associazioni: implica, in primo luogo, idee in azione, l'intervento pubblico da parte di uomini e donne di forti idee per il raggiungimento di fini politici; e, in secondo luogo, la nozione che gli intellettuali di qualsiasi orientamento politico fossero generalmente critici nei confronti dei valori prevalenti, con l'implicazione sussidiaria che gli intellettuali erano spesso marginali e dissidenti. A dire il vero, c'è molto dibattito sulla seconda di queste associazioni. La marginalità e la dissidenza non sono, insiste [[:en:w:Stefan Collini|Stefan Collini]], intrinseche alla nozione di intellettuale, "even if there are good historical reasons why these characteristics are often associated with the use of the term". Senza tentare di risolvere qui questo complesso di questioni, il caso di Einstein e delle altre figure discusse in questo libro suggerisce che una tensione di dissidenza non era incompatibile con il desiderio di svolgere un ruolo positivo e costruttivo nella società. Il punto è la combinazione di una disposizione da parte di questi intellettuali a svolgere un tale ruolo e le condizioni storiche ad esso favorevoli.<sup>18</sup>
Come tipo sociale, l'intellettuale emerse come parte di un ambiente cambiato. Molti fattori storici si combinarono per creare una nuova e più numerosa classe di ''opinion leader'' che seppero uscire dalle loro particolari specializzazioni e portare i frutti dell'apprendimento nelle questioni pubbliche. Tra questi fattori c'erano la diffusione dell'istruzione universale, la proliferazione dei nuovi media, in particolare settimanali e mensili economici, e il conseguente dibattito pubblico sui valori sociali fondamentali. Altrettanto importante fu la crescita esponenziale della specializzazione in tutti i campi della conoscenza che creò la necessità di mediatori tra accademici e pubblico. Nessuno di questi fenomeni fu di per sé il prodotto del ventesimo secolo; sono segni della modernità stessa. Parliamo in sostanza della crescita dell'"opinione pubblica" e degli uomini e delle donne che l'hanno coltivata. Le radici di entrambi risiedono nelle rivoluzioni democratiche della fine del Settecento, ma all'inizio del Novecento l'accresciuto ritmo di cambiamento su scala globale rese le dimensioni internazionali del mercato delle idee, pur presenti fin dall'inizio nelle aspirazioni universalistiche delle rivoluzioni americana e francese, sempre più salienti.<sup>19</sup>
Altrettanto importante per la comprensione della dimensione internazionale delle loro attività è la crescita, durante la seconda metà del diciannovesimo secolo, di numerosi sforzi per istituzionalizzare i valori liberali su scala globale, dalla sequenza delle [[w:Convenzioni di Ginevra|Convenzioni di Ginevra]] sulla guerra tra il 1864 e il 1949, alle [[w:Convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907|Convenzioni dell'Aia sul disarmo del 1899 e del 1907]], la [[w:Società delle Nazioni|Società delle Nazioni]], l'[[w:Organizzazione delle Nazioni Unite|Organizzazione delle Nazioni Unite]], la [[w:Dichiarazione universale dei diritti umani|Dichiarazione universale dei diritti umani]] delle Nazioni Unite del 1948 e, al passo con tutti questi e molti altri sforzi, la crescita del [[w:Diritto internazionale|Diritto internazionale]] e dei tribunali associati. Anche laddove questi accordi e organizzazioni erano inefficaci o dove il diritto internazionale veniva regolarmente violato, fornirono una piattaforma sempre più ampia per la campagna di gruppi e individui internazionalisti per perseguire i loro programmi. Gli intellettuali svolsero un ruolo nel rendere responsabili i governi e nel promuovere una cultura del dibattito e dell'attività transnazionali.<sup>20</sup>
=== L'Internazionalismo Liberale sulla scia della Prima guerra mondiale ===
Gli intellettuali intervenivano nelle questioni pubbliche molto prima che il termine stesso entrasse in uso, almeno dal tempo dei filosofi greci classici. In tempi moderni, i primi esempi si trovano nella fervente difesa da parte di [[w:Voltaire|Voltaire]] di [[w:Caso Calas|Jean Calas]], un protestante accusato di aver cercato di impedire a suo figlio di convertirsi al cattolicesimo, e nella campagna di [[w:Émile Zola|Émile Zola]] a favore del capitano ebreo Dreyfus, ingiustamente accusato di tradimento. Einstein e la sua generazione sono sulla stessa linea, con l'ulteriore vantaggio delle comunicazioni sempre più globali durante il ventesimo secolo, che consentivano di organizzare con relativa facilità e velocità campagne a favore di una serie di cause, offrendo inoltre la possibilità di istituzionalizzare il ruolo degli intellettuali oltre i confini nazionali. La Prima guerra mondiale fu un punto di svolta. L'eruzione della violenza iniziata nel 1914 portò infine alla soppressione di gran parte della geografia politica mondiale, segnalata in modo più evidente dal crollo degli imperi asburgico e ottomano, che portò al rimodellamento dell'Europa orientale e del Medio Oriente, ma c'erano anche pressioni sui possedimenti imperiali dei vincitori, in particolare alla luce della declamazione di "autodeterminazione" espressa da [[w:Thomas Woodrow Wilson|Woodrow Wilson]] nei suoi "[[w:Quattordici punti|Fourteen Points]]". C'era l'ulteriore complicazione della rivoluzione bolscevica, che offriva la prospettiva di un'ideologia attraente per i nuovi aspiranti alla nazionalità come anche per le classi scontente nelle vecchie nazioni. In questo contesto, i negoziati del [[w:Trattato di Versailles|trattato a Versailles nel 1919-20]] riunirono rappresentanti di ventisette nazioni e centinaia di altre aspiranti nazioni attualmente sotto il dominio coloniale in Asia, Africa e Medio Oriente. Fu teatro probabilmente del più grande e diversificato raduno di rappresentanti di popoli nella storia mondiale.<sup>21</sup>
Dare un senso alle nuove forze globali divenne una necessità urgente. Per molti osservatori c'era una chiara conclusione da trarre dai cambiamenti sismici provocati dalla guerra, cioè che le strutture nazionali non erano più adeguate per comprendere ciò che stava accadendo. L'[[w:Internazionalismo|internazionalismo]] era un'inevitabilità. Sulla scia della guerra, furono fondate nuove istituzioni, che in seguito sarebbero state chiamate "[[w:think tank|think tank]]", per portare un'attenzione sistematica ai problemi delle relazioni tra le nazioni, in particolare il [[w:Chatham House|Royal Institute of International Affairs]] di Londra e il [[w:Council on Foreign Relations|Council on Foreign Relations]] a New York, dando vita al nuovo campo accademico delle [[w:relazioni internazionali|relazioni internazionali]]. Studiare il nuovo mondo internazionale era una cosa, ma come gestirlo? Niente sembrava più importante all'indomani della guerra che ristabilire le connessioni tra le nazioni su una nuova base, che eliminasse le rivalità nazionali e premiasse il comportamento cooperativo. Scrive uno storico di spicco di questo movimento: "Internationalism came of age in the 1920s’, at least as aspiration".<sup>22</sup>
[[File:Romain Rolland 1915.jpg|240px|thumb|right|[[w:Romain Rolland|Romain Rolland]] nel 1915]]
Politicamente la manifestazione più ovvia dell'internazionalismo fu la Società delle Nazioni ma, per molti intellettuali liberali, essa fu sempre un'istituzione difettosa, perché non fu mai altro che la somma delle singole sovranità di cui era composta. Vale a dire, non metteva mai veramente in discussione il principio di nazionalità. La sovranità nazionale regnava ancora e comunque. Inoltre, paesi chiave come gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica non erano membri. Gli intellettuali cercarono collegamenti più fondamentali attraverso i confini culturali e nazionali del tipo che potesse cambiare il modo in cui le persone si percepiscono l'un l'altro e senza i quali semplici istituzioni come la Società delle Nazioni sarebbero state di utilità limitata. Negli anni successivi al Trattato di Versailles, apparvero numerosi schemi di contatto intellettuale transnazionale che cercavano una trasformazione delle relazioni internazionali a un livello più profondo. Uno fu organizzato nel 1919 dallo scrittore francese [[w:Romain Rolland|Romain Rolland]] sotto forma di lettera agli intellettuali di diversi paesi sotto il titolo "Dichiarazione di Indipendenza della Mente". Lo scopo era "to introduce the great intellectuals of diverse nations who have conserved the independence of their thought, posing to them principles of an ''International of the Mind'' which struggles against the disastrous work of intellectuals formed into regiments serving the enemy nationalisms" (corsivo aggiunto).<sup>23</sup> Oltre 200 intellettuali provenienti da venti paesi firmarono la dichiarazione, la maggioranza dall'Europa occidentale e al suo interno quella prevalentemente francese, anche se gli Stati Uniti fornirono una ventina di nomi. Non sorprende che Einstein fosse uno dei firmatari. L'obiettivo di Rolland era quello di cogliere l'attimo internazionalista per fare un cambiamento di mentalità permanente e collettivo. La dichiarazione doveva essere fatta da intellettuali ma al servizio dell'umanità nel suo insieme. Le ambizioni di Rolland andavano ben oltre una dichiarazione generale; immaginava programmi educativi, una casa editrice, un giornale e persino un'enciclopedia dedicata a un'agenda internazionalista che avrebbe avuto l'effetto di trasformare il clima globale dell'opinione pubblica. Alla fine, la risposta non fu all'altezza delle aspettative di Rolland. Ci furono alcuni aspetti negativi pesanti, in particolare da parte di [[w:George Bernard Shaw|George Bernard Shaw]], e anche alcuni di coloro che avevano sostenuto il progetto, come [[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]], avevano delle riserve su alcuni suoi aspetti. Il tono della dichiarazione era alquanto prepotente e idealistico nella sua richiesta che gli intellettuali che avevano sostenuto la guerra rinnegassero esplicitamente le loro convinzioni precedenti. Sebbene l'idea di Rolland continuasse a risuonare nell'atmosfera internazionalista degli anni '20, la sua amata idea di un centro per intellettuali in un paese neutrale non si concretizzò mai.<sup>24</sup>
Uno sforzo più modesto e burocratico per riunire gli intellettuali oltre i confini nazionali venne dall'interno della stessa [[w:Società delle Nazioni|Lega delle Nazioni]], il ''[[w:International Committee on Intellectual Cooperation|Committee on Intellectual Cooperation]]'' (CIC). Istituito nel 1922, aveva lo scopo di promuovere collaborazioni e scambi culturali e artistici tra le nazioni della Lega. Einstein fu un membro fondatore del Comitato, anche se il suo incarico non fu del tutto felice, come vedremo nel [[Saeculum Mirabilis/Capitolo 3|Capitolo 3]]. Per il momento, basti notare che si trattava di un'altra indicazione dell'urgenza di trovare mezzi per abbattere le barriere tra le nazioni, sia per facilitare la crescita della conoscenza sia per ridurre gli attriti tra le nazioni. A guidare questo e tutti gli altri schemi per promuovere l'amicizia e la comprensione internazionali fu la catastrofe della guerra e la convinzione che l'internazionalismo non fosse una questione di idealismo ma di urgente necessità pratica.
[[File:H.G. Wells by Beresford.jpg|240px|right|thumb|[[w:H. G. Wells|H. G. Wells]] nel 1920]]
A un livello completamente diverso c'era l'ambizioso trattato di [[w:H. G. Wells|H. G. Wells]], ''[[:en:w:The Open Conspiracy|The Open Conspiracy: Blueprint for a World Revolution]]'', pubblicato nel 1928. Lo schema di Wells andava ben oltre le attività degli intellettuali, ma alla sua radice c'era l'idea della scienza come catalizzatrice di un cambiamento radicale nella società mondiale. Era di concezione vaga, ma il trattato era progettato con la caratteristica urgenza di Wells, il titolo ossimorico evidentemente concepito per attirare l'attenzione.
In un resoconto retrospettivo del suo schema, scrisse:
{{citazione|It seemed to me that all over the world intelligent people were waking up to the indignity and absurdity of being endangered, restrained and impoverished, by a mere uncritical adhesion to traditional governments, traditional ideas of economic life, and traditional forms of behaviour, and that these awaking intelligent people must constitute first a protest and then a creative resistance to the inertia that was stifling and threatening us.}}
Il suo progetto consisteva in una "rinascita intellettuale" (''intellectual rebirth'') basata sulla scienza, che avrebbe fornito gli strumenti per una riorganizzazione della società a tutti i livelli, rendendo il mondo un'unica comunità. Evidentemente utopico nella concezione, era tuttavia, come tutte le visioni di Wells, radicato nei principi scientifici, il che significava che in teoria poteva raggiungere una forma concreta. Questo, in ogni caso, era lo spirito con cui veniva offerto. All'inizio degli anni '30 era convinto che gli sviluppi stessero andando per la sua strada, grazie in gran parte, secondo lui, "to the mental stimulation of the [[:en:w:First five-year plan|Russian Five Year Plan]]".<sup>25</sup>
Wells inviò il libro a Bertrand Russell, che rispose: "I have read it with the most complete sympathy and I do not know of anything with which I agree more entirely". Tuttavia, dubitava che gli uomini di scienza potessero essere persuasi a unirsi alla Open Conspiracy, dal momento che la maggior parte di loro era troppo preoccupata per la propria carriera, "with the exception", aggiunse, "of Einstein — a not unimportant exception I admit".<sup>26</sup> Non c'è traccia della risposta di Einstein a questo libro, se davvero lo lesse, ma Russell aveva sicuramente ragione nell'intuire che Einstein sarebbe stato attratto dalla portata e dall'audacia intellettuale del libro, nonché dalla sua ambizione di cambiare il mondo.
In pratica, tuttavia, Einstein era cauto nel sottoscrivere campagne o organizzazioni basate su idee a malapena realizzabili. Era profondamente ricettivo a ogni sorta di idee e progetti internazionali, ma preferiva fare le proprie scelte e mantenere libertà di movimento. Non era per natura o per scelta un "organization man" ed è meglio visto in relazione al gruppo meno formale di intellettuali già menzionato che costituiva una sorta di coscienza liberale vagante con riferimento a una pletora di cause e questioni pubbliche.
=== Einstein e gli intellettuali liberali ===
[[File:Thomas Mann 1929.jpg|240px|thumb|right|[[w:Thomas Mann|Thomas Mann]] nel 1929]]
Gli intellettuali liberali avevano stabilito una reputazione nei loro campi e identità chiaramente definite come autori o attivisti, che davano peso alle loro opinioni su argomenti al di fuori dei loro principali campi di attività. I loro scritti venivano ampiamente letti e le loro opinioni sui grandi problemi erano esaminate e riportate con entusiasmo. Ciascuno proiettava una visione fortemente individuale del mondo, pur mostrando significativi punti di sovrapposizione nella risposta alle grandi crisi della prima metà del Novecento.
Politicamente, erano internazionalisti convinti, credevano nella libertà e nella democrazia individuale, si battevano a favore della libertà intellettuale, si opponevano a tutte le forme di potere arbitrario e, nello spirito del nuovo liberalismo sociale dell'inizio del XX secolo, credevano che i benefici della società dovessero essere distribuiti il più ampiamente possibile. Erano anche quasi tutti contemporanei. John Dewey e George Bernard Shaw erano nati negli anni Cinquanta dell'Ottocento, il resto negli anni Sessanta o Settanta dell'Ottocento e vissero tutti almeno fino agli anni 1940, molti molto più a lungo.<sup>27</sup> Tutti maturarono durante la "lunga pace" dell'Ottocento ed erano a metà carriera quando scoppiò la Prima guerra mondiale. Per quanto diverse possano essere le loro esperienze e punti di vista individuali su questioni specifiche, quella guerra fu un momento decisivo in tutti i casi. La guerra infranse le comode ipotesi degli ottimisti liberali, in particolare le idee di progresso e di costante modernizzazione. L'individualismo, la tolleranza, il progresso, la razionalità sembrarono tutte vittime della Grande Guerra. Tuttavia, forse perché erano maturi negli anni dell'inizio guerra, questa generazione generalmente reagì mantenendo il proprio liberalismo o addirittura facendo un salto di qualità piuttosto che abbandonarlo. Bertrand Russell nel 1931 scrisse:, "The feeling of security that characterized the nineteenth century perished in the war, but I could not cease to believe in the desirability of the ideals that I previously cherished". Molte delle giovani generazioni divennero ciniche, ma "for my part I have never felt complete despair and have never ceased, therefore, to believe that the road to a better state of affairs is still open to mankind". Per John Dewey, "breakdown of traditional ideas [was] an opportunity to develop a new constructive philosophy". Infatti, il suo primo libro del dopoguerra si intitola ''[https://archive.org/details/reconstructioni02dewegoog Reconstruction in Philosophy]'' (1919).<sup>28</sup> Il punto di partenza di [[w:Thomas Mann|Thomas Mann]] nel 1914 fu molto diverso dagli altri, ma finì nella stessa orbita liberale. Allo scoppio della guerra aveva abbracciato la causa nazionale tedesca di ''Kultur'' contro la nozione di ''civiltà'' francese e in generale occidentale, ma la guerra e le sue conseguenze provocarono una rivoluzione nel suo pensiero che lo trovò ad abbracciare la democrazia all'inizio degli anni '20. L'opposizione al [[w:nazionalsocialismo|nazionalsocialismo]] di [[w:Adolf Hitler|Hitler]] lo costrinse successivamente all'esilio.
Einstein, Russell, Shaw e Rolland erano stati fermi oppositori della guerra sin dall'inizio. Wells e Dewey entrambi sostennero le loro nazioni con notevoli apprensioni ed emersero fermamente impegnati nei principi internazionalisti come rimedio alla distruttività di un mondo basato sulla competizione tra le nazioni. [[w:Mahatma Gandhi|Gandhi]], controverso all'epoca e da allora, sostenne la formazione di truppe indiane per lo sforzo bellico alleato, apparentemente in contrasto con il suo impegno per la [[w:nonviolenza|nonviolenza]] ma, come Einstein, non esitava a scendere a compromessi per raggiungere il suo obiettivo di primo ordine, che nel suo caso era l'[[w:Movimento d'indipendenza indiano|indipendenza indiana]]. Il suo profilo internazionale nacque dai valori che portava alla lotta per l'indipendenza indiana: nonviolenza, autodeterminazione, democrazia e l'esempio del sacrificio di sé al servizio di un obiettivo prescelto — valori che trascendevano la causa dell'indipendenza indiana ed erano ampiamente allineati con l'internazionalismo liberale occidentale.
[[File:Bundesarchiv Bild 183-D0116-0041-019, Albert Schweitzer.jpg|240px|right|thumb|[[w:Albert Schweitzer|Albert Schweitzer]] nel 1955]]
La Prima guerra mondiale fu decisiva anche per [[w:Albert Schweitzer|Albert Schweitzer]], ma in modo molto diverso. Era in Africa da un anno quando scoppiò la guerra e sperava di tornare in Germania nel 1915. Come cittadino tedesco residente in una colonia francese, tuttavia, si trovò prigioniero nel suo ospedale missionario. In queste circostanze iniziò ad affrontare quella che vedeva come la crisi generale che la guerra aveva rivelato, che non era altro che il "suicide of civilization". Nel primo volume del suo ''The Philosophy of Civilization'' (1923), scrisse: "The situation has not been produced by the war, but is only a manifestation of it". La piena misura del disastro risiedeva nell'assenza di qualsiasi "real reflection upon what civilization is", una lacuna che mirava a colmare. Così per Schweitzer, come per molti contemporanei, la guerra non provocò una risposta politica ma un ripensamento dei fondamentali che nel caso di Schweitzer portò al suo concetto di "reverence for life", che guidò il suo pensiero per il resto della sua vita.<sup>29</sup>
Dell'atteggiamento specifico di Schweitzer nei confronti della guerra si apprende molto poco da ''The Philosophy of Civilization'', ma la sua etica come guida della civiltà, se fosse stata istituita, avrebbe effettivamente precluso i motivi e gli impulsi che portarono alla guerra. Il pacifismo era virtualmente assunto nel concetto di riverenza per la vita di Schweitzer. Tra gli altri internazionalisti liberali, non tutti erano pacifisti, tanto meno pacifisti assoluti o incondizionati. Einstein, Russell, Rolland, Gandhi e Shaw meritano ovviamente l'etichetta, anche se in tutti i casi devono essere fatte qualifiche di vario tipo. La traiettoria di Einstein attraverso il pacifismo e oltre è l'argomento del [[Saeculum Mirabilis/Capitolo 3|Capitolo 3]]. Come notato, Gandhi sosteneva la partecipazione delle truppe indiane alla Prima guerra mondiale, mentre Russell modificava il suo pacifismo nella direzione di quello che chiamò "relative political pacifism" di fronte all'ascesa del nazismo. In effetti, Russell non fu mai un pacifista incondizionato. Era troppo scettico per esserlo. Credeva che certe guerre in passato fossero state giustificate.<sup>30</sup> Rolland mantenne una posizione costantemente pacifista fino al 1936, quando abbandonò il pacifismo assoluto di fronte alla minaccia del fascismo. I pacifisti francesi, sottolineò, non hanno compreso il fatto che Hitler volesse "annientare la Francia".<sup>31</sup> Inoltre, è degno di nota il fatto che nel 1924 Rolland pubblicò un libro su Gandhi che fu determinante per stabilire la reputazione internazionale di quest'ultimo. Inevitabilmente la rottura con il pacifismo comportava una rottura con Gandhi e la sua filosofia della nonviolenza. Shaw rilasciò dichiarazioni a sostegno dell'opposizione incondizionata alla guerra in vari momenti della sua vita ma, come sottolinea il suo biografo, la sua opinione incondizionata "receded to a blurred background when he looked at warfare through the lens of politics".<sup>32</sup> Quali che fossero le loro sfumature di pacifismo, questi cinque personaggi condividevano con altri internazionalisti liberali un impegno nei confronti di organizzazioni internazionali volte a neutralizzare l'aggressione, sebbene anche su questo argomento vi fossero molte sfumature di opinione, a seconda di quanto fossero disposti a spingersi nel vedere ridotta la sovranità delle nazioni individuali.
La prospettiva più lunga di questa generazione si mostra anche nelle loro reazioni alla [[w:Rivoluzione d'ottobre|rivoluzione bolscevica]] e allo sviluppo dell'Unione Sovietica, importante quanto la Prima guerra mondiale nel definire il contesto degli affari internazionali per il prossimo mezzo secolo. Con la possibile eccezione di George Bernard Shaw, che arrivò a credere che l'Unione Sovietica fosse l'incarnazione stessa del socialismo, c'era un certo distacco nella loro risposta alla rivoluzione bolscevica. La maggior parte riteneva che l'esperimento sovietico, sebbene brutale, fosse una reazione comprensibile alle grottesche disuguaglianze nella società russa e alle sofferenze della gente comune sotto gli zar. Dewey, Shaw, Wells, Rolland e Russell hanno visitarono l'[[w:Unione Sovietica|Unione Sovietica]] e ne scrissero ampiamente. Com'era prevedibile, le loro reazioni variavano. A un estremo c'era l'osservazione di Russell: "the time I spent in Russia was one of continually increasing nightmare". Eppure anche Russell, che in una retrospettiva dichiarò che "I have always disagreed with Marx", non poté fare a meno di rimproverarsi durante la sua visita nel 1920 di non gradire la Russia (che era il nome che dava sempre al Paese anche dopo che era diventata Unione Sovietica): "It has all the characteristics of vigorous beginnings. It is ugly and brutal, but full of constructive energy and faith in the value of what it is creating".<sup>33</sup> All'altro estremo c'era Shaw, che, sulla base di una visita di nove giorni nel 1931 durante la quale fu costantemente assistito da badanti del governo e trattato come una celebrità, riferì che... "I have been preaching Socialism all my political life and here at last is a country which has established Socialism, made it the basis of its political system, definitely thrown over private property, and turned its back on Capitalism". Il rapporto di Shaw sulla sua visita ebbe un'enorme influenza su scrittori e giornalisti di sinistra, tra cui [[w:Sidney James Webb|Sidney]] e [[w:Martha Beatrice Webb|Beatrice Webb]], la cui massiccia opera ''[[:en:w:Beatrice Webb#Soviet Communism|Soviet Communism: A New Civilization?]]'' (1935) a sua volta influenzò una generazione. Per il resto della sua vita, Shaw fu un costante sostenitore delle politiche di [[w:Iosif Stalin|Stalin]], anche durante le purghe della fine degli anni '30 e la guerra russa contro la [[w:Finlandia|Finlandia]]. Nella sua anzianità, scrive il biografo di Shaw, "Sovietism was now [for him] a fundamental religion untouched by ordinary criticism".<sup>34</sup>
L'impegno intellettuale di Romain Rolland con l'Unione Sovietica e il comunismo fu ampio e duraturo, anche se fece solo una breve visita nel 1935. Le sue opinioni furono sempre caratterizzate da ambivalenza. Nonostante le critiche alla leadership bolscevica, Rolland accolse con favore la Rivoluzione come un possibile antidoto alla natura sclerotica delle istituzioni politiche e sociali occidentali. Quali che fossero i suoi dubbi sull'Unione Sovietica, temeva ancora di più le forze di reazione. Verso la metà degli anni '30 era arrivato alla posizione del classico "compagno di viaggio" che nutriva serie critiche private contro il sistema sovietico, ma che non voleva rendere pubbliche per paura di dare munizioni ai nemici dell'Unione Sovietica. H. G. Wells fece due visite nella Russia post-rivoluzionaria (1920 e 1934) durante le quali ottenne interviste con Lenin e Stalin. Nonostante la simpatia per l'entità dei problemi affrontati dai bolscevichi, derivanti, ne era sicuro, dall'eredità zarista che lo portava ad ammettere che qualcosa come il comunismo fosse l'unico rimedio possibile, odiava il fanatismo del sistema sovietico e il marxismo su cui si supponeva fosse basato. Il liberalismo sociale o nuovo di John Dewey lo portò a essere ben disposto alla spinta collettivista nell'Unione Sovietica, ma il suo impegno per la democrazia e i valori e diritti liberali tradizionali, lo fecero presto ritirare dalla realtà della vita sovietica. Ammise francamente di essere contento che l'esperimento fosse stato tentato in Russia piuttosto che nel suo stesso paese. Nessuno di questi individui si unì ai partiti comunisti e furono generalmente attenti a resistere all'identificazione con le politiche sovietiche, tuttavia la loro predisposizione a prendere sul serio l'Unione Sovietica, anche dopo l'avvento della guerra fredda, diede origine ad accuse di simpatizzanti o di eccessiva cordialità, non ultimo nel caso di Einstein.<sup>35</sup>
Inutile dire che i riassunti di cui sopra coprono nei particolari una moltitudine di variazioni. Il punto che accomuna tutti questi personaggi è che, ancora una volta con la possibile eccezione di Shaw (sebbene anche con Shaw vi siano dubbi su dove si collocasse esattamente), i loro punti di riferimento politici ed etici erano al di fuori del [[w:marxismo|marxismo]], quale che fosse l'atteggiamento adottato verso l'Unione Sovietica. Lo stesso Einstein rientrò ampiamente in questo stampo. Odiatore del fanatismo e difensore della democrazia e della libertà individuale, era tuttavia incline a dare credito all'esperimento sovietico, che considerava importante non tanto in sé quanto per l'esempio che offriva come critica permanente alle istituzioni fallite dell'Occidente. Nel 1932 scriveva: "I certainly do not approve of much that is taking place in Russia, but I approve even less of the violent methods that are being used to suppress the only serious attempt to create a just and rational economic order".<sup>36</sup> Per Einstein, come per gli altri intellettuali liberali, l'Unione Sovietica fu un punto di riferimento costante o banco di prova per le proprie convinzioni politiche, poiché rappresentò una possibile alternativa al sistema parlamentare occidentale, in particolare dopo l'ascesa del [[w:fascismo|fascismo]] in Italia e del [[w:nazionalsocialismo|nazismo]] in Germania.
=== Connessioni ===
[[File:Mahatma-Gandhi, studio, 1931.jpg|240px|right|thumb|[[w:Mahatma Gandhi|Mahatma Gandhi]] a Londra nel 1931]]
Se l'elenco di intellettuali di cui sopra non costituiva un gruppo, vi erano tuttavia contatti più o meno estesi tra di loro, generalmente in connessione con una causa o l'altra. Einstein li conosceva o corrispondeva con tutti loro. Possiamo avere un'idea chiara dei valori che apportava alle sue attività politiche guardando i punti in cui si sovrapponeva a queste figure. Data la sua precoce e istintiva spinta al pacifismo, non può sorprendere la sua ammirazione per la filosofia di resistenza non violenta di [[w:Mahatma Gandhi|Gandhi]]. Nel 1931 Einstein scrisse a Gandhi: "your example will inspire and help humanity to put an end to conflict based on violence with international help and cooperation guaranteeing peace to the world", aggiungendo che sperava che potessero incontrarsi faccia a faccia. Gandhi rispose negli stessi termini.<sup>37</sup> Non si incontrarono mai, ma è chiaro che per Einstein Gandhi era la bussola morale suprema. Una foto di Gandhi adornava la parete del suo studio negli Stati Uniti e scrisse una serie di apprezzamenti del leader indiano per le celebrazioni di compleanno e per i pezzi commemorativi dopo la sua morte. Per la celebrazione del settantesimo compleanno di Gandhi, Einstein scrisse: "Mahatma Gandhi’s life’s work is unique in political history, he has devised a wholly new and humane means for the liberation of an oppressed people and has carried it through with great energy and devotion".<sup>38</sup>
I rapporti di Einstein con Albert Schweitzer, la cui dedizione disinteressata al compito prescelto come medico missionario in Africa lo trasformò in qualcosa di simile a un santo secolare, non erano dissimili da quelli con Gandhi. C'erano pochi contatti diretti – sebbene con Schweitzer ci fu almeno un incontro – ma una profonda ammirazione per le sue qualità morali. In una dichiarazione destinata a una nuova edizione di un libro dei suoi stessi scritti, Einstein scrisse di Schweitzer: "he is in my opinion the only human being in the western world who has exerted a comparable moral influence to Gandhi over this generation. As with Gandhi the strength of this effect rests overwhelmingly on the practical example he has provided in his life’s work".<sup>39</sup> Non ci sono prove che Einstein abbia letto l'opera chiave di Schweitzer, ''The Philosophy of Civilization'', ma è significativo che Schweitzer, come Einstein, poneva l'etica al centro del suo concetto di società. "A positive aspiration and effort for an ethical–moral configuration of our common life is of overriding importance. Here no science can save us", scrisse Einstein nel 1951. Da parte sua, Schweitzer era convinto che "creative, artistic, intellectual and material attainments can only show their full and true effects when the continued existence and development of civilization have been secured by founding civilization itself on a mental disposition which is truly ethical".<sup>40</sup> È significativo che Schweitzer ed Einstein arrivarono rispettivamente primo e secondo in un sondaggio nazionale statunitense condotto nel dicembre 1950 per selezionare le più grandi personalità non-politiche del mondo.<sup>41</sup>
Einstein aveva sperato di portare Schweitzer all'[[w:Institute for Advanced Study|Institute for Advanced Study]] di Princeton come ''visiting scholar'', ma Schweitzer dichiarò di non essere più un uomo libero: "In everything I do I must consider my hospital", scrisse, proseguendo poi con il descrivere in dettaglio le difficoltà pratiche in cui lavorava. Nella sua risposta, Einstein si rammaricò che Schweitzer non potesse venire, ma "was convinced that the activities you undertake in your work are incomparably more important".<sup>42</sup> Un ulteriore punto di contatto morale e intellettuale tra loro era l'odio per le armi nucleari. Schweitzer rese pubbliche le sue paure sulla prospettiva di una corsa agli armamenti nucleari sulla scia del test americano della [[w:bomba all'idrogeno|bomba H]] del 1952, che fu anche l'anno in cui fu insignito del [[w:Premio Nobel per la pace|Premio Nobel per la pace]] per la sua filosofia di "Reverence for Life". La sua conferenza per il Nobel, "The Problem of Peace", tenuta solo due anni dopo, fu un potente argomento per rifiutare la guerra come un male etico, ponendoo Schweitzer in testa ai difensori della pace nell'era nucleare.<sup>43</sup> Einstein propose a Bertrand Russell che Schweitzer dovesse essere invitato a firmare quello che sarebbe stato chiamato il "[[w:Manifesto Russell-Einstein|Russell–Einstein Manifesto]]" del 1955. "I think it would be highly desirable to have Albert Schweitzer join our group", scrisse Einstein a Russell, "since his moral influence is very great and world-wide".<sup>44</sup> Alla fine, si decise di chiedere solo agli scienziati di firmare il manifesto, ma Schweitzer continuò a ritagliarsi un proprio percorso parallelo di protesta antinucleare negli anni a venire, dopo la morte di Einstein nell'aprile del 1955.<sup>45</sup>
Einstein non fu affatto l'unico a mettere insieme Gandhi e Schweitzer come esempi morali negli anni del dopoguerra, e non era meno comune aggiungere Einstein per formare un triumvirato. Il biografo e stretto collega e amico di Einstein, [[w:Philipp Frank|Philipp Frank]] registra:
{{citazione|When I visited the House of Friends [actually Friends’ House] in London, the headquarters of the Quakers, I saw pictures of three men in the secretary’s office: Gandhi, Albert Schweitzer, and Einstein. I was rather surprised at this combination and asked the secretary what it was that these three persons had in common. Amazed at my ignorance, he informed me: ‘All three are pacifists.<sup>46</sup>}}
Romain Rolland era uno scrittore affermato quando arrivò all'attenzione di Einstein. Iniziato come accademico, intorno ai trentacinque anni si dedicò a romanzi e opere teatrali, ma anche alla storia della musica e dell'arte. In gran parte sulla base del suo romanzo in dieci volumi ''[[:fr:w:Jean-Christophe (roman)|Jean-Christophe]]'', nel 1915 ricevette il [[w:Premio Nobel per la letteratura|Premio Nobel per la letteratura]]. Guarda caso, quello fu anche l'anno in cui pubblicò il suo trattato pacifista ''[[:fr:w:Au-dessus de la mêlée (texte)|Au-dessus de la mêlée]]'', che (come il suo ''magnum opus Jean-Christophe'') era ispirato dal desiderio di "remove the fateful misunderstandings between the French and German people".<sup>47</sup> La frase è tratta dalla prima lettera di Einstein a Rolland in cui elogiava l'autore francese proprio per questo risultato. In quello stesso anno Einstein incontrò Rolland in Svizzera, dove si era trasferito, e per diversi anni il loro comune odio per la guerra li tenne in stretto contatto. Le relazioni si raffreddarono all'inizio degli anni '30, quando Einstein cambiò idea sulla campagna pacifista contro la coscrizione militare, un punto che sarà discusso nel [[Saeculum Mirabilis/Capitolo 3|Capitolo 3]].
[[File:Bertrand Russell 1957.jpg|240px|thumb|right|[[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]] nel 1957]]
Il filosofo britannico Bertrand Russell fu l'unico di questo gruppo in grado di comprendere il lavoro scientifico di Einstein ed era ben consapevole del suo significato sin dall'inizio. Conosciuto inizialmente per il suo lavoro nella filosofia della matematica e in altre aree tecniche della filosofia, Russell si volse decisamente nella Prima guerra mondiale verso la pubblicazione per un pubblico più ampio sia in filosofia che in argomenti politici e sociali. Nella sua autobiografia, rifletteva: "The War of 1914–1918 changed everything for me; I ceased to be academic and took to writing a new kind of books".<sup>48</sup> Divenne famoso o famigerato per la sua opposizione alla Prima guerra mondiale, essendo stato imprigionato per aver scritto un articolo provocatorio contro la coscrizione. Nel 1925 Russell pubblicò ''ABC of Relativity'', uno dei primi tentativi di portare la rivoluzione di Einstein a un pubblico non scientifico.<sup>49</sup> Da parte sua, nel 1922 Einstein, già ben consapevole del lavoro e della reputazione di Russell in matematica e filosofia sociale e politica, scrisse un'ammirata prefazione all'edizione tedesca del ''Political Ideals'' di Russell e molto più tardi un apprezzamento molto entusiasta di ''[[w:Storia della filosofia occidentale (Russell)|A History of Western Philosophy]]''.<sup>50</sup> Il contatto diretto tramite lettera fu stabilito negli anni '30 e alcuni anni dopo Einstein fu coinvolto nel sostegno di Russell quando fu licenziato dal [[w:City College (New York)|City College di New York]] a causa della sua difesa di valori immorali. (L'accusa si basava su un libro pubblicato dieci anni prima intitolato ''Marriage and Morals'', in cui si sosteneva che, con l'avvento della contraccezione, gli atteggiamenti vittoriani nei confronti del sesso erano obsoleti).<sup>51</sup> Nel 1943 Russell arrivò a Princeton e per un periodo incontrò regolarmente Einstein, insieme al matematico [[w:Kurt Gödel|Kurt Gödel]] e al fisico [[w:Wolfgang Pauli|Wolfgang Pauli]]. Successivamente Einstein e Russell ebbero un'associazione molto più pubblica con l'apparizione del ''Russell-Einstein Manifesto'' (1955) contro la bomba H, di cui parleremo in un capitolo successivo. Sebbene ci fossero più differenze su questioni politiche tra Russell ed Einstein di quanto non sembri, queste generalmente svaniscono in secondo piano di fronte alle grandi questioni su cui erano uniti. Russell fu almeno altrettanto instancabile di Einstein nel dare sostegno morale alle cause internazionaliste e andò molto oltre, ponendosi in prima linea nell'attivismo politico, che comprendeva la partecipazione a numerose manifestazioni contro le guerre e le armi belliche. Nel suo ultimo decennio, Russell creò una fondazione per finanziare e promuovere le cause della pace e dei diritti umani. Sicuramente nel mondo anglofono Russell fu probabilmente l'attivista più visibile e radicale sulla scena mondiale, con Einstein che occupava una posizione più passiva ma comunque potente, basata sulla sua immagine di saggio e custode della coscienza del mondo.
[[w:Università di Princeton|Princeton]] fu anche il luogo dell'incontro di Einstein con Thomas Mann durante i due anni di mandato di quest'ultimo all'università dal 1938 al 1940, quando erano quasi vicini. Sebbene Einstein trovasse non congeniale lo stile di vita patrizio di Mann, mantennero comunque relazioni collegiali rispettose, condividendo, come fecero, tra le altre cose, un odio per la Germania nazista. Era questo che li aveva messi in contatto per la prima volta nei mesi successivi alla presa del potere di Hitler. Einstein scrisse a Mann elogiando le critiche provocatorie di quest'ultimo al regime nazista, che, scrisse, "was one of the few bright spots in the events which have taken place recently in Germany". La risposta di Mann fu altrettanto calorosa e sincera; entrambi erano ora fuori dalla Germania (Einstein in Belgio e Mann nel sud della Francia) e si stavano preparando alla vita di esuli permanenti. Nel gennaio 1939 Thomas Mann ricevette la Medaglia Einstein (da non confondere con la [[w:Albert Einstein Award|Medaglia Einstein per la Fisica Teorica]], assegnata per la prima volta nel 1951), in occasione della quale Einstein dichiarò che Mann "has the courage, the strength of conviction and the power of words to make him a leader in the fight" contro il degrado dei valori intellettuali e morali rappresentato dal regime nazista. In un tributo a Mann nel giorno del suo settantesimo compleanno, Einstein salutò Mann come l'incarnazione dell'"humanistic ideal", mentre Mann scrisse in termini simili un necrologio di tributo a Einstein che aveva "salvato l'onore dell'umanità".<sup>52</sup> Nessuno dei due tornò mai in Germania a vivere. Sebbene Mann facesse una visita dopo il 1945, spiegò a lungo in un diario tedesco dell'esilio, in risposta a un appello della Germania a venire e aiutare a ricostruire il morale del paese, perché non poteva pensare di tornarci a vivere. Il peso della storia recente della Germania e della sua personale esperienza era semplicemente troppo grande per essere dimenticato.<sup>53</sup> I sentimenti di Einstein per la Germania erano meno complicati e decisamente più negativi di quelli di Mann, argomento di cui parleremo più avanti. Per il momento è sufficiente notare che questi due giganti della cultura e dell'intelletto tedeschi, partiti da punti così diversi, si sono ritrovati, grazie agli sconvolgimenti della guerra e dell'esilio, uniti nella loro pubblica difesa dei valori umanisti liberali.
Riguardo a [[w:H. G. Wells|H. G. Wells]], alcuni commentatori hanno tenuto molto al fatto che Wells sembrava anticipare aspetti della teoria della relatività nella proposta contenuta nelle prime pagine di ''[[w:La macchina del tempo (romanzo)|The Time Machine]]'' in cui il tempo fosse da considerare una quarta dimensione. Nella sua forma più estrema e cospirativa, visibile su numerosi siti internet, l'affermazione è che Einstein stesse semplicemente compilando i dettagli di un'idea ordita da Wells.<sup>54</sup> Lo stesso Wells non fece tali affermazioni e teneva il fisico nella massima stima. Tali idee cospirative sulle fonti della teoria della relatività derivavano da due fatti: in primo luogo, che molti critici di Einstein sono stati desiderosi di negargli l'originalità scientifica, anzi di considerarla un plagio incidentalmente rubato da idee di certi fisici come anche da Wells; e, in secondo luogo, che l'immaginazione di Wells lo aveva portato davvero ai confini dell'esperienza umana, dove fu in grado di percepire possibilità che non erano state ancora concepite o testate dagli scienziati. Per questo motivo i nomi Einstein e Wells a volte compaiono insieme. In realtà, i legami erano più tangibili, più diretti e molto meno aperti a fantasie cospiratrici. H. G. Wells attraeva Einstein perché era un compagno guerriero nella lotta per i valori umani su scala globale. Wells era alla guida degli internazionalisti britannici sulla scia della Prima guerra mondiale, presiedendo una commissione che produsse un rapporto su ''The Idea of a League of Nations'' (1919). Tra i membri della commissione c'erano storici, politici e giornalisti di spicco, e collettivamente trasmettevano il messaggio che l'internazionalismo era l'unica soluzione logica e di principio al pasticcio in cui si era cacciato il mondo.<sup>55</sup> Un decennio dopo Wells inviò ad Einstein il suo ultimo libro. Nel ringraziarlo, Einstein disse che ammirava "the enormous energy you devote to the human race, which is so very difficult to help". Espresse anche "the special pleasure I took in your fine essay in the book ''Living Philosophers''", che era stato pubblicato di recente e al quale lo stesso Einstein aveva contribuito.<sup>56</sup> Si presume che Einstein apprezzò calorosamente l'espressione di Wells dei suoi valori etici in quel saggio, che trasmetteva proprio il tipo di spiritualità naturalistica e di disgusto per la religione organizzata caratteristica delle convinzioni di Einstein. Einstein deve anche aver accolto favorevolmente l'affermazione di Wells secondo cui era "natural that I should exalt science" e forse ancor di più la fede politica antinazionalista e pacifista di Wells, che era così vicina a quella di Einstein:
{{citazione|If I am opposed to nationalism and war, it is not merely because these things represent an immense waste of energy, but because they sustain a cant of blind discipline and loyalty and a paraphernalia of flags, uniforms, and parades that shelter a host of particularly mischievous, unintelligent bullies and wasters; because they place our lives at the mercy of trained blockheads. Militarism and warfare are childish things, if they are not more horrible than anything childish can be. They must become things of the past. They must die. Naturally my idea of politics is an open conspiracy to hurry these tiresome, wasteful, evil things—nationality and war—out of existence.<sup>57</sup>}}
Infine, Einstein apprezzò il valore educativo delle opere di Wells, in particolare il suo ''[[:en:w:The Outline of History|Outline of History]]''. Lo stesso Wells lo definì "the first conscious attempt to tell the story of mankind from a non-nationalist perspective".<sup>58</sup> Einstein dichiarò in un discorso sull'istruzione e la pace nel mondo che il libro di Wells avrebbe infuso nelle nuove generazioni la lezione richiesta che la storia era "the evolution of progress and human civilization, rather than a glorification of the use of force and military successes". Se insegnato nelle scuole, un libro come quello di Wells, secondo Einstein, poteva servire a rafforzare la solidarietà internazionale e combattere lo sciovinismo.<sup>59</sup> Niente poteva trasmettere più chiaramente l'impegno di Einstein e Wells per una versione aggiornata dell'idea illuminista di progresso in quel momento di profonda crisi della storia umana, che sembrava minare qualsiasi fede che il futuro sarebbe stato migliore. Negli anni a venire, entrambi, in particolare Wells, avrebbero trovato difficile mantenere l'ottimismo, ma nel caso di Einstein le abitudini di una vita erano difficili da infrangere.
[[File:George bernard shaw.jpg|240px|thumb|right|[[w:George Bernard Shaw|George Bernard Shaw]] nel 1915]]
[[w:George Bernard Shaw|George Bernard Shaw]] poteva rivaleggiare con Wells per pessimismo sul mondo, in particolare nella sua anzianità, ma l'umorismo sardonico in cui avvolse i suoi giudizi sulla natura e sul comportamento umani permise al suo sobrio realismo di brillare. Questo fu senza dubbio ciò che lo rese caro ad Einstein. Einstein era un suo fan e il sentimento veniva ricambiato da Shaw, che si interessò alla relatività dal momento in cui fu resa pubblica. Il loro primo contatto fu indiretto, tramite un giovane scienziato chiamato [[:en:w:Archibald Henderson (professor)|Archibald Henderson]], che era anche il biografo autorizzato di Shaw. Durante una visita a Shaw a Londra nel 1923, poco prima di andare a Berlino per lavorare sulla relatività, Henderson notò una foto di Einstein appesa al muro. Shaw osservò: "Tell Einstein I said the most convincing proof I can adduce of my admiration for him is that his is the only one of these portraits I paid for". Secondo quanto riferito, Einstein fu deliziato da questo messaggio, osservando con una risata: "That is very characteristic of Bernard Shaw, who has declared that money is the most important thing in the world".<sup>60</sup> La pubblicazione nel 1928 di ''[[:en:w:The Intelligent Woman's Guide to Socialism and Capitalism|The Intelligent Woman’s Guide to Socialism]]'' di Shaw fu accolto con grande entusiasmo da Einstein: "Here speaks the Voltaire of our day", scrisse a un amico, e a un altro: "I am reading with great excitement the book on Socialism by G. B. Shaw, a magnificent fellow with great insight into what makes human beings tick".<sup>61</sup> Due anni dopo, a una cena di raccolta fondi per l'assistenza sociale agli ebrei al [[w:Hotel Savoy|Savoy Hotel]] di Londra, Shaw presentò Einstein in un lungo elogio in cui descriveva il contributo di Einstein come il risultato delle "intuizioni di un artista". Tipicamente, aggiunse che "I, as an artist, claim kinship with that great authority" ed era sicuro che "as an artist, I think my speech will be understood by our guest here tonight". Fece anche riferimento al credo recentemente pubblicato da Einstein "What I Believe", uno di una serie a cui contribuirono anche H. G. Wells e John Dewey.
Shaw dichiarò:
{{citazione|I must confess that there is not a single creed of an established church on earth at present that I can subscribe to. But to our visitor’s creed I can subscribe, to every single item. I rejoice at the new universe to which he has introduced us. I rejoice in the fact that he has destroyed all the old certainty, all the old
absolutism, all the old cut-and-dried conceptions even of time and space because they seemed all so solid that you never could get any further. I want to get further always. I want more and more problems...<sup>62</sup>}}
Il discorso di Shaw fornisce un quadro chiaro, non solo dei poteri retorici di Shaw, ma del tipo di eccitazione che le idee di Einstein erano in grado di suscitare anche tra coloro la cui comprensione della fisica era limitata. L'evidenza è che Shaw aveva ragione a rivendicare una sorta di parentela artistica con Einstein, il cui apprezzamento per la letteratura, in particolare la letteratura dell'arguzia, era altamente sviluppato. Einstein scrisse (in inglese) a Shaw poche settimane prima della morte di Shaw nel 1950: "I am enjoying reading again your dramatic works, that I feel the strong wish to thank you for the beautiful hours you are giving me. I am thanking you also in the name of my invalid sister to whom I am reading every evening for an hour".<sup>63</sup> Vale la pena sottolineare che Einstein da giovane aveva letto con entusiasmo il ''[[w:Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo|Tristram Shandy]]'' di [[w:Laurence Sterne|Lawrence Sterne]]. Lui e il suo caro amico [[w:Michele Besso|Michele Besso]] in lettere si rivolgevano occasionalmente a vicenda con i nomi dei personaggi del libro, in particolare "Uncle Toby".<sup>64</sup>
[[File:Photo Michele Besso.jpg|120px|left|thumb|[[w:Michele Besso|Michele Besso]], caro amico di Einstein]]
Le connessioni di Einstein con questi contemporanei notabili illustrano la gamma dei suoi interessi intellettuali al di fuori della scienza, ma anche il lato umano dei suoi impegni politici. La gamma e la diversità delle personalità coinvolte riflette la poliedricità dello stesso Einstein. La sensibilità quasi religiosa di Einstein era fortemente attratta da figure come Gandhi e Schweitzer, ma Einstein l'iconoclasta era ugualmente estasiato dall'irriverenza di Shaw. Ricettivo com'era nei confronti di figure affermate e celebrità le cui idee trovava attraenti, era ugualmente generoso con figure meno note. L'Archivio Einstein è pieno di lettere scritte ad autori e attivisti le cui idee lo hanno coinvolto.<sup>65</sup> Con contemporanei di statura pubblica simile alla sua, tuttavia, era particolarmente consapevole di ciò che si poteva ottenere con un'azione concertata. Considerata collettivamente, la prospettiva più lungimirante di questa generazione sugli orrori del ventesimo secolo concesse loro un certo distacco, anche quando furono personalmente colpiti dai suoi sconvolgimenti. Coloro che subirono l'esilio furono in grado di riprendersi e andare avanti come prima, con solo lievi interruzioni delle loro produzioni creative, a prescindere dai costi per il loro io interiore. Tutti erano sufficientemente consolidati nelle loro professioni da consentir loro l'accesso ai media e conferire alle loro parole una certa autorità qualunque fosse l'argomento in questione. Per un pubblico affamato di risposte a domande sconcertanti e media desiderosi di riportarle, svolsero ruoli da saggi; le loro opinioni occupavano un reame privilegiato e persino santificato, al di sopra e al di là delle battaglie quotidiane della politica. Naturalmente, anche le loro opinioni erano intrise di politica; si schierarono, ignorarono le prove ostili alle cause prescelte, si fecero molti nemici oltre che amici. Tuttavia, la loro autorità fu accresciuta dal senso che le loro capacità di pronunciarsi su grandi temi dell'epoca derivavano dal loro ''status'' di pensatori e scrittori, non dalle ristrette motivazioni dei politici di professione.
=== La Prima Campagna di Einstein ===
Fu la Prima guerra mondiale a impegnare per la prima volta l'attività di Einstein come intellettuale pubblico. Sebbene i risultati avessero un effetto pratico limitato, il documento pubblico che contribuì a redigere conteneva argomenti a cui avrebbe aderito costantemente per il resto della sua vita. L'occasione fu la sua opposizione al famigerato [[w:Manifesto dei Novantatré|"Manifesto al Mondo Civilizzato" (alias "Manifesto dei Novantatré")]] pubblicato nell'ottobre 1914 da novantatré accademici e artisti tedeschi. Il manifesto presentava una difesa schietta delle azioni tedesche nelle prime fasi della Prima guerra mondiale e un ripudio delle accuse di colpa della guerra, della violazione della neutralità belga e delle atrocità in Belgio, il tutto racchiuso in una difesa del militarismo tedesco e della cultura tedesca che, diceva il Manifesto, erano parte integrante l'uno dell'altra. Senza il militarismo tedesco, dichiarava il documento, la cultura tedesca — che "contiene l'eredità di Goethe, Beethoven e Kant" — sarebbe stata spazzata via.<sup>66</sup> L'idea di un contro-manifesto, il "[[:en:w:Manifesto to the Europeans|Manifesto agli Europei]]", fu sviluppata da [[:en:w:Georg Friedrich Nicolai|Georg Friedrich Nicolai]], pacifista e professore di fisiologia all'Università di Berlino, dove anche Einstein ricoprì un incarico. Rispetto allo stridente nazionalismo del Manifesto dei Novantatré, l'enfasi nel contrattacco di Nicolai era decisamente internazionale, rilevando che gli sviluppi della tecnologia e dei trasporti stavano spingendo nella direzione di "una civiltà mondiale comune". Le passioni nazionaliste non solo erano distruttive della cultura, ma avrebbero infine minacciato l'esistenza delle nazioni che avevano scatenato questa "guerra barbara". "Through technology the world has become smaller, and all nations, whichever achieves ‘victory’ in this war, will be the losers. Those whom Goethe called ‘good Europeans’, which is to say those for whom Europe is not merely a geographical expression but a matter of deep conviction, must unite on behalf of peace and press for the unity of Europe itself".<sup>67</sup>
[[File:Georg Friedrich Nicolai.jpg|240px|right|thumb|[[:en:w:Georg Friedrich Nicolai|Georg Friedrich Nicolai]]]]
Il Manifesto agli Europei ottenne solo due firme oltre a quelle di Nicolai ed Einstein, sebbene fosse discusso nelle aule dell'Università di Berlino e vi circolasse tra i professori. A causa della censura bellica, il documento non fu pubblicato fino al 1917 e poi solo fuori dalla Germania in un libro sulla biologia della guerra di Georg Nicolai. Tuttavia, furono fatte circolare copie clandestine del Manifesto, che fu tradotto in diverse altre lingue europee, compreso l'inglese, prima della fine della guerra. A causa dell'associazione di Einstein al documento, continuò ad avere una vita tra la sinistra e gli internazionalisti. Ai fini attuali, il documento è molto importante poiché è il primo grande intervento di Einstein nel dibattito pubblico e anche per ciò che rivela sulla passione di Einstein per la pace, il suo odio per il nazionalismo gretto e il suo impegno per l'internazionalismo. Lo mostra pronto a difendere una posizione decisamente impopolare nelle situazioni più pressanti in cui un certo numero di amici personali aveva preso la parte opposta. In effetti, l'elenco dei firmatari del Manifesto dei Novantatré che scatenò l'aperta opposizione di Einstein alla guerra, conteneva numerosi accademici di alto livello in tutti i campi accademici dell'Università di Berlino, alcuni dei quali stretti colleghi di Einstein. In questa fase della sua vita, già noto nella comunità scientifica come l'autore della [[w:Relatività ristretta|Teoria della Relatività Speciale]], Einstein non era affatto il nome familiare che sarebbe diventato, cosa che negli anni successivi gli concesse una protezione aggiuntiva. La [[w:Relatività generale|Teoria Generale della Relatività]], che avrebbe sigillato la sua statura tra gli scienziati, doveva ancora essere finalizzata: fu completata nel 1915. Nel frattempo, il 1914 trovò Einstein sulla soglia della celebrità globale ma con una certa strada da percorrere prima di fare il salto. Abbiamo visto che lo sconvolgimento della Prima guerra mondiale aveva creato il terreno in cui le idee internazionaliste potevano crescere e in cui Einstein si sentì provocato a sfogare le sue opinioni. Ciò fornisce parte della spiegazione dell'emergere di Einstein come figura internazionale. Fu la fisica, tuttavia, a rendere importanti le sue idee politiche sulla scena pubblica.
=== Lo scienziato come celebrità globale ===
== Note ==
''[[Saeculum Mirabilis/Note#Capitolo 1|(Note e riferimenti a fine libro)]]''
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie dei sentimenti|Serie letteratura moderna}}
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[[Categoria: Saeculum Mirabilis|Capitolo 1]]
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[[File:Coloreinstein1.jpg|540px|thumb|center|Albert Einstein (1921)]]
== L'intellettuale pubblico globale ==
È importante, all'inizio, stabilire che tipo di pensatore fosse Einstein nel campo della politica e dell'etica sociale. Non era un filosofo professionista né un teorico sociale, ma un personaggio pubblico con vedute profondamente radicate e le cui opinioni erano ricercate su questioni che spesso avevano scarso collegamento con le sue aree di conoscenza specialistica. Con poche eccezioni degne di nota, le dichiarazioni e gli scritti di Einstein su questioni sociali e politiche raramente superavano le poche pagine. Molte erano ancor più brevi. Questa era per lui un'attività secondaria, anche se di vitale importanza. La [[w: fisica|fisica]] veniva prima. Trascorreva la maggior parte del suo tempo coprendo pagine e pagine con formule e diagrammi matematici scarabocchiati, alcuni dei quali si riversavano sulle bozze di lettere e dichiarazioni che stava preparando per pubblico consumo. Se la maggior parte delle sue energie erano dedicate alla fisica, fu comunque un appassionato promotore dei principi liberali radicali sulla scena mondiale. Come ha giustamente affermato un commentatore, la sua attività politica "was very clearly work, not merely a hobby".<sup>1</sup> L'elenco dei suoi interventi è straordinariamente lungo e mostra che dalla Prima guerra mondiale in poi fu continuamente impegnato in corrispondenze, firma di petizioni e incontri associati a una varietà di cause. L'intensità del suo coinvolgimento variava. Ci fu un'esplosione di attività negli anni immediatamente successivi alla sua elevazione a stato di celebrità sulla scia della Prima guerra mondiale. Questo periodo includeva il suo primo viaggio negli Stati Uniti, il suo coinvolgimento iniziale con il [[w:Sionismo|sionismo]], la partecipazione a varie cause di pace, l'appartenenza all'[[:en:w:International Committee on Intellectual Cooperation|International Committee on Intellectual Cooperation]] della [[w:Società delle Nazioni|Società delle Nazioni]] e le interviste alla stampa tedesca sugli sconvolgimenti che accompagnarono la transizione del potere dalla Germania Imperiale alla [[w:Repubblica di Weimar|Repubblica di Weimar]].
Un altro picco arrivò durante l'agitazione internazionale per il disarmo nel 1931-1932. Einstein scrisse o parlò a nome di singoli oppositori della guerra in paesi così diversi come Bulgaria, Danimarca, Stati Uniti, Germania, Jugoslavia, Polonia, Svizzera, Belgio, Svezia e Italia, oltre a fornire numerosi articoli, discorsi e dichiarazioni da leggere fuori per suo conto alle conferenze quando non poteva partecipare. Ovunque andasse per lavoro scientifico, era chiamato a tenere discorsi da organizzazioni pacifiste locali grandi e piccole, comprese le associazioni studentesche a Oxford e un certo numero di università negli Stati Uniti. Nel maggio 1932, quando un'importante conferenza internazionale sul disarmo a Ginevra si impantanò in controversie sulle quantità consentite e sui tipi di armi, si recò direttamente a Ginevra con altri notabili pacifisti e tenne una conferenza stampa nel tentativo di reindirizzare la conferenza verso i punti fondamentali. Gli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale furono di pari intensità per Einstein, poiché sosteneva che il governo mondiale fosse l'unico mezzo per prevenire una corsa agli armamenti nucleari e un'altra guerra mondiale. In questo periodo, ma soprattutto negli anni 1946-1948, era raramente fuori dagli interessi del pubblico, che ora includeva la televisione. E, naturalmente, la stessa bomba atomica, sebbene non fosse stata creata da Einstein e nemmeno concepita da lui come una possibilità quando aveva ideato la sua formula per l'equivalenza massa-energia, in definitiva fu il risultato di scoperte teoriche che egli aveva fatto. Riusciva a malapena a spezzare il legame nella mente delle persone tra Einstein e l'era atomica, che gli garantiva un'autorità peculiare agli occhi di coloro che cercavano la pace internazionale e il controllo delle armi atomiche. I primi anni '20, 1931–2 e la fine degli anni '40 furono evidentemente momenti salienti della sua attività pubblica, ma sono notevoli nella sua lunga carriera soprattutto per la pura intensità, non per il tipo, di coinvolgimento. La sua attenzione era continua.<sup>2</sup>
Alla base delle sue convinzioni c'era un impegno per la promozione di valori umani e ampiamente liberali, che erano spesso espressi in modo radicale e intransigente. Se le idee stesse di per sé non erano originali, il modo in cui le esprimeva dimostrava una sorprendente individualità, che portò a posizioni che eludevano le solite categorie del dibattito politico. Era un socialista dichiarato che abbracciava l'individualismo, un fervente critico del capitalismo che odiava il comunismo sovietico, un uomo di "cosmic religious belief" che non aveva tempo per la religione organizzata, un sionista dichiarato che nutriva profondi scrupoli circa l'instaurazione dello stato politico di Israele e un solitario impegnato in una serie di cause sociali.
Ciò a cui tutto questo aggiunge è stato oggetto di molti dibattiti. Un individuo così multiforme attirava l'attenzione, sfavorevole oltre che favorevole, per una serie di ragioni diverse. I legami tra le sue diverse cause erano generalmente impliciti piuttosto che esplicitamente articolati. All'inizio degli anni '50 un giovane fisico indiano inviò ad Einstein il dattiloscritto di un articolo sulla sua "filosofia della vita" (di Einstein). Nel suo paragrafo introduttivo [[:en:w:Jagdish Mehra|Jagdish Mehra]] osservava: "one of the difficulties of such a study is that it is hard to discover, in Einstein’s speeches and writings, any systematic position in social ethics. Thus I prefer to speak of his convictions rather than positions in social philosophy."<sup>3</sup> Einstein evidentemente approvò il ritratto che Mehra fece di lui, poiché rispose: "apart from too unwarranted praise I find your characterization of my convictions and personal traits quite veracious and showing psychological understanding".<sup>4</sup> Sebbene ci siano motivi per sostenere che c'è una maggiore coerenza nel pensiero di Einstein di quanto Mehra riconosca, Mehra coglie il carattere "occasionale" degli interventi di Einstein su questioni sociali e politiche.
Einstein era evidentemente più che un polemista, ma qualcosa di meno che un pensatore sistematico in questo campo. Poiché teneva profondamente alle questioni che abbracciava, era continuamente attratto dall'arena pubblica, ma poiché era soprattutto uno scienziato, spesso si risentiva del tempo che prendevano dal suo lavoro scientifico. A volte la sua irritazione si manifestava, almeno in privato. Scrisse a un amico nel 1946: "If you see my name brought up from time to time in connections with political excursions, you shouldn’t think that I spend much time on such matters since it would be sad to waste much energy for the skimpy soil of politics. From time to time, however, a moment arrives when I cannot help myself..."<sup>5</sup> Per quanto gli fosse difficile dire di no alle richieste di unirsi a questa o quella causa, a volte lo faceva, e questi casi sono tanto istruttivi quanto le volte disse di sì. Era disposto a consentire che il suo nome fosse usato pubblicamente ma non a un costo o per conto di qualsiasi causa. Ci sono occasioni, che verranno descritte nei Capitoli successivi, in cui diede un fermo ''no'' alle richieste o ritirò con rabbia il suo sostegno scoprendo che la causa non era come pensava. Ci sono anche volte in cui il suo nome fu invocato contro la sua volontà. Sebbene molto richiesto, era comunque molto discriminante nelle cause che sosteneva e nella forma di supporto che dava. In breve, si preoccupava di gestire la sua immagine oltre che il suo tempo, per quanto poteva.
=== L'educazione politica di Albert Einstein ===
Se si deve giudicare dall'attività pubblica, Einstein si mostrò per la prima volta come animale politico nell'autunno del 1914 con la firma di una dichiarazione di opposizione alla Prima guerra mondiale, argomento trattato più avanti in questo Capitolo. Tuttavia, gli atteggiamenti manifestati allora si erano sviluppati ben prima. Una capacità fin dall'infanzia di concentrarsi intensamente su argomenti che lo interessavano e andare per la propria strada indipendentemente dalle aspettative degli insegnanti e degli altri adulti indicava una innata indipendenza d'animo. Scrive un recente biografo: "His conviction that he learned best on his own would repeatedly get him in trouble".<sup>6</sup> Non era che Einstein si impegnasse in una ribellione aperta, ma che fosse apparentemente immune dalla paura dell'autorità. Non era incline a fidarsi di ciò che gli veniva detto dagli insegnanti e spesso mostrava il suo scetticismo in quello che ora sarebbe chiamato linguaggio del corpo: un'aria di distacco, un sorriso consapevole, uno sguardo di disprezzo. Come notò sua sorella in una memoria di suo fratello, per lui era particolarmente sgradevole l'atmosfera militare della scuola in Germania, l'addestramento sistematico alla venerazione dell'autorità, "which was supposed to help pupils get used to military discipline". L'indipendenza della mente di Einstein e l'odio istintivo per i valori militari si comunicavano evidentemente ai suoi insegnanti. In uno scambio di classe molto citato mentre Einstein era ancora a scuola a Monaco, l'insegnante disse che sarebbe stato molto più felice se Einstein avesse lasciato la scuola. Einstein protestò di non aver fatto nulla di male, al che l'insegnante rispose: "your mere presence undermines the respect of the class for me.".<sup>7</sup>
[[File:Jost Winteler (1846–1929) um 1880.jpg|240px|right|thumb|[[:en:w:Jost Winteler|Jost Winteler]] nel 1880]]
Qualcosa di più vicino a una nota politica entra in gioco quando, all'età di 16 anni, Einstein si stabilisce in Svizzera quando la sua famiglia emigrò in Italia in seguito al fallimento dell'attività elettrica del padre. La sua partenza dalla Germania – inizialmente si pensava che sarebbe rimasto a Monaco per finire il liceo – fu in gran parte dovuta al desiderio di evitare il servizio militare.<sup>8</sup> Durante il suo primo anno in Svizzera non avrebbe potuto trovare un alloggio più congeniale di quello che trovò con la famiglia di [[:en:w:Jost Winteler|Jost Winteler]], che era insegnante di greco e latino alla scuola dove Einstein si iscrisse per prepararsi allo studio al [[w:Politecnico federale di Zurigo|Politecnico di Zurigo]]. Winteler era un individuo di mentalità particolarmente liberale che incoraggiava una discussione libera e aperta di idee politiche e attualità attorno alla tavola da pranzo. Era un internazionalista convinto e sprezzante del nazionalismo ristretto, soprattutto di tipo tedesco, di cui aveva avuto esperienza diretta, avendo studiato in Germania negli anni immediatamente successivi alla guerra di unificazione nel 1870-1871. Einstein divenne praticamente parte della famiglia e rimase in stretto contatto, chiamando Jost Winteler e sua moglie "Papà" e "Mamma". Sua sorella [[w:Einstein (famiglia)#Maria "Maja" Einstein (sorella minore di Albert)|Maja]] sposò Paul Winteler. Einstein parlava sempre con affetto e rispetto di Jost Winteler e della scuola. Ricordò più tardi nella vita che la scuola aveva lasciato un'impressione indimenticabile su di lui "through its liberal spirit and the plain seriousness [''schlichten Ernst''] of its teachers who did not look to external authority for support".<sup>9</sup> Fu naturale che successivamente Einstein prendesse la cittadinanza svizzera, una decisione, insiste la sorella, dovuta non a motivi utilitaristici ma "in the light of the ‘inner accord of his political convictions with the Swiss democratic constitution."<sup>10</sup>
Un elemento più esplicitamente politico appare nell'intrigante storia del rapporto di Einstein con [[w:Friedrich Adler (politico)|Friedrich Adler]], figlio del leader socialista austriaco [[w:Viktor Adler|Victor Adler]] e anche lui studente di fisica, sebbene all'[[w:Università di Zurigo|Università di Zurigo]] piuttosto che al Politecnico. Sapendo che Einstein era attratto dai principi socialisti, si sforzò di iscrivere Einstein ai socialdemocratici, ma senza successo. Einstein era, decise Adler, sicuramente e correttamente, "a typical emotional socialist" che era contrario alla politica programmatica.<sup>11</sup>
Il contrasto con Adler è istruttivo. Adler sentì l'attrazione della fisica e della politica con quasi uguale forza, anche se nel suo caso la politica vinse, almeno per un po'. A un certo punto, Adler era in lizza per succedere a Einstein come professore di fisica all'Università di Zurigo in occasione del trasferimento di quest'ultimo nel 1911 a Praga, ma non passò molto tempo prima che Adler tornasse a Vienna e abbandonasse la fisica per il lavoro politico, portandolo in contatto con figure come [[w:Lev Trockij|Lev Trockij]], che parlava dell'"inimitable revolutionary temperament" del giovane Adler.<sup>12</sup>
Il seguito è altrettanto istruttivo. Mentre Einstein faceva una dichiarazione pubblica di opposizione alla Prima guerra mondiale e poi si dedicò a un intenso lavoro sulla [[w:Relatività generale|Teoria Generale della Relatività]] con occasionali incursioni in ulteriori faccende politiche di basso profilo, l'odio di Adler per i guerrafondai emerse nel 1916 col suo assassinio del Primo Ministro Ministro d'Austria, [[w:Karl von Stürgkh|Conte Stürgkh]]. L'intera storia è straordinaria ed è stata ben raccontata da [[:en:w:Peter Galison|Peter Galison]].<sup>13</sup> Ai fini del presente Capitolo è sufficiente riferire che, durante il processo di Adler, Einstein si offrì di comparire come testimone in difesa di Adler e scrisse persino all'imperatore austro-ungarico per chiedere clemenza a favore di Adler, dicendo: "with not a single word will I prettify this act, but with regard to the psychological situation of the perpetrator... it seems to me to have to do with a tragic accident rather than a crime".<sup>14</sup>
Alla fine, Einstein non fu chiamato. Adler venne dichiarato colpevole e condannato a morte, ma la sua esecuzione fu sospesa. Con l'imminente crollo dell'impero austro-ungarico alla fine della guerra, il governo uscente concesse un'amnistia ai prigionieri politici e Adler fu liberato. In curioso contrappunto alla storia politica, Adler riprese la fisica mentre era in prigione e redasse un libro in cui attaccava la teoria della relatività di Einstein.
Il rapporto con Adler ci dice molto sull'approccio di Einstein alla politica. Oltre alla sua radicata resistenza ai partiti politici istituzionalizzati, mostra la sua tendenza ad avvicinarsi alla politica in termini personali, la sua disponibilità a comprendere, anche se non a giustificare, atti di sfida all'autorità intrapresi per conto di cause nobili e, forse in modo più significativo, una disposizione ad ammirare posizioni più estreme di quelle che abitualmente adottava lui stesso. Nei decenni successivi la gamma di interessi di Einstein si espanse e il suo coinvolgimento si approfondì, ma il suo approccio alla politica mostrò importanti elementi di continuità con il suo io precedente.
=== L'ascesa dell'intellettuale globale ===
[[File:John Dewey cph.3a51565.jpg|240px|right|thumb|[[w:John Dewey|John Dewey]] nel 1919]]
Albert Einstein era una personalità dall'individualità così sorprendente che è spesso presentato isolatamente dai suoi contemporanei. Le sue parole sono spesso citate in una forma decontestualizzata come "parole di saggezza" di una grande mente.<sup>15</sup> Per essere onesti con i compilatori di tali raccolte, la propensione di Einstein per l'espressione concisa si prestava a tale presentazione. Tuttavia, questo metodo di presentazione non solo smentisce la natura dipendente dal contesto del suo pensiero, ma oscura i suoi legami con i colleghi intellettuali. I suoi scritti facevano parte di una conversazione di portata globale tra una vasta gamma di menti. Per cogliere il significato del contributo di Einstein al dibattito sociale e politico, non è sufficiente descrivere il contenuto delle sue idee e nemmeno collocarle nel contesto di eventi storici, per quanto importanti siano questi. Lo si vede meglio in relazione a un fenomeno che nella sua piena fioritura è un prodotto del Novecento: quello dell'intellettuale pubblico globale. Einstein faceva parte di un gruppo ristretto e altamente selezionato di influenti pensatori, scienziati e scrittori di fama internazionale le cui opinioni erano considerate di altissimo valore e con maggiori probabilità di influenzare l'opinione pubblica all'interno e all'esterno del governo. Nella prima metà del ventesimo secolo l'ala liberale dell'opinione internazionale comprendeva, insieme a Einstein, Bertrand Russell, George Bernard Shaw, Thomas Mann, John Dewey, Romain Rolland, Mahatma Gandhi, Albert Schweitzer e H.G. Wells. All'interno delle singole nazioni le liste delle persone influenti erano considerevolmente più lunghe ma di importanza locale piuttosto che internazionale. Einstein ''et al.'' erano un'élite all'interno di un'élite, in quanto il loro ''status'' trascendeva i confini nazionali. Non formavano un gruppo o un partito, ma piuttosto una rete indistinta con membri fluttuanti. Altre figure di spicco si sovrapposero a loro, tra cui [[w:Stefan Zweig|Stefan Zweig]], [[w:Heinrich Mann|Heinrich Mann]], [[w:Henri Barbusse|Henri Barbusse]], [[w:Arnold J. Toynbee|Arnold Toynbee]] e altri. Quando l'argomento di una campagna o di un problema era scientifico, negli elenchi figuravano altri scienziati. Si può cavillare sulla parola "liberale" come etichetta – Shaw e Rolland si sono spostarono decisamente all'estremità sinistra dello spettro liberale nei loro anni successivi – ma, per quanto diverse fossero le loro origini e posizioni su una serie di questioni, c'erano somiglianze familiari tra le idee che detenevano e nei ruoli che erano chiamati a svolgere. Negli anni tra le due guerre e oltre, anni pieni di crisi, furono ripetutamente invitati a firmare lettere a favore della pace e della democrazia e contro l'oppressione e la guerra aggressiva. Il 6 dicembre 1937 Einstein ricevette il seguente telegramma dal filosofo americano [[w:John Dewey|John Dewey]] in seguito all'[[w:Seconda guerra sino-giapponese#L'invasione della Cina|attacco giapponese alla Cina]]:
{{citazione|Wish you join us making following statement. Same request has been sent Messrs Gandhi Romain Rolland, Bertrand Russell... Consent understood without hearing contrary in five days. In view of wanton destruction of oriental civilization and for the sake of humanity, peace and democracy, we propose peoples of all countries organize voluntary boycott against Japanese goods, refuse to sell and load war materials to Japan and cease cooperation with Japan in ways that help her aggressive policy while giving every possible assistance to China for relief and self-defense until Japan has evacuated all her forces from China and abandoned her policy of conquest.<sup>16</sup>}}
Einstein rispose in termini positivi ma il suo consenso a partecipare mostrava una chiara preoccupazione per la sua reputazione. Rispose: "I am happy to join your action, assuming that the three other gentlemen are equally ready to do so", aggiungendo, con parole che trasmettono precisamente la sua concezione del ruolo che lui e altri come lui stavano assumendo, che "the idea of intellectually [''geistig''] oriented men acting jointly to influence public opinion in the direction of reason and justice has been a constant preoccupation of mine".<sup>17</sup>
Quando Einstein scrisse queste parole, l'intervento degli intellettuali in politica era già ben consolidato. Fu negli anni '90 dell'Ottocento, sulla soglia dei cambiamenti che crearono la società di massa globalizzata del XX secolo, che i commentatori dell'[[w:Affare Dreyfus|Affare Dreyfus]] in Francia iniziarono a usare la parola "intellettuale" come sostantivo per descrivere una classe di persone. Il termine si diffuse rapidamente in inglese e in altre lingue europee. Sebbene suscettibile di molte interpretazioni, il termine "intellettuale" ha acquisito due chiare associazioni: implica, in primo luogo, idee in azione, l'intervento pubblico da parte di uomini e donne di forti idee per il raggiungimento di fini politici; e, in secondo luogo, la nozione che gli intellettuali di qualsiasi orientamento politico fossero generalmente critici nei confronti dei valori prevalenti, con l'implicazione sussidiaria che gli intellettuali erano spesso marginali e dissidenti. A dire il vero, c'è molto dibattito sulla seconda di queste associazioni. La marginalità e la dissidenza non sono, insiste [[:en:w:Stefan Collini|Stefan Collini]], intrinseche alla nozione di intellettuale, "even if there are good historical reasons why these characteristics are often associated with the use of the term". Senza tentare di risolvere qui questo complesso di questioni, il caso di Einstein e delle altre figure discusse in questo libro suggerisce che una tensione di dissidenza non era incompatibile con il desiderio di svolgere un ruolo positivo e costruttivo nella società. Il punto è la combinazione di una disposizione da parte di questi intellettuali a svolgere un tale ruolo e le condizioni storiche ad esso favorevoli.<sup>18</sup>
Come tipo sociale, l'intellettuale emerse come parte di un ambiente cambiato. Molti fattori storici si combinarono per creare una nuova e più numerosa classe di ''opinion leader'' che seppero uscire dalle loro particolari specializzazioni e portare i frutti dell'apprendimento nelle questioni pubbliche. Tra questi fattori c'erano la diffusione dell'istruzione universale, la proliferazione dei nuovi media, in particolare settimanali e mensili economici, e il conseguente dibattito pubblico sui valori sociali fondamentali. Altrettanto importante fu la crescita esponenziale della specializzazione in tutti i campi della conoscenza che creò la necessità di mediatori tra accademici e pubblico. Nessuno di questi fenomeni fu di per sé il prodotto del ventesimo secolo; sono segni della modernità stessa. Parliamo in sostanza della crescita dell'"opinione pubblica" e degli uomini e delle donne che l'hanno coltivata. Le radici di entrambi risiedono nelle rivoluzioni democratiche della fine del Settecento, ma all'inizio del Novecento l'accresciuto ritmo di cambiamento su scala globale rese le dimensioni internazionali del mercato delle idee, pur presenti fin dall'inizio nelle aspirazioni universalistiche delle rivoluzioni americana e francese, sempre più salienti.<sup>19</sup>
Altrettanto importante per la comprensione della dimensione internazionale delle loro attività è la crescita, durante la seconda metà del diciannovesimo secolo, di numerosi sforzi per istituzionalizzare i valori liberali su scala globale, dalla sequenza delle [[w:Convenzioni di Ginevra|Convenzioni di Ginevra]] sulla guerra tra il 1864 e il 1949, alle [[w:Convenzioni dell'Aia del 1899 e del 1907|Convenzioni dell'Aia sul disarmo del 1899 e del 1907]], la [[w:Società delle Nazioni|Società delle Nazioni]], l'[[w:Organizzazione delle Nazioni Unite|Organizzazione delle Nazioni Unite]], la [[w:Dichiarazione universale dei diritti umani|Dichiarazione universale dei diritti umani]] delle Nazioni Unite del 1948 e, al passo con tutti questi e molti altri sforzi, la crescita del [[w:Diritto internazionale|Diritto internazionale]] e dei tribunali associati. Anche laddove questi accordi e organizzazioni erano inefficaci o dove il diritto internazionale veniva regolarmente violato, fornirono una piattaforma sempre più ampia per la campagna di gruppi e individui internazionalisti per perseguire i loro programmi. Gli intellettuali svolsero un ruolo nel rendere responsabili i governi e nel promuovere una cultura del dibattito e dell'attività transnazionali.<sup>20</sup>
=== L'Internazionalismo Liberale sulla scia della Prima guerra mondiale ===
Gli intellettuali intervenivano nelle questioni pubbliche molto prima che il termine stesso entrasse in uso, almeno dal tempo dei filosofi greci classici. In tempi moderni, i primi esempi si trovano nella fervente difesa da parte di [[w:Voltaire|Voltaire]] di [[w:Caso Calas|Jean Calas]], un protestante accusato di aver cercato di impedire a suo figlio di convertirsi al cattolicesimo, e nella campagna di [[w:Émile Zola|Émile Zola]] a favore del capitano ebreo Dreyfus, ingiustamente accusato di tradimento. Einstein e la sua generazione sono sulla stessa linea, con l'ulteriore vantaggio delle comunicazioni sempre più globali durante il ventesimo secolo, che consentivano di organizzare con relativa facilità e velocità campagne a favore di una serie di cause, offrendo inoltre la possibilità di istituzionalizzare il ruolo degli intellettuali oltre i confini nazionali. La Prima guerra mondiale fu un punto di svolta. L'eruzione della violenza iniziata nel 1914 portò infine alla soppressione di gran parte della geografia politica mondiale, segnalata in modo più evidente dal crollo degli imperi asburgico e ottomano, che portò al rimodellamento dell'Europa orientale e del Medio Oriente, ma c'erano anche pressioni sui possedimenti imperiali dei vincitori, in particolare alla luce della declamazione di "autodeterminazione" espressa da [[w:Thomas Woodrow Wilson|Woodrow Wilson]] nei suoi "[[w:Quattordici punti|Fourteen Points]]". C'era l'ulteriore complicazione della rivoluzione bolscevica, che offriva la prospettiva di un'ideologia attraente per i nuovi aspiranti alla nazionalità come anche per le classi scontente nelle vecchie nazioni. In questo contesto, i negoziati del [[w:Trattato di Versailles|trattato a Versailles nel 1919-20]] riunirono rappresentanti di ventisette nazioni e centinaia di altre aspiranti nazioni attualmente sotto il dominio coloniale in Asia, Africa e Medio Oriente. Fu teatro probabilmente del più grande e diversificato raduno di rappresentanti di popoli nella storia mondiale.<sup>21</sup>
Dare un senso alle nuove forze globali divenne una necessità urgente. Per molti osservatori c'era una chiara conclusione da trarre dai cambiamenti sismici provocati dalla guerra, cioè che le strutture nazionali non erano più adeguate per comprendere ciò che stava accadendo. L'[[w:Internazionalismo|internazionalismo]] era un'inevitabilità. Sulla scia della guerra, furono fondate nuove istituzioni, che in seguito sarebbero state chiamate "[[w:think tank|think tank]]", per portare un'attenzione sistematica ai problemi delle relazioni tra le nazioni, in particolare il [[w:Chatham House|Royal Institute of International Affairs]] di Londra e il [[w:Council on Foreign Relations|Council on Foreign Relations]] a New York, dando vita al nuovo campo accademico delle [[w:relazioni internazionali|relazioni internazionali]]. Studiare il nuovo mondo internazionale era una cosa, ma come gestirlo? Niente sembrava più importante all'indomani della guerra che ristabilire le connessioni tra le nazioni su una nuova base, che eliminasse le rivalità nazionali e premiasse il comportamento cooperativo. Scrive uno storico di spicco di questo movimento: "Internationalism came of age in the 1920s’, at least as aspiration".<sup>22</sup>
[[File:Romain Rolland 1915.jpg|240px|thumb|right|[[w:Romain Rolland|Romain Rolland]] nel 1915]]
Politicamente la manifestazione più ovvia dell'internazionalismo fu la Società delle Nazioni ma, per molti intellettuali liberali, essa fu sempre un'istituzione difettosa, perché non fu mai altro che la somma delle singole sovranità di cui era composta. Vale a dire, non metteva mai veramente in discussione il principio di nazionalità. La sovranità nazionale regnava ancora e comunque. Inoltre, paesi chiave come gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica non erano membri. Gli intellettuali cercarono collegamenti più fondamentali attraverso i confini culturali e nazionali del tipo che potesse cambiare il modo in cui le persone si percepiscono l'un l'altro e senza i quali semplici istituzioni come la Società delle Nazioni sarebbero state di utilità limitata. Negli anni successivi al Trattato di Versailles, apparvero numerosi schemi di contatto intellettuale transnazionale che cercavano una trasformazione delle relazioni internazionali a un livello più profondo. Uno fu organizzato nel 1919 dallo scrittore francese [[w:Romain Rolland|Romain Rolland]] sotto forma di lettera agli intellettuali di diversi paesi sotto il titolo "Dichiarazione di Indipendenza della Mente". Lo scopo era "to introduce the great intellectuals of diverse nations who have conserved the independence of their thought, posing to them principles of an ''International of the Mind'' which struggles against the disastrous work of intellectuals formed into regiments serving the enemy nationalisms" (corsivo aggiunto).<sup>23</sup> Oltre 200 intellettuali provenienti da venti paesi firmarono la dichiarazione, la maggioranza dall'Europa occidentale e al suo interno quella prevalentemente francese, anche se gli Stati Uniti fornirono una ventina di nomi. Non sorprende che Einstein fosse uno dei firmatari. L'obiettivo di Rolland era quello di cogliere l'attimo internazionalista per fare un cambiamento di mentalità permanente e collettivo. La dichiarazione doveva essere fatta da intellettuali ma al servizio dell'umanità nel suo insieme. Le ambizioni di Rolland andavano ben oltre una dichiarazione generale; immaginava programmi educativi, una casa editrice, un giornale e persino un'enciclopedia dedicata a un'agenda internazionalista che avrebbe avuto l'effetto di trasformare il clima globale dell'opinione pubblica. Alla fine, la risposta non fu all'altezza delle aspettative di Rolland. Ci furono alcuni aspetti negativi pesanti, in particolare da parte di [[w:George Bernard Shaw|George Bernard Shaw]], e anche alcuni di coloro che avevano sostenuto il progetto, come [[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]], avevano delle riserve su alcuni suoi aspetti. Il tono della dichiarazione era alquanto prepotente e idealistico nella sua richiesta che gli intellettuali che avevano sostenuto la guerra rinnegassero esplicitamente le loro convinzioni precedenti. Sebbene l'idea di Rolland continuasse a risuonare nell'atmosfera internazionalista degli anni '20, la sua amata idea di un centro per intellettuali in un paese neutrale non si concretizzò mai.<sup>24</sup>
Uno sforzo più modesto e burocratico per riunire gli intellettuali oltre i confini nazionali venne dall'interno della stessa [[w:Società delle Nazioni|Lega delle Nazioni]], il ''[[w:International Committee on Intellectual Cooperation|Committee on Intellectual Cooperation]]'' (CIC). Istituito nel 1922, aveva lo scopo di promuovere collaborazioni e scambi culturali e artistici tra le nazioni della Lega. Einstein fu un membro fondatore del Comitato, anche se il suo incarico non fu del tutto felice, come vedremo nel [[Saeculum Mirabilis/Capitolo 3|Capitolo 3]]. Per il momento, basti notare che si trattava di un'altra indicazione dell'urgenza di trovare mezzi per abbattere le barriere tra le nazioni, sia per facilitare la crescita della conoscenza sia per ridurre gli attriti tra le nazioni. A guidare questo e tutti gli altri schemi per promuovere l'amicizia e la comprensione internazionali fu la catastrofe della guerra e la convinzione che l'internazionalismo non fosse una questione di idealismo ma di urgente necessità pratica.
[[File:H.G. Wells by Beresford.jpg|240px|right|thumb|[[w:H. G. Wells|H. G. Wells]] nel 1920]]
A un livello completamente diverso c'era l'ambizioso trattato di [[w:H. G. Wells|H. G. Wells]], ''[[:en:w:The Open Conspiracy|The Open Conspiracy: Blueprint for a World Revolution]]'', pubblicato nel 1928. Lo schema di Wells andava ben oltre le attività degli intellettuali, ma alla sua radice c'era l'idea della scienza come catalizzatrice di un cambiamento radicale nella società mondiale. Era di concezione vaga, ma il trattato era progettato con la caratteristica urgenza di Wells, il titolo ossimorico evidentemente concepito per attirare l'attenzione.
In un resoconto retrospettivo del suo schema, scrisse:
{{citazione|It seemed to me that all over the world intelligent people were waking up to the indignity and absurdity of being endangered, restrained and impoverished, by a mere uncritical adhesion to traditional governments, traditional ideas of economic life, and traditional forms of behaviour, and that these awaking intelligent people must constitute first a protest and then a creative resistance to the inertia that was stifling and threatening us.}}
Il suo progetto consisteva in una "rinascita intellettuale" (''intellectual rebirth'') basata sulla scienza, che avrebbe fornito gli strumenti per una riorganizzazione della società a tutti i livelli, rendendo il mondo un'unica comunità. Evidentemente utopico nella concezione, era tuttavia, come tutte le visioni di Wells, radicato nei principi scientifici, il che significava che in teoria poteva raggiungere una forma concreta. Questo, in ogni caso, era lo spirito con cui veniva offerto. All'inizio degli anni '30 era convinto che gli sviluppi stessero andando per la sua strada, grazie in gran parte, secondo lui, "to the mental stimulation of the [[:en:w:First five-year plan|Russian Five Year Plan]]".<sup>25</sup>
Wells inviò il libro a Bertrand Russell, che rispose: "I have read it with the most complete sympathy and I do not know of anything with which I agree more entirely". Tuttavia, dubitava che gli uomini di scienza potessero essere persuasi a unirsi alla Open Conspiracy, dal momento che la maggior parte di loro era troppo preoccupata per la propria carriera, "with the exception", aggiunse, "of Einstein — a not unimportant exception I admit".<sup>26</sup> Non c'è traccia della risposta di Einstein a questo libro, se davvero lo lesse, ma Russell aveva sicuramente ragione nell'intuire che Einstein sarebbe stato attratto dalla portata e dall'audacia intellettuale del libro, nonché dalla sua ambizione di cambiare il mondo.
In pratica, tuttavia, Einstein era cauto nel sottoscrivere campagne o organizzazioni basate su idee a malapena realizzabili. Era profondamente ricettivo a ogni sorta di idee e progetti internazionali, ma preferiva fare le proprie scelte e mantenere libertà di movimento. Non era per natura o per scelta un "organization man" ed è meglio visto in relazione al gruppo meno formale di intellettuali già menzionato che costituiva una sorta di coscienza liberale vagante con riferimento a una pletora di cause e questioni pubbliche.
=== Einstein e gli intellettuali liberali ===
[[File:Thomas Mann 1929.jpg|240px|thumb|right|[[w:Thomas Mann|Thomas Mann]] nel 1929]]
Gli intellettuali liberali avevano stabilito una reputazione nei loro campi e identità chiaramente definite come autori o attivisti, che davano peso alle loro opinioni su argomenti al di fuori dei loro principali campi di attività. I loro scritti venivano ampiamente letti e le loro opinioni sui grandi problemi erano esaminate e riportate con entusiasmo. Ciascuno proiettava una visione fortemente individuale del mondo, pur mostrando significativi punti di sovrapposizione nella risposta alle grandi crisi della prima metà del Novecento.
Politicamente, erano internazionalisti convinti, credevano nella libertà e nella democrazia individuale, si battevano a favore della libertà intellettuale, si opponevano a tutte le forme di potere arbitrario e, nello spirito del nuovo liberalismo sociale dell'inizio del XX secolo, credevano che i benefici della società dovessero essere distribuiti il più ampiamente possibile. Erano anche quasi tutti contemporanei. John Dewey e George Bernard Shaw erano nati negli anni Cinquanta dell'Ottocento, il resto negli anni Sessanta o Settanta dell'Ottocento e vissero tutti almeno fino agli anni 1940, molti molto più a lungo.<sup>27</sup> Tutti maturarono durante la "lunga pace" dell'Ottocento ed erano a metà carriera quando scoppiò la Prima guerra mondiale. Per quanto diverse possano essere le loro esperienze e punti di vista individuali su questioni specifiche, quella guerra fu un momento decisivo in tutti i casi. La guerra infranse le comode ipotesi degli ottimisti liberali, in particolare le idee di progresso e di costante modernizzazione. L'individualismo, la tolleranza, il progresso, la razionalità sembrarono tutte vittime della Grande Guerra. Tuttavia, forse perché erano maturi negli anni dell'inizio guerra, questa generazione generalmente reagì mantenendo il proprio liberalismo o addirittura facendo un salto di qualità piuttosto che abbandonarlo. Bertrand Russell nel 1931 scrisse:, "The feeling of security that characterized the nineteenth century perished in the war, but I could not cease to believe in the desirability of the ideals that I previously cherished". Molte delle giovani generazioni divennero ciniche, ma "for my part I have never felt complete despair and have never ceased, therefore, to believe that the road to a better state of affairs is still open to mankind". Per John Dewey, "breakdown of traditional ideas [was] an opportunity to develop a new constructive philosophy". Infatti, il suo primo libro del dopoguerra si intitola ''[https://archive.org/details/reconstructioni02dewegoog Reconstruction in Philosophy]'' (1919).<sup>28</sup> Il punto di partenza di [[w:Thomas Mann|Thomas Mann]] nel 1914 fu molto diverso dagli altri, ma finì nella stessa orbita liberale. Allo scoppio della guerra aveva abbracciato la causa nazionale tedesca di ''Kultur'' contro la nozione di ''civiltà'' francese e in generale occidentale, ma la guerra e le sue conseguenze provocarono una rivoluzione nel suo pensiero che lo trovò ad abbracciare la democrazia all'inizio degli anni '20. L'opposizione al [[w:nazionalsocialismo|nazionalsocialismo]] di [[w:Adolf Hitler|Hitler]] lo costrinse successivamente all'esilio.
Einstein, Russell, Shaw e Rolland erano stati fermi oppositori della guerra sin dall'inizio. Wells e Dewey entrambi sostennero le loro nazioni con notevoli apprensioni ed emersero fermamente impegnati nei principi internazionalisti come rimedio alla distruttività di un mondo basato sulla competizione tra le nazioni. [[w:Mahatma Gandhi|Gandhi]], controverso all'epoca e da allora, sostenne la formazione di truppe indiane per lo sforzo bellico alleato, apparentemente in contrasto con il suo impegno per la [[w:nonviolenza|nonviolenza]] ma, come Einstein, non esitava a scendere a compromessi per raggiungere il suo obiettivo di primo ordine, che nel suo caso era l'[[w:Movimento d'indipendenza indiano|indipendenza indiana]]. Il suo profilo internazionale nacque dai valori che portava alla lotta per l'indipendenza indiana: nonviolenza, autodeterminazione, democrazia e l'esempio del sacrificio di sé al servizio di un obiettivo prescelto — valori che trascendevano la causa dell'indipendenza indiana ed erano ampiamente allineati con l'internazionalismo liberale occidentale.
[[File:Bundesarchiv Bild 183-D0116-0041-019, Albert Schweitzer.jpg|240px|right|thumb|[[w:Albert Schweitzer|Albert Schweitzer]] nel 1955]]
La Prima guerra mondiale fu decisiva anche per [[w:Albert Schweitzer|Albert Schweitzer]], ma in modo molto diverso. Era in Africa da un anno quando scoppiò la guerra e sperava di tornare in Germania nel 1915. Come cittadino tedesco residente in una colonia francese, tuttavia, si trovò prigioniero nel suo ospedale missionario. In queste circostanze iniziò ad affrontare quella che vedeva come la crisi generale che la guerra aveva rivelato, che non era altro che il "suicide of civilization". Nel primo volume del suo ''The Philosophy of Civilization'' (1923), scrisse: "The situation has not been produced by the war, but is only a manifestation of it". La piena misura del disastro risiedeva nell'assenza di qualsiasi "real reflection upon what civilization is", una lacuna che mirava a colmare. Così per Schweitzer, come per molti contemporanei, la guerra non provocò una risposta politica ma un ripensamento dei fondamentali che nel caso di Schweitzer portò al suo concetto di "reverence for life", che guidò il suo pensiero per il resto della sua vita.<sup>29</sup>
Dell'atteggiamento specifico di Schweitzer nei confronti della guerra si apprende molto poco da ''The Philosophy of Civilization'', ma la sua etica come guida della civiltà, se fosse stata istituita, avrebbe effettivamente precluso i motivi e gli impulsi che portarono alla guerra. Il pacifismo era virtualmente assunto nel concetto di riverenza per la vita di Schweitzer. Tra gli altri internazionalisti liberali, non tutti erano pacifisti, tanto meno pacifisti assoluti o incondizionati. Einstein, Russell, Rolland, Gandhi e Shaw meritano ovviamente l'etichetta, anche se in tutti i casi devono essere fatte qualifiche di vario tipo. La traiettoria di Einstein attraverso il pacifismo e oltre è l'argomento del [[Saeculum Mirabilis/Capitolo 3|Capitolo 3]]. Come notato, Gandhi sosteneva la partecipazione delle truppe indiane alla Prima guerra mondiale, mentre Russell modificava il suo pacifismo nella direzione di quello che chiamò "relative political pacifism" di fronte all'ascesa del nazismo. In effetti, Russell non fu mai un pacifista incondizionato. Era troppo scettico per esserlo. Credeva che certe guerre in passato fossero state giustificate.<sup>30</sup> Rolland mantenne una posizione costantemente pacifista fino al 1936, quando abbandonò il pacifismo assoluto di fronte alla minaccia del fascismo. I pacifisti francesi, sottolineò, non hanno compreso il fatto che Hitler volesse "annientare la Francia".<sup>31</sup> Inoltre, è degno di nota il fatto che nel 1924 Rolland pubblicò un libro su Gandhi che fu determinante per stabilire la reputazione internazionale di quest'ultimo. Inevitabilmente la rottura con il pacifismo comportava una rottura con Gandhi e la sua filosofia della nonviolenza. Shaw rilasciò dichiarazioni a sostegno dell'opposizione incondizionata alla guerra in vari momenti della sua vita ma, come sottolinea il suo biografo, la sua opinione incondizionata "receded to a blurred background when he looked at warfare through the lens of politics".<sup>32</sup> Quali che fossero le loro sfumature di pacifismo, questi cinque personaggi condividevano con altri internazionalisti liberali un impegno nei confronti di organizzazioni internazionali volte a neutralizzare l'aggressione, sebbene anche su questo argomento vi fossero molte sfumature di opinione, a seconda di quanto fossero disposti a spingersi nel vedere ridotta la sovranità delle nazioni individuali.
La prospettiva più lunga di questa generazione si mostra anche nelle loro reazioni alla [[w:Rivoluzione d'ottobre|rivoluzione bolscevica]] e allo sviluppo dell'Unione Sovietica, importante quanto la Prima guerra mondiale nel definire il contesto degli affari internazionali per il prossimo mezzo secolo. Con la possibile eccezione di George Bernard Shaw, che arrivò a credere che l'Unione Sovietica fosse l'incarnazione stessa del socialismo, c'era un certo distacco nella loro risposta alla rivoluzione bolscevica. La maggior parte riteneva che l'esperimento sovietico, sebbene brutale, fosse una reazione comprensibile alle grottesche disuguaglianze nella società russa e alle sofferenze della gente comune sotto gli zar. Dewey, Shaw, Wells, Rolland e Russell hanno visitarono l'[[w:Unione Sovietica|Unione Sovietica]] e ne scrissero ampiamente. Com'era prevedibile, le loro reazioni variavano. A un estremo c'era l'osservazione di Russell: "the time I spent in Russia was one of continually increasing nightmare". Eppure anche Russell, che in una retrospettiva dichiarò che "I have always disagreed with Marx", non poté fare a meno di rimproverarsi durante la sua visita nel 1920 di non gradire la Russia (che era il nome che dava sempre al Paese anche dopo che era diventata Unione Sovietica): "It has all the characteristics of vigorous beginnings. It is ugly and brutal, but full of constructive energy and faith in the value of what it is creating".<sup>33</sup> All'altro estremo c'era Shaw, che, sulla base di una visita di nove giorni nel 1931 durante la quale fu costantemente assistito da badanti del governo e trattato come una celebrità, riferì che... "I have been preaching Socialism all my political life and here at last is a country which has established Socialism, made it the basis of its political system, definitely thrown over private property, and turned its back on Capitalism". Il rapporto di Shaw sulla sua visita ebbe un'enorme influenza su scrittori e giornalisti di sinistra, tra cui [[w:Sidney James Webb|Sidney]] e [[w:Martha Beatrice Webb|Beatrice Webb]], la cui massiccia opera ''[[:en:w:Beatrice Webb#Soviet Communism|Soviet Communism: A New Civilization?]]'' (1935) a sua volta influenzò una generazione. Per il resto della sua vita, Shaw fu un costante sostenitore delle politiche di [[w:Iosif Stalin|Stalin]], anche durante le purghe della fine degli anni '30 e la guerra russa contro la [[w:Finlandia|Finlandia]]. Nella sua anzianità, scrive il biografo di Shaw, "Sovietism was now [for him] a fundamental religion untouched by ordinary criticism".<sup>34</sup>
L'impegno intellettuale di Romain Rolland con l'Unione Sovietica e il comunismo fu ampio e duraturo, anche se fece solo una breve visita nel 1935. Le sue opinioni furono sempre caratterizzate da ambivalenza. Nonostante le critiche alla leadership bolscevica, Rolland accolse con favore la Rivoluzione come un possibile antidoto alla natura sclerotica delle istituzioni politiche e sociali occidentali. Quali che fossero i suoi dubbi sull'Unione Sovietica, temeva ancora di più le forze di reazione. Verso la metà degli anni '30 era arrivato alla posizione del classico "compagno di viaggio" che nutriva serie critiche private contro il sistema sovietico, ma che non voleva rendere pubbliche per paura di dare munizioni ai nemici dell'Unione Sovietica. H. G. Wells fece due visite nella Russia post-rivoluzionaria (1920 e 1934) durante le quali ottenne interviste con Lenin e Stalin. Nonostante la simpatia per l'entità dei problemi affrontati dai bolscevichi, derivanti, ne era sicuro, dall'eredità zarista che lo portava ad ammettere che qualcosa come il comunismo fosse l'unico rimedio possibile, odiava il fanatismo del sistema sovietico e il marxismo su cui si supponeva fosse basato. Il liberalismo sociale o nuovo di John Dewey lo portò a essere ben disposto alla spinta collettivista nell'Unione Sovietica, ma il suo impegno per la democrazia e i valori e diritti liberali tradizionali, lo fecero presto ritirare dalla realtà della vita sovietica. Ammise francamente di essere contento che l'esperimento fosse stato tentato in Russia piuttosto che nel suo stesso paese. Nessuno di questi individui si unì ai partiti comunisti e furono generalmente attenti a resistere all'identificazione con le politiche sovietiche, tuttavia la loro predisposizione a prendere sul serio l'Unione Sovietica, anche dopo l'avvento della guerra fredda, diede origine ad accuse di simpatizzanti o di eccessiva cordialità, non ultimo nel caso di Einstein.<sup>35</sup>
Inutile dire che i riassunti di cui sopra coprono nei particolari una moltitudine di variazioni. Il punto che accomuna tutti questi personaggi è che, ancora una volta con la possibile eccezione di Shaw (sebbene anche con Shaw vi siano dubbi su dove si collocasse esattamente), i loro punti di riferimento politici ed etici erano al di fuori del [[w:marxismo|marxismo]], quale che fosse l'atteggiamento adottato verso l'Unione Sovietica. Lo stesso Einstein rientrò ampiamente in questo stampo. Odiatore del fanatismo e difensore della democrazia e della libertà individuale, era tuttavia incline a dare credito all'esperimento sovietico, che considerava importante non tanto in sé quanto per l'esempio che offriva come critica permanente alle istituzioni fallite dell'Occidente. Nel 1932 scriveva: "I certainly do not approve of much that is taking place in Russia, but I approve even less of the violent methods that are being used to suppress the only serious attempt to create a just and rational economic order".<sup>36</sup> Per Einstein, come per gli altri intellettuali liberali, l'Unione Sovietica fu un punto di riferimento costante o banco di prova per le proprie convinzioni politiche, poiché rappresentò una possibile alternativa al sistema parlamentare occidentale, in particolare dopo l'ascesa del [[w:fascismo|fascismo]] in Italia e del [[w:nazionalsocialismo|nazismo]] in Germania.
=== Connessioni ===
[[File:Mahatma-Gandhi, studio, 1931.jpg|240px|right|thumb|[[w:Mahatma Gandhi|Mahatma Gandhi]] a Londra nel 1931]]
Se l'elenco di intellettuali di cui sopra non costituiva un gruppo, vi erano tuttavia contatti più o meno estesi tra di loro, generalmente in connessione con una causa o l'altra. Einstein li conosceva o corrispondeva con tutti loro. Possiamo avere un'idea chiara dei valori che apportava alle sue attività politiche guardando i punti in cui si sovrapponeva a queste figure. Data la sua precoce e istintiva spinta al pacifismo, non può sorprendere la sua ammirazione per la filosofia di resistenza non violenta di [[w:Mahatma Gandhi|Gandhi]]. Nel 1931 Einstein scrisse a Gandhi: "your example will inspire and help humanity to put an end to conflict based on violence with international help and cooperation guaranteeing peace to the world", aggiungendo che sperava che potessero incontrarsi faccia a faccia. Gandhi rispose negli stessi termini.<sup>37</sup> Non si incontrarono mai, ma è chiaro che per Einstein Gandhi era la bussola morale suprema. Una foto di Gandhi adornava la parete del suo studio negli Stati Uniti e scrisse una serie di apprezzamenti del leader indiano per le celebrazioni di compleanno e per i pezzi commemorativi dopo la sua morte. Per la celebrazione del settantesimo compleanno di Gandhi, Einstein scrisse: "Mahatma Gandhi’s life’s work is unique in political history, he has devised a wholly new and humane means for the liberation of an oppressed people and has carried it through with great energy and devotion".<sup>38</sup>
I rapporti di Einstein con Albert Schweitzer, la cui dedizione disinteressata al compito prescelto come medico missionario in Africa lo trasformò in qualcosa di simile a un santo secolare, non erano dissimili da quelli con Gandhi. C'erano pochi contatti diretti – sebbene con Schweitzer ci fu almeno un incontro – ma una profonda ammirazione per le sue qualità morali. In una dichiarazione destinata a una nuova edizione di un libro dei suoi stessi scritti, Einstein scrisse di Schweitzer: "he is in my opinion the only human being in the western world who has exerted a comparable moral influence to Gandhi over this generation. As with Gandhi the strength of this effect rests overwhelmingly on the practical example he has provided in his life’s work".<sup>39</sup> Non ci sono prove che Einstein abbia letto l'opera chiave di Schweitzer, ''The Philosophy of Civilization'', ma è significativo che Schweitzer, come Einstein, poneva l'etica al centro del suo concetto di società. "A positive aspiration and effort for an ethical–moral configuration of our common life is of overriding importance. Here no science can save us", scrisse Einstein nel 1951. Da parte sua, Schweitzer era convinto che "creative, artistic, intellectual and material attainments can only show their full and true effects when the continued existence and development of civilization have been secured by founding civilization itself on a mental disposition which is truly ethical".<sup>40</sup> È significativo che Schweitzer ed Einstein arrivarono rispettivamente primo e secondo in un sondaggio nazionale statunitense condotto nel dicembre 1950 per selezionare le più grandi personalità non-politiche del mondo.<sup>41</sup>
Einstein aveva sperato di portare Schweitzer all'[[w:Institute for Advanced Study|Institute for Advanced Study]] di Princeton come ''visiting scholar'', ma Schweitzer dichiarò di non essere più un uomo libero: "In everything I do I must consider my hospital", scrisse, proseguendo poi con il descrivere in dettaglio le difficoltà pratiche in cui lavorava. Nella sua risposta, Einstein si rammaricò che Schweitzer non potesse venire, ma "was convinced that the activities you undertake in your work are incomparably more important".<sup>42</sup> Un ulteriore punto di contatto morale e intellettuale tra loro era l'odio per le armi nucleari. Schweitzer rese pubbliche le sue paure sulla prospettiva di una corsa agli armamenti nucleari sulla scia del test americano della [[w:bomba all'idrogeno|bomba H]] del 1952, che fu anche l'anno in cui fu insignito del [[w:Premio Nobel per la pace|Premio Nobel per la pace]] per la sua filosofia di "Reverence for Life". La sua conferenza per il Nobel, "The Problem of Peace", tenuta solo due anni dopo, fu un potente argomento per rifiutare la guerra come un male etico, ponendoo Schweitzer in testa ai difensori della pace nell'era nucleare.<sup>43</sup> Einstein propose a Bertrand Russell che Schweitzer dovesse essere invitato a firmare quello che sarebbe stato chiamato il "[[w:Manifesto Russell-Einstein|Russell–Einstein Manifesto]]" del 1955. "I think it would be highly desirable to have Albert Schweitzer join our group", scrisse Einstein a Russell, "since his moral influence is very great and world-wide".<sup>44</sup> Alla fine, si decise di chiedere solo agli scienziati di firmare il manifesto, ma Schweitzer continuò a ritagliarsi un proprio percorso parallelo di protesta antinucleare negli anni a venire, dopo la morte di Einstein nell'aprile del 1955.<sup>45</sup>
Einstein non fu affatto l'unico a mettere insieme Gandhi e Schweitzer come esempi morali negli anni del dopoguerra, e non era meno comune aggiungere Einstein per formare un triumvirato. Il biografo e stretto collega e amico di Einstein, [[w:Philipp Frank|Philipp Frank]] registra:
{{citazione|When I visited the House of Friends [actually Friends’ House] in London, the headquarters of the Quakers, I saw pictures of three men in the secretary’s office: Gandhi, Albert Schweitzer, and Einstein. I was rather surprised at this combination and asked the secretary what it was that these three persons had in common. Amazed at my ignorance, he informed me: ‘All three are pacifists.<sup>46</sup>}}
Romain Rolland era uno scrittore affermato quando arrivò all'attenzione di Einstein. Iniziato come accademico, intorno ai trentacinque anni si dedicò a romanzi e opere teatrali, ma anche alla storia della musica e dell'arte. In gran parte sulla base del suo romanzo in dieci volumi ''[[:fr:w:Jean-Christophe (roman)|Jean-Christophe]]'', nel 1915 ricevette il [[w:Premio Nobel per la letteratura|Premio Nobel per la letteratura]]. Guarda caso, quello fu anche l'anno in cui pubblicò il suo trattato pacifista ''[[:fr:w:Au-dessus de la mêlée (texte)|Au-dessus de la mêlée]]'', che (come il suo ''magnum opus Jean-Christophe'') era ispirato dal desiderio di "remove the fateful misunderstandings between the French and German people".<sup>47</sup> La frase è tratta dalla prima lettera di Einstein a Rolland in cui elogiava l'autore francese proprio per questo risultato. In quello stesso anno Einstein incontrò Rolland in Svizzera, dove si era trasferito, e per diversi anni il loro comune odio per la guerra li tenne in stretto contatto. Le relazioni si raffreddarono all'inizio degli anni '30, quando Einstein cambiò idea sulla campagna pacifista contro la coscrizione militare, un punto che sarà discusso nel [[Saeculum Mirabilis/Capitolo 3|Capitolo 3]].
[[File:Bertrand Russell 1957.jpg|240px|thumb|right|[[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]] nel 1957]]
Il filosofo britannico Bertrand Russell fu l'unico di questo gruppo in grado di comprendere il lavoro scientifico di Einstein ed era ben consapevole del suo significato sin dall'inizio. Conosciuto inizialmente per il suo lavoro nella filosofia della matematica e in altre aree tecniche della filosofia, Russell si volse decisamente nella Prima guerra mondiale verso la pubblicazione per un pubblico più ampio sia in filosofia che in argomenti politici e sociali. Nella sua autobiografia, rifletteva: "The War of 1914–1918 changed everything for me; I ceased to be academic and took to writing a new kind of books".<sup>48</sup> Divenne famoso o famigerato per la sua opposizione alla Prima guerra mondiale, essendo stato imprigionato per aver scritto un articolo provocatorio contro la coscrizione. Nel 1925 Russell pubblicò ''ABC of Relativity'', uno dei primi tentativi di portare la rivoluzione di Einstein a un pubblico non scientifico.<sup>49</sup> Da parte sua, nel 1922 Einstein, già ben consapevole del lavoro e della reputazione di Russell in matematica e filosofia sociale e politica, scrisse un'ammirata prefazione all'edizione tedesca del ''Political Ideals'' di Russell e molto più tardi un apprezzamento molto entusiasta di ''[[w:Storia della filosofia occidentale (Russell)|A History of Western Philosophy]]''.<sup>50</sup> Il contatto diretto tramite lettera fu stabilito negli anni '30 e alcuni anni dopo Einstein fu coinvolto nel sostegno di Russell quando fu licenziato dal [[w:City College (New York)|City College di New York]] a causa della sua difesa di valori immorali. (L'accusa si basava su un libro pubblicato dieci anni prima intitolato ''Marriage and Morals'', in cui si sosteneva che, con l'avvento della contraccezione, gli atteggiamenti vittoriani nei confronti del sesso erano obsoleti).<sup>51</sup> Nel 1943 Russell arrivò a Princeton e per un periodo incontrò regolarmente Einstein, insieme al matematico [[w:Kurt Gödel|Kurt Gödel]] e al fisico [[w:Wolfgang Pauli|Wolfgang Pauli]]. Successivamente Einstein e Russell ebbero un'associazione molto più pubblica con l'apparizione del ''Russell-Einstein Manifesto'' (1955) contro la bomba H, di cui parleremo in un capitolo successivo. Sebbene ci fossero più differenze su questioni politiche tra Russell ed Einstein di quanto non sembri, queste generalmente svaniscono in secondo piano di fronte alle grandi questioni su cui erano uniti. Russell fu almeno altrettanto instancabile di Einstein nel dare sostegno morale alle cause internazionaliste e andò molto oltre, ponendosi in prima linea nell'attivismo politico, che comprendeva la partecipazione a numerose manifestazioni contro le guerre e le armi belliche. Nel suo ultimo decennio, Russell creò una fondazione per finanziare e promuovere le cause della pace e dei diritti umani. Sicuramente nel mondo anglofono Russell fu probabilmente l'attivista più visibile e radicale sulla scena mondiale, con Einstein che occupava una posizione più passiva ma comunque potente, basata sulla sua immagine di saggio e custode della coscienza del mondo.
[[w:Università di Princeton|Princeton]] fu anche il luogo dell'incontro di Einstein con Thomas Mann durante i due anni di mandato di quest'ultimo all'università dal 1938 al 1940, quando erano quasi vicini. Sebbene Einstein trovasse non congeniale lo stile di vita patrizio di Mann, mantennero comunque relazioni collegiali rispettose, condividendo, come fecero, tra le altre cose, un odio per la Germania nazista. Era questo che li aveva messi in contatto per la prima volta nei mesi successivi alla presa del potere di Hitler. Einstein scrisse a Mann elogiando le critiche provocatorie di quest'ultimo al regime nazista, che, scrisse, "was one of the few bright spots in the events which have taken place recently in Germany". La risposta di Mann fu altrettanto calorosa e sincera; entrambi erano ora fuori dalla Germania (Einstein in Belgio e Mann nel sud della Francia) e si stavano preparando alla vita di esuli permanenti. Nel gennaio 1939 Thomas Mann ricevette la Medaglia Einstein (da non confondere con la [[w:Albert Einstein Award|Medaglia Einstein per la Fisica Teorica]], assegnata per la prima volta nel 1951), in occasione della quale Einstein dichiarò che Mann "has the courage, the strength of conviction and the power of words to make him a leader in the fight" contro il degrado dei valori intellettuali e morali rappresentato dal regime nazista. In un tributo a Mann nel giorno del suo settantesimo compleanno, Einstein salutò Mann come l'incarnazione dell'"humanistic ideal", mentre Mann scrisse in termini simili un necrologio di tributo a Einstein che aveva "salvato l'onore dell'umanità".<sup>52</sup> Nessuno dei due tornò mai in Germania a vivere. Sebbene Mann facesse una visita dopo il 1945, spiegò a lungo in un diario tedesco dell'esilio, in risposta a un appello della Germania a venire e aiutare a ricostruire il morale del paese, perché non poteva pensare di tornarci a vivere. Il peso della storia recente della Germania e della sua personale esperienza era semplicemente troppo grande per essere dimenticato.<sup>53</sup> I sentimenti di Einstein per la Germania erano meno complicati e decisamente più negativi di quelli di Mann, argomento di cui parleremo più avanti. Per il momento è sufficiente notare che questi due giganti della cultura e dell'intelletto tedeschi, partiti da punti così diversi, si sono ritrovati, grazie agli sconvolgimenti della guerra e dell'esilio, uniti nella loro pubblica difesa dei valori umanisti liberali.
Riguardo a [[w:H. G. Wells|H. G. Wells]], alcuni commentatori hanno tenuto molto al fatto che Wells sembrava anticipare aspetti della teoria della relatività nella proposta contenuta nelle prime pagine di ''[[w:La macchina del tempo (romanzo)|The Time Machine]]'' in cui il tempo fosse da considerare una quarta dimensione. Nella sua forma più estrema e cospirativa, visibile su numerosi siti internet, l'affermazione è che Einstein stesse semplicemente compilando i dettagli di un'idea ordita da Wells.<sup>54</sup> Lo stesso Wells non fece tali affermazioni e teneva il fisico nella massima stima. Tali idee cospirative sulle fonti della teoria della relatività derivavano da due fatti: in primo luogo, che molti critici di Einstein sono stati desiderosi di negargli l'originalità scientifica, anzi di considerarla un plagio incidentalmente rubato da idee di certi fisici come anche da Wells; e, in secondo luogo, che l'immaginazione di Wells lo aveva portato davvero ai confini dell'esperienza umana, dove fu in grado di percepire possibilità che non erano state ancora concepite o testate dagli scienziati. Per questo motivo i nomi Einstein e Wells a volte compaiono insieme. In realtà, i legami erano più tangibili, più diretti e molto meno aperti a fantasie cospiratrici. H. G. Wells attraeva Einstein perché era un compagno guerriero nella lotta per i valori umani su scala globale. Wells era alla guida degli internazionalisti britannici sulla scia della Prima guerra mondiale, presiedendo una commissione che produsse un rapporto su ''The Idea of a League of Nations'' (1919). Tra i membri della commissione c'erano storici, politici e giornalisti di spicco, e collettivamente trasmettevano il messaggio che l'internazionalismo era l'unica soluzione logica e di principio al pasticcio in cui si era cacciato il mondo.<sup>55</sup> Un decennio dopo Wells inviò ad Einstein il suo ultimo libro. Nel ringraziarlo, Einstein disse che ammirava "the enormous energy you devote to the human race, which is so very difficult to help". Espresse anche "the special pleasure I took in your fine essay in the book ''Living Philosophers''", che era stato pubblicato di recente e al quale lo stesso Einstein aveva contribuito.<sup>56</sup> Si presume che Einstein apprezzò calorosamente l'espressione di Wells dei suoi valori etici in quel saggio, che trasmetteva proprio il tipo di spiritualità naturalistica e di disgusto per la religione organizzata caratteristica delle convinzioni di Einstein. Einstein deve anche aver accolto favorevolmente l'affermazione di Wells secondo cui era "natural that I should exalt science" e forse ancor di più la fede politica antinazionalista e pacifista di Wells, che era così vicina a quella di Einstein:
{{citazione|If I am opposed to nationalism and war, it is not merely because these things represent an immense waste of energy, but because they sustain a cant of blind discipline and loyalty and a paraphernalia of flags, uniforms, and parades that shelter a host of particularly mischievous, unintelligent bullies and wasters; because they place our lives at the mercy of trained blockheads. Militarism and warfare are childish things, if they are not more horrible than anything childish can be. They must become things of the past. They must die. Naturally my idea of politics is an open conspiracy to hurry these tiresome, wasteful, evil things—nationality and war—out of existence.<sup>57</sup>}}
Infine, Einstein apprezzò il valore educativo delle opere di Wells, in particolare il suo ''[[:en:w:The Outline of History|Outline of History]]''. Lo stesso Wells lo definì "the first conscious attempt to tell the story of mankind from a non-nationalist perspective".<sup>58</sup> Einstein dichiarò in un discorso sull'istruzione e la pace nel mondo che il libro di Wells avrebbe infuso nelle nuove generazioni la lezione richiesta che la storia era "the evolution of progress and human civilization, rather than a glorification of the use of force and military successes". Se insegnato nelle scuole, un libro come quello di Wells, secondo Einstein, poteva servire a rafforzare la solidarietà internazionale e combattere lo sciovinismo.<sup>59</sup> Niente poteva trasmettere più chiaramente l'impegno di Einstein e Wells per una versione aggiornata dell'idea illuminista di progresso in quel momento di profonda crisi della storia umana, che sembrava minare qualsiasi fede che il futuro sarebbe stato migliore. Negli anni a venire, entrambi, in particolare Wells, avrebbero trovato difficile mantenere l'ottimismo, ma nel caso di Einstein le abitudini di una vita erano difficili da infrangere.
[[File:George bernard shaw.jpg|240px|thumb|right|[[w:George Bernard Shaw|George Bernard Shaw]] nel 1915]]
[[w:George Bernard Shaw|George Bernard Shaw]] poteva rivaleggiare con Wells per pessimismo sul mondo, in particolare nella sua anzianità, ma l'umorismo sardonico in cui avvolse i suoi giudizi sulla natura e sul comportamento umani permise al suo sobrio realismo di brillare. Questo fu senza dubbio ciò che lo rese caro ad Einstein. Einstein era un suo fan e il sentimento veniva ricambiato da Shaw, che si interessò alla relatività dal momento in cui fu resa pubblica. Il loro primo contatto fu indiretto, tramite un giovane scienziato chiamato [[:en:w:Archibald Henderson (professor)|Archibald Henderson]], che era anche il biografo autorizzato di Shaw. Durante una visita a Shaw a Londra nel 1923, poco prima di andare a Berlino per lavorare sulla relatività, Henderson notò una foto di Einstein appesa al muro. Shaw osservò: "Tell Einstein I said the most convincing proof I can adduce of my admiration for him is that his is the only one of these portraits I paid for". Secondo quanto riferito, Einstein fu deliziato da questo messaggio, osservando con una risata: "That is very characteristic of Bernard Shaw, who has declared that money is the most important thing in the world".<sup>60</sup> La pubblicazione nel 1928 di ''[[:en:w:The Intelligent Woman's Guide to Socialism and Capitalism|The Intelligent Woman’s Guide to Socialism]]'' di Shaw fu accolto con grande entusiasmo da Einstein: "Here speaks the Voltaire of our day", scrisse a un amico, e a un altro: "I am reading with great excitement the book on Socialism by G. B. Shaw, a magnificent fellow with great insight into what makes human beings tick".<sup>61</sup> Due anni dopo, a una cena di raccolta fondi per l'assistenza sociale agli ebrei al [[w:Hotel Savoy|Savoy Hotel]] di Londra, Shaw presentò Einstein in un lungo elogio in cui descriveva il contributo di Einstein come il risultato delle "intuizioni di un artista". Tipicamente, aggiunse che "I, as an artist, claim kinship with that great authority" ed era sicuro che "as an artist, I think my speech will be understood by our guest here tonight". Fece anche riferimento al credo recentemente pubblicato da Einstein "What I Believe", uno di una serie a cui contribuirono anche H. G. Wells e John Dewey.
Shaw dichiarò:
{{citazione|I must confess that there is not a single creed of an established church on earth at present that I can subscribe to. But to our visitor’s creed I can subscribe, to every single item. I rejoice at the new universe to which he has introduced us. I rejoice in the fact that he has destroyed all the old certainty, all the old
absolutism, all the old cut-and-dried conceptions even of time and space because they seemed all so solid that you never could get any further. I want to get further always. I want more and more problems...<sup>62</sup>}}
Il discorso di Shaw fornisce un quadro chiaro, non solo dei poteri retorici di Shaw, ma del tipo di eccitazione che le idee di Einstein erano in grado di suscitare anche tra coloro la cui comprensione della fisica era limitata. L'evidenza è che Shaw aveva ragione a rivendicare una sorta di parentela artistica con Einstein, il cui apprezzamento per la letteratura, in particolare la letteratura dell'arguzia, era altamente sviluppato. Einstein scrisse (in inglese) a Shaw poche settimane prima della morte di Shaw nel 1950: "I am enjoying reading again your dramatic works, that I feel the strong wish to thank you for the beautiful hours you are giving me. I am thanking you also in the name of my invalid sister to whom I am reading every evening for an hour".<sup>63</sup> Vale la pena sottolineare che Einstein da giovane aveva letto con entusiasmo il ''[[w:Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo|Tristram Shandy]]'' di [[w:Laurence Sterne|Lawrence Sterne]]. Lui e il suo caro amico [[w:Michele Besso|Michele Besso]] in lettere si rivolgevano occasionalmente a vicenda con i nomi dei personaggi del libro, in particolare "Uncle Toby".<sup>64</sup>
[[File:Photo Michele Besso.jpg|120px|left|thumb|[[w:Michele Besso|Michele Besso]], caro amico di Einstein]]
Le connessioni di Einstein con questi contemporanei notabili illustrano la gamma dei suoi interessi intellettuali al di fuori della scienza, ma anche il lato umano dei suoi impegni politici. La gamma e la diversità delle personalità coinvolte riflette la poliedricità dello stesso Einstein. La sensibilità quasi religiosa di Einstein era fortemente attratta da figure come Gandhi e Schweitzer, ma Einstein l'iconoclasta era ugualmente estasiato dall'irriverenza di Shaw. Ricettivo com'era nei confronti di figure affermate e celebrità le cui idee trovava attraenti, era ugualmente generoso con figure meno note. L'Archivio Einstein è pieno di lettere scritte ad autori e attivisti le cui idee lo hanno coinvolto.<sup>65</sup> Con contemporanei di statura pubblica simile alla sua, tuttavia, era particolarmente consapevole di ciò che si poteva ottenere con un'azione concertata. Considerata collettivamente, la prospettiva più lungimirante di questa generazione sugli orrori del ventesimo secolo concesse loro un certo distacco, anche quando furono personalmente colpiti dai suoi sconvolgimenti. Coloro che subirono l'esilio furono in grado di riprendersi e andare avanti come prima, con solo lievi interruzioni delle loro produzioni creative, a prescindere dai costi per il loro io interiore. Tutti erano sufficientemente consolidati nelle loro professioni da consentir loro l'accesso ai media e conferire alle loro parole una certa autorità qualunque fosse l'argomento in questione. Per un pubblico affamato di risposte a domande sconcertanti e media desiderosi di riportarle, svolsero ruoli da saggi; le loro opinioni occupavano un reame privilegiato e persino santificato, al di sopra e al di là delle battaglie quotidiane della politica. Naturalmente, anche le loro opinioni erano intrise di politica; si schierarono, ignorarono le prove ostili alle cause prescelte, si fecero molti nemici oltre che amici. Tuttavia, la loro autorità fu accresciuta dal senso che le loro capacità di pronunciarsi su grandi temi dell'epoca derivavano dal loro ''status'' di pensatori e scrittori, non dalle ristrette motivazioni dei politici di professione.
=== La Prima Campagna di Einstein ===
Fu la Prima guerra mondiale a impegnare per la prima volta l'attività di Einstein come intellettuale pubblico. Sebbene i risultati avessero un effetto pratico limitato, il documento pubblico che contribuì a redigere conteneva argomenti a cui avrebbe aderito costantemente per il resto della sua vita. L'occasione fu la sua opposizione al famigerato [[w:Manifesto dei Novantatré|"Manifesto al Mondo Civilizzato" (alias "Manifesto dei Novantatré")]] pubblicato nell'ottobre 1914 da novantatré accademici e artisti tedeschi. Il manifesto presentava una difesa schietta delle azioni tedesche nelle prime fasi della Prima guerra mondiale e un ripudio delle accuse di colpa della guerra, della violazione della neutralità belga e delle atrocità in Belgio, il tutto racchiuso in una difesa del militarismo tedesco e della cultura tedesca che, diceva il Manifesto, erano parte integrante l'uno dell'altra. Senza il militarismo tedesco, dichiarava il documento, la cultura tedesca — che "contiene l'eredità di Goethe, Beethoven e Kant" — sarebbe stata spazzata via.<sup>66</sup> L'idea di un contro-manifesto, il "[[:en:w:Manifesto to the Europeans|Manifesto agli Europei]]", fu sviluppata da [[:en:w:Georg Friedrich Nicolai|Georg Friedrich Nicolai]], pacifista e professore di fisiologia all'Università di Berlino, dove anche Einstein ricoprì un incarico. Rispetto allo stridente nazionalismo del Manifesto dei Novantatré, l'enfasi nel contrattacco di Nicolai era decisamente internazionale, rilevando che gli sviluppi della tecnologia e dei trasporti stavano spingendo nella direzione di "una civiltà mondiale comune". Le passioni nazionaliste non solo erano distruttive della cultura, ma avrebbero infine minacciato l'esistenza delle nazioni che avevano scatenato questa "guerra barbara". "Through technology the world has become smaller, and all nations, whichever achieves ‘victory’ in this war, will be the losers. Those whom Goethe called ‘good Europeans’, which is to say those for whom Europe is not merely a geographical expression but a matter of deep conviction, must unite on behalf of peace and press for the unity of Europe itself".<sup>67</sup>
[[File:Georg Friedrich Nicolai.jpg|240px|right|thumb|[[:en:w:Georg Friedrich Nicolai|Georg Friedrich Nicolai]]]]
Il Manifesto agli Europei ottenne solo due firme oltre a quelle di Nicolai ed Einstein, sebbene fosse discusso nelle aule dell'Università di Berlino e vi circolasse tra i professori. A causa della censura bellica, il documento non fu pubblicato fino al 1917 e poi solo fuori dalla Germania in un libro sulla biologia della guerra di Georg Nicolai. Tuttavia, furono fatte circolare copie clandestine del Manifesto, che fu tradotto in diverse altre lingue europee, compreso l'inglese, prima della fine della guerra. A causa dell'associazione di Einstein al documento, continuò ad avere una vita tra la sinistra e gli internazionalisti. Ai fini attuali, il documento è molto importante poiché è il primo grande intervento di Einstein nel dibattito pubblico e anche per ciò che rivela sulla passione di Einstein per la pace, il suo odio per il nazionalismo gretto e il suo impegno per l'internazionalismo. Lo mostra pronto a difendere una posizione decisamente impopolare nelle situazioni più pressanti in cui un certo numero di amici personali aveva preso la parte opposta. In effetti, l'elenco dei firmatari del Manifesto dei Novantatré che scatenò l'aperta opposizione di Einstein alla guerra, conteneva numerosi accademici di alto livello in tutti i campi accademici dell'Università di Berlino, alcuni dei quali stretti colleghi di Einstein. In questa fase della sua vita, già noto nella comunità scientifica come l'autore della [[w:Relatività ristretta|Teoria della Relatività Speciale]], Einstein non era affatto il nome familiare che sarebbe diventato, cosa che negli anni successivi gli concesse una protezione aggiuntiva. La [[w:Relatività generale|Teoria Generale della Relatività]], che avrebbe sigillato la sua statura tra gli scienziati, doveva ancora essere finalizzata: fu completata nel 1915. Nel frattempo, il 1914 trovò Einstein sulla soglia della celebrità globale ma con una certa strada da percorrere prima di fare il salto. Abbiamo visto che lo sconvolgimento della Prima guerra mondiale aveva creato il terreno in cui le idee internazionaliste potevano crescere e in cui Einstein si sentì provocato a sfogare le sue opinioni. Ciò fornisce parte della spiegazione dell'emergere di Einstein come figura internazionale. Fu la fisica, tuttavia, a rendere importanti le sue idee politiche sulla scena pubblica.
=== Lo scienziato come celebrità globale ===
[[File:World line2-it.svg|240px|thumb|right|Rappresentazione dello [[w:Spaziotempo|spazio tempo]] della [[w:Relatività ristretta|relatività ristretta]] [[w:Albert Einstein|einsteiniana]]]]
Ciò che rese Einstein una figura globale fu la prova sperimentale nel 1919 della [[w:Relatività generale|Teoria della Relatività Generale]], intrapresa da un team di fisici britannici, che osservò la curvatura della luce durante un'eclissi totale del sole. L'osservazione non solo confermò la predizione di Einstein, ma dimostrò la natura intrinsecamente internazionale dell'impresa scientifica, che per lo stesso Einstein fu sempre di primaria importanza. La notizia della prova lo catapultò agli occhi del pubblico e in un breve periodo di tempo diede alla sua teoria una fama che si estendeva fino ai confini più remoti della cultura popolare. Poiché la sua teoria coinvolgeva così profondamente la natura dell'universo e la struttura della materia stessa, era naturale presumere che la sua capacità di risolvere i misteri del mondo naturale si estendesse ai regni dei dilemmi umani. La saggezza era indivisibile. Ma questo non era il punto di vista dello stesso Einstein. Nel 1949 ricevette una lettera da uno psicologo che gli chiedeva di spiegare le sue motivazioni quando stava svolgendo il suo lavoro più creativo: in che misura, si chiedeva lo psicologo piuttosto solennemente, l'equazione [[w:E=mc²|E=''mc''²]] era motivata dal "tuo insolito grado di umanitarismo"? Lo psicologo desiderava mettere in relazione la scienza con l'etica e viceversa nella speranza di fare un "attacco scientifico al problema della guerra". A grandi linee, lo psicologo cercava una risposta alla domanda "what is the moral nature of science?"<sup>69</sup> Einstein rispose con la caratteristica schiettezza pochi giorni dopo: "my scientific work is motivated by an irresistible longing to understand the secrets of nature and by no other feelings. My love for justice and the striving to contribute to the improvement of human conditions are quite independent from my scientific interests".<sup>70</sup>
Einstein poteva, naturalmente, essersi ingannato o forse essere stato semplicemente inconsapevole dei possibili collegamenti tra la sua scienza e i suoi principi morali e politici. Certamente uno dei più astuti commentatori di Einstein, egli stesso formatosi come fisico, stabilì un collegamento plausibile tra la teorizzazione di Einstein in fisica, in particolare la sua lotta per produrre una [[w:Teoria del campo unificato|Teoria del campo unificato]], e la sua argomentazione per il governo mondiale.<sup>71</sup> Tuttavia, è una cosa è postulare parallelismi strutturali tra alcuni dei campi di interesse di Einstein e un'altra è far incastrare la sua scienza e la sua morale l'una nell'altra. Nell'immaginario popolare, alimentato sicuramente anche dal carisma personale di Einstein e dalla capacità di esprimersi concisamente e profondamente, Einstein era saggio sulle questioni sociali ''perché'' era un grande scienziato, ma è più plausibile sostenere che i suoi pensieri sulle questioni sociali e politiche furono cercati e ricevuti con tale alacrità a causa della piattaforma che il suo genio scientifico gli concesse. Senza quella piattaforma, le sue opinioni su questioni sociali e politiche difficilmente avrebbero ricevuto tale attenzione. Questa era comunque la convinzione di Einstein. Riferendosi a un appello per fornire un'approvazione a un libro, disse: "Nobody would care to know my opinion if I would not be [''sic''] widely known for my work in other fields".<sup>72</sup>
Il secondo indizio importante dell'elevazione di Einstein alla visibilità globale risiede nei suoi legami con l'America. Dalla sua prima visita nel 1921, l'America operò come moltiplicatore del suo impatto pubblico.<sup>73</sup> Arrivata solo due anni dopo le osservazioni sperimentali che dimostravano la sua teoria della relatività, la visita di Einstein coincise con la corsa a capofitto dell'America nella moderna società dei consumi e nella cultura popolare ad essa associata. L'immagine di Einstein fu uno dei suoi prodotti caratteristici, da riprodurre, affinare e rimodellare negli anni come ogni altra immagine generata da una cultura massmediatica. Il fatto che durante la sua visita negli Stati Uniti nel 1921 facesse parte di una delegazione sionista in cerca di fondi per lo sviluppo della Palestina e l'istituzione dell'[[w:Università Ebraica di Gerusalemme|Università Ebraica a Gerusalemme]] è stato oscurato dalla prova dell'entusiasmo con cui l'opinione pubblica americana accorse per salutarlo come il grande scienziato e saggio.<sup>74</sup> Einstein fu presentato in un incontro a New York come "the master intellect and greatest scientist of the age", a testimonianza del suo ''status'' più ampio di pensatore dominante dell'epoca al di là del suo campo specialistico. La Teoria della relatività, per quanto poco compresa nei dettagli, era già entrata a far parte della struttura mentale dell'epoca. La Teoria divenne, per così dire, incarnata nella sua persona. Ricevette lauree ''honoris causa'', gli fu concessa la ''"[[:en:w:Freedom of the City|Freedom of the City of New York]]"'', rilasciò numerose interviste ed fu festeggiato e celebrato ovunque andasse. I giornalisti pendevano dalle sue labbra. Ricevette il trattamento, insomma, normalmente riservato alle celebrità o ai politici.
== Note ==
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Filosofia del Cosmo/Bibliografia
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Filosofia del Cosmo/Prefazione
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[[File:Bigbang.png|550px|thumb|center|Concetto artistico del [[w:Big Bang|Big Bang]]]]
== Prefazione ==
I neoplatonici sostenevano che "Dio" potesse essere un nome per una forza creativa, una forza di etica creativa o – altro modo per dire la stessa cosa – un principio che coerenti requisiti etici, esigenze etiche per la presenza effettiva di questa o quella situazione, a volte possono apportare la propria realizzazione. Il cosmo potrebbe esistere perché la sua esistenza era eticamente necessaria, senza l'aiuto di un essere onnipotente che ha scelto di fare qualcosa al riguardo. Ora, una persona divina potrebbe benissimo essere in testa alla lista delle cose che la forza creatrice avrebbe creato, o potrebbe anche essere una sfortunata concessione per compiacere la gente religiosa. Un quadro preferito da certi filosofi potrebbe essere quello di un cosmo costituito da infiniti reami unificati di coscienza, ciascuno dei quali infinitamente ricco, forse descritto come un quadro panteistico di tipo insolito: ''un’immagine di infinite menti ciascuna degna di essere chiamata "divina"''. Posso allora parlare di "mente divina", proprio come i credenti in molti universi reali parlano spesso dell'"universo". Dopotutto, gli isolani che credono in molte isole possono ancora riferirsi a "l'isola", che significa la propria.
In questo wikilibro parlo inoltre di altre cose, come segue:
# Sottolineo che ci si può aspettare che ogni reame di coscienza infinitamente ricco (o "mente divina" se si accetta di chiamarlo così) includa la conoscenza di assolutamente tutto ciò che vale la pena conoscere. Esattamente come ci si sente ad essere persone come te e me possa essere una cosa che vale la pena conoscere, quindi non vedo grossi problemi nel conciliare il mio panteismo con i semplici fatti dell'esperienza. Però potrebbero esserci le seguenti difficoltà. Esperienze molto disordinate potrebbero essere considerate degne di essere conosciute. In tal caso, non ci si dovrebbe aspettare che le proprie esperienze diventino disordinate da un momento all'altro? Questa può sembrare una difficoltà piuttosto seria, ma cerco di ricusarla.
# Suggerisco che una mente divina contemplerebbe nei minimi dettagli le strutture di tutti gli oggetti materiali, e che i suoi pensieri strutturati in modo complesso su di essi sarebbero in realtà tali oggetti materiali. Per essere considerato un oggetto materiale, tutto ciò di cui una qualsiasi cosa ha veramente bisogno è una struttura del tipo descritto dai fisici. Non è necessario specificare che questa struttura è trasportata da "cose di un tipo essenzialmente non-mentale", non più di quanto sia necessario specificare che qualcosa che è "realmente te" non può essere fatto della materia del pensiero divino. Bastoni e pietre e tu e io, e assolutamente tutto ciò che ci è familiare, potrebbe esistere all'interno di una mente divina, come credevano [[Baruch Spinoza]] e altri panteisti. Inoltre, una mente divina potrebbe contemplare infiniti mondi che potrebbero non contenere esseri coscienti. Il fatto che il nostro mondo li contenga potrebbe quindi illustrare un effetto di selezione osservativa del tipo esaminato nel ''principio antropico'' che gli osservatori, esseri viventi intelligenti, devono sempre osservare se stessi in situazioni di vita intelligente.
# Qui prendo l'idea dell'immortalità molto seriamente. Sopravvivere alla morte corporea potrebbe comportare un notevole "disordine", nel senso che le leggi fisiche vengono improvvisamente infrante, ma vale comunque la pena sapere ''cosa significherebbe sopravvivere alla morte fisica''. Inoltre, si può sostenere che una mente divina, come immaginata dai panteisti, quando avesse "pensato fino in fondo" la vita di qualcuno sulla Terra, arrivando allo stadio in cui le leggi fisiche dettano che questa vita debba cessare, avrebbe il dovere di non "spegnere" la vita smettendo di pensarci, come uno scienziato che, dopo aver sviluppato una macchina pienamente cosciente, toglie la corrente. Quindi potrei avere motivo di aspettarmi di sopravvivere alla morte fisica,per poi magari unirmi ad altri sopravvissuti nell'apprendere sempre di più le meraviglie della conoscenza divina.
# Il presente wikilibro discute molto su come, all'interno del più ampio sistema di una mente cosmica unificata, vari elementi potrebbero essere uniti in modo particolarmente stretto. In particolare, la tua coscienza in un dato momento può avere un'unità su cui i fisici potrebbero gettare luce. La teoria quantistica ci dice che le particelle, anche quando all'inizio sembrano completamente distinte, possono essere così strettamente interconnesse che ha poco senso trattarle come ''ciascuna separata nella sua esistenza''. All'interno del cervello, tali particelle potrebbero combinarsi per formare insiemi unificati di sorprendente complessità. I computer ordinari potrebbero non essere mai in grado di replicare il tipo di esperienza unificata di una scena complicata che piaccia a qualsiasi bambino. Tuttavia, quelli che vengono chiamati "computer quantistici", che ora stanno appena iniziando a essere sviluppati, potrebbero forse farlo presto.
Non è ovvio se si possa mai avere un'unità del tipo richiesto se non in un mondo "fatto di ''sostanza'' mentale".
In effetti, non è nemmeno chiaro se possa esistere qualcosa che non sia ''sostanza mentale''. Forse le strutture che non vengono mai sperimentate in alcun modo sono troppo astratte per esistere, come pensava il [[w:George Berkeley|Vescovo Berkeley]], nonostante la sua incapacità di dimostrarlo. Molto poco di interesse filosofico mi sembra dimostrabile, il che può aiutare a spiegare perché questo mio libro porta avanti argomenti così inconcludenti.
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie letteratura moderna|Serie misticismo ebraico}}
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[[Categoria: Filosofia del Cosmo|Prefazione]]
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La Coscienza di Levinas/Bibliografia
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{{La Coscienza di Levinas}}
[[File:Emmanuel Levinas 1985.jpg|thumb|540px|center|Emmanuel Levinas]]
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* Levinas, Emmanuel. Alterity & Transcendence. Translated by Michael Smith. New York: Columbia University Press, 1999.
* Levinas, Emmanuel. “As If Consenting to Horror.” Critical Inquiry 15, no. 2 (1989).
* Levinas, Emmanuel. Basic Philosophical Writings. Edited by Adriaan Peperzak, Simon Critchley, and Robert Bernasconi. Bloomington: Indiana University Press, 1996.
* Levinas, Emmanuel. Diicult Freedom: Essays on Judaism. Translated by Seán Hand. Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 1997.
* Levinas, Emmanuel. Entre Nous: Thinking-of-the-Other. Translated by Michael B. Smith and Barbara Harshav. New York: Columbia University Press, 1998.
* Levinas, Emmanuel. “Ethics of the Infinite.” In Richard Kearney, Dialogues with Contemporary Continental Thinkers: The Phenomenological Heritage, 49−69. Manchester, UK: Manchester University Press, 1984.
* Levinas, Emmanuel. Ethics and Infinity: Conversations with Philippe Nemo. Translated by Richard Cohen. Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 2001.
* Levinas, Emmanuel. God, Death, and Time. Translated by Bettina Bergo. Stanford, CA: Stanford University Press, 2000.
* Levinas, Emmanuel. “Emmanuel Levinas.” In Raoul Mortley, French Philosophers in Conversation: Levinas, Schneider, Serres, Irigaray, Le Doeu, Derrida, 11−24. London: Routledge, 1991.
* Levinas, Emmanuel. Is It Righteous To Be? Interviews with Emmanuel Levinas. Edited by Jill Robbins. Stanford, CA: Stanford University Press, 2001.
* Levinas, Emmanuel. Nine Talmudic Readings. Translated by Annette Aronowicz. Bloomington: Indiana University Press, 1994.
* Levinas, Emmanuel. Of God Who Comes to Mind. Translated by Bettina Bergo. Stanford, CA: Stanford University Press, 1998.
* Levinas, Emmanuel. Otherwise Than Being or Beyond Essence. Translated by Alphonso Lingis. Dordrecht, the Netherlands: Kluwer Academic Publishers, 1994.
* Levinas, Emmanuel. Outside the Subject. Translated by Michael Smith. London: Athlone Press, 1993.
* Levinas, Emmanuel. “The Paradox of Morality: An Interview with Emmanuel Levinas.” In The Provocation of Levinas: Rethinking the Other, edited by Robert Bernasconi and David Wood, 168−180. London: Routledge, 1988.
* Levinas, Emmanuel. Time and the Other [and additional essays]. Translated by Richard Cohen. Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 1997.
* Levinas, Emmanuel. Totality and Infinity: An Essay on Exteriority. Translated by Alphonso Lingis. Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 1996.
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* Macdonald, Heather, David Goodman, and Brian Becker, editors. Dialogues at the Edge of American Psychological Discourse: Critical and Theoretical Perspectives. London: Palgrave Macmillan UK, 2017.
* Marcus, Paul. Being for the Other: Emmanuel Levinas, Ethical Living, and Psychoanalysis. Milwaukee, WI: Marquette University Press, 2008.
* Marcus, Paul. “You Are, Therefore I Am: Emmanuel Levinas and Psychoanalysis.” Psychoanalytic Review 94 (2007): 515–527.
* Mitchell, Stephen A. and Lewis Aron. Relational Psychoanalysis: The Emergence of a Tradition. Hillsdale, NJ: Taylor & Francis Group, 1999.
* Malka, Salomon. Emmanuel Levinas: His Life and Legacy. Translated by M. Kigel and S. M. Embree. Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 2006.
* Morgan, Michael L. The Cambridge Introduction to Emmanuel Levinas. Cambridge: Cambridge University Press, 2011.
* Morgan, Michael L. Discovering Levinas. Cambridge: Cambridge University Press, 2007.
* Nemo, Philippe. “Foreword.” In Salomon Malka Emmanuel Levinas: His Life and Legacy, translated by M. Kigel and S. M. Embree, vii–xii Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 2006.
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* Orange, Donna M. The Suffering Stranger: Hermeneutics for Everyday Clinical Practice. New York: Routledge, 2011.
* Orange, Donna M. Thinking for Clinicians: Philosophical Resources for Contemporary Psychoanalysis and the humanistic Psychotherapies. New York: Routledge, 2010.
* Orange, Donna M. “Toward the Art of the Living Dialogue: Between Constructivism and Hermeneutics in Psychoanalytic Thinking.” In Beyond Postmodernism: New Dimensions in Clinical Theory and Practice, edited by Roger Frie and Donna Orange, 117–142. New York: Routledge, 2009.
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* Severson, Eric R. “Levinas, Psychology, and Language.” In Psychotherapy for the Other: Levinas and the Face-to-Face Relationship, edited by Kevin C. Krycka, George Kunz, and George Sayre, 41–60. Pittsburgh, PA: Duquense University Press, 2015.
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* Žižek, Slavoj. “Neighbours and Other Monsters: A Plea for Ethical Violence.” In ''The Neighbor: Three Inquiries in Political Theology'', edited by Slavoj Žižek, Eric Santner, e Kenneth Reinhard, 134−190. Chicago: University of Chicago Press, 2005.
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie letteratura moderna|Serie misticismo ebraico}}
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[[Categoria:La Coscienza di Levinas|Bibliografia]]
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La Coscienza di Levinas/Introduzione
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{{La Coscienza di Levinas}}
== INTRODUZIONE ==
[[File:Emmanuel Levinas 1973.jpg|thumb|540px|left|Emmanuel Levinas (1973)]]
Nonostante tutto l'interesse per lui, Levinas è notoriamente difficile da leggere e capire. Anche i suoi pezzi più casuali o occasionali – e ne scrisse molti – sono spesso oscuri e impenetrabili. E i suoi principali scritti filosofici, in libri e saggi, rappresentano una sfida straordinaria, e non solo per i non-specialisti. Sarebbe corretto dire che Levinas è più spesso frainteso che compreso, e la sua notorietà può arrivare al prezzo di frequenti interpretazioni errate di affermazioni o espressioni simili a slogan e non essere basata sull'afferrare affermazioni chiare e potenti o essere attratto da ben articolate opinioni che le persone trovano attraenti e persino elettrizzanti. Insomma, nonostante tutta l'attenzione che gli viene data e la frequenza con cui viene alluso o richiamato, possono esserci almeno due Levinas, l'uno una mera facciata associata a slogan e cliché e l'altro un profondo e profondamente stimolante pensatore i cui scritti e pensieri provocano lo studio più estenuante e spesso confondono e stupiscono tanto quanto persuadono.
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== Note ==
<div style="height: 180px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div>
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie letteratura moderna|Serie misticismo ebraico}}
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[[Categoria:La Coscienza di Levinas|Introduzione]]
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{{La Coscienza di Levinas}}
== INTRODUZIONE ==
Nonostante tutto l'interesse per lui, Levinas è notoriamente difficile da leggere e capire. Anche i suoi pezzi più casuali o occasionali – e ne scrisse molti – sono spesso oscuri e impenetrabili. E i suoi principali scritti filosofici, in libri e saggi, rappresentano una sfida straordinaria, e non solo per i non-specialisti. Sarebbe corretto dire che Levinas è più spesso frainteso che compreso, e la sua notorietà può arrivare al prezzo di frequenti interpretazioni errate di affermazioni o espressioni simili a slogan e non essere basata sull'afferrare affermazioni chiare e potenti o essere attratto da ben articolate opinioni che le persone trovano attraenti e persino elettrizzanti. Insomma, nonostante tutta l'attenzione che gli viene data e la frequenza con cui viene alluso o richiamato, possono esserci almeno due Levinas, l'uno una mera facciata associata a slogan e cliché e l'altro un profondo e profondamente stimolante pensatore i cui scritti e pensieri provocano lo studio più estenuante e spesso confondono e stupiscono tanto quanto persuadono.
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== Note ==
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{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie letteratura moderna|Serie misticismo ebraico}}
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[[Categoria:La Coscienza di Levinas|Introduzione]]
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Discussione:La Coscienza di Levinas/Introduzione
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Discussione:Filosofia del Cosmo/Bibliografia
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Filosofia del Cosmo/Capitolo 1
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{{Filosofia del Cosmo}}
[[File:2003-32-GravitationalLens.jpg|550px|thumb|center|Lynx arc]]
== Pensiero Infinito ==
=== Un approccio panteistico al problema del male ===
=== La Conoscenza Divina è Pensiero Eterno, di Immensa Complessità ===
=== Le strutture nella Mente Divina ===
=== Il pensiero complesso ===
=== Gli infiniti universi nella Mente Divina ===
=== Ignoranza e cambiamento ===
=== Conoscenza Divina del Tutto ===
=== Conoscenza illimitata e difficoltà cantoriane ===
=== Conoscenza illimitata indesiderabile? ===
=== Conoscenza illimitata oltre la logica ===
=== Scritti panteistici ===
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== Note ==
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4"><references/></div>
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie letteratura moderna|Serie misticismo ebraico}}
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[[Categoria:Filosofia del Cosmo|Capitolo 1]]
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Discussione:Filosofia del Cosmo/Capitolo 1
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia
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Nuova pagina: {{Disposizioni foniche di organi a canne}} Disposizioni foniche del comune di [[w:San Quirico d'Orcia|San Quirico d'Orcia]] raggruppate per edificio. == Capoluogo == * [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia/San Quirico d'Orcia - Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta|Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta]] {{Avanzamento|100%|14 ottobre 2019}} [[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Disposizioni foniche del comune di [[w:San Quirico d'Orcia|San Quirico d'Orcia]] raggruppate per edificio.
== Capoluogo ==
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia/San Quirico d'Orcia - Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta|Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta]]
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Disposizioni foniche del comune di [[w:San Quirico d'Orcia|San Quirico d'Orcia]] raggruppate per edificio.
== Capoluogo ==
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia/San Quirico d'Orcia - Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta|Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta]]
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia/San Quirico d'Orcia - Chiesa della Madonna di Vitaleta|Chiesa della Madonna di Vitaleta]]
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[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia/San Quirico d'Orcia - Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta
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Nuova pagina: {{Disposizioni foniche di organi a canne}} * '''Costruttore:''' Cesare Romani * '''Anno:''' 1606-1607<ref>strumento costruito per la [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Asciano/Chiusure - Abbazia di Monte Oliveto Maggiore|chiesa abbaziale di Monte Oliveto Maggiore]], trasferito nell'attuale sede nel 1810.</ref> * '''Restauri/modifiche:''' Luca Romani (1676, restauro), Giovanni Billori (tra il 1681 e il 1684, ampliamento), Giovanni Battis...
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{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
* '''Costruttore:''' Cesare Romani
* '''Anno:''' 1606-1607<ref>strumento costruito per la [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/Asciano/Chiusure - Abbazia di Monte Oliveto Maggiore|chiesa abbaziale di Monte Oliveto Maggiore]], trasferito nell'attuale sede nel 1810.</ref>
* '''Restauri/modifiche:''' Luca Romani (1676, restauro), Giovanni Billori (tra il 1681 e il 1684, ampliamento), Giovanni Battista Pomposi (1732, restauro e modifiche), Giovanni Battista Contucci (1766, restauro), Pietro Agati (1781, restauro), Quintilio Capezzi (1810, trasferimento e modifiche), La Ceciliana (anni 1950, restauro e modifiche), Nicola Puccini (2008-2011, restauro di ripristino)
* '''Registri:''' 7
* '''Canne:''' ?
* '''Trasmissione:''' meccanica
* '''Consolle:''' a finestra, nella parete anteriore della cassa
* '''Tastiere:''' 1 di 45 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Do<small>5</small>'')
* '''Pedaliera:''' scavezza a leggio di 8 note (''Do<small>1</small>''-''Si<small>1</small>''), con registro di ''Contrabbasso 16<nowiki>'</nowiki>'' sempre inserito e costantemente unita al manuale
* '''Collocazione:''' in corpo unico, al centro della cantoria dell'abside
* '''Accessori:''' ''Usignolo'' a capotasto,<ref>l'accessorio, unico, viene azionato indifferentemente da ambo i capotasti.</ref> ''Tirapieno'' a pedalone
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Manuale'''
----
|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|XV || 2'
|-
|XIX || 1.1/3'
|-
|XXII-XXVI || 1'
|-
|Flauto in XV || 2'
|-
|}
|}
; Disposizione fonica antecedente il restauro del 2011
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Manuale'''
----
|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|Decimaquinta || 2'
|-
|Decimanona || 1.1/3'
|-
|Vigesimaseconda-sesta || 1'
|-
|Flauto in ottava || 4'
|-
|Voce angelica || 8' Soprani
|-
|}
|}
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|autore1=Giordano Giustarini|autore2=Cesare Mancini|capitolo=Repertorio degli organi storici|titolo=Un così bello e nobile istrumento. Siena e l'arte degli organi|città=Siena|editore=Protagon|anno=2008|isbn=978-88-8024-240-6|pagine=433-434}}
* {{cita libro|curatore=Cesare Mancini|titolo=L'organo della Collegiata di San Quirico d'Orcia|città=Siena|editore=Cantagalli|anno=2011|isbn=978-88-8272-805-2|cid=Mancini (a cura di) 2011}}
== Altri progetti ==
{{interprogetto|w=Collegiata dei Santi Quirico e Giulitta|w_preposizione=sulla|etichetta=collegiata dei Santi Quirico e Giulitta a San Quirico d'Orcia}}
{{Avanzamento|100%|10 marzo 2018}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Siena/San Quirico d'Orcia/San Quirico d'Orcia - Chiesa della Madonna di Vitaleta
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Nuova pagina: {{Disposizioni foniche di organi a canne}} * '''Costruttore:''' Filippo II Tronci * '''Anno:''' 1840 * '''Restauri/modifiche:''' no * '''Registri:''' 13 * '''Canne:''' ? * '''Trasmissione:''' meccanica * '''Consolle:''' a finestra, nella parete anteriore della cassa * '''Tastiere:''' 1 di 50 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Fa<small>5</small>'', divisione Bassi/Soprani ''Fa<small>3</small>''/''Fa#<small>3</small>'') * '''Pedaliera:''' scavezza a leggi...
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text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
* '''Costruttore:''' Filippo II Tronci
* '''Anno:''' 1840
* '''Restauri/modifiche:''' no
* '''Registri:''' 13
* '''Canne:''' ?
* '''Trasmissione:''' meccanica
* '''Consolle:''' a finestra, nella parete anteriore della cassa
* '''Tastiere:''' 1 di 50 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Fa<small>5</small>'', divisione Bassi/Soprani ''Fa<small>3</small>''/''Fa#<small>3</small>'')
* '''Pedaliera:''' scavezza a leggio di 8 note (''Do<small>1</small>''-''Si<small>1</small>''<ref>l'intervallo ''Do<small>1</small>''-''Fa<small>1</small>'' aziona le corrispettive note della prima e della seconda ottava del manuale.</ref>), con registro di ''Basso 8<nowiki>'</nowiki>'' sempre inserito e costantemente unita al manuale + 2 pedali dei ''Timpani''
* '''Collocazione:''' in corpo unico, al centro della cantoria in controfacciata
* '''Accessori:''' ''Tirapieno'' a pomellone, ''Timpano I'' a pedale, ''Timpano II'' a pedale
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Manuale'''
----
|-
|Principale || 8' Bassi<ref name=ott>registro sempre inserito in ''Do<small>1</small>''-''Si<small>1</small>''.</ref>
|-
|Principale || 8' Soprani
|-
|Ottava || 4'<ref name=ott/>
|-
|X quinta || 2'
|-
|X nona|| 1.1/3'
|-
|XX seconda - XX sesta || 1'<ref>la consolle in dicitura indica erroneamente come seconda fila la ''XX nona''.</ref>
|-
|Cornetto 2 file || 2.2/3' Soprani<ref>2.2/3'+2' (la seconda fila solo fino a ''Do#<small>5</small>'' compreso).</ref>
|-
|Voce angelica || 8' Soprani
|-
|Trombe || 8' Bassi
|-
|Trombe || 8' Soprani
|-
|Flauto in ottava || 4'
|-
|Flautino || 1' Bassi
|}
|}
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|autore1=Giordano Giustarini|autore2=Cesare Mancini|capitolo=Repertorio degli organi storici|titolo=Un così bello e nobile istrumento. Siena e l'arte degli organi|città=Siena|editore=Protagon|anno=2008|isbn=978-88-8024-240-6|pagine=435-436}}
== Altri progetti ==
{{interprogetto|w=Chiesa della Madonna di Vitaleta|w_preposizione=sulla|etichetta=chiesa della Madonna di Vitaleta a San Quirico d'Orcia}}
{{Avanzamento|100%|10 marzo 2018}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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