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Autore:Omero
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Accurimbono
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| Nome = Omero
| Cognome =
| Attività = poeta
| Nazionalità = greco
| Professione e nazionalità = nome con cui è storicamente identificato il poeta greco autore dell'Iliade e dell'Odissea
}}
== Opere ==
* [[Opera:Iliade|{{Sc|Iliade}}]]
** {{Testo|Il primo libro de la Iliade d'Homero|Iliade, libro primo}}
** {{Testo|Iliade (Salvini)|Iliade}}
** {{Testo|Versione dell’Iliade d’Omero (Maffei)}}
** {{testo|Iliade (Monti)|Iliade}}
** {{testo|Iliade (Romagnoli)|Iliade}}
** {{Testo|Traduzioni e riduzioni/Dall'Iliade|Traduzioni di molti brani}}
* [[Opera:Odissea|{{Sc|Odissea}}]]
** {{Testo|L'Ulisse}}
** {{testo|Odissea (Salvini)|Odissea}}
** {{Testo|Odissea (Pindemonte)|Odissea}}
** {{Testo|Odissea (Romagnoli)|Odissea}}
** {{Testo|Odissea (Morino)|Odissea}}, 1º libro, a cura di Tito Morino, Firenze, Le Monnier, 1926
* {{Testo|Omero minore}}
* {{Testo|Agone nel canto}}
* [[Opera:Batracomiomachia|{{Sc|Batracomiomachia}}]] (attribuzione incerta):
** {{Testo|La guerra dei topi e delle rane}}
** {{Testo|Guerra de' topi e delle rane}}
** {{Testo|Guerra dei topi e delle rane}}
== Opere su {{PAGENAME}} ==
* {{Testo|Vita di Omero}}
{{Sezione note}}
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Odissea (Romagnoli)/Canto XIII
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OrbiliusMagister
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Porto il SAL a SAL 75%
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{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Canto XIII<section end="sottotitolo"/>
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OrbiliusMagister
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<poem>
Cosí narrava. E tutti rimasero allora in silenzio,
presi da dolce incanto, per entro l’ombria della sala.
E a lui si volse Alcinoo, con queste veloci parole:
«Ulisse, poi che tu sei giunto alla bronzea soglia
{{R|5}}della mia casa, non credo che tu debba errare piú a lungo
per ritornare alla patria, se pure hai già molto sofferto.
Ed a ciascuno di voi propongo e fo invito, o signori,
che nella casa mia solete il purpureo vino
bevere annoso, e udire le dolci canzoni del vate:
{{R|10}}l’ospite nel forziere lucente già vesti possiede,
l’oro foggiato in vari lavori possiede, e i regali
tutti che gli hanno qui recati i signori Feaci;
ma via, ciascuno adesso doniamogli un tripode grande,
ed un lebete: ché poi, chiamate a raccolta le turbe,
{{R|15}}ci rivarremo: che è duro largir senza avere compenso».
Cosí diceva Alcinoo; né spiacquero agli altri i suoi detti;
e, per dormire, cosí, tornarono ognuno alla casa.
Poi, come Aurora appari mattiniera, che dita ha di rose,
mossero verso la nave, portando i magnifici bronzi.
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|6|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|80}}E come quattro maschi puledri trascorrono il piano,
che della sferza ai colpi si mossero tutti ad un punto,
ed a gran balzi, dal suolo si spiccano, e compion la via:
cosí si sollevava la poppa del legno; e di dietro
rigorgogliava il flutto purpureo del mare sonoro.
{{R|85}}Sicuramente la nave correa senza indugio; né aggiunta
l’avrebbe uno sparviero, ch’è pur degli uccelli il piú ratto:
con tale impeto i gorghi fendeva del pelago il legno,
l’uomo recando che senno nutria pari a quello dei Numi,
che avea sino a quel punto sofferto per tanti travagli,
{{R|90}}sperimentando le guerre degli uomini e i flutti del mare;
ed or d’ogni suo cruccio giaceva oblioso e tranquillo.
Quando nel cielo surse bianchissimo l’astro che annuncia
la luce, appena brilla, d’Aurora che presto si leva,
giunse all’isola allora la nave dal corso veloce.
{{R|95}}C’è nell’isola d’Itaca un porto che al veglio del mare
Fórcino è sacro. All’ingresso si sporgono due promontori
scoscesi, che dal porto strapiomban sul pelago, e fuori
tengono gli alti marosi gonfiati dal soffio dei venti
impetuosi. Ivi dentro le navi dai solidi fianchi
{{R|100}}pur senza gómena restan, quand’hanno gettato l’ormeggio.
Leva un ulivo, al fondo del porto, le foglie sottili;
e accanto ad esso un antro gradevole sacro ed azzurro
come l’aria: vi stanno le Ninfe che Nàiadi han nome.
Quivi cratèri sono, con anfore grosse di pietra:
{{R|105}}quivi le pecchie fanno lor bugni e {{Ec|preparono|preparano}} il miele:
quivi telai di pietra grandissimi, dove le Ninfe
tessono manti azzurri purpurei, stupore a vederli.
Acque perennemente vi scorrono; e s’apron due porte,
questa rivolta a Bora, per dove è l’accesso ai mortali:
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIII''|7|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|110}}e piú divina quella che a Noto si volge; né quivi
possono gli uomini entrare: che quivi è l’accesso dei Numi.
Quivi i Feaci, del luogo già sperti, approdarono; e il legno
sopra la terra balzò, per metà di quanto era lungo,
impetuoso: tal forza di mani incombeva sui remi,
{{R|115}}E fuor dal ben commesso navile balzati alla spiaggia,
prima di tutto, Ulisse levaron dal concavo legno,
lui con le sue coperte fulgenti, col drappo di lino,
e lo deposero sopra la sabbia, che ancora dormiva;
e le ricchezze presso gli poser, che i prenci Feaci
{{R|120}}date, mercé d’Arete. gli avevan quand’egli partiva;
e presso il piè dell’ulivo le posero tutte in un mucchio,
fuor della via battuta: ché a caso, qualcuno, passando
pria del risveglio d’Ulisse, non dovesse farne man bassa.
E poi, presero anch’essi la via del ritorno. E Nettuno
{{R|125}}non obliò le minacce che aveva già prima rivolte
a Ulisse, eroe divino. Ma chiese il consiglio di Giove:
«Giove padre, mai piú fra i Numi immortali rispetto
goder potrò, se onore mi negano sino i mortali,
sino i Feaci, che pure discesero dalla mia stirpe.
{{R|130}}Credevo io ben che Ulisse dovesse ancor molto patire
per ritornare alla patria: contendergli in tutto il ritorno
non potei, no: ché tu glie l’avevi già prima promesso.
Or quelli in una nave, nel pelago, immerso nel sonno,
l’han trasportato ad Itaca, gli han dato innumeri doni,
{{R|135}}opere d’oro in gran copia, di bronzo, con vesti intessute,
quante non mai da Troia ne avrebbe Ulisse recate
se con la parte sua di preda egli illeso tornava».
E gli rispose Giove che i nembi nel cielo raduna:
«Ahimè, che cosa dici, Signore che scuoti la terra?
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|8|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|140}}Esser non può che onore ti neghino i Superi: è cosa
ardua troppo, spregiare dei Numi il piú antico e il migliore:
se poi nelle sue forze fidandosi troppo, alcun uomo
ti niega onore, tu potrai sempre averne vendetta.
Fa’ pur ciò che tu brami, che grato riesce al tuo cuore».
{{R|145}}E a lui cosí rispose il Nume che scuote la terra:
«lo farei certo. Signore dei nuvoli, come tu dici;
ma temo sempre, e modo procaccio ch’io sfugga al tuo sdegno.
Ora ai nocchieri Feaci vorrei la bellissima nave,
mentre alla patria torna, spezzar nel ceruleo ponto,
{{R|150}}perché smettano infine, né offran piú scorte alle genti:
vorrei coprir la loro città con un monte gigante».
E gli rispose Giove che i nugoli in cielo raduna:
«O caro, questo a me, parrebbe il migliore partito:
quando dalla città già tutte le genti vedranno
{{R|155}}la nave che s’avanza, mutarla di súbito in pietra,
con la sua forma di nave, sicché meraviglino tutti;
e poi coprir la loro città con un monte gigante».
E come l’ebbe udito, il Nume che scuote la terra
súbito mosse alla Scheria, dove hanno dimora i Feaci.
{{R|160}}Quivi attese. E la nave già presso alla spiaggia giungeva,
rapida i flutti solcando. Ma l’Enosigèo le fu sopra,
e in pietra la mutò, fe’ch’essa mettesse radici,
con la man prona al fondo gravandola. E quindi, scomparve.
E gl’incliti nocchieri Feaci, maestri di remi,
{{R|165}}parlaron l’uno all’altro, volgendosi alate parole;
ed a tal vista, cosí diceva ciascuno al vicino:
«Ahimè!, chi mai la nave, mentre essa giungeva a la spiaggia,
ha radicata nel mare? Già tutta visibile ella era!».
Cosí diceano: e niuno sapeva com’era avvenuto.
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIII''|9|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|170}}E allora, ad essi Alcinoo si volse con queste parole:
«Miseri noi, che adesso si avvera un antico presagio
del padre mio: che il Dio del mar si sarebbe sdegnato
perché tutti avanziamo, se alcuno scortiamo per mare,
E dir solea che un giorno, tra i ceruli gorghi del ponto
{{R|175}}un legno dei Feaci bellissimo avrebbe spezzato,
e ricoperta avrebbe la nostra città d’un gran monte.
Cosí diceva il veglio, come ora s’è tutto avverato.
Ora, su via, tutti quanti facciamo come io vi consiglio:
scorta a nessun dei mortali non s’offra, che capiti a caso
{{R|180}}nella città dei Feaci; poi, sedici tori trascelti,
s’offrano al Dio del mare, se, mosso a pietà, piú non cerchi
sopra la nostra città gravare l’altissimo monte».
Disse cosí: temerono quelli, e condussero i tori.
Cosí dunque al signore Posídone alzavano preci,
{{R|185}}stando all’altare intorno, del popol Feaci i signori,
guida alle genti. — E Ulisse divino dal sonno si scosse,
che nella terra materna dormiva. Né questa conobbe;
ché n’era lungi da tanto, e intorno recinto di nebbia
Pallade Atena l’aveva, la diva figliuola di Giove,
{{R|190}}sí che invisibile fosse, che tutto essa dirgli potesse,
perché né la sua sposa, né i suoi cittadini e gli amici
lo conoscesser, pria ch’egli traesse vendetta dei Proci.
Perciò tutte le cose mostrarono aspetto diverso
agli occhi dell’eroe: le lunghe strade, le rade
{{R|195}}schiuse all’approdo, le rupi precipiti, gli alberi folti.
Balzò sui piedi, gli occhi rivolse alla terra materna,
ed un lamento quindi levò, si batté sopra l’anche
ambe le palme prone, cosí, lamentandosi, disse:
«Misero me, di che genti son giunto ancora alla terra?
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|10|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|200}}Nomadi vïolenti saranno, ed ignari di leggi,
o senso hanno ospitale, mente hanno devota ai Celesti?
Dove mai porterò tutte queste ricchezze? Ed io stesso
dove mi volgerò? Tra i Feaci le avessi lasciate,
ché poi giunto a qualche altro dei prenci potenti sarei,
{{R|205}}che ospizio e scorta dato m’avrebbe, sí ch’io ritornassi.
Ora, non so dove io le collochi, e qui non le voglio
lasciar, ché divenire non debbano preda degli altri.
Povero me! Non tutti forniti di senno, né giusti
erano dunque i signori che reggon le genti Feacie!
{{R|210}}Essi in un’altra terra mi fecero addurre: promessa
fecer che in Itaca avrei sbarcato; e fu vana promessa.
Giove li possa punire, che i supplici cura, che guarda
gli uomini tutti dal cielo, che assegna castigo a chi pecca.
Ma via, le mie ricchezze vo’ adesso contare, e vedere
{{R|215}}se me ne avessero tolte, fuggendo sul concavo legno».
Disse; ed il novero fece dei tripodi tutti e i lebeti;
e quindi l’oro, e quindi le fulgide vesti tessute.
Né gli mancava nulla. E allor, sospirando la patria,
egli si trascinò su la spiaggia del mare sonante,
{{R|220}}versando amaro pianto. E Atena gli venne dappresso,
che avea d’un giovinetto di greggi custode parvenza,
tenero tenero, quali dei principi sono i figliuoli;
ed un mantello aveva sugli omeri, duplice e ricco,
e sotto i morbidi piedi calzari, e zagaglie nel pugno.
{{R|225}}E Ulisse s’allegrò, vedendola, e incontro le mosse,
e a lei rivolse il volo di queste veloci parole:
«O caro, poi che in questa contrada te primo io ritrovo,
salute a te: né idea ti colga di offesa recarmi,
anzi salvezza a questi miei beni procaccia, e a te stesso.
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIII''|11|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|230}}Come un iddio t’invoco, ti stringo, piegando i ginocchi;
e tu la verità di questo rispondi, ch’io sappia:
che terra è questa? che gente? quali uomini quivi han dimora?
Una dell’isole è questa che sorgon dal mare, o una spiaggia
che si protende tra i flutti del mar dalla fertile tèrra?»
{{R|235}}E gli rispose cosí la Diva dagli occhi azzurrini:
«Stolido sembri, oppure sei giunto da lungi, straniero,
se tu di questa terra notizie mi chiedi: ché oscuro
punto il suo nome non è, bensí lo conoscono molti
quanti abitan le terre rivolte all’aurora ed al sole,
{{R|240}}e quanti, a tergo, quelle rivolte all’ombroso occidente.
Aspra ella è ben di sassi, non tale da corrervi carri:
misera troppo no, ma neppure troppo ampia si stende.
Biade vi crescono, quante difficile è dirtelo, e vino;
piogge la rendono sempre feconda, e copiosa rugiada.
{{R|245}}Buona nutrice è di capre, nutrice di bovi; e una selva
vi cresce d’ogni pianta, con fonti che corron perenni.
Ospite, sino a Troia conoscono d’Itaca il nome,
ch’è dalla terra achea, raccontano, tanto lontana».
Cosí disse. Ed Ulisse tenace divino fu lieto,
{{R|250}}che giunto era alla patria, cosí come detto gli aveva
Pàllade Atena, figlia di Giove che l’ègida regge.
E a lei dunque si volse, col volo di queste parole:
né disse il vero, ché un motto già già formato trattenne,
sempre volgendo in mente prudenti assennati pensieri:
{{R|255}}«D’Itaca udii parlare nell’ampie contrade di Troia,
da lungi, sopra il mare. Ed ecco ch’io stesso vi giungo,
con queste mie ricchezze. Lasciatene ai figli altrettante,
erro fuggiasco: ché Orsiloco piede veloce, figliuolo
d’Idomenèo, trafissi, che in Creta dall’ampie contrade
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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/* new eis level3 */
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|12|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|260}}tutti quegli uomini industri vincea nella gara dei corso,
perché privo mandarmi di tutta la preda di Troia
ei mi voleva, per cui sofferti ebbi tanti travagli,
volgendomi tra zuffe di genti e furore di flutti:
tutto perché piaciuto non m’era servire a suo padre,
{{R|265}}sotto le mura di Troia; ma io comandavo altre genti.
Dunque, mentre egli tornava dai campi, gli tesi un agguato
con un compagno, e lo uccisi con una zagaglia di bronzo.
Notte oscurissima il cielo copriva; né alcuno ci vide
di quelle genti: occulto rimasi, quando io l’ebbi ucciso.
{{R|270}}E poscia, come l’ebbi trafitto col bronzo affilato,
súbito i passi a una nave diressi, e agli esperti Fenici
volsi preghiera, e ad essi lasciai quanta preda bastasse,
che m’accogliesser fuggiasco nel legno, e recassero a Pilo,
o in Elide divina, dove hanno dominio gli Epèi.
{{R|275}}Però di qui lontani li tenne la forza del vento,
contro ogni loro voglia, ché far non mi vollero inganno.
Di lí, poi, dopo lungo vagar, qui giungemmo di notte.
In fretta quivi al porto spingemmo coi remi la nave,
né alcun pensò, per quanto ne avessero brama, alla cena:
{{R|280}}anzi, sbarcati lí, ci ponemmo a sedere digiuni.
Quivi discese su me stanchissimo, un sonno soave;
ed essi, i beni miei levati dal concavo legno,
li poser presso me, dove io sopra il lido giacevo:
ed essi, asceso il legno, salpar verso Sidone bella,
{{R|285}}ed io rimasi qui, col cuore ferito dal cruccio».
Cosí disse; e, ridendo, la Diva dagli occhi azzurrini,
a carezzarlo stese la mano. E sembianza di donna
aveva, grande, bella, maestra d’ogni arte gentile;
e a lui parlando, il volo rivolse di queste parole:
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIII''|13|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|290}}«Fine davvero, scaltrito sarebbe chi te superasse
nelle malizie, ché tutte le sai, fosse pure un Celeste.
Raggiratore dai mille trovati, mai sazio di frodi,
neppur qui, nella terra paterna ristai dagl’inganni,
dai menzogneri discorsi, che cari ti son da la culla!
{{R|295}}Ma via, piú non si parli di questo; ed entrambi cerchiamo
qualche astuzia: ché tu sei fra tutti i mortali il piú scaltro,
di mente e di parola; ed io fra i Celesti d’Olimpo
son per saggezza e finezza famosa: né tu conoscesti
Pàllade Atena, la figlia di Giove, che, sempre vicina,
{{R|300}}in tutti i tuoi travagli t’assisto e ti sono custode:
e modo anche trovai che caro ai Feaci tu fossi.
Ed ora sono qui per tessere teco un consiglio,
e per nascondere i beni che t’hanno donato i Feaci
per mio volere e mio consiglio, allorché tu partisti.
{{R|305}}E tutti quanti i travagli ti dico che devi soffrire
nella tua casa, com’e destino. E tu devi patirli;
ed a nessuno ti devi svelare, né uomo, né donna,
che dopo lungo errare sei giunto; ma startene muto,
patire i gravi crucci, le ingiurie patir delle genti».
{{R|310}}E le rispose cosí l’accorto pensiero d’Ulisse:
«Difficil cosa è, Diva, per l’uomo mortai che t’incontra,
te ravvisar, per accorto ch’ei sia: ché tu assumi ogni aspetto.
Ma questo io bene so: che dapprima tu m’eri benigna,
finché sotto le mura di Troia pugnaron gli Achivi;
{{R|315}}ma poi che la città di Priamo avemmo distrutta,
poi che le navi ascendemmo, e un Nume disperse gli Achivi,
io non ti vidi, o figlia di Giove, mai piú, né m’accorsi
che sulla nave mia salissi, a schermire il mio danno;
ma sempre, entro il mio seno sentendo squarciarmisi il cuore,
</poem><noinclude></noinclude>
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/17
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OrbiliusMagister
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/* new eis level3 */
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|14|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|320}}errai, sin che i Celesti me libero fêr dai malanni:
e fu quando tu prima fra il popol dei ricchi Feaci
ed alla loro città mi guidasti, facendomi cuore.
Ed or pel padre tuo ti supplico: ch’io non mi credo
d’essere giunto all’isola d’Itaca; e invece m’aggiro
{{R|325}}sopra qualche altra terra; e penso che tu per dileggio
mi dica queste cose, per trarre in inganno il mio cuore:
dimmi se veramente son giunto alla terra materna».
E gli rispose cosí la Diva dagli occhi azzurrini:
«Sempre nel cuore tuo tu alberghi lo stesso pensiero.
{{R|330}}Pur tuttavia, fra le tue sciagure non posso lasciarti
perché fedele amico sei tu, perspicace, assennato.
Un altro uom che giungesse da lungi, sarebbe lutto ansia,
correr vorrebbe a vedere la casa i figliuoli e la sposa;
ma tu non brami invece sapere né chieder novella,
{{R|335}}prima che messa alla prova la sposa non abbia, se ancora
nella sua casa ella è qual’era, se a lei tra gli affanni,
sempre versando pianto, le notti si struggono e i giorni.
Ma io non mai perdei la fiducia: sapevo che avresti
tutti perduti i compagni, ma tu pur saresti tornato.
{{R|340}}E con Posídone, ch’è fratello a mio padre, non volli
venire in lotta: ed egli concetta nell’animo ha l’ira
contro di te, perché cieco rendesti il diletto suo figlio.
Ma via, d’Itaca i luoghi ti mostro, per farti convinto.
Ecco, la rada è questa di Fòrcino, il vecchio del mare:
{{R|345}}questo è l’ulivo tutto fronzuto, alla cima del porto:
presso all’ulivo è l’antro piacevol, colore dell’aria,
sacro a le Ninfe divine, cui Nàiadi chiaman le genti;
e la spelonca è questa, profonda, ove lu tante volte
scelte di bovi offerte solevi immolare alle Ninfe;
</poem><noinclude></noinclude>
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/18
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OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIII''|15|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|350}}ecco, ed il Nèrito è questo, il monte vestito di selve».
Disse la Diva; e disperse la nebbia; e visibile tutta
fu la contrada. E Ulisse fu colmo di gioia: ché vide
la terra patria; e baciò le zolle datrici di spelta;
e questa prece volse, levando le mani, alle Ninfe:
{{R|355}}«Nàiadi Ninfe, di Giove figliuole, mai piú non credevo
ch’io pur v’avrei vedute! Gradite per ora la prece:
doni poi v’offrirò, sí come già un tempo li offrivo,
se la figliuola di Giove, datrice di prede, consente
benigna a me, ch’io viva, che rida fortuna a mio figlio».
{{R|360}}E a lui cosí rispose la Diva dagli occhi azzurrini:
«Fa’ cuor: tali pensieri per or non t’ingombrin la mente.
Adesso entro gli anfratti dell’antro divino poniamo
queste ricchezze, perché restare ti possano in salvo:
quindi provvederemo che tutto proceda pel meglio».
{{R|365}}Detto cosí, la Dea penetrò nell’oscura spelonca,
cercando i nascondigli dell’antro. Ed Ulisse, a lei presso,
tutti i suoi beni, l’oro, le vesti bellissime, e il bronzo
lucido collocò, che dato gli aveano i Feaci.
Quando ebbe tutto ordinato, l’ingresso sbarrò con un masso
{{R|370}}Pàllade Atena, figlia di Giove che l’ègida scote.
Quindi, del sacro ulivo entrambi sederono al piede,
per macchinare l’estrema rovina dei Proci arroganti.
E parlò prima Atena, la Diva dagli occhi azzurrini:
«O di Laerte figlio, scaltrissimo Ulisse, or provvedi
{{R|375}}come tu possa le mani gittare sui Proci superbi,
che nella casa tua spadroneggiano omai da tre anni,
e la tua donna sposare vagheggiano, e le offrono doni.
Ora essa il tuo ritorno con lagrime invoca mai sempre,
e di speranze tutti li pasce, e a ciascuno promette
</poem><noinclude></noinclude>
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/19
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2022-07-23T15:26:27Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|16|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|380}}e invia messaggi; e invece ben altro desidera in cuore».
E le rispose cosí l’accorto pensiero d’Ulisse:
«Dunque, misero me, d’Agamènnone figlio d’Atrèo
fra le mie mura anch’io trovavo il destino fatale,
se tutto, o Diva, tu non m’avessi da prima svelato.
{{R|385}}Tessimi, or via, qualche astuzia, ch’io possa di lor vendicarmi,
stammi vicino, e in seno magnanimo ardore m’infondi,
come allorché di Troia struggemmo le mura opulente.
Se con tale animo tu, Signora dal ciglio azzurrino,
mi starai presso, saprò trecento guerrieri affrontare,
{{R|390}}qualora tu soccorso mi porga, santissima Diva!»
E a lui cosí rispose la Diva dagli occhi azzurrini:
«Io ti sarò, di certo, vicina; né mai dallo sguardo
tu m’uscirai, quando all’opra saremo; e piú d’uno, mi credo,
il gran piantito dovrà lordar di cervello e di sangue.
{{R|395}}Ora io farò che niuno degli uomini piú ti ravvisi.
Ti renderò grinzosa la pelle su l’agili membra:
farò le chiome bionde sparir dal tuo capo: di cenci
ti coprirò, che faccian ribrezzo a chiunque ti vegga;
gli occhi ti offuscherò, che adesso rifulgono belli,
{{R|400}}sí che vituperoso tu sembri ai Proci arroganti,
ed alla sposa e al figlio, che in casa, partendo, hai lasciati.
E tu, per prima cosa, ti devi recar dal porcaro
che custodisce i tuoi porci, che te predilige sincero,
ch’ama tuo figlio, ed ama Penelope piena di senno.
{{R|405}}Lo troverai che guarda le scrofe che stanno pascendo
presso alla rocca del Corvo, sovressa la fonte Aretusa:
cibano ghiande, quante ne bramano, e bevono l’acqua
torbida, onde si nutre il florido armento dei porci.
Qui sosta; e presso a lui rimani, e dimandagli tutto.
</poem><noinclude></noinclude>
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/20
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2022-07-23T15:35:22Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIII''|17|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|410}}sin ch’io non giunga a Sparta, città delle femmine belle,
per richiamare, o Ulisse, Telemaco, il figlio tuo caro,
che quelle belle contrade, cercò, cercò Menelao,
per chiedere notizia di te, se tu ancora vivessi».
E le rispose cosí l’accorto pensiero d’Ulisse:
{{R|415}}«Detto perché non glie l’hai, tu che pure di tutto hai contezza?
Forse perché travagli patir debba anch’egli, ed errare
sopra lo sterile mare, mentre altri gli vorano i beni?»
E gli rispose cosí la Diva dagli occhi azzurrini:
«Troppa cura di lui non deve affannare il tuo cuore:
{{R|420}}io stesso l’ho inviato, perché buona fama acquistasse,
andando lí: né cruccio veruno lo turba; e tranquillo
sta nella casa d’Atreo, soggiorna fra beni e dovizie.
Vero è che in una nave gli tendono i Proci un agguato,
che lo vorrebbero morto pria ch’egli sia giunto alla patria;
{{R|425}}ma non sarà, credo io: dovrà pria la terra coprire
talun di quei superbi che tutti ti vorano i beni».
Mentre cosí diceva, la Dea lo sfiorò d’una verga.
Di grinze tutte quante coperse le floride membra,
gli fe’ sparir dal capo le chiome sue bionde; e su tutta
{{R|430}}la sua persona stese la pelle d’un vecchio cadente,
foschi gli rese gli occhi, che prima fulgevano belli.
Ed una tunica indosso gli pose, ed un misero manto,
roba stracciata, lorda, di sudicio fumo annerita,
ed una logora pelle su quelli, di rapido cervo.
{{R|435}}Poscia un bastone in mano gli diede, e una rozza bisaccia,
tutta a brindelli; e al collo pendea da una logora cinghia.
Presi cosí gli accordi, si mosser divisi; e la Dea
a Lacedèmone andò, per cercare il figliuolo d’Ulisse.
</poem><noinclude></noinclude>
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/24
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2022-07-24T03:51:46Z
OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|21|riga=2}}</noinclude>[[File:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II-0024.png|270px|center]]
<poem>
Dunque, dal porto Ulisse s’avviò per l’aspro sentiero,
sopra selvose piagge, traverso ad alture, ove Atena
detto gli avea che fosse la casa del fido porcaro
che provvedeva il cibo per tutta la gente d’Ulisse.
{{R|5}}E lo trovò seduto dinanzi alla casa, ove eccelso
era costrutto un recinto, spazioso, elegante, isolato,
in uno spiazzo aperto da tutte le bande. Il porcaro
stesso l’avea costrutto, quando era partito il signore,
ché la regina né il vecchio Laerte non v’ebbero parte.
{{R|10}}L’avea con grandi pietre costrutto, e recinto di pruni.
E tanti pali aveva confitti via via tutto intorno,
molti, fitti, tagliati nel duro dell’ilice negra.
Dentro il recinto aveva costruite ben dodici stalle,
l’una vicina all’altra, da starci a giacere le scrofe.
{{R|15}}Erano chiuse in ciascuna cinquanta scrofe feconde,
sdraiate a terra: i maschi giacevano fuor nella corte,
molti di meno; giacché provvedevano a farli scemare
i seminumi Proci: ché ad essi doveva il porcaro
sempre il migliore via via spedire dei ciacchi piú grassi:
</poem><noinclude></noinclude>
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2022-07-24T05:42:42Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|21|riga=2}}</noinclude>[[File:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II-0024.png|400px|center]]
<poem>
Dunque, dal porto Ulisse s’avviò per l’aspro sentiero,
sopra selvose piagge, traverso ad alture, ove Atena
detto gli avea che fosse la casa del fido porcaro
che provvedeva il cibo per tutta la gente d’Ulisse.
{{R|5}}E lo trovò seduto dinanzi alla casa, ove eccelso
era costrutto un recinto, spazioso, elegante, isolato,
in uno spiazzo aperto da tutte le bande. Il porcaro
stesso l’avea costrutto, quando era partito il signore,
ché la regina né il vecchio Laerte non v’ebbero parte.
{{R|10}}L’avea con grandi pietre costrutto, e recinto di pruni.
E tanti pali aveva confitti via via tutto intorno,
molti, fitti, tagliati nel duro dell’ilice negra.
Dentro il recinto aveva costruite ben dodici stalle,
l’una vicina all’altra, da starci a giacere le scrofe.
{{R|15}}Erano chiuse in ciascuna cinquanta scrofe feconde,
sdraiate a terra: i maschi giacevano fuor nella corte,
molti di meno; giacché provvedevano a farli scemare
i seminumi Proci: ché ad essi doveva il porcaro
sempre il migliore via via spedire dei ciacchi piú grassi:
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2022-07-24T08:48:59Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" /></noinclude>[[File:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II-0024.png|400px|center]]
<poem>
Dunque, dal porto Ulisse s’avviò per l’aspro sentiero,
sopra selvose piagge, traverso ad alture, ove Atena
detto gli avea che fosse la casa del fido porcaro
che provvedeva il cibo per tutta la gente d’Ulisse.
{{R|5}}E lo trovò seduto dinanzi alla casa, ove eccelso
era costrutto un recinto, spazioso, elegante, isolato,
in uno spiazzo aperto da tutte le bande. Il porcaro
stesso l’avea costrutto, quando era partito il signore,
ché la regina né il vecchio Laerte non v’ebbero parte.
{{R|10}}L’avea con grandi pietre costrutto, e recinto di pruni.
E tanti pali aveva confitti via via tutto intorno,
molti, fitti, tagliati nel duro dell’ilice negra.
Dentro il recinto aveva costruite ben dodici stalle,
l’una vicina all’altra, da starci a giacere le scrofe.
{{R|15}}Erano chiuse in ciascuna cinquanta scrofe feconde,
sdraiate a terra: i maschi giacevano fuor nella corte,
molti di meno; giacché provvedevano a farli scemare
i seminumi Proci: ché ad essi doveva il porcaro
sempre il migliore via via spedire dei ciacchi piú grassi:
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2022-07-24T03:55:14Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|22|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|20}}cosí di maschi in tutto ce n’era trecentosessanta.
Stavano quattro mastini lí presso, e sembravano fiere,
sempre alla guardia: il fido porcaro li aveva cresciuti.
Eumèo stava or tagliando la florida pelle d’un bove,
e ne foggiava ai suoi piedi calzari. Erano iti i garzoni:
{{R|25}}tre dietro i porci, chi qua, chi là, per il pascolo, al prato:
il quarto, Eumèo l’aveva mandato in città, che recasse
ai prepotenti Proci, che a ciò l’astringevano, un ciacco,
per immolarlo ai Numi, per farne satolle di carne.
Immantinente i cani latratori videro Ulisse,
{{R|30}}e con grandi urli addosso gli corsero; e súbito Ulisse
prudentemente sedé, lasciò andar dalle mani il bastone.
Pure, qui, presso alle stesse sue stalle, ne andava malconcio,
se non correva a cacciarli, con rapidi passi, il porcaro,
che lasciò andare il suo cuoio, si precipitò su la porta,
{{R|35}}e con grandi urli, con una gragnuola di pietre, i mastini
sperse, chi qua, chi là. Poi, volto al Signore, gli disse:
«Povero vecchio, per poco non t’hanno sbranalo i mastini,
all’improvviso! E avuto davvero ne avrei gran rimorso:
e già cordogli e pene mi danno abbastanza i Celesti:
{{R|40}}ché me ne sto qui doglioso, piangendo il mio re semidio,
ed allevare i porci mi tocca, ingrassarli per gli altri,
che me li mangino; e quello fors’anche patisce la fame,
ramingo se ne va fra genti e città forestiere,
se pure è vivo ancora, se vede la luce del sole!
{{R|45}}Seguimi adesso, entriamo nella mia capanna, buon vecchio,
sí che ti possa anche tu saziare di cibo e di vino,
e poi mi dica donde sei giunto, e che pene hai sofferto».
Nella capanna, dicendo cosí, lo condusse il porcaro.
Sopra la terra ammucchiò gran copia di frasche, vi stese
</poem><noinclude></noinclude>
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/26
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2022-07-24T03:58:21Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|23|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|50}}la pelle d’un villoso caprone selvatico, folta,
grande, che bene potesse sdraiarsi, e lo fece sedere.
De l’accoglienza Ulisse fu lieto, e tai detti gli volse:
«Ospite, Giove e tutti ti diano gii altri Celesti
ciò che tu brami: ché fatta m’hai sí cordiale accoglienza!»
{{R|55}}E di rimando, Eumèo porcaro, cosí tu dicevi:
«Ospite, anche se un uomo di te piú meschino giungesse,
io non saprei fargli sgarbo: ché gli ospiti, i poveri, tutti
li manda Giove. Certo, dovrai contentarti: ben poco
è ciò ch’io posso darti: ché questa e la sorte dei servi:
{{R|60}}trepidar sempre, quando comandano i nuovi padroni:
poi che ai Celesti piacque frodar del ritorno il mio sire,
che mi voleva bene davvero, che dato m’avrebbe
certo podere, casa, corredo, e una sposa di garbo,
come il signor liberale suol dare al suo servo, che molto
{{R|65}}sudi al lavoro, e un Dio gli arrida al lavoro ch’ei compie,
come sorride a questo ch’io compio. Oh!, se fosse invecchiato
qui, tali doni avrebbe largito a me pure, il mio sire.
Invece è morto! Cosí fosse d’Elena morta la razza,
da cima a fondo, che fece procombere tanti guerrieri!
{{R|70}}Ché Ulisse anch’egli andò, per l’onor d’Agamènnone, ad Ilio,
alla città dei veloci puledri, a pugnar coi Troiani».
Detto cosí, con la cinghia si strinse la tunica ai fianchi,
e si diresse a le stalle, dov’erano chiuse le mandre
dei porcellini; e due di lí fuor ne trasse, li uccise,
{{R|75}}li rosolò, li squartò, i quarti infilò negli spiedi;
e quando furon cotti, presentò la carne ad Ulisse,
calda, infilata agli spiedi, cosparsa di bianca farina.
E quindi vino infuse dolcissimo dentro una coppa
d’ellera; e gli sedé di fronte, e, invitandolo, disse:
</poem><noinclude></noinclude>
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/27
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2022-07-24T04:11:18Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|24|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|80}}«Ospite, mangia di questi porcelli, ch’è il cibo dei servi:
ché quando poi son fatti piú grossi, li mangiano i Proci,
gente che in cuore non ha riguardo, e non teme i Celesti.
Ma non è cara ai beati Celesti la gente malvagia;
ma la giustizia, ma l’opra compensan degli uomini retti.
{{R|85}}E quei malvagi, quegli empi che invadon le terre degli altri,
anche se Giove consente che facciano quivi gran preda,
e con le navi colme ritornino al loro paese,
sempre il loro animo opprime, tremendo, il terror del castigo
Certo costoro sanno, l’udiron da qualche responso,
{{R|90}}ch’egli è miseramente perito; ed insidian la sposa,
con disonesta gara. Né voglion tornare ai lor tetti,
ma, senza alcun riguardo, d’Ulisse divorano i beni,
a cuor tranquillo, le notti, e i dì, quanti Giove ne manda:
sgozzano capi di gregge, non uno soltanto né due;
{{R|95}}il dolce vino, poi, lo attingon, lo bevono a fiumi;
ché nella casa d’Ulisse di grasce ce n’è senza fine:
niun degli eroi, né sul continente, né in Itaca alpestre
può pareggiarlo: neanche se insieme di venti signori
ta le sostanze pigli, non formi la sua. Stammi attento.
{{R|100}}Sul continente ha dodici armenti; e suoi servi e avventizi
pascono dodici branchi di porci, altre dodici greggi
di pecore: altrettante di capre ne sbandano ai paschi.
Undici greggi poi di capre, per Itaca sono
sparse, dell’isola agli orli, guardate da fidi pastori;
{{R|105}}e deve ognuno ai Proci recare ogni giorno un capretto,
scelto dal pingue gregge, fra tutti il piú bello e il piú grasso,
Io finalmente son qui, guardiano dei porci e custode,
e sceglier devo, e ai Proci mandare il migliore ogni giorno».
Cosí parlava. E Ulisse cibava le carni, beveva
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/28
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2022-07-24T04:14:44Z
OrbiliusMagister
129
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|25|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|110}}avidamente, muto, pensando al malanno dei Proci.
Quando ebbe poi mangiato, placata la brama del cibo,
Eumèo colmò di vino la coppa dov’egli beveva,
e glie la porse colma. Godendo nell’anima, Ulisse
{{Ec|a|la}} ricevè, gli parlò con queste veloci parole:
{{R|115}}«Caro, e chi dunque è mai quest’uomo sí ricco e possente,
come tu dici, che t’ha comperato per servo? Tu dici
ch’egli la morte incontrò per l’onor d’Agamènnone. Oh!, dimmi,
dimmi com’era, se a caso ne avessi uno simil veduto.
Súbito te lo direi: per Giove lo giuro, pei Numi
{{R|120}}quanti han dimora in cielo. Ché molto pel mondo ho vagato».
E dei porcari il capo rispose con queste parole:
«Niuno che giunga errabondo convincer saprebbe, buon vecchio,
né la sua sposa, né il figlio, l’arrivo annunciando d’Ulisse:
ché della buona accoglienza profittano tutti; ma poi
{{R|125}}spaccian menzogne a vuoto, non dicono nulla di vero.
Qualsiasi peregrino che al popolo d’Itaca giunga,
va dalla nostra regina, si mette a spacciare fandonie.
Quella feste gli fa, lo carezza, e dimanda, e dimanda;
e tra i singhiozzi giú le cadono lagrime fitte,
{{R|130}}come s’addice a una sposa, se lungi le muore lo sposo.
Buon vecchio, ed anche tu sapresti, se alcuno ti desse
tunica, o veste, o manto, ben presto inventar qualche ciancia.
Ma cani intanto e uccelli veloci saranno in procinto
già di sbranar dall’ossa la pelle d’Ulisse ch’è spento,
{{R|135}}o l’hanno i pesci già divorato nel pelago; e l’ossa
giacciono sopra la spiaggia, sepolte in un mucchio di sabbia.
Questa la fine sua sarà stata; e in gran lutto ha gittato
tutti gli amici, e me per primo: ché un altro signore
piú non lo trovo, dovunque mi volga, piú buono d’Ulisse,
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Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/29
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2022-07-24T04:32:11Z
OrbiliusMagister
129
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|26|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|140}}neppur se ritornare potessi a mio padre, a mia madre,
alla mia casa, dove son nato e cresciuto fanciullo:
neppur di loro tanto mi dolgo, sebbene pur bramo
di rivederli, di fare ritorno alla patria mia terra;
ma mi distrugge il dolore d’Ulisse lontano. O buon vecchio,
{{R|145}}sebbene ei non sia qui, mi pèrito pur di nomarlo:
tanto ei m’amava, tanto di me si dava pensiero;
e non padrone: fratello, sebbene sia lungi, lo invoco».
E gli rispose Ulisse tenace divino tai detti:
«O mio caro, giacché non fai che negare, ed affermi
{{R|150}}ch’egli non tornerà, giacché tanto incredulo sei,
io non ti voglio annunziare soltanto, ma voglio giurarti
che Ulisse tornerà; né prima dimando il compenso,
ma solamente quando egli sarà tornato alla patria:
prima, sebbene il bisogno mi prema, non voglio accettarlo.
{{R|155}}Che m’è come la porta d’Averno odïoso quell’uomo
che, da miseria astretto, s’induce a spacciare menzogne.
Sappiano Giove, ch’è primo fra i Numi, e la mensa ospitale,
e il focolare, dov’io son giunto, del nobile Ulisse,
che tutto quanto sarà compiuto come ora t’annunzio:
{{R|160}}dentro quest’anno stesso vedrete qui giungere Ulisse».
E rispondevi, Eumèo porcaro, con queste parole:
«Non io dovrò pagarti, buon vecchio, codesto compenso,
né tornerà piú mai Ulisse alla patria. Ma bevi
pure tranquillo, e ad altro volgiamo la mente; e tal doglia
{{R|165}}non richiamarmi al pensiero: ché il cuore mi duole nel petto,
quando qualcuno fa menzione del caro signore.
Il giuramento lasciamolo stare. Ed Ulisse ritorni
come n’ho brama io, Penèlope, il vecchio Laerte
ed il figliuolo divino d’Ulisse, Telemaco. Intanto
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|27|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|170}}per questo m’affliggo io: per Telemaco ho cruccio perenne:
ch’era cresciuto, mercé dei Superi, come un virgulto,
ed io simile al padre speravo che crescer dovesse,
tale apparir fra le genti, di forme e d’aspetto ammirando;
ed ora invece, quale non so dei mortali o dei Numi
{{R|175}}gli abbia sconvolta la mente: ché nuove a cercare del padre
è andato a Pilo santa. Ma intanto i magnifici Proci
tesa un’insidia gli hanno per quando ritorna; ché spento
vogliono lungi d’Itaca il germe d’Arcisio divino.
Ma pure lui, dobbiamo lasciarlo al suo fato, o sia preso,
{{R|180}}o sfugga, e sopra lui protenda la mano il Croníde.
Ma le sventure tue, buon vecchio, tu narrami adesso,
e non mi dir menzogna, ch’io voglio conoscere il vero.
Chi sei? Di quale gente? Di che genitori? Ove sorge
|a tua città? Su che nave giungesti? E com’è che i nocchieri
{{R|185}}t’hanno sbarcato ad Itaca? E questi nocchieri, chi sono?
Perché, di certo, a piedi non penso che tu sii qui giunto!»
E gli rispose cosí lo scaltro pensiero d’Ulisse:
«Senza ombra di menzogna narrare ti vo’ quanto chiedi.
Ma se noi due ci chiudessimo in questa capanna, e il lavoro
{{R|190}}ce lo sbrigassero gli altri, e avessimo quanto bastasse,
cibo e dolcissimo vino, da starcene in pace satolli;
neppur cosí, neppure parlando di séguito un anno,
facile a me sarebbe narrarti le doglie del cuore,
quante dovei patirne, per l’ira e la possa dei Numi. —
{{R|195}}Io dalla vasta Creta m’onoro d’avere la stirpe,
e d’un signore opulento son figlio. Molti altri figliuoli
erano nati e cresciuti legittimi nella sua casa,
dalla legittima sposa. Mia madre era stata comprata,
era sua concubina. Ma al pari degli altri suoi figli
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|28|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|200}}me rispettava l’Ilàcide Castore, ond’ebbi la vita,
cui veneravano al pari d’un Nume le genti di Creta,
per la ricchezza, e la sorte seconda, e la gloria dei figli.
Ma sopravvennero un giorno le Parche di morte, e d’Averno
lui nelle case rapirono; e i figli superbi, i suoi beni
{{R|205}}tutti divisero, e a sorte spartirono i lotti. Ben poco
a me diedero in dono, smembrata restò la sostanza.
Ed una sposa condussi, figliuola di genti opulente,
mercé del mio valore: ché io non ero un dappoco,
né paventavo affrontare la pugna. Ora tutto è finito;
{{R|210}}Pure, mirando la rèsta, potrai figurarti la spiga,
quale un dì fosse. Troppo m’oppresse però la sciagura.
Certo, che Atena e Marte m’infuser nell’animo ardire,
e valentia nella pugna. Quando io trasceglievo i piú forti,
e li guidavo, a danno dei nostri nemici, all’agguato,
{{R|215}}mai non correva l’idea della morte a quest’animo prode;
ma trafiggevo con l’asta, lanciandomi primo fra tutti,
quanti dei miei nemici potevo raggiungere al corso.
Tal nella guerra io m’ero. Ma caro il lavoro non m’era,
né custodire i miei beni, per darne agiatezza ai miei figli;
{{R|220}}bensì le navi sempre dilette mi furono, e i remi,
e le battaglie, e le lisce librate zagaglie, e le frecce,
tutti gli arnesi di morte che sono per gli altri odïosi:
questi ebbi cari: un Dio nel cuor me n’infuse l’amore:
brama hanno gli uomini, questo d’un’opera, e quello d’un’altra.
{{R|225}}Prima dunque che a Troia movesser gli Achivi guerrieri,
già nove volte, a capo di genti e di rapide navi,
terre straniere invasi, facendovi molto bottino.
Quello che piú mi piacesse, per me trasceglievo: la sorte
mi dava un’altra parte. Cosí la mia casa fioriva,
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|29|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|230}}e gran prestigio in Creta godevo, godevo onoranza.
Ma quando Giove possente meditò la gesta odïosa
che le ginocchia a tanti valenti guerrieri ha fiaccato,
me con Idomenèo trascelsero allora, che ad Ilio
fossimo duci alle navi; né modo ci fu di negarsi,
{{R|235}}ché mala voce avuta ne avremmo fra il popol di Creta.
Qui per nove anni la guerra sostenner gli Achivi guerrieri,
ed espugnaron la rocca di Priamo nel decimo; e in mare
per ritornare alla patria si misero; e un Nume li sperse.
Me sventurato Giove colpí con un altro malanno.
{{R|240}}In casa un solo mese rimasi, godendomi i figli,
i beni miei, la sposa legittima; ed ecco di nuovo
l’animo mi spronò, che ancora apprestassi le navi,
e coi compagni miei veleggiassi alla volta d’Egitto.
Nove legni apprestai, raccolsi ben presto la ciurma.
{{R|245}}Per sei continui dí banchettarono i cari compagni,
per sei continui dí macellai molta copia di bestie,
per ingraziarmi gli Dei, per offrire banchetti ai compagni:
il settimo salpammo dall’isola grande di Creta.
E ci sospinse un soffio di Bora propizio e gagliardo,
{{R|250}}come per la corrente d’un fiume; né alcuno dei legni
ebbe a patire; ma senza disagio né morbo, seduti
ce ne stavamo; e pel legno bastavano i venti e il timone.
Il quinto dí toccammo la bella corrente del Nilo;
ed alle sponde fissai del Nilo le navi ricurve.
{{R|255}}Ordini diedi allora perché qui, vicino alle navi,
i cari miei compagni restassero a buona custodia.
Esploratori quindi mandai su le alture. Ma quelli
porre alle brame loro rapaci non seppero freno;
anzi tosto alle genti d’Egitto i bellissimi campi
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|30|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|260}}misero a sacco, le donne rapirono e i pargoli infanti,
diedero agli uomini morte. Ben presto ne giunse la fama
alla città. Conte udiron le grida, sul fare dell’alba,
corsero; e tutto il piano s’empí di cavalli e di fanti,
di folgorii di bronzo. Qui Giove che i folgori avventa
{{R|265}}vituperosa inflisse disfatta ai compagni: ché niuno
far fronte osò; né via s’aprí di schivare il flagello.
Molti di noi, trafitti qui cadder dal bronzo affilato:
altri li presero vivi, che lí rimanessero schiavi.
E Giove stesso, allora, nel cuore un’idea m’ispirava —
{{R|270}}ahimè, quanto era meglio che il fato si fosse compiuto,
ch’io fossi morto in Egitto! Schivati avrei tanti dolori! —
Súbito giú da la testa l’elmetto di pelle gittai,
giú da le spalle l’usbergo, la lancia scagliai dalle mani.
Cosí senz’arme, contro mi feci ai cavalli del sire,
{{R|275}}gli strinsi, gli baciai le ginocchia. Ed in salvo ei mi trasse,
e, postomi sul cocchio, mi guidò, che piangevo, alla reggia.
Ben contro me si lanciaron, con l’aste di frassino, molti,
che mi volevano morto: sí grande era il loro furore;
ma li respinse quegli, di Giove ospitale temendo
{{R|280}}la volontà, che troppo si sdegna dell’opere tristi.
Quivi rimasi poi sette anni; e fra il popol d’Egitto
molte ricchezze raccolsi; ché a me ne offerivano tutti.
Ma quando gli anni poi trascorsero, e giunse l’ottavo,
un uomo venne a me di Fenicia, maestro di frodi,
{{R|285}}ingannatore, già macchiato di molti misfatti.
Questi coi fini laccioli mi prese, e convinse che andassi
seco in Fenicia, ov’egli avea le sostanze e la casa.
Qui presso lui rimasi finché fu trascorso quell’anno;
ma quando i mesi e i giorni poi furono tutti compiuti,
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|31|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|290}}e, col rivolger dell’anno, tornarono ancor la stagioni,
sopra una nave in Libia m’addusse, con subdolo cuore,
perché la merce mia con la sua caricassi sul legno;
ed egli poi venduto m’avrebbe, e gran prezzo riscosso.
Io lo seguii, sebbene sospetto ne avessi, per forza.
{{R|295}}E dagli spiri spinta di Bora propizio e gagliardo,
giunse all’altezza di Creta la nave. La bieca rovina
qui fissò Giove. Quando lasciata già Creta avevamo,
né terra alcuna piú si scorgeva, ma sol cielo ed acqua,
allora stese il figlio di Crono una nuvola fosca
{{R|300}}sopra la concava nave: sottessa si fe’ negro il ponto.
Giove ad un punto tuonò, colpí con la folgore il legno:
questo girò su sé stesso, colpito dal fuoco del cielo,
tutto s’empié di solfo. Piombarono tutti dai bordi,
e mulinarono, come cornacchie, qua e là per i flutti,
{{R|305}}d’intorno al negro legno: ché un Dio li privò del ritorno.
E quivi a me, crucciato com’ero nel cuor, Giove stesso
l’albero della nave dal cerulo rostro, cadere
fe’ sottomano, perché salvarmi potessi. Era saldo:
ed io, strettomi ad esso, dei venti funesti fui preda.
{{R|310}}Fui nove dí trascinato: nel decimo, a notte profonda,
mi rotolò, mi gittò dei Tespròti alla terra un gran flutto.
Quivi l’eroe Fidone, signor dei Tespròti, m’accolse,
senza volere compenso: ché il figlio m’aveva trovato,
dalle fatiche, dal gelo prostrato, e condotto alla reggia,
{{R|315}}e sostenuto, finché fui giunto alla casa del padre,
ed una tunica e un manto mi diede, perché mi coprissi.
E quivi ebbi notizia d’Ulisse. Diceva Fidone
che ospizio aveagli dato mentre egli tornava alla patria.
E mi mostrò le ricchezze che Ulisse aveva adunato.
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|32|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|320}}gli oggetti d’oro, di bronzo, di ferro dal fine lavoro,
che mantenere un uomo potevan per dieci progenie.
E nella casa del re giacean tutti questi cimeli.
S’era a Dodona Ulisse recato, diceva; il responso
voleva udir, dall’alto stormir delle foglie, di Giove,
{{R|325}}se ritornar dovesse fra il popolo d’Itaca pingue,
palesemente, dopo l’assenza sua lunga, od occulto.
E mi sostenne e giurò, libando ai Celesti, che in mare
già s’era spinta una nave, che già v’eran pronti i nocchieri,
per ricondurre Ulisse divino alla terra paterna.
{{R|330}}Ma pria me rimandò: ché, a caso, una nave tesprota
giunta era, volta verso Dulichio ferace di biade.
Egli ai nocchieri ordinò che súbito al principe Acasto
mi conducessero. E quelli s’attennero a tristo disegno,
contro di me, ché piú ancora gravasse su me la sciagura.
{{R|335}}Quando nel mare fu la nave, assai lungi da terra,
súbito contro me macchinarono, a rendermi schiavo.
Via mi strapparon le vesti mie belle, la tunica e il manto,
e mi gittâr su le spalle un lurido cencio e un gabbano
tutti stracciati, quelli che addosso tu stesso mi vedi.
{{R|340}}Verso la sera, distinti ci apparvero d’Itaca i campi.
Essi del legno qui mi legarono ai solidi banchi,
con una gomena bene ritorta, ben salda; ed in fretta
scesi sopra la spiaggia del mare, ammannirono il pasto.
Ma facilmente i Numi medesimi sciolsero i lacci
{{R|345}}che mi stringevano. E il capo copertomi allor con un cencio,
giú per la liscia scala discesi, e col petto nel mare
ruppi; e facendo remo d’entrambe le braccia, nuotai,
e uscir potei ben presto dal mare, lontan dai nocchieri.
E, asceso il lido, v’eran le macchie d’un florido bosco.
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|33|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|350}}Qui rannicchiato stetti. Con alto schiamazzo i nocchieri
mi ricercavan; ma ad essi non parve il migliore partito
troppo indugiare a cercarmi. Di nuovo alla concava nave
volsero i passi; e me nascoser gli stessi Celesti,
agevolmente; e m’hanno guidato d’un uomo di senno
{{R|355}}alla capanna: perché destino m’è vivere ancora».
E a lui, porcaro Eumèo, rispondevi con queste parole:
«O sventurato straniero, m’hai l’anima proprio commossa,
tutte le tue sofferenze narrandomi, e tutti gli errori.
Ma farmi non saprai convinto che il vero tu dici,
{{R|360}}quando tu parli d’Ulisse. Perché senza scopo un tuo pari
deve spacciare menzogne? Ben so ciò che credere io devo
quanto al ritorno d’Ulisse, che odiarono tutti i Celesti,
perché quando tesseva la guerra nol vollero morto
fra le troiane schiere, sepolto da mano d’amici.
{{R|365}}Tutti gli Achivi allora gli avrebbero alzata una tomba,
ed alta gloria avrebbe per sé, per suo figlio raccolta.
Invece, senza onore via l’hanno rapito le Arpie.
Ed io vivo in disparte, dei porci a custodia; né mai
vado in città, se non quando, se càpita a caso un messaggio,
{{R|370}}qui mi manda a cercare Penelope piena di senno.
Tutti mi vengono allora d’intorno, e mi volgon dimande,
quei che si crucciano il cuore pel re che da tanto è lontano,
e quei che ne son lieti, che a ufo ne mangiano i beni.
Ma io non voglio piú dimandare né chieder notizie,
{{R|375}}dal dì che un uomo giunse d’Etolia a narrarmi fandonie:
che, avendo ucciso un uomo, vagato per tanti paesi,
giunse alla mia capanna, dove io con amore l’accolsi.
A Creta, ei mi narrò, veduto l’aveano, che presso
Idomenéo, riparava le navi malconcie dal mare;
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|34|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|380}}ed in estate, disse, tornato sarebbe o in autunno,
coi suoi compagni forti, recando gran copia di beni.
Misero vecchio, ma tu, perché t’ha qui un demone addotto,
non compiacermi con false parole, non farmi lusinga;
ché io non già per questo t’avrò né riguardo né amore,
{{R|385}}ma per pietà di te, per rispetto di Giove ospitale».
E a lui cosí rispose l’accorto pensiero d’Ulisse:
«Davvero, un cuore alberghi nel seno che troppo diffida,
quando neppur giurando potuto ho far sí che mi creda.
E allora, dunque, adesso stringiam questo patto; e ad entrambi
{{R|390}}sian testimoni i Numi del Cielo, signori d’Olimpo.
Se un giorno il signor tuo vedrai ritornare alla patria,
mettimi indosso, ch’io mi vesta, una tunica o un manto,
e mandami a Dulichio, dov’io sempre agogno tornare.
Se poi non giunge, come t’ho detto, il tuo sire, ai famigli
{{R|395}}ordine imparti che giú mi scaglin da un erto macigno,
perché qualche altro pitocco si astenga dal tesser menzogne».
E a lui queste parole dicesti, fedele porcaro:
«Ospite, allora sí, che godrei presso tutte le genti
onore e buona fama, sin d’ora, e nei giorni venturi,
{{R|400}}se, dopo averti qui condotto, e come ospite accolto,
porti dovessi a morte, privarti dell’anima cara! —
Ma l’ora ecco del pasto. Giungessero presto i compagni,
che preparare presto si possa la cena gustosa! —»
L’uno con l’altro cosí scambiavano queste parole.
{{R|405}}Ed ecco, alla capanna tornarono porci e porcari.
Chiusero dentro le stalle le bestie per farle dormire;
e lo stridio si levò senza tregua dei porci rinchiusi.
E allora, ai suoi compagni si volse il fedele porcaro:
«Portatemi il piú grasso dei porci: ch’io voglio immolarlo
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|35|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|410}}per l’ospile straniero: Cosí ci godremo anche noi,
che tanto a lungo dobbiamo penare pei porci zannuti,
ed altri, senza brighe, divoran le nostre fatiche». ’
Cosí detto, fendé la legna col bronzo affilato;
e un porco di cinque anni condussero gli altri, ben pingue.
{{R|415}}Sul focolare qui lo posero; e il fido porcaro
non obliò gli Dei: ché senno reggeva sua mente;
ma del zannuto porco dal capo le sétole svèlte,
sul fuoco le giltò, preghiera volgendo ai Celesti,
che ritornasse Ulisse dal senno profondo alla patria.
{{R|420}}Poi, con un tronco di leccio, che all’uopo serbava, la bestia
colpi, che morta cadde. Sgozzatala, espostala al fuoco,
presto la fecero a pezzi. Da tutte le membra il porcaro
brani recise pei Numi, d’omento ben pingue li avvolse.
Poi, con farina d’orzo cosparsi, li pose sul fuoco;
{{R|425}}e tutto il resto, a brani reciso, infilar sugli spiedi.
Quando arrostiti poi furono a punto, sfilarono tutto,
e tutto quanto in un mucchio gittâr su la mensa. E il porcaro
fece le parti a tutti: ché far le sapeva ben giuste.
E, dividendo lutto, cosí sette parti ne fece.
{{R|430}}Una alle Ninfe e ad Ermète figliuolo di Maia ne offerse,
preci volgendo; ed una ne diede dell’altre a ciascuno.
Tutto il filetto del dorso del porco zannuto, ad Ulisse
lo die’, per fargli onore, di gioia colmandogli il cuore.
E a lui lo scaltro Ulisse si volse con queste parole:
{{R|435}}«Eumèo, deh!, tanto caro sii tu degli Olimpi al Signore
quanto a me sei; ché, tapino qual sono, mi colmi di doni».
E a lui, porcaro Eumèo, rispondevi con queste parole:
«Ospite mangia, o tra i miseri misero! Godi pur quello
ch’è su la mensa. Il Dio, secondo che meglio a lui piaccia.
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|36|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|440}}dona una cosa, e un’altra la nega: ch’ei può ciò che vuole».
Detto cosí, le primizie bruciò per gli eterni Celesti;
e offerse, dopo avere libato, il purpureo vino
a Ulisse, distruttore di Troia, che a mensa sedeva.
E il pane ad essi porse Mesaulio, che aveva il porcaro
{{R|445}}compro col suo denaro, mentre era lontano il signore,
che la regina nulla ne seppe, né il vecchio Laerte:
coi suoi denari proprio l’avea comperato dai Tafi.
Sulle vivande imbandite gittarono tutti le mani.
E poi ch’ebber placata la brama del cibo e del vino,
{{R|450}}tolse dinanzi a loro gli avanzi Mesaulio; e di vitto
sazi, di carne e di vino, si volsero gli altri a dormire.
E sopraggiunse la notte deserta di luna; e pioveva
senza posa, e spirava la furia di Zefiro, sempre
d’acqua foriero; ed Ulisse parlò, per provare il porcaro,
{{R|455}}se si togliesse il gabbano per darglielo, oppure esortasse
altri a far questo, perché di lui si prendea tanta cura:
«Eumèo, tu, adesso, e gli altri compagni prestatemi orecchio:
io voglio fare un voto, narrarvi una storia: ché il vino
mi sprona a ciò, capitoso, che suole istigare il piú savio
{{R|460}}al canto, alle soavi risate, alla danza, e lo spinge
a dir tali parole che meglio sarebbe tacere.
Or che alle ciarle ho dato principio, non voglio troncarle.
Deh! Se giovane io fossi, se fossi tuttora gagliardo
come quel dí che sotto le mura di Troia un agguato
{{R|465}}tendemmo ed eseguimmo! Ulisse col re Menelao
erano guida, ed io, ché seco mi vollero terzo.
E quando alla città giungemmo, e all’eccelse sue mura,
quivi dintorno alla rocca, qua e là per i fitti cespugli,
tra la palude e le canne, stavam rannicchiati nell’armi.
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XIV''|37|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|470}}E sopraggiunse, calata la bora, una notte di gelo
triste: cadea la neve dal cielo, piú dura che brina,
gelida, e sovra gli scudi stendeva una crosta di ghiaccio.
Gli altri compagni miei tutti avevano tuniche e manti,
e con gli scudi coperte le spalle, dormivan tranquilli:
{{R|475}}solo io fra tutti avevo lasciato nel campo il mantello,
stolto, perché non pensavo che vincermi il gelo dovesse,
e con lo scudo venni soltanto, e la bella cintura.
Ma quando al terzo fu la notte, e cadevano gli astri,
Ulisse, ch’era a me vicino, col gomito urtai,
{{R|480}}e gli parlai cosí: né quegli fu tardo ad udirmi:
«O di Laerte figlio, divino scaltrissimo Ulisse,
tra poco io non sarò fra i vivi: ché il freddo mi abbatte,
perché meco non ho mantello: ché un dèmone triste
m’indusse a prender solo la tunica; ed or non c’è scampo».
{{R|485}}E allora Ulisse questo disegno formò nella mente,
unico quale egli era nel dare consigli, e alla pugna;
e, con un fil di voce, mi volse cosí la parola:
«Sta zitto ora, perché non t’oda verun degli Achivi».
Quindi la testa poggiò sul gomito, e prese a parlare:
{{R|490}}«Datemi ascolto, amici, ché apparso m’è un sogno divino.
Troppo ci siamo spinti lontan dalla nave. Qualcuno
vada, e all’Atride Agamennone prence di popoli dica
s’egli potesse qui piú gente mandar dalle navi».
Disse. E tosto s’alzò Toante d’Andrèmone figlio,
{{R|495}}velocemente, e lungi gittato il purpureo manto,
verso la nave affrettò la corsa; e nel manto di quello
beatamente dormii, finché non apparve l’Aurora.
Deh, se giovine ancora fossi io, tal vigore deh! avessi!».
Eumèo porcaro, e a lui rispondesti con queste parole:
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|38|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|500}}«Vecchio, il racconto che tu m’hai fatto, non merita biasmo,
né solo un motto hai detto che impronto, che inutile fosse.
Cosí per questa volta tu avrai da coprirti; e null’altro
ti mancherà di quanto conviene apprestare a un tapino.
Però, dimani all’alba dovrai rivestire i tuoi cenci;
{{R|505}}ché non abbiamo qui né mantelli né tuniche tante
da ricambiarli: ciascuno possiede la veste che indossa.
Ma quando giunga poi d’Ulisse il diletto figliuolo,
egli dar ti potrà le vesti, la tunica, il manto,
ed inviarti dove ti dice la brama del cuore».
{{R|510}}Detto cosí, si levò, gli allestì vicino alla fiamma
un letto, e lo copri con pelli di pecore e capre.
E quando Ulisse fu sdraiato, un mantello pesante
grande gli gittò sopra, che pronto tenea di ricambio,
e l’indossava quando piú crudo infierisse l’inverno.
{{R|515}}Quivi a dormire, dunque, Ulisse divino si pose:
ed i garzoni attorno dormiano. Ma qui riposare
Eumèo non volle già, dormire lontano dai porci:
anzi s’apparecchiò per uscire. Ed Ulisse fu lieto
che tanto, mentre egli era lontano, curasse i suoi beni.
{{R|520}}Prima infilò la spada tagliente alle valide spalle;
poi gittò sopra, a schermo dei venti, un pesante mantello,
e d’una grossa capra pasciuta la pelle; e impugnò
un giavellotto acuto, difesa per gli uomini e i cani.
Ed a giacere andò dove i porci di candide zanne
{{R|525}}sotto una cava spelonca dormiano al riparo di Bora.
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XV''|41|riga=2}}</noinclude>[[File:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II-0006.png|400px|center]]
<poem>
Pallade Atena, frattanto, di Sparta a le belle contrade
s’era recata: ché il vago figliuol del magnanimo Ulisse
memore far del ritorno voleva, incitarlo a partire.
E Telemaco, e il figlio di Nestore fulgido, insieme
{{R|5}}di Menelao glorïoso nell’atrio dormenti rinvenne.
Anzi, di Nestore il figlio vinto era dal morbido sonno;
ma non giaceva nel sonno, Telemaco: in cuore gli stava
fitto il pensiero del padre, che desto lo aveva tenuto
tutta la notte. Atena vicina gli stette, e gli disse:
{{R|10}}«Bene non fai, che tu erri, Telemaco, lungi alla patria,
ed i tuoi beni tu lasci ad uomini tanto arroganti
nella tua casa. Bada che tutti non debbano i beni
tuoi divorare, spartirli, che vano per te non riesca
questo viaggio. Su, dunque, sollecita il buon Menelao,
{{R|15}}ch’egli ti dia congedo: sicché, ritornando, tua madre
tu senza pena trovi: ché sposa ad Eurimaco, il padre
ed i fratelli darla vorrebbero: ch’ei nei presenti
tutti sorpassa i Proci, moltiplica i doni di nozze.
Vedi che contro tua voglia non debba portar via da casa
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|42|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|20}}qualche tesoro. Tu sai qual’è della donna l’umore:
prospera brama la casa di chi nuovamente la sposa;
e dei figliuoli di prima, del primo legittimo sposo,
non si ricorda piú, né cura si dà, quando è morto.
Dunque, ritorna a casa tu stesso, ed affida i tuoi beni
{{R|25}}a qualche ancella, quale ti sembri miglior, sino al giorno
che troverai, mostrata dai Numi, la degna consorte.
Un’altra cosa ancora ti dico, e tu fanne tesoro.
I piú valenti dei Proci ti stanno tendendo un’insidia
nello stretto di mare fra Itaca e Samo rocciosa,
{{R|30}}per trucidarti, prima che tu sia tornato alla patria.
Ma non potranno, credo io; dovrà pria la terra coprire
molti di questi Proci che vorano a te le sostanze.
Dunque, lontano tieni dall’isola il rapido legno,
naviga solo di notte; ché a tergo una prospera brezza
{{R|35}}uno ti manderà dei Numi, che veglia a salvarti.
Ma, come prima ad un lembo tu d’Itaca giunto sarai,
alla città rimanda la nave con tutti i compagni,
e tu récati, prima di tutto, al fedele porcaro,
che custodisce le greggi dei porci, e che t’ama di cuore.
{{R|40}}Quivi trascorri la notte: poi fa’ che il porcaro s’affretti
alla città, per recare la nuova a Penelope scaltra,
che tu sei sano e salvo, che sei ritornato da Pilo».
Detto cosí, la Diva partí per le cime d’Olimpo;
ed ei, dal dolce sonno riscosse di Nestore il figlio,
{{R|45}}scotendolo col piede; poi queste parole gli disse:
«Figlio di Nèstore, su, Pisístrato, déstati, al carro
guida ed aggioga i cavalli, per metterci tosto in cammino».
E Pisístrato. figlio di Nèstore, questo rispose:
«Possibile non è, per quanto la brama c’incalzi,
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XV''|43|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|50}}spingere un cocchio tra il buio notturno. Sarà presto l’alba.
Stiamo, sinché Menelao, l’insigne figliuolo d’Atrèo
giunga, e i doni ospitali ci rechi, e li ponga sul cocchio,
e, favellando parole soavi, il congedo ci dia.
Chi l’ospitalità riceve, per tutta la vita
{{R|55}}l’uomo ricorda che a lui l’offerse con cuore amoroso».
Disse; e ben presto spuntò l’Aurora dall’aureo trono.
E Menelao, pro’ guerriero, dal talamo surto, dal fianco
d’Elena chioma bella, vicino ai due giovani giunse.
E come l’ebbe scòrto d’Ulisse il figliuolo diletto,
{{R|60}}rapido attorno alle membra la tunica fulgida cinse,
gittò l’ampio mantello sovresse le spalle gagliarde,
mosse alla soglia, stette, gli volse cosí la parola:
«O Menelao, figliuolo d’Atrèo conduttore di genti,
stirpe di Numi, dammi congedo ch’io torni alla patria;
{{R|65}}perché l’animo mio già brama la casa paterna».
E Menelao, maestro dell’arte di guerra, rispose:
«Piú lungo tempo non vo’, Telemaco, qui trattenerti,
se ritornare tu brami. Ch’io biasimo ad altri darei
che verso l’ospite suo mostrasse fervore eccessivo,
{{R|70}}od eccessiva freddezza; ché in tutto val meglio misura.
Mal si comporta, cosí chi l’ospite contro sua voglia
spinge a partire, come chi vuol trattenerlo se ha fretta.
Resta però, sin ch’io bei doni ti rechi, e sul carro
li abbia disposti, che tu li vegga; e comandi a le ancelle
{{R|75}}che ne la casa bene provvista preparino il pranzo.
Gloria fiorita, e ristoro, sono esse due cose che gode
chi ben pasciuto viaggia sovressa la terra infinita.
E se tu vuoi far viaggio per l’Ellade, e in mezzo al paese
d’Argo, i cavalli aggiungo, che súbito vengano teco,
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|44|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|80}}e nelle varie città ti guidino. E niun rimandarti
a mani vuote vorrà, ma farti ciascuno un presente,
sceltolo dai lebèti, dai tripodi fusi nel bronzo,
od una coppia di muli, o qualche bel calice d’oro».
E gli rispose con queste parole Telemaco scaltro:
{{R|85}}«O Menelao, figliuolo d’Atrèo, conduttore di genti,
stirpe divina, oramai vorrei ritornare alla patria:
ch’io partendo nessuno lasciai che guardasse i miei beni;
e fare il danno mio non vorrei, mentre cerco mio padre,
né che m’andasse in rovina qualcuno dei beni di casa».
{{R|90}}Come ebbe detto ciò, Menelao prode all’urlo di guerra,
ordini compartí senza indugio alla sposa e alle ancelle,
che nella casa bene provvista ammannissero il pranzo.
Ed Eteòne, figlio di Bòeto, presso gli stette,
surto di letto appena: ché gli era vicino di casa.
{{R|95}}Ordine il pro’ Menelao gli diede d’accendere il fuoco,
e d’arrostire le carni; né tardo a obbedire fu quello.
Scese egli stesso poi nel talamo tutto fragrante;
solo non già: presso a lui Megapente con Elena giva.
E quando furon giunti dov’erano accolti i tesori,
{{R|100}}quivi una tazza prese l’Atríde, di gemina bocca,
e a Megapente ordinò che portasse un cratere d’argento.
Elena stette all’arche dinanzi. Quivi erano pepli
tutti variegati, che aveva tessuti ella stessa.
Uno di questi prese la donna di forme divine,
{{R|105}}quello che in fondo all’arca serbava, il piú ampio, il piú bello
di screzïati fregi, che al pari d’un astro fulgeva.
Da stanza a stanza quindi movendo, al figliuolo d’Ulisse
giunsero; e a lui cosí favellò Menelao chioma bionda:
«Il tuo ritorno, quale, Telemaco, in cuore lo brami,
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XV''|45|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|110}}d’Era lo sposo, Giove tonante, conceder ti voglia.
E di presenti, quello che piú prezioso posseggo
io vo’ donarti, piú bello d’ogni altro, e di pregio piú eccelso.
Voglio un cratere donarti di bella fattura. D’argento
è tutto quanto; ma sono temprate nell’oro le labbra:
{{R|115}}opra d’Efèsto. A me lo diede Fedimo, l’eroe
re dei Sidoni, quando, tornando da Troia, io li giunsi,
e la sua casa ospizio mi diede: a te voglio or donarlo».
Detto cosí, l’Atríde sovrano gli porse la coppa
doppia di forma; e il cratere d’argento che aveva recato,
{{R|120}}fulgido tutto, ai suoi piedi posò Megapente gagliardo.
Elena poi, viso bello, facendosi presso, ed il peplo
sopra le palme recando, parlò, pronunciò questi detti:
«Anche da me, questo dono ricevi, figliuolo mio caro:
d’Elena sia ricordo per te nella dolce stagione
{{R|125}}di nozze; ed alla sposa tu donalo: nella tua casa
fino a quel dí tua madre custode ne sia. Parti, adesso,
ed alla casa, e alla terra materna fortuna ti guidi».
Detto cosí, glielo porse: Telemaco lieto lo prese.
Tutti i presenti poi collocò Pisistrato prode
{{R|130}}entro la cesta; e ad uno ad uno li andava ammirando.
Entro le camere poi Menelao chioma bionda li addusse,
ed a banchetto, sui seggi, sui troni sederono. Allora
venne l’ancella, recando per mescere l’acqua alle mani,
da un’aurea brocca bella, sovresso un catino d’argento.
{{R|135}}Poscia dinanzi ad essi distese una lucida mensa,
e la massaia annosa vivande recò, la fe’ colma.
Di Bòeto quindi il figlio scalcava, partiva le carni,
vino mesceva il figlio del pro’ Menelao: sopra i cibi
posti dinanzi a loro gittarono tutti le mani.
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|46|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|140}}Ora, poi ch’ebber placata la brama del cibo e del vino,
d’Ulisse il figlio, e seco di Nèstore il figlio leggiadro,
stretti i corsieri al giogo, saliron sul cocchio dipinto,
e dalla porta fuori, dal portico tutto sonoro
lo spinsero; e con essi movea Menelao chioma bionda,
{{R|145}}con le sue mani vino recando entro un calice d’oro,
dolce, di miele, perché libassero pria di partire.
Stette dinanzi ai cavalli, parlò, volse ad essi il saluto;
«Salute! E voi per me fate auguri al pastore di genti
Nèstore, o figli: ch’egli benigno per me come padre
{{R|150}}sempre fu, quando a Troia pugnarono meco gli Achivi».
E gli rispose queste parole Telemaco scaltro:
«Stirpe divina, come desideri, a Nèstore tutto
riferiremo, appena saremo giunti. Oh!, se anch’io,
fatto ritorno in casa, potessi trovare mio padre
{{R|155}}e gli potessi dire che, colmo da te d’ogni grazia,
son ritornato in patria colmato di vaghi presenti!».
Detto ebbe appena; e a destra, nell’ètere, un’aquila apparve,
che fra gli artigli un’oca stringeva d’immane grossezza,
via dalla corte ghermita: seguivan con alti clamori
{{R|160}}uomini e donne; e quella, poiché giunse ad essi vicina,
a destra si lanciò, dinanzi ai corsieri. A tal vista,
lieti fúr quelli, il cuore brillò nel petto a ciascuno;
e Pisistrato, il figlio di Nèstore prese a parlare:
«Spiegaci, Menelao, divino pastore di genti,
{{R|165}}se per te manda, oppure per noi tal miracolo, il Nume».
Disse; e la mente allora raccolse a pensar Menelao,
per dare ad essi, dopo pensato, un’acconcia risposta.
Elena bella però lo prevenne con queste parole:
«Datemi ascolto, ed io l’evento dirò che i Celesti
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XV''|47|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|170}}gittano in cuore a me, come io credo che compiersi debba.
Come quest’aquila, giunta dal monte ov’ha il nido e la stirpe,
quest’oca entro la casa nutrita ghermí: parimenti,
dopo i travagli, e il lungo vagare sul pelago, Ulisse
in patria tornerà, vendetta farà: forse è giunto
{{R|175}}mentre favello; e già pianta seme di danno pei Proci».
E le rispose queste parole Telemaco scaltro:
«Deh!, Cosí voglia d’Era lo sposo, il tonante Croníde!
A te come ad un Nume allor leverei la preghiera!»
Disse: e la sferza vibrò su la groppa ai cavalli veloci.
{{R|180}}Traverso alla città, verso i campi, si spinsero quelli,
e da mattina a sera scuoterono il giogo a galoppo.
Il sole tramontò, s’ombravano tutte le strade,
quando giunsero a Fere, di Diocle innanzi alla casa,
figlio d’Ortíloco, a cui fu padre I’Alfeo. Qui la notte
{{R|185}}trascorsero; ed a loro die’ Diocle doni ospitali.
Come l’Aurora appari mattiniera, ch’à dita di rose,
stretti i corsieri al giogo, balzaron sul cocchio dipinto,
fuor dalla porta li spinser, dal portico tutto sonoro;
quindi le sferze sui dorsi vibrarono; e corsero quelli.
{{R|190}}Súbito quindi alla rocca pervennero eccelsa di Pilo;
e Telemaco allora si volse di Nèstore al figlio:
«Figlio di Nèstore, puoi promettermi quello ch’io chiedo,
e mantenerlo? Noi rende ospiti già da gran tempo
l’amor che i nostri padri stringeva: siam pari negli anni:
{{R|195}}questo viaggio stringe piú ancora la nostra concordia.
Non mi condurre lontano dal mare; ma lasciami, o caro,
nel porto qui: che tuo padre, per darmi ancor prove d’affetto,
mi tratterrebbe ancora: ma d’uopo è che invece io m’affretti».
Cosí diceva. E tra sé di Nèstore il figlio pensava
</poem><noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|48|''ODISSEA''||riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|200}}qual fosse modo piú acconcio di far la promessa e serbarla.
Questo, poi ch’ebbe pensato, gli parve il partito migliore.
Volse i cavalli verso la spiaggia e la riva del mare,
trasse fuori, e posò su la poppa i bellissimi doni,
l’opere d’oro e le vesti che aveva donate l’Atríde;
{{R|205}}gli die’ congedo poi, parlò queste alate parole:
«Ascendi in tutta fretta la nave con tutti i compagni,
prima che a casa io sia giunto, data abbia la nuova a mio padre;
perché questa sicura certezza nell’anima ho fitta:
è veemente il suo cuore cosí, che partire in tal modo
{{R|210}}ei non ti lascerebbe: verrebbe a cercarti egli stesso,
né tornerebbe solo: ché troppo sarebbe il suo sdegno».
E, cosí detto, i vaghi criniti corsieri sospinse
vêr la città dei Pilî, e giunto fu presto alla casa.
Ed esortando i compagni, cosí Telemaco disse:
{{R|215}}«Apparecchiate, compagni, gli attrezzi del nero naviglio,
ed ascendiamo noi stessi la nave, per metterci in via».
Disse: ascoltarono quelli; né furono tardi ad obbedire.
E ne la nave súbito ascesi, sedettero ai banchi.
Questo faceva; ed alzava preghiere Telemaco; e offriva
{{R|220}}un sacrificio ad Atena, vicino alla poppa. Ed un uomo
giunse a lui presso, straniero, che d’Argo giungeva fuggiasco
che aveva ucciso un uomo. Egli era figliuol di Melampo,
vate, che un tempo in Pilo nutrice di greggi abitava,
in una casa tutta ricchezze, su tutte opulenta;
{{R|225}}Poscia fra genti errò straniere, fuggendo la patria,
fuggendo il pro’ Nelèo, mirabil fra gli uomini lutti,
che le sue molte sostanze, pel volgere intero d’un anno,
gli tenne a forza. Dentro la casa di Filaco, intanto,
in duri ceppi avvinto, pativa crudeli tormenti
</poem><noinclude></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione||''CANTO XV''|49|riga=2}}</noinclude><poem>
{{R|230}}per la fanciulla Nelíde, pel folle disegno fatale
che gli gittò nel seno l’Erinni terribile Diva.
Pure, sfuggí la morte, da Filaca a Pilo i mugghianti
bovi condusse, trasse vendetta dell’opera turpe
contro Nelèo divino, condusse la donna al fratello
{{R|235}}nella sua casa; ed egli andò presso genti straniere,
ad Argo, di cavalli nutrice: ché quivi la Sorte
volle ch’ei dimorasse, regnando fra popoli argivi.
Quivi un’Argiva sposò, costrusse un’eccelsa magione,
quivi ad Antífate e Mantio, gagliardi figliuoli, die’ vita.
{{R|240}}Antífate fu padre d’Eclèo magnanimo: Eclèo
diede la vita ad Amfïarao conduttore di turbe,
cui dal profondo cuore l’egïoco Giove ed Apollo
prediligevano; ma non toccò di vecchiezza le soglie;
anzi fu spento in Tebe, mercè della sposa e dei doni
{{R|245}}ch’ella ebbe grati. Alcmeone e Antíloco furon suoi figli:
furono figli di Mantio Polífide e Cleïto: questo
l’ebbe a rapire Aurora, la diva dall’aureo trono,
vaga di sue bellezze, perché fra i Celesti vivesse.
E Polífide, cuore magnanimo, Febo lo rese
{{R|250}}sommo profeta fra tutte le genti, poiché fu defunto
Anfïarao. Sdegnato col padre, questi ora abitava
in Iperèsia, dove partiva responsi a i mortali.
Figlio di questo era l’uomo che giunse a Telemaco. Il nome
era Tëoclimèno. Ristette vicino all’eroe
{{R|255}}che presso al negro suo naviglio libava e pregava,
ed a parlare prese con queste veloci parole:
«Caro, che in questa terra sacrifichi ai Numi, ti prego
pei sacrifici, pel dèmone al quale tu li offri, ed insieme
per il tuo capo stesso, pei tuoi compagni, tu dimmi
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Odissea (Romagnoli)/Canto XIV
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OrbiliusMagister
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Porto il SAL a SAL 75%
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{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Canto XIV<section end="sottotitolo"/>
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Thomas Livingstone
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<noinclude><pagequality level="4" user="Thomas Livingstone" />{{RigaIntestazione|156|''EURIPIDE''||riga=2|s=si}}</noinclude><poem>
{{vc|c=vc|i semicoro}}
E piú là, vedi il folgore
orrido scintillante,
di Giove nella mano,
che saetta lontano.
{{vc|c=vc|ii semicoro}}
Vedo: l’infesto Mimante
con la saetta incenera.
{{vc|c=vc|i semicoro}}
E un altro dei Terrigeni,
con l’imbelle fèrula d’ellera,
Bacco Bromio lo stermina.
<i>Antistrofe II</i>
{{vc|c=vc|coro}}
{{Ct|c=ids|{{smaller|a Ione.}}}}
Dico a te, che stai presso il tempio:
oltre la soglia si concede
ch’io sospinga il mio bianco piede?
{{vc|c=vc|ione}}
No, stranïere, è proibito.
{{vc|c=vc|coro}}
Né sapere potrei...
</poem><noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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{{Centrato|{{x-larger|L’OSPITE}}}}
— Stasera ti porto un ospite, — annunziò per telefono a sua moglie l’avvocato Pineri; — l’incontrai oggi per caso alla Banca; è tuo cugino Renato Faris l’ingegnere, il quale....
— Ah! Renato? — interruppe blandamente Olga Pineri, con quella sua voce grave e lenta che pareva compenetrata di tedio.
— Sono io, cugina, — le gridò Faris con gaiezza, — confessa pure che non ti rammenti nemmeno più della mia faccia; io però conservo della tua un molto vago ricordo.
— Vago, in che senso? — rise ella sottilmente.
— In tutti e due, ma specialmente nel senso più bello, — spiegò Renato, e soggiunse: — Sono passati otto anni, lo sai?
— Bene, li commenteremo questa sera, — concluse Olga Pineri e si volse a sua cognata Germana che ricamava presso la finestra, e le ripetè l’annunzio sorridendo.<noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|l’ospite}}|127|riga=si}}</noinclude>
Questa le alzò per un momento in faccia due freddi occhi grigi, l’ascoltò attenta, poi riabbassò sul lavoro il suo volto chiuso di fanciulla timida e superba, senza parola.
Subito la schietta gioia di Olga, una di quelle serene gioie che tanto raramente ella gustava, s’offuscò sotto quello sguardo e cadde. Le due cognate, costrette a vivere nella stessa casa, non si amavano; esisteva fra la giovinezza ritrosa e proterva di Germana e la maturità tediata e amara di Olga una silenziosa ostilità, una velata insofferenza che le teneva lontane e straniere pur nella quotidiana convivenza, pur nell’avvicendarsi quasi eguale dei loro giorni. Entrambe solitarie per una loro intima fierezza: l’una separata nell’anima da un marito buono e volgare, l’altra ancora oppressa da una angoscia di attesa o forse da una minaccia di troppo prolungata solitudine. L’una più esperta e più abile sapeva apparire men cruda, talvolta quasi amabile, dissimulando bene lo scontento e la noia; ma la più giovine, meno accorta, non addolciva la sua asprigna acerbità, solo la copriva di lunghi silenzi impenetrabili.
L’ospite, Renato Faris, si trovò d’un tratto fra queste due donne per le quali egli rappresentava la novità impreveduta di oggi, forse la promessa oscuramente dolce di domani, e guardandole entrambe e paragonan-<noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|128|{{Sc|l’ospite}}||riga=si}}</noinclude>dole entro di sè egli sentiva che il suo destino o forse il suo volere s’agitava ancora incerto fra l’una e l’altra, meglio attratto dalla gravità consapevole e abbandonata di Olga, più interessato alla malinconia riottosa di Germana.
Egli veniva ad impiantare in quella città, con forti capitali stranieri, una grande società d’areonautica e tutto preso dagli affari s’era quasi dimenticata la lontana parente che vi abitava, quando l’avvocato Pineri udito a caso il suo nome in un ufficio di banca, lo aveva riconosciuto ed invitato a riannodare la antica cordialità. Per via, ampiamente informandolo delle sue varie faccende finanziare e familiari, lo aveva preparato all’incontro con Germana, la sua giovine sorella orfana, la fanciulla largamente provvista di virtù e di dote capitatagli in casa con la morte della vecchia madre.
Renato Faris attraversava una di quelle crisi ambigue del sentimento per cui un uomo, fino ad allora distratto dalla vita affettiva per cause potenti, ove sono in gioco la vita materiale e il bisogno di raggiungere una meta, sente quasi d’un tratto piegare in sè qualcosa di indomabilmente voluto, cioè la necessità dell’essere soli dinanzi al proprio cuore ed alla propria esistenza.
Ora, raggiunto quel grado di benessere e di tranquillità che permette di guardarsi in-<noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|l’ospite}}|129|riga=si}}</noinclude>torno e di scorgervi molto vuoto, egli si rammaricava con sè stesso che di tante rapide avventure, degne ed indegne, nulla gli fosse rimasto, che di tante immagini effimere nessuna gli si fosse fermata accanto per donare e per prendere ancora, per riempirgli di gioia od anche di pena la lentezza superflua di taluni giorni nostalgici.
La casa della cugina, intima, confortevole, ammorbidita quasi dalla sua femminilità raffinata e vigilante, gli si apriva come un rifugio inatteso, come un luogo di sosta riposante ed incitante insieme. Ella lo comprese subito e cercò di attirarvelo maggiormente, sentendolo ansioso della sua stessa inquietudine, parendole intimamente disposto a piegare verso di lei la sua forza raccolta e tenace e cercarvi l’amoroso compimento necessario alla sua attività intensa d’opera ed energia.
Ed a poco a poco le parve ch’egli la sentisse sempre più necessaria alla sua vita, ed a poco a poco ella medesima lo sentì necessario alla propria. Egli veniva ormai ogni giorno in casa sua, vi si fermava molte ore e le rimaneva quasi sempre vicino. Qualche inclinazione somigliante del loro spirito e della loro cultura li sospingeva spesso a lunghe discussioni amichevoli, che facevano fuggire pieno d’allegro orrore l’avvocato Pineri e mettevano una ruga di corrucciata attenzione su la fronte della silenziosa Germana.<noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|130|{{Sc|l’ospite}}||riga=si}}</noinclude>
Una sera ch’egli giunse tardissimo, trattenuto altrove da un affare, Olga Pineri ebbe improvvisamente da sè stessa una rivelazione inquietante. Ella si sorprese più e più volte fissa all’orologio con una specie d’ansietà nervosa che crebbe fino a diventare convulsa. Fu costretta a rinchiudersi nella sua camera onde non esporre il proprio turbamento allo sguardo seguace e ironico della cognata, e quando finalmente il campanello squillò nel silenzio, lo specchio le rimandò un volto così pallido e così felice ch’ella ne provò sgomento. Ma seppe dominarsi, seppe con qualche artificio far scomparire dal suo volto martoriato di donna non più giovane le traccie dell’attesa febbrile. Nè mai come in quella sera egli le parve degno del suo più tenero ardore, bisognoso d’una riposante dolcezza di amore. Affaticato, un po’ triste, solcato nel volto glabro e quadro dai segni della sua pugnace lotta quotidiana per la vita e per la ricchezza, egli appariva pure in qualche momento d’abbandono docile e mite come un fanciullo stanco, e seduto ai piedi della cugina appoggiava la gota alle sue ginocchia come se volesse dormire e la pregava di lasciarlo riposare così.
Germana ripeteva nella stanza accanto, sul piano in sordina, un monotono esercizio che pareva conciliare il sonno e le mani morbide di Olga accarezzavano con gioia tre-<noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|l’ospite}}|131|riga=si}}</noinclude>mebonda i capelli di quell’uomo raccolto ai suoi piedi come uno schiavo e certo ormai suo.
Ella ne provava un piacere trafiggente, composto di languore e di febbre, di paura e di coraggio, e nel silenzio agitato del suo cuore l’attesa della felicità vicina le formava nel petto un vuoto dolorante come se le mancassero l’aria e la vita. Ed entrambi tacevano come se volessero prolungare quello stato di spasimo squisito, certo ed incerto, come se si compiacessero d’allontanare il momento più fervido ma meno incantevole della rivelazione.
Molto tardi Renato Faris s’alzò quasi a malincuore, prese le mani della cugina fra le sue, giocherellò un momento con le dita magre senza guardarla, raccogliendosi, quasi esitasse a dire e pur volesse parlare. Ma non parlò, la salutò in fretta, domandò di Germana che era già a letto e uscì nella strada deserta, camminò sotto le piante snelle d’un viale, vigilato dal cielo da una pallida luna violacea, spiato da un balcone da una pallida donna fremente.
Il domani egli si scusò di essersi abbandonato la sera innanzi ad una familiarità eccessiva e passò la serata a fumare distrattamente, a sfogliare con mano nervosa giornali e riviste che non lo interessavano, forse preoccupato, forse tediato, seguìto in ogni suo atto dallo sguardo tenero ed incerto<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|132|{{Sc|l’ospite}}||riga=si}}</noinclude>della cugina. Ella lo sentiva prossimo ad una determinazione grave e non abbastanza sicuro di sè e di altri per risolvervisi con certezza di vittoria, ma delicata e orgogliosa sebbene appassionata, ella aspettava senza incitamenti la confessione completa di quell’amore stranamente timido, lusingata e irritata insieme di tanto ansioso timore.
Egli le piaceva sempre più, ed ora più che mai l’attraeva con quel suo nuovo spirito di inquietudine e di passione ch’ella già aveva sempre ignorato, immaginandolo solo uomo d’azione e di fermezza, quasi sdegnoso benchè fosse curioso dell’amore e del sentimento. Ella conosceva ora quale fuoco di desiderii e quali impeti d’avidità si celassero sotto il freddo rigore dell’apparenza, turbassero quel lavoratore ostinato che pareva rincorrere solo il balenìo della fortuna e degli onori. E ne gioiva nella sua tenerezza carezzevole di amica, nella sua assetata bramosìa d’amante, compiacendosi nella sua vanità di donna d’aver sollevato e forse per la prima volta in quel chiuso e arido cuore così fiera tempesta. Ed aspettava.
Una sera che Germana s’era ostinata a rimanere presso di loro china sul suo eterno ricamo, Renato fu calmo, rise, scherzò su quel lavoretto misterioso e infinito come la divina misericordia, e non appena la fanciulla si ritirò, tolse dalle mani della cugina il li-<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|l’ospite}}|133|riga=si}}</noinclude>bro ancora intonso del quale ella tagliava le prime pagine e le disse d’improvviso, tenendo strette nelle proprie le sue dita fredde:
— Ascoltami, Olga. Ho bisogno di parlarti stasera.
La sua voce era bassa, quasi trattenuta in gola, quasi espressa a forza dal cuore incerto.
Ella sentì che le labbra le tremavano un poco mentre pronunziava le parole tranquille della risposta, le parole che dovevano mutare il suo destino.
— Parla pure. So che devi confessarmi qualche cosa.
— Tu sai? — domandò il giovine con gli occhi sfavillanti. — Difatti io devo sembrarti un po’ strano da qualche tempo. Ero molto turbato e lo sono ancora; l’incertezza non è uno stato d’animo che mi convenga.
— Povero Renato! — ella sorrise, dolcemente ironica; — una donna ti fa paura, non è vero? Una piccola, debole donna fa paura a un uomo forte e fiero come te.
V’era già nella sua frase velata di falso sarcasmo un principio di dedizione, un bisogno amorevole d’umiltà e di lusinga, v’era già in ispirito l’atteggiamento d’una donna che si promette e che si concede. Egli non sentì che la puntura sottile dello scherno e rise un po’ amaro.
— Non è paura, è superbia forse. Il pericolo d’un rifiuto m’ha trattenuto finora da<noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|134|{{Sc|l’ospite}}||riga=si}}</noinclude>qualsiasi passo decisivo. E prima di tentarlo vorrei la certezza di riuscire.
— Ti risponderò con una frase vecchia, ma giusta, — incitò Olga Pineri col cuore dolente di palpiti sordi; — la fortuna è degli audaci, quando gli audaci sono come te.
Quindi tacque aspettando, e le parve che nell’attimo di pausa il mondo si fosse mutato dinanzi ai suoi occhi fissi. Ma la voce di Renato la disingannò:
— No, cugina, non basta. La dignità di un uomo, — ripeterò la tua frase lusinghiera, — di un uomo «come me» non si arrischia a caso.
— La dignità? — pensò Olga sconcertata senza comprendere e osservò, sorridendo un po’ acre:
— L’esordio è alquanto lungo, mi pare.
— Sì, è lungo, — mormorò Renato battendo il piede a terra concitato; ma subito s’addolcì, si chinò su di lei, le cinse le spalle col braccio e mentr’ella si sentiva morire di gioia dolorosa, le disse quasi sottovoce:
— Credi tu che la signorina Germana mi accetterebbe per marito?
Egli la sentì pesare improvvisamente sul suo braccio come una cosa inerte, ma la vide ridere con le labbra bianche, l’udì ridere stridula col suono falso di una corda spezzata.
— Perchè ridi, perchè ridi così? — doman-<noinclude></noinclude>
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Dr Zimbu
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|l’ospite}}|135|riga=si}}</noinclude>dava il giovine oscurato in volto, temendo d’essere schernito, pronto ad allarmarsi.
Ma ella non lo sapeva; era forse uno spasimo demente, era forse un dileggio per sè stessa, era forse un grido o un singhiozzo che le prorompeva dal cuore così mascherato.
Pure la voce offesa di Renato la colpiva al capo come una pietra, la domanda irosa le risonava dentro dura e chiara.
— Perchè ridi, perchè ridi così?
Allora ella si rese conto che il suo ridere lo ingiuriava, ch’esso lo induceva a un sospetto offensivo per quella sua dignità tanto gelosamente difesa e sentì che ella poteva farsene arma contro di lui, ricambiargli il male orribile che egli le aveva inflitto, prendersi immediatamente la sua rivincita. Si calmò, rispose serena:
— Ma, Dio mio, rido perchè la tua domanda mi pare quasi assurda. Perdonami se sono costretta a dirti una spiacevole verità, ma mia cognata Germana mi ha spesso lasciato comprendere che tu non le sei affatto simpatico. Ti ripeterò anzi le sue parole stesse: ella non ti può soffrire.
— Lo sospettavo, — mormorò Renato Faris fosco, mordendosi il labbro irosamente; — ma talvolta le ragazze sono così strane! Però ho fatto bene a consigliarmi con te, benchè tu mi incoraggiassi con tanta sicurezza.
— Sì, hai fatto bene — ella rispose grave;<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|136|{{Sc|l’ospite}}||riga=si}}</noinclude>poi s’alzò, sollevò la portiera e gettò uno sguardo nella stanza accanto che serviva di studio a Germana. Ma ella non c’era e non aveva udito; forse già dormiva, o forse ancora vegliava inquieta, rôsa dalla sua muta gelosia, ignara che la sua vita era stata in quel momento giocata e che ella aveva perduto.
Renato Faris tornò dall’anticamera col soprabito in dosso e il cappello in mano; la sua faccia era ridiventata quella dell’uomo d’azione, dura, energica e fredda. Salutò la cugina e soggiunse avviandosi:
— Sarà meglio ch’io diradi d’ora innanzi le mie visite; non è piacevole tornare spesso in una casa dove qualcuno non vi può soffrire.
Ella non rispose subito; le parve che sul suo cuore cadesse la violenza brutale di un pugno chiuso.
— Anzi, sarà forse meglio ch’io non ritorni più, — aggiunse l’ospite quando fu su la soglia, prima d’uscire.
— Sì, sarà forse meglio, — potè dire finamente Olga Pineri, e sentì la porta richiudersi sulla sua disperazione.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||||}}</noinclude><nowiki />
{{Centrato|{{x-larger|IL SOTTILE INGANNO.}}}}
Quando morì la contessa Sampieri, Gigi De-Fer scrisse a sua figlia Matilde una lettera commossa ove alle frasi consuete della condoglianza ufficiale si univano taluni ricordi affettuosi della morta, la quale era stata un’amabile creatura piena d’intelligente bontà e di illuminata indulgenza.
Anni innanzi, durante una vicinanza di villeggiatura, egli aveva ammirato con entusiasmo la nobile dama tutta bianca di volto e di capelli che parlava e s’atteggiava con un’arguta eleganza settecentesca, mentre la sua figliuola Matilde, una bionda dagli occhi chiari, taciturna ed enigmatica, seduta al piano in una posa di rigida tranquillità, interpretava con meccanica esattezza i grandi maestri del suono, talora accompagnata da sua cugina Marta, che aveva sedici anni, gli occhiali a stanghetta ed una gran treccia castana su le spalle aguzze da collegiale.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|138|{{Sc|il sottile inganno}}||riga=si}}</noinclude>
Fra quelle due scialbe giovinezze la grazia matura della contessa s’illuminava maggiormente ed era allora fra Gigi De-Fer e Giuliano Lanzi, l’amico intimo che l’ospitava, una gara vivace di motti e di paradossi, la quale ingannava piacevolmente le lunghe serate della villeggiatura autunnale.
Come mai due anni dopo Giuliano Lanzi, lo spirito raffinato, il sognatore avido di bellezza e di gioia, aveva sposato la signorina Matilde, quella figuretta incolore che parlava poco, sorrideva a fior di labbro e si vestiva con la più ingenua goffaggine? Gigi non l’aveva mai compreso e vivendo ora lontano dall’amico, senza che le circostanze della loro esistenza li avvicinassero se non per brevi incontri, troppo fuggevoli per consentire qualche abbandono di confidenza, egli si domandava talvolta se l’apparenza serenamente calma e gravemente soddisfatta di Giuliano fosse la manifestazione sincera della sua intima vita o nascondesse abilmente uno stato d’animo ancora tormentato come quello della sua prima giovinezza o forse una infelicità anche più profonda.
Matilde Sampieri, com’egli l’aveva conosciuta a vent’anni, non poteva essere una compagna adatta per Giuliano. Egli rammentava d’aver sogghignato molte volte con l’amico sorprendendo gli sbadigli male dissimulati coi quali ella assisteva a qualche<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|il sottile inganno}}|139|riga=si}}</noinclude>loro discussione letteraria, o i romanzi rimasti intonsi sul suo scrittoio settimane intere o tagliati solo all’ultima pagina per scoprire la commovente fine della protagonista. E rammentava le divertenti ironie di Giuliano su quelle sue acconciature da istitutrice inglese, sui solini inamidati, le cinture di cuoio e le scarpe larghe a tacco basso. Egli che adorava i lunghi colli nudi e sinuosi emergenti dalle tuniche sciolte, egli che aveva scritto una collana di sonetti sulla figura di {{W|Dante Gabriel Rossetti|Dante Gabriele Rossetti}} e vedeva nella donna il serpe che insidia e allaccia ed avvelena, sorrideva motteggiando di quel fenomeno asessuale che doveva due anni più tardi diventare sua moglie.
Ma certo durante quegli anni la mano delicata e sapiente del poeta aveva tratto da quella piccola crisalide ancora oscura ed incerta la farfalla compiutamente bella che doveva essere la sua compagna e di questo meraviglioso mutamento si convinse Gigi De-Fer quando Matilde Lanzi gli scrisse rispondendo alle sue parole di condoglianza per la morte della contessa Sampieri.
La lettera di Matilde, ampiamente listata a lutto, recava sulla soprascritta e nell’interno una scritturina minuta e comune che non gli disse nulla, ma fin dalle prime frasi, le quali rievocavano con un triste eppure vivace rilievo la figura della madre, parve<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|140|{{Sc|il sottile inganno}}||riga=si}}</noinclude>a Gigi di riconoscere una creatura nuova, vibrante di una sensibilità fantasiosa e malinconica insieme. La lettera accennava fuggevolmente al tempo ormai lontano di quella villeggiatura in cui la presenza di suo marito e dell’amico aveva portata nella loro villa grave di solitudine tanta festosa giovinezza e quanto se ne fosse rallegrato il cuore della povera morta. Finiva pregandolo, anche per parte di Giuliano, di dar loro con qualche assiduità notizie della sua vita presente, tenendo desta fra di essi quella buona fiamma dell’antica amicizia la quale è così confortevole agli spiriti fraterni che il destino separa.
Gigi De-Fer viveva in provincia, dove dirigeva un grande stabilimento industriale, del quale era in parte proprietario e poichè vi si trovavano scarsissime quelle risorse intellettuali delle quali si era pure dilettato in passato, accettò con gioia l’offerta di una corrispondenza amichevolmente cordiale con una donna non ignota, ma diversamente conosciuta, che apriva al suo spirito un orizzonte di vita già familiare eppure nuovo, come un ritorno di giovinezza ammorbidito di nostalgia e forse velato di rimpianto.
Rispose dopo alcuni giorni non nascondendo la sua meraviglia per quel ricordo rimasto così vivo nonostante il tempo e le vicende contrarie e parlò di sè, di Giuliano,<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|il sottile inganno}}|141|riga=si}}</noinclude>della defunta, con una tenerezza quasi riconoscente per lei che gli permetteva di rivivere quel passato con un senso di felicità un po’ stupita, ma tuttavia dolce.
La risposta non si fece attendere molto e gli parve più della prima delicatamente espansiva e soffusa qua e là di grazie letterarie d’un raffinato buon gusto, le quali lo incitarono a replicare dopo qualche tempo su lo stesso tono elegante di disinvolta confessione e gli permisero di deplorare spiritosamente la solitudine intima a cui lo costringeva il borgo selvaggio nel quale gli toccava per ora di vivere.
Matilde Lanzi gli scrisse allora parlandogli di sua cugina Marta, la quale non portava più gli occhiali a stanghetta che in collegio le avevano imposto, ma incorniciava di due ondulate bande di capelli castani la sua faccia un po’ stupita di graziosa miope. Abitava anch’ella in campagna nella villa che possedevano in comune con una vecchia parente che faceva da governante.
Egli sorrise di quelle vaghe allusioni che intendevano propiziare una possibile unione di parentele, ma non vi ammise molta importanza. Ormai era tutto preso dalla gioia di quella corrispondenza con una donna veramente rara di intelligenza e di cultura, la quale lo comprendeva come nessun’altra lo aveva mai compreso e con cui tutte le sue<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|142|{{Sc|il sottile inganno}}||riga=si}}</noinclude>facoltà superiori si trovavano perfettamente a loro agio e si accordavano con una meravigliosa armonia. E senza avvedersene, grado grado, scherzando amabilmente in varie lettere sull’offerta di unire i suoi destini con quelli di Marta egli alludeva, pur senza un esplicito diniego, ad un ostacolo immateriale sì, ma forse perciò più insormontabile, il quale gli impediva di pensare per ora ad altra creatura femminile che non fosse quella del suo sogno. La risposta di Matilde Lanzi che tardò alquanto, aveva un leggiero sapore di canzonatura e cercava di ricondurlo serenamente sopra un terreno più fido insistendo nell’elogio di Marta, ed annunziandogli che fra un paio di settimane l’avrebbe raggiunta con Giuliano in villa per trascorrere con lei qualche tempo; lo invitava a voler essere loro ospite nella casa stessa ch’egli già conosceva e ancora ricordava.
Quella lettera lo esasperò. La corrispondenza durava ormai da parecchi mesi, durante i quali la figura della giovine donna idealizzata dalla lontananza, abbellita da tutto il fascino di una intellettualità squisita, aveva signoreggiato il suo spirito come una immagine non più reale e non ancora fantastica, lo aveva dolcemente dominato e ostinatamente tormentato con l’insistenza morbosa d’una fissazione.
Ella rappresentava per lui il mistero fem-<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|il sottile inganno}}|143|riga=si}}</noinclude>minile più straordinario ch’egli avesse incontrato nella vita e nell’arte, quello d’un mutamento così profondo da renderla irriconoscibile. Si domandava se anche nel suo fisico la stessa evoluzione si fosse compiuta e avesse fatto della goffa personcina rigida e inconcludente d’un tempo la creatura di grazia e di sensibilità che traspariva dalle sue lettere. Le rilesse tutte, ad una ad una, soffermandosi con trepido rapimento sopra talune frasi più affettuose, scrutandone l’intimo significato, cercandovi un oscuro senso di tenerezza, e tentando d’illudersi ch’esse lo avevano, forse inconsapevolmente, sospinto verso una meno fraterna amicizia ed autorizzato a manifestarla.
Certo il marito non seguiva ormai più tale assiduo carteggio e non esercitava alcuna sorveglianza sopra una donna troppo intelligente ed orgogliosa per tollerarla, quindi non tardò a convincere sè stesso che conveniva scriverle un’ultima lettera, fra addolorata ed offesa, nella quale la complicazione sentimentale che lo conturbava apparisse inasprita d’una specie di pietà beffarda per sè stesso e di amara invidia per la serena indifferenza della donna. Non avventurò incaute dichiarazioni d’amore, ma il represso fremito che correva tutta la lettera rivelava senza confessare, esprimeva senza dire, era come un commento musicale destinato ad<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|144|{{Sc|il sottile inganno}}||riga=si}}</noinclude>accompagnare parole non dicibili e ad imprimerle profondamente nel cuore preparato ad accoglierle.
Dopo attese per molti giorni in una calma torbida che riusciva ad imporsi mediante uno sforzo di volontà crudele e vedeva succedersi l’oggi all’ieri ed il domani all’oggi senza che nulla mutasse, senza che la risposta disperatamente invocata giungesse. Trascorse una settimana, ne trascorsero due, e poichè la lettera non veniva, Gigi De-Fer, martoriato dalla più febbrile inquietudine, si risolse a prendere una estrema decisione.
Lo assillava il dubbio d’averla offesa ed irritata ed insieme la speranza ch’ella non si arrischiasse a scrivergli per timore di compromettersi; anche lo incoraggiava il pensiero ch’ella stessa lo aveva invitato alla sua villa, in apparenza per favorire le illusioni della cugina, ma forse in realtà per una più egoistica ragione. Matilde doveva appunto trovarvisi in quei giorni e poichè l’incertezza gli riusciva ormai intollerabile, egli mandò un laconico telegramma a villa Campieri annunziando il suo arrivo pel domani.
Partì nervosissimo chiedendosi cento volte se non commetteva una sciocchezza od una sconvenienza e trovò alla stazione il vecchio giardiniere della contessa il quale lo riconobbe e coi suoi discorsi bonarii, coi suoi<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|il sottile inganno}}|145|riga=si}}</noinclude>sospirosi rimpianti del passato gli diede un poco di serenità.
— La contessina Matilde giungerà solo domani, ma c’è la signorina Marta — avvertì il vecchio portandogli le valigie lungo il viale coperto di vite americana che gocciolava tutto della pioggia recente.
E Marta apparve sul peristilio di granito grezzo stretta in un ''golf'' di grossa lana bianca con le mani in tasca e gli occhi un po’ socchiusi come per distinguere l’ospite nell’ombra verde del viale e dargli il ben venuto col suo sorriso accogliente.
Le spalle aguzze della collegiale s’ammorbidivano ora in una linea fragile ma graziosa e la densa treccia circondava la testina appiattendosi sulle onde molli dei capelli che ricoprivano le orecchie e velavano gli occhi, grandi e grigi ma un po’ vuoti e fissi, come gli occhi dei miopi.
— I miei cugini mi avevano annunziato la sua visita, ma non la speravo, — ella disse porgendogli le mani sottili e calde e traendolo nella sala ove la tavola apparecchiata per due attendeva.
E Gigi De-Fer, rincuorato dall’amabilità ospitale della fanciulla e dalla certezza di poter svelare fra breve il mistero d’amore che lo turbava, incominciò a ritrovare sè stesso e al caffè, fra le sigarette e i liquori, in quella grande sala ove la povera contessa<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|146|{{Sc|il sottile inganno}}||riga=si}}</noinclude>Sampieri passava e s’atteggiava con la sua grazia settecentesca, affluirono al suo ricordo le immagini del passato, lo indussero a rievocarle con una delicata malinconia che la sua segreta agitazione sentimentale rendeva dolcemente elegiaca.
— Solo le cose sono fedeli al passato e non mutano, — egli diceva sospirando, — ma questa virtù o, se vogliamo, questo difetto non è degli uomini.
— Nè delle donne, — sorrise Marta avvicinandosi al vasto specchio della parete per gettarvi uno sguardo.
E Gigi che lo raccolse sorrise a sua volta:
— Nè delle donne in particolare. Ella s’è mutata in pochi anni in un modo sorprendente, come del resto dev’essersi meravigliosamente cambiata sua cugina Matilde.
Marta che gli volgeva le spalle appuntandosi i capelli dinanzi alla grande specchiera si volse di scatto a considerarlo, e il sorriso indefinibile che tremava sulle sue labbra era interrogativo ed ironico ad un tempo.
— Ha veduto recentemente Matilde? — ella domandò con una dissimulata meraviglia, e poichè Gigi, perplesso, tardava a rispondere ella aggiunse con semplicità: — Se esiste creatura al mondo assolutamente incapace del minimo sforzo verso un qualunque mutamento sia intellettuale che materiale, quella è mia cugina e inutilmente per anni Giu-<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|il sottile inganno}}|147|riga=si}}</noinclude>liano ha tentato di trasformarla secondo i suoi gusti di raffinato intelligente. Ella è rimasta e senza sua colpa quella che era a vent’anni: tranquilla e mediocre, fredda e docile come una bambola meccanica.
Gigi De-Fer ascoltava fra incredulo e sbalordito, attaccandosi all’ultimo sospetto che quella ragazza, intuendo la sua appassionata ammirazione per la cugina tentasse di abbassarla per una comprensibile gelosia dinanzi ai suoi occhi.
Ma l’altra gli si era seduta in faccia e sfogliando una rosa col capo chino ad osservarla continuava con voce tranquilla:
— Io le voglio molto, molto bene, povera Matilde e Giuliano stesso è un modello di marito, ma essi sono diversi come il giorno e la notte, come l’acqua e il fuoco; c’è fra di essi una incompatibilità inconciliabile, sebbene vivano in apparenza nel più completo accordo.
Gigi meditò un momento, pensò a quelle lettere riboccanti di sensibilità, scintillanti di spirito, squisite di oscure tristezze e credette di poter sciogliere per sè e per Marta l’enigma di quella vita di donna.
— Sua cugina deve possedere una intensa vitalità interiore che non può rivelarsi al marito, che non può esprimersi con le parole consuete ma che in talune circostanze favorevoli e ad uno spirito affine che la sappia<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|148|{{Sc|il sottile inganno}}||riga=si}}</noinclude>intendere si deve manifestare con una sincerità strana e inaspettata.
— Per esempio? — domandò Marta con un piccolo sorriso fra curioso e scettico.
— Per esempio, io so che sua cugina ebbe con un amico mio una lunga corrispondenza epistolare, assolutamente fraterna ed innocente, nella quale ella appare come uno spirito di donna superiore, intelligente, colta e sensibile fino alla raffinatezza.
Marta s’alzò lentamente, andò alla vetrata, sollevò la tenda e guardò il cielo poi ritornò in silenzio, sedette, appoggiò i gomiti alla tavola e guardò intensamente i suoi anelli avvicinandoli agli occhi come se li vedesse per la prima volta. Quindi si decise a parlare.
— S’io conoscessi quel suo amico, — disse con sarcastica fermezza, — sarei costretta a distruggere in lui questa illusione prima che essa gli facesse qualche male e gli rivelerei un piccolo segreto che non ha d’altra parte alcuna importanza se non quella di servire all’orgoglio eccessivo di un uomo ed alla sciocca docilità di una donna.
— Che cosa intende dire? — domandò Gigi fingendosi indifferente, mentre il suo piede picchiava il suolo col ritmo accelerato della sua impazienza nervosa.
— Intendo dire che Giuliano Lanzi, sentendosi umiliato di una moglie così inferiore<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|il sottile inganno}}|149|riga=si}}</noinclude>a sè stesso, le fa scrivere sotto dettatura tutte le sue lettere. Ed ecco perchè quel suo amico ha potuto ingannarsi sul conto di mia cugina. Ella non fu che un’intermediaria; chi corrispondeva con lui era suo marito.
Successe a quelle parole un lungo silenzio durante il quale il pendolo loquace che sovrastava all’ampio camino parve scandire con compiacenza lo stupore profondo e iracondo dell’ospite. Egli lanciava incontro al soffitto affrescato, a ondate rapide e violente il fumo della sigaretta, come se vi scagliasse con sdegnata collera le vane e grottesche illusioni d’amore nate da quell’inganno sottile.
Ora egli comprendeva le grazie letterarie di quello stile epistolare che lo avevano affascinato, la malinconia nostalgica di quelle rievocazioni e il silenzio opposto alla sua ultima lettera. Era la giovinezza di Giuliano e la sua che s’erano ritrovate in quella corrispondenza, che s’erano confidate l’una all’altra, che s’erano amate attraverso alla fredda inconsapevolezza di quella piccola donna mediocre.
Nell’agitazione tumultuosa della scoperta singolare Gigi De-Fer sentì il bisogno di essere solo con sè stesso per indagarsi e per calmarsi.
— Io vado a fare qualche passo in giardino com’è mia abitudine prima di ritirarmi,<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|150|{{Sc|il sottile inganno}}||riga=si}}</noinclude>— disse a Marta con un sorriso grave. E si diresse verso la gradinata che scendeva al cortile.
Ella comprese quella necessità di meditazione e non lo seguì, ma come egli fu sulla soglia ella lo richiamò con voce esitante, mormorò perplessa:
— Resterà con noi alcuni giorni? Giuliano ne sarebbe tanto felice, ed anch’io.
Egli ritornò indietro, venne a stringerle la mano, rispose quasi con tenerezza fissando quei grandi occhi grigi ed incerti:
— Sì, resterò; per Giuliano e per lei.
E sentì che la stolta illusione sentimentale creata dal sottile inganno incominciava forse già per opera sua a dileguare.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||||}}</noinclude><nowiki />
{{Centrato|{{x-larger|QUESTA È LA VERITÀ.}}}}
Sergio Kadar, chiamato in tutto l’albergo «l’ungherese», perchè vestiva qualche volta il suo costume nazionale e perchè si portava in giro pel mondo, oltre allo ''chauffeur'' ed al cameriere, quattro tzigani autentici incaricati di blandire le sue malinconie di gran signore volontariamente esiliato, passeggiava nervosamente su e giù per la vasta terrazza in faccia al mare ed il suo sguardo irrequieto pareva spiare l’arrivo di qualcuno atteso con impazienza.
I quattro suonatori, stretti nel loro vivace costume zingaresco, tacevano rispettosamente coi loro strumenti sulle ginocchia, raggruppati in un angolo e non attendevano che un cenno del loro signore per ricominciare la loro musica o per andarsene in silenzio. Ma egli sembrava averli dimenticati e solo la sua faccia magra e bruna dai tratti accentuati e<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|152|{{Sc|questa è la verità}}||riga=si}}</noinclude>dalle labbra sottili, si rischiarò d’improvvisa gioia quando una figurina bianca ed un ombrellino rosso apparvero tra i palmizi del viale e l’ombrello vermiglio, simile a un grande fiore, si agitò verso di lui in un gesto di gaio saluto.
Sergio Kadar protese tutte e due le braccia dalla balaustrata, quasi per afferrare la donna e sollevarla in un attimo fino a sè e poichè ella s’avviava alla gradinata egli le corse incontro e congedò con un cenno gli tzigani taciturni.
Bianca Olinti, chiusa in una giacca mascolina e in una corta gonna di panno avorio, con un grande fiore rosso all’occhiello e un enorme paradiso nero sul piccolo cappello calzato fino alle sopracciglia, appoggiò il dorso alla balaustrata con le mani a mezzo affondate nelle tasche della giacchetta e prima di parlare lasciò che Sergio la baciasse con religione e poi deponesse con cura l’ombrellino rosso; ma quando parlò ella disse una cosa grave: — Mio marito giunge domani.
Sergio Kadar si piantò dinanzi a lei con un volto così tenebroso ch’ella ne sorrise scuotendo il capo con una specie di pietosa ironia.
— Che aria tragica, povero Sergio! Evidentemente questo annunzio non vi procura uno straordinario piacere, — ella disse ridendo con leggera malizia; — eppure, — continuò — non v’è proprio alcun rimedio; egli verrà<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|questa è la verità}}|153|riga=si}}</noinclude>domani e per portarmi via. Ecco il suo telegramma.
Trasse un foglietto dalla tasca della sua giacca e lo porse piegato a Sergio. Ma questi non lo prese e continuò a fissarla con i suoi occhi infossati nei quali pareva passare il bagliore d’una minaccia.
— Egli non vi porterà via, — proruppe finalmente con una voce bassa ma alterata dall’ira e dall’angoscia. — Da dieci giorni voi mi appartenete ed io sono pronto a tutto, mi capite? a tutto, pur di non cedervi a quell’uomo che odio.
— Ma quell’uomo è mio marito, riflettete, Sergio, — pregò Bianca con dolcezza, — quell’uomo ha dei diritti che voi non avete ed è il padre del mio bambino; io posso averlo per un momento ingannato, ma abbandonarlo no, mai.
— Ah voi l’amate, dunque? — sogghignò Sergio con le braccia conserte sul petto. — Eppure l’avete tradito con me, con lo straniero di passaggio e forse soltanto per il piacere dell’avventura. Ma io vi amo, io non vi voglio perdere, io mi sono attaccato a voi con tutta la mia volontà selvaggia e non vi lascerò.
Bianca Olinti era giunta un mese e mezzo innanzi in quella città di mare, convalescente di una grave malattia, e poche settimane dopo vi capitava l’ungherese coi suoi servi,<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|154|{{Sc|questa è la verità}}||riga=si}}</noinclude>coi suoi zingari, con quel suo apparato tra barbaro e scenografico che gli attirava l’attenzione di tutti, e con meraviglia ella lo aveva visto occuparsi a poco a poco di lei con una insistenza sempre più palese, avvolgerla in lunghi sguardi imploranti, seguirla durante le passeggiate, mandarle in camera bellissimi fiori, senza rivelarsi. Finchè un giorno ch’ella aveva prolungato troppo la sua ora di passeggio e sedeva un po’ pallida e molto stanca sopra un muricciuolo in aperta campagna, si vide raggiunta dall’automobile dell’ungherese, il quale le rimproverò dolcemente la sua imprudenza e la pregò di accettare la sua vettura per tornare all’albergo.
Da quel giorno, un po’ per curiosità un po’ per noia, ella non aveva respinta la corte fervidissima di quell’uomo a cui nessuna affinità di spirito o di razza l’avvicinava e, senza amore, si era lasciata trascinare grado grado dalla veemenza di quel desiderio a tutte le concessioni. Ora, il pensiero che il marito tornasse a riprenderla, a scioglierla da quel passeggiero e pur già grave legame le sollevava il cuore da un peso forse di rimorso e forse di sazietà, le dava quasi un senso benefico di liberazione. Le proteste di amore eterno e di fatale passione di Sergio Kadar le erano sembrate sempre esagerazioni leggermente teatrali, gesti decorativi fatti per colpire la sua immaginazione o forse per in-<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|questa è la verità}}|155|riga=si}}</noinclude>cuterle un certo oscuro timore di drammatici scioglimenti. Ma se ciò le era parso dapprima quasi divertente, ora incominciava ad inquietarla e le risolute parole con le quali egli si dichiarava pronto a lottare con qualunque mezzo pur di non perderla, le mettevano nelle vene un piccolo brivido di paura.
Egli si stringeva da qualche minuto il capo fra le mani come per costringere il suo pensiero ad uno sforzo penoso di ricerca mentre la donna seduta sull’orlo d’uno sgabello col ginocchio fra le dita intrecciate batteva rapidamente a terra un piede nervoso sogguardandolo dal basso in alto, quasi in attesa di una conclusione.
— Ascoltatemi, Bianca; ascoltatemi, cara bambina, e comprendete, vi prego, il mio dolore; — egli mormorò sedendole accanto con una voce così tremante e supplichevole che ella senza mutare il suo atteggiamento di rassegnata impazienza gli lanciò uno sguardo indagatore. — Io sento che senza di voi la mia vita è spezzata; io non sarò più che un infelice costretto a portare pel mondo la sua oscura disperazione. Non dite di no, vi supplico, Bianca; lasciatemi parlare con tutto il mio cuore. Voi mi avete pur dato una prova grande d’amore e non dovete allontanarmi così, sfuggirmi all’improvviso, cacciarmi dalla vostra vita come un intruso, come un nemico. Pregate vostro marito che<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|156|{{Sc|questa è la verità}}||riga=si}}</noinclude>vi lasci ancora qui, ditegli che la vostra salute lo esige, procuratevi la complicità di un medico, fingetevi ammalata se occorre, ma per carità, non andatevene, non partite, restatemi ancora un poco, restatemi per sempre.
Bianca Olinti sospirò, chiuse gli occhi e sollevò le sopracciglia come per chiedergli mentalmente perdono dell’inganno e disse alzandosi: — Sì, non dubitate, Sergio; farò come voi volete, fingerò, mentirò ma non è detto che tutto ciò riesca a convincere ed a commuovere mio marito. Ed ora lasciatemi andare, debbo vestirmi pel pranzo.
Egli le baciò tutte e due le mani e l’accompagnò per un tratto senza parola, poi tornò indietro, chiamò i quattro tzigani e sotto gli archi agili dei violini, in faccia al mare violaceo, irruppero ed empirono la molle aria vespertina i singhiozzi prolungati d’una canzone magiara.
Il domani quand’egli scese a colazione e trovò seduto in faccia a Bianca un signore giovane, elegante, dall’aria gioviale, che le parlava con animazione e la faceva ridere spesso, non bevette che due bicchieri d’acqua ghiacciata fumando innumerevoli sigarette senza distogliere da lei il suo sguardo torvo.
— Chi è quella specie di zingaro che ci divora con gli occhi come se avesse deciso di far colazione con le nostre teste? — domandò Rinaldo Olinti alla moglie, la quale<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|questa è la verità}}|157|riga=si}}</noinclude>gettò a Sergio uno sguardo distratto e rispose gaiamente: — Ah! Quello è l’ungherese, un curioso tipo ricco sfondato ed altrettanto pazzo. Te lo presento, se vuoi.
— Per carità, — protestò Rinaldo quasi scansandosi da quel pericolo con un gesto vivace, e soggiunse: — Ma tu lo conosci a quanto pare; anzi, sembra che la mia presenza non lo riempia precisamente di gioia.
— Che vuoi; è un esaltato, piuttosto pericoloso per certe sue strane fissazioni. Egli non parla che delle sue conquiste, s’immagina d’essere enormemente interessante e crede che tutte le donne lo amino alla follia, quindi è geloso per sistema di tutti gli uomini. Pare che con questi principii abbia già combinato parecchi guai.
Bianca Olinti pronunziò queste parole di preventiva difesa col volto più sereno e la voce più indifferente, sbucciando una banana per offrirla al marito con un amabile sorriso.
In quel momento Sergio Kadar s’alzò e poco dopo s’udirono vibrare sui palmizi alte e lontane le prime battute d’una marcia guerriera.
— È Kadar che s’inebria di musica, — spiegò Bianca nell’uscire in giardino, ed aprendo l’ombrellino rosso, mentre suo marito infilava il braccio nel suo e s’avviava con lei alla marina, ella si volse un attimo e lo vide dritto e nero sull’alta terrazza,<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|158|{{Sc|questa è la verità}}||riga=si}}</noinclude>intento a seguirla, col suo sguardo corrucciato.
Egli la spiò per tutta la giornata ed a sera, dopo pranzo, poichè Rinaldo parlava d’affari con un collega di banca incontrato per caso all’albergo ed ella sfogliava poco lontano una rivista d’arte, riuscì a sorprenderla un momento sola.
— Quando riparte vostro marito? — le domandò rude chinandosi sulla sua spalla come per osservare le illustrazioni del fascicolo che ella leggeva.
— Domani sera, — ella rispose e senza scomporsi aggiunse: — ed io con lui.
Ella sentì i denti di Sergio scricchiolare di collera contenuta e vide la sua faccia illividire:
— Costringerò vostro marito a partire senza di voi, — egli mormorò quasi senza muovere le labbra tuttora chino ad esaminare la tricromia che danzava sotto i suoi occhi.
Ella rise sommessamente voltando la pagina, sebbene il cuore le fosse balzato in gola.
— Mi ucciderete? — domandò con soavità.
— No, farò di peggio, — egli rispose, — lo obbligherò a scacciarvi, ed allora dovrete per forza....
Non terminò la frase poichè Rinaldo sopraggiungeva e la salutò profondamente, ritirandosi.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|questa è la verità}}|159|riga=si}}</noinclude>
— L’ungherese ti fa la corte? — domandò il marito ridendo.
— È naturale, — ella rispose con disinvoltura e subito aggiunse preoccupata: — Sai, ho riflettuto che sarebbe meglio partire domattina. Non mi piace viaggiare di notte; accadono così di frequente disastri ferroviari! Hai osservato? Tutti i giorni uno.
— Sì, cara, — consentì il marito sorridendo teneramente di quelle improvvise paure; — tu hai mille ragioni, ma io ho fissato per domattina un appuntamento di affari e non potrò mancare. Partiremo con un treno del pomeriggio e speriamo di sfuggire per questa volta alle catastrofi.
— Speriamolo! — ella ripetè con un profondo sospiro pensando a ben altro che a disastri ferroviari. E non cessò di vigilare suo marito per tutta la sera, lo vide il mattino dopo andarsene tranquillo al suo convegno d’affari, lo attese nell’atrio dell’albergo per evitargli cattivi incontri. A colazione Sergio Kadar non discese. Si udivano i suoi quattro violini gemere disperatamente tra i sospiri della brezza meridiana e il palpito ritmico del mare.
— Finchè i violini suonano io sono tranquilla; egli è lassù e non si muove, — pensava Bianca Olinti sorridendo senza comprendere alle facezie spiritose di suo marito. Cosicchè non si allarmò quando una vecchia signora, recente conoscenza d’albergo, venne<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|160|{{Sc|questa è la verità}}||riga=si}}</noinclude>a salutarla dopo colazione e Rinaldo uscì a fumare in giardino.
I violini suonavano sempre, ma Sergio Kadar discendeva per la scala esterna della sua terrazza e si dirigeva per un piccolo viale ombroso incontro a Rinaldo Olinti. Quando gli fu vicino s’inchinò e gli disse con voce ferma: — Permettetemi di presentarmi: io sono Sergio Kadar....
— Ungherese — completò Rinaldo osservandolo con curiosità. Egli aveva indossato il suo costume nazionale ad alamari ed a cintura con alti stivali e speroni d’argento. Ma non ostante la fierezza del suo volto, su quello sfondo di mare azzurro e di cielo calmo in quel giardino di palmizi e di rose, pareva un personaggio d’operetta.
— Signore, io vi debbo parlare di una cosa gravissima, — egli annunziò con un tono melodrammatico che fece sorridere Olinti e soggiunse: — ma non qui all’aperto, naturalmente. Compiacetevi di seguirmi.
Infilò un vialetto laterale ed entrò in un piccolo chiosco di finta roccia dov’erano alcuni sedili ed un tavolino di marmo. Rinaldo che lo aveva docilmente seguito e trovandosi in un’ottima disposizione di spirito, si divertiva di quella scena a finale incerto, sedette sul tavolino, appoggiò un piede a terra e l’altro sopra uno sgabello e continuò a fumare aspettando.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|questa è la verità}}|161|riga=si}}</noinclude>
L’altro in piedi dinanzi a lui lo fissò un momento coi suoi occhi infossati nell’orbita, poi allargò le braccia e dichiarò cupo:
— Signore, da dieci giorni io sono l’amante di vostra moglie. Questa è la verità.
Seguì una pausa durante la quale Rinaldo Olinti ebbe un primo pensiero: quello di sferrargli un pugno nel petto e mandarlo a ruzzolare nella ghiaia del viale; e poi subito un altro: ch’egli si trovava dinanzi ad un allucinato, ad un maniaco, degno non di collera ma di pietà. — Probabilmente costui fa la corte a Bianca da dieci giorni, — riflettè — e nella mistica esaltazione della sua anima semi-barbara mi annunzia forse a scopo di espiazione che ne è l’amante. Bisogna placarlo e sopratutto non prenderlo sul serio.
E mentre l’altro s’aspettava lo scoppio della gelosia formidabile, propria del bollente sangue italiano, lo vide sorridere con bonomia maliziosa e battergli sulla spalla piccoli colpi benevoli come si fa per blandire un cavallo ombroso od un visionario inquietante.
— Caro signore, io comprendo che voi dovete essere un uomo straordinariamente fortunato con le donne. Ne avete tutte le qualità, — gli disse con un ostentato sospiro d’invidia.
— Signore, vi ripeto che vostra moglie ha con me una colpevole relazione. Questa è la<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|162|{{Sc|questa è la verità}}||riga=si}}</noinclude>verità, — ribattè con forza Sergio Kadar, sottraendosi con sdegno ai gesti concilianti del suo rivale.
Ma questi non si scompose, nè mutò il tono leggermente canzonatorio della sua voce.
— Nei nostri paesi, carissimo signor Kadar, — gli spiegò con calma offrendogli una sigaretta che l’altro rifiutò con disprezzo, — l’amante non ha l’abitudine di raccontare queste cose al marito tradito. Se ne incarica per lo più un amico intimo, una lettera anonima, il caso. Il colpevole no; a meno che non sia un imbecille od un farabutto.
— Signore, io non sono nè un imbecille nè un farabutto! — protestò l’ungherese stravolto, picchiando al suolo il suo piede speronato.
— Non ne dubito affatto, — affermò Olinti — ed è perciò che vi faccio l’onore di non dare importanza alle vostre parole. Ed ora addio, caro signore, — soggiunse osservando il suo orologio, — io parto fra mezz’ora e mia moglie mi aspetta.
S’allontanò pel viale ed incontrò subito Bianca che lo cercava dovunque, dominando a stento una terribile ansia. Ma il sorriso tranquillo di suo marito la rassicurò.
— L’ungherese ha voluto salutarmi. È un pazzo curiosissimo.
— Davvero? — sorrise Bianca mordendosi<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|questa è la verità}}|163|riga=si}}</noinclude>le labbra e s’appese al braccio di suo marito perchè le gambe le si piegavano.
In quel momento Sergio Kadar saliva lentamente la scala marmorea tutto scintillante e pittoresco nel suo costume magiaro e s’accasciava a terra col volto fra le palme in mezzo ai suoi quattro tzigani. Allora i violini attaccarono solennemente una marcia funebre.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||||}}</noinclude><nowiki />
{{Centrato|{{x-larger|NESSUNA COLPA.}}}}
La campana garrula squillò mentre il battello con un moto faticoso dell’elica si staccava dall’approdo e girava al largo.
L’acqua era tutta azzurra fra il verde delle colline ondulate e le isolette vi si posavano come grandi fiori acquatici, immobili sotto il sole meridiano. Ma gli scarsi passeggieri del piroscafo non badavano al paesaggio. C’erano due vecchie inglesi ossute e occhialute come il giovine pastore protestante che le accompagnava, tutti e tre assorti nella lettura di una guida, coi tre medesimi cappelli di paglia nera un po’ inclinati sulla fronte ad ombreggiare i volti quasi eguali. C’erano quattro negozianti, due grassi e due magri, intenti a scrivere cifre sui loro taccuini; ed una coppia di sposi in viaggio di nozze occupati a sorridersi ed a guardarsi negli occhi.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|nessuna colpa}}|165|riga=si}}</noinclude>
Soltanto una signora vestita di nero in un grave lutto vedovile, s’appoggiava al parapetto proprio sotto il ponte di comando e col velo rialzato sul suo fine volto di donna trentacinquenne osservava intorno a sè quelle linee e quei colori già tanto famigliari al suo sguardo, con la dolcezza affettuosa di chi ritrova ancora immutati e fedeli gli amici dimenticati.
Portava un piccolo cappello chiuso ai lati da due alette di crespo nero listato di bianco, simile al casco di una deità guerriera ed aveva di certe statue classiche il profilo puro, i capelli biondi spartiti in due onde uguali, il collo agile e saldo emergente da una piccola scollatura rotonda. Ma la persona alta e smilza aveva la nervosa struttura moderna e le mani calzate di guanti neri che correvano tratto tratto a fermare il velo agitato dalla brezza, s’indovinavano lunghe e fini, piene d’impazienza e sensibilità.
Appena lasciato l’ultimo approdo qualche nuovo passeggiero apparve e la signora in lutto, gettato sui sopraggiunti un rapido sguardo, corrugò la fronte in una vivace espressione di disappunto e traendosi il velo sul volto volse il capo dal lato opposto. Ella aveva scorto e subito riconosciuto Romeo Valturba, il giovine che si era tre anni innanzi inimicato con lei e con tutta la sua parentela abbandonando quasi alla vigilia delle<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|166|{{Sc|nessuna colpa}}||riga=si}}</noinclude>nozze la piccola Viviana Claresi, sua nipote e pupilla.
Ella stessa, d’accordo con la madre di lui, aveva vagheggiato e favorito quel matrimonio che doveva unire due bei nomi e due belle sostanze, e più d’ogni altro si era sentita offesa quando Romeo Valturba, senza una spiegazione, senza una scusa accettabile era partito per un lungo viaggio, all’improvviso, lasciando alla fidanzata una lettera breve in cui la lasciava libera, dichiarando di non sentirsi capace di renderla felice e chiedendole perdono. Il mistero di quella fuga non era stato sciolto nè allora, nè dopo; nessuno di casa Valturba aveva più messo piede in casa Claresi, e voci diverse esprimenti supposizioni e dubbi che si contraddicevano e si distruggevano a vicenda, circolarono per qualche tempo fra amici e conoscenti, senza nulla spiegare e senza convincere nessuno.
Si diceva che Romeo avesse in cuore qualche altra Giulietta e il facile bisticcio, passato di bocca in bocca, era anche giunto a Viviana in una lettera d’amica fin laggiù nel suo collegio francese dov’ella aveva voluto tornare dopo la delusione.
Si diceva pure e con maggiore fondamento che una colpa d’origine nella vita della giovinetta, ossia una madre di condizione equivoca, sposata soltanto per legittimare la figlia e morta poco dopo la sua nascita, fosse ve-<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|nessuna colpa}}|167|riga=si}}</noinclude>nuta a conoscenza dei Valturba un po’ tardi, ma ancora in tempo per deciderli a troncare ogni progetto d’unione.
Tale suscettibilità poteva sembrare troppo esagerata per essere convincente, tanto più che il padre di Viviana, noto a tutti come corretto gentiluomo, l’aveva lasciata anni innanzi, legandole un bel patrimonio e affidandola alle cure di sua zia, la giovine contessa Gabriella Claresi.
Più tardi, Viviana, lasciato a forza il collegio e dimenticato l’infedele fidanzato, aveva sposato un altro e sua zia, rimasta vedova da alcuni mesi, tornava in quella sua villa sul lago dove i due giovani s’erano un tempo conosciuti e dove ella subìta la irritante sconfitta, aveva dovuto consolare il dolore e l’umiliazione dell’abbandonata.
Ella continuava ora a fissare attraverso al suo velo l’azzurro paesaggio lacustre, irrigidendosi in quella posa d’ostentata indifferenza, quasi di altera lontananza, che doveva intimidire e ferire Romeo Valturba. Ed in realtà il giovine, fermo ad alcuni passi, la contemplava quasi estatico con un volto commosso ed impaurito ad un tempo. Egli teneva in una mano il cappello e si passava l’altra nelle brune chiome ondulate con un moto lento e convulso, pieno di perplessità e d’affanno.
Aspettava ch’ella si volgesse, che i suoi<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|168|{{Sc|nessuna colpa}}||riga=si}}</noinclude>occhi si posassero distrattamente sulla sua persona per osare di salutarla, per tentare d’avvicinarsi e di parlarle, ed intanto non gli sfuggiva l’ostilità fredda del suo atteggiamento così bene accentuato dalla severa eleganza del lutto, dallo scultorio cadere di qualche piega, dal bel cappello tetro ed alato che chiudeva con armoniosa simmetria il fine volto dall’esatto profilo.
Ella non si muoveva e finalmente con uno sforzo di tutta la sua volontà, con una abolizione di tutto il suo amor proprio, Romeo Valturba le si accostò ed inchinandosi profondamente le chiese il permesso di ossequiarla.
Ella gli volse lentamente lo sguardo, come se prima d’allora non lo avesse scorto e abbassò il capo in un dignitoso saluto, senza porgergli la mano.
— Mi perdoni, — proseguì il giovine mal celando la sua commozione — se ho ardito d’avvicinarmi a lei pur sentendomi tanto mal giudicato, pur sapendomi tanto disdegnato.
— Oh! — esclamò ella soltanto con un piccolo riso fra amaro e sprezzante, un riso di gelo che non riuscì a paralizzare l’umile fervore di Valturba.
— Io le mandai le mie condoglianze mesi fa, alla morte di suo marito — egli continuò — e non ebbi risposta. Non l’aspettavo, è vero,<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|nessuna colpa}}|169|riga=si}}</noinclude>ma questo silenzio mi ha fatto molto male. Sapevo d’averla involontariamente offesa, ma m’illudevo di non avere in lei, almeno in lei, una nemica mortale.
— Nemica mortale è troppo — ella mormorò sarcastica, — è troppo per così piccola cosa. Di grande in tutta quella poco simpatica faccenda non vi fu che la sua leggerezza. Ora Viviana ha preso marito ed è felice: perchè dovrei serbarle rancore di una colpa che è tornata soltanto a suo danno?
Il battello si fermò ad un altro approdo, gli inglesi discesero, salì altra gente e la campana di partenza tornò a squillare, mentre l’elica rompeva rumorosamente l’acqua azzurra in un gorgo di spume candide. I due viaggiatori, appoggiati al parapetto del ponte, avevano seguìto le manovre in silenzio, ma lo sguardo del giovine si era spesso rivolto alla sua compagna con una così viva ansietà scrutatrice che pareva volesse penetrarne il pensiero.
— Fra pochi minuti io scendo, — ella avvertì gettando uno sguardo al minuscolo orologio di smalto nero che le ornava discretamente il polso.
Egli sbattè le palpebre e si passò la mano sulla fronte col suo gesto abituale di perplessità affannosa, poi disse tentando un sorriso:
— Io non la vedrò forse mai più, non<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|170|{{Sc|nessuna colpa}}||riga=si}}</noinclude>l’avrei forse più riveduta senza l’incontro così casuale, quasi direi così fatale d’oggi.
— È probabile, — ella mormorò freddamente, a fior di labbra.
— Ebbene, bisogna ch’io approfitti di questi pochi minuti che il destino mi concede per farle una confessione.
Ella gli gettò un’occhiata interrogativa sollevando le sopracciglia. Egli proseguì:
— In tutto quello che accadde io fui senza colpa; io fuggii vilmente, è vero, ma fuggii per non essere colpevole più tardi, per salvarmi da una terribile tentazione, per togliermi ad una situazione dolorosa e falsa.
Ella lo osservava stupita e interdetta, pur sentendo nella sua voce l’accento della verità.
— Io avrei amato e sposata Viviana se vicino a lei non vi fosse stata un’altra donna infinitamente più bella, più attirante, più inquietante, se vicino a Viviana non vi fosse stata lei.
Le ultime parole furono appena susurrate con un’ansietà quasi timida, con uno sforzo quasi angoscioso e la donna che le ascoltava ne fu scossa.
— Il mio torto fu quello di lasciarmi trascinare dalle circostanze fino ad un momento troppo decisivo e poi di fuggire vigliaccamente, con un pretesto puerile, meritandomi l’odio di Viviana e il suo disprezzo. Ma se<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|172|{{Sc|nessuna colpa}}||riga=si}}</noinclude>da Romeo Valturba. E come furono in basso presso il rumore assordante delle macchine in moto, si fissarono un lungo momento senza parola, costretti dalla folla a una tale vicinanza ch’ella incontro al suo braccio sentiva battere il cuore del giovine.
Gli uomini gettarono il ponte d’approdo e quando tutti furono passati, anche la contessa Gabriella Claresi vi si diresse con un gesto di saluto.
— A domani, dunque? — la supplicò Romeo Valturba, ed ella gli si volse, abbassò il capo in un cenno di consenso.
Quindi attraversò il ponte ultima e sola sottile e nera, con la bella persona drappeggiata nobilmente nel velo vedovile.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||||}}</noinclude><nowiki />
{{Centrato|{{x-larger|È SCRITTO NEL DESTINO.}}}}
Entrambi salirono in treno ed attesero nel corridoio che il conduttore dello ''sleeping'' avesse rifatto il piccolo letto, quindi entrarono nella cabina e sedettero sulla cuccetta bassa. Il mantello, il cappello, l’ombrellino della donna appesi ai ganci delle pareti oscillavano in ritmo al moto uguale del treno e la sigaretta dell’uomo riempiva d’una nebbiolina azzurra e mobile di fumo il breve spazio, saliva a velare la intensa luce rossa delle lampadine.
Andarono così per qualche tempo senza parlare, senza guardarsi, sentendosi uniti e pure divisi dall’inesorabilità di uno stesso pensiero e fu prima la donna, Clemenza Aureli, quella che lo espresse con le dure parole:
— Ancora un’ora e poi tutto sarà finito.
Egli le afferrò nervosamente una mano, intrecciò le dita nelle sue dita e sospirò cupo:
— Lo so, lo sappiamo; perchè dirlo, perchè ripeterlo? È inutile.<noinclude></noinclude>
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— No, è utile: io ho bisogno di dirlo a me stessa, di sentirmelo dire per darmi forza e per crederlo vero.
Ugo Leardi si chiuse la fronte tra le palme e senza scoprire i suoi occhi, senza volgersi alla compagna, quasi temesse di vederne lo sguardo, mormorò:
— Enza, Enza, siamo ancora in tempo a riprenderci. Tutto non è forse finito, ci potremo amare ancora come prima, più di prima. Non diciamoci ancora addio, non lasciamoci ancora per sempre.
Ma la donna tacque e quando egli la fissò con gli occhi torbidi la vide scuotere il capo lentamente come per manifestare una pietà commossa per entrambi.
— No, — ella disse, — è la fine necessaria, fatale, voluta dalle cose e da noi stessi. Perchè trascinare avanti un amore durato quasi due anni e vissuto con tanta passione, con tanta felicità e con tanto dolore, perchè trascinarlo avanti per abitudine e per inerzia fino alla sazietà completa, fino alla nausea? Meglio spezzarlo ora finchè questa ferita ci fa ancora male, finchè ci lascia ancora qualche rimpianto e qualche desiderio.
— Lo vuoi, lo vuoi assolutamente? — domandò Ugo afferrandola alle spalle e scrutandola negli occhi come per leggervi ancora un resto d’esitazione, per trarne un baleno di speranza.<noinclude></noinclude>
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Ella dolcemente gli prese le mani e se le raccolse sul volto quasi per mitigare la crudezza della risposta:
— Bisogna! — susurrò quasi più con l’atteggiamento delle labbra che con la voce. — Bisogna lasciarci: è scritto nel destino.
Allora egli si staccò da lei, s’irrigidì in un’attitudine di forzata calma e sogghignò:
— Forse hai ragione....
Avevano passato una settimana insieme in un paesello di mare, come facevano da due anni, non appena la professione di Ugo Leardi gli concedeva alcuni giorni di libertà e ritornavano ora, egli alla sua cittadina dell’Italia centrale ove dirigeva un grande stabilimento elettro-tecnico, ella alla sua città settentrionale dove viveva sola con una matura cugina zitella, da quando il marito dopo pochi mesi di matrimonio, l’aveva abbandonata per un’altra donna.
Quegli otto giorni di intimità erano stati in taluni momenti stranamente penosi per entrambi. Clemenza si era sorpresa alcune volte ad annoiarsi o ad impazientirsi della vicinanza perenne dell’amante ed aveva còlto in lui stesso qualche atteggiamento distratto, qualche gesto di stanchezza che le avevano rivelato verso quale nuova fase si avviasse forse il loro amore: la fase malinconica della sazietà. E coraggiosamente si era proposto di impedire ch’esso declinasse e morisse così<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|176|{{Sc|è scritto nel destino}}||riga=si}}</noinclude>di lento esaurimento; fermamente aveva manifestato all’amante la necessità di troncare quell’amore di colpo e di separarsi per sempre.
Il treno andava attraverso la notte col suo rombo eguale e il silenzio durava nella breve cabina chiusa. Ancora pochi minuti ed Ugo Leardi sarebbe disceso in una piccola stazione male illuminata, sarebbe scomparso nell’ombra per sempre. Ora egli indossava adagio il suo soprabito, poneva a terra la sua valigia, sulla cuccetta il cappello e l’ombrello e per l’ultima volta stringeva Enza fra le sue braccia con avida passione.
— Addio, addio, addio, bambina, dolcezza, anima mia. Addio; non guardarmi così con quegli occhi sperduti. Non vedi che piango se mi guardi così?
Ella piangeva veramente, abbandonata sulla spalla di lui, smarrita, dolente, chiedendosi se non fosse stata troppo crudele o troppo imprudente a volere quella fine.
Con una scossa brusca il treno si fermò. Egli depose un ultimo bacio leggero sui capelli di Enza ed uscì nel corridoio preceduto dal custode che portava la sua valigia. Enza lo accompagnò in silenzio, in silenzio porse alle sue labbra la destra, mentre egli, a terra, seguiva d’alcuni passi il treno che già si muoveva. Quindi lasciò quella mano e rimase fermo nell’ombra della stazione quasi buia, finchè si confuse nell’oscurità della notte.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|è scritto nel destino}}|177|riga=si}}</noinclude>
Enza tornò lentamente alla sua cabina, vi si rinchiuse e s’abbandonò inerte sulla cuccetta. Qualche cosa di freddo l’urtò al viso: era il portasigarette d’oro di Ugo che egli aveva dimenticato nell’accomiatarsi. Ella lo prese, lo considerò a lungo e sospirò, afferrata d’un tratto da un senso confuso di nostalgia e di malinconia. Ecco l’unica cosa che le rimaneva di lui, un freddo oggetto scordato per distrazione e ch’ella gli avrebbe alla prima occasione rimandato. Lo rinchiuse nella sua borsetta e incominciò adagio a spogliarsi, cullata senza posa dall’ondeggiare del treno. Infilò una lunga camicia da notte in seta viola, girò la chiavetta della luce e si distese aspettando il sonno. Ma il sonno non venne, il sonno esulò lontano dai suoi occhi stanchi, spalancati nel buio e per tutta la notte, chiusa in quella prigione fuggente ella non ebbe che un pensiero, un ricordo, un rimpianto: Ugo, Ugo, Ugo. Dov’era? Che faceva? Che pensava? Dormiva sognando di lei o vegliava con desiderio e con rammarico di lei? Mai più, mai più si sarebbero incontrati pel mondo? Avrebbe egli presto un’altra amante? E come sarebbe? Bionda e magra come lei o bruna invece e florida per necessità di contrasto?
Le parve un momento che una voce straziante come un grido la richiamasse indietro implorando. Sussultò, le sembrò di mettersi<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|178|{{Sc|è scritto nel destino}}||riga=si}}</noinclude>a correre e di cadere di colpo a terra. Si scosse, si destò, comprese: la voce straziante era il fischio della locomotiva, il colpo violento l’arrestarsi improvviso del treno. Poco dopo il custode bussò discretamente alla sua porta avvertendo che fra mezz’ora si giungeva.
La luce dell’alba penetrava fra l’una e l’altra tendina abbassata, accendeva un raggio nello specchio incassato nella porta del gabinetto di ''toilette''. Essa vi entrò, si rinfrescò il viso e le braccia con l’acqua limpida, ravviò i suoi capelli scomposti, si rivestì in un momento, uscì nel corridoio.
Un americano gigantesco, con un largo volto da donna sbarbato e roseo vi passeggiava in ''pigiama'' di seta gialla commentando alla moglie, ch’era in ''kimono'' di seta azzurra, il sorgere lento del sole sui colli. Parevano in casa loro: ella sgretolava un pezzo di cioccolato, egli fumava e di tanto in tanto le circondava le spalle col braccio, finchè la costrinse a voltarsi e scomparvero entrambi nella loro cabina. La beatitudine della serenità era così manifesta sul loro placido volto, che Enza li invidiò. Perchè non poteva essere anch’ella così, guardare l’aurora succhiando un confetto e sentendo intorno alle sue spalle il braccio d’Ugo, il quale serenamente l’amava?
Ahimè! ella era composta di un’altra so-<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|è scritto nel destino}}|179|riga=si}}</noinclude>stanza umana, fatta d’inquietudine, di tormento e di contraddizione. Di contraddizione specialmente, la quale la spingeva a rinnegare oggi ciò che era stato la sua gioia di ieri, a rimpiangere domani la sua schiavitù di oggi.
Fatalmente per questa maligna malattia del suo spirito, ella già si pentiva di aver spezzato poche ore prima la sua catena, già rammaricava la libertà concessa all’amante, già si sentiva gravare addosso la solitudine e il vuoto del suo cuore.
Giunse a casa sua, dove la matura cugina l’aspettava, con un mal di capo così violento che si pose subito a letto e vi rimase quasi tutto il giorno. Le pareva che fosse inutile alzarsi, muoversi, ricominciare a vivere la consueta esistenza, quando l’unica ragione della sua vita era scomparsa, non la sorreggeva, non la incitava più. Sempre, quand’ella ritornava dopo aver passato con Ugo alcuni giorni, erano telegrammi e lettere senza fine per esprimersi l’un l’altro tutto il rimpianto della lontananza, per ricordare ad uno ad uno tutti i momenti più gaudiosi o più dolorosi della loro intimità, per affrettare col desiderio e con l’augurio il rinnovarsi di un altro incontro, di un’altra più lunga vita in comune.
Ora nulla. Ella non telegrafò e non scrisse nè ricevette da Ugo una parola. Eppure le<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|180|{{Sc|è scritto nel destino}}||riga=si}}</noinclude>pareva sempre che una parola di lui le dovesse giungere da un giorno all’altro, da un’ora all’altra, anche una sola espressione di ricordo o d’amicizia, anche solo una domanda semplice che le chiedesse notizie del piccolo astuccio d’oro dimenticato vicino a lei. Ma non giungeva nulla ed ella non osava, non poteva scrivergli per la prima mentre ella stessa aveva così fermamente voluto la fine del loro amore, lottato quasi contro la volontà di lui per mantenersi incrollabile nella sua fiera risoluzione.
Ed intanto i giorni passavano vuoti ed eguali, veniva il tempo in cui tutti fuggivano la città ed Enza ignorava ancora come e dove avrebbe trascorso i suoi mesi estivi. L’anno innanzi s’era lasciata portare da Ugo in un paesetto di montagna e vi aveva vissuto parecchie settimane di felicità. Ella rammentava ora con quale entusiasmo s’era procurato i pesanti abiti, semplici, comodi, quasi mascolini di taglio e i larghi feltri molli destinati alle escursioni che non aveva poi nemmeno tentate. Ma ora che le importava di vestiti e di cappelli se non dovevano piacere ad Ugo, se dovevano solo adornarla per sè stessa o per gente estranea?
Come tutti i grandi amori il suo s’era circondato di solitudine e di mistero, l’aveva isolata dal mondo, costretta a trascurare amici ed amiche, troppo sospettose e vigili<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione||{{Sc|è scritto nel destino}}|181|riga=si}}</noinclude>compagnie per lasciarle godere e soffrire in segreto la sua passione e la sua schiavitù. Ora quella schiavitù dalla quale si era a forza liberata le pareva necessaria alla sua vita, la sentiva il compimento ed il fine di essa. Ella si paragonava ad uno di quegli uccelletti vissuti lungamente in gabbia i quali, quando s’apre la porta della loro prigione, non sanno più volare lontano e vi ritornano smarriti, pigolando, quasi implorando d’esservi ancora rinchiusi.
Già parecchie settimane erano trascorse in queste affannose inquietudini, quando un giorno sua cugina l’avvertì che una loro comune parente, la contessa Lanzi, le invitava a passare un mese in una sua grandiosa villa dov’ella esercitava la più amabile ospitalità.
Enza riflettè un momento. Sapeva che per giungere a Villa Lanzi occorreva passare nella città che Ugo abitava e pensò che ella avrebbe potuto vederlo al passaggio; aveva per ciò un pretesto plausibilissimo, quello di riconsegnargli il prezioso oggetto smarrito. Disse alla cugina che accettava l’invito ed insieme stabilirono di partire tre giorni dopo.
Ella mandò la sera stessa ad Ugo una lettera-telegramma in cui lo informava laconicamente delle sue decisioni e lo pregava di venire a ritirare alla stazione il portasigarette dimenticato nel suo ''sleeping''.<noinclude></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Dr Zimbu" />{{RigaIntestazione|182|{{Sc|è scritto nel destino}}||riga=si}}</noinclude>
Il domani egli telegrafò: «Infinite grazie: verrò certamente».
Partirono in un treno affollato, pieno di caldo e di odori grevi, ma a poco a poco quasi tutti i passeggieri discesero, e giunta la sera non rimasero nello scompartimento che le due signore. Viaggiavano da oltre sette ore quando giunsero nella città che Ugo Leardi abitava, e mentre il treno si fermava Enza, affacciata allo sportello, lo vide uscire dalla sala d’aspetto, venirle incontro con un sorriso. Ella gli porse l’astuccio d’oro che Ugo intascò con un «grazie» distratto e chinandosi tutta verso di lui gli disse, quasi in soffio:
— Vorrei parlarti.
— Quando? — egli domandò corrugando la fronte.
— Anche subito, — ella rispose, perplessa, temendo di spiacergli.
— Allora discendi, — egli concluse calmo, aprendo lo sportello.
Enza pregò rapidamente la cugina di scusarla presso la contessa Lanzi e d’avvertirla che sarebbe giunta il domani. Poi discese e un momento dopo, seduta in una carrozza al fianco di Ugo, ella gli si stringeva al fianco tremando, come una povera bestiola che avesse ritrovato finalmente il suo padrone.
Con dolcezza egli le domandò: — Che vuoi dirmi, Enza?<noinclude></noinclude>
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Ma ella per un momento non potè rispondere: aveva appoggiata la fronte sulla sua spalla e ve la scuoteva incontro, gemendo, come per penetrare in lui, come per fargli sentire il fuoco del suo dolore e del suo amore. Egli ripetè: — Che vuoi dunque dirmi, Enza?
— Che ti amo, che ti amo, che non posso vivere senza di te, che non dobbiamo lasciarci.
La risposta fu come un grido represso, come un urlo soffocato. Ugo la cinse, sentì sotto il suo braccio il giovine corpo senza busto, pieghevole, tepido, voluttuoso e si chinò su di lei, le baciò il collo scoperto, la strinse a sè, le mormorò sorridendo:
— Ti ricordi che cosa mi dicesti quella sera in treno? Bisogna lasciarci: è scritto nel destino.
— Il destino lo facciamo noi, — ella rispose sogguardandolo con gli occhi carezzevoli. Ma subito si sollevò, si protese in ascolto.
S’udì il fischio e l’ansare del treno che ripartiva in mezzo alla notte muta, sotto una luna pallida e raggiante come un ostensorio.<noinclude></noinclude>
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Anime allo specchio/L'ospite
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<noinclude><pagequality level="4" user="Pebbles" />{{RigaIntestazione||{{Sc|xvii. 1823 - ritorno a recanati}}|161}}</noinclude>{{Indent|2|Così scriveva {{AutoreCitato|Giacomo Leopardi|Leopardi}} a Jacopssen: lettera interessante, perché molto pensata, scritta con un linguaggio filosofico, che dà indizio dei suoi studi e dei suoi autori favoriti, e dove è il succo dei suoi pensieri sulla vita. Quel suo «vivere è sentire» rassomiglia al «vivere è godere» di {{AutoreCitato|Claude-Adrien Helvétius|Elvezio}} e altri sensisti. O la vita non ha scopo, o il suo scopo è la felicità.}}
{{Pt|{{Spazi|8}}}}{{smaller|''Qu’est-ce-donc que le bonheur, mon cher ami? et si le bonheur n’est pas, qu’est-ce donc que la vie? Je n’en sais rien.''}}
Io non voglio ancora esaminare il valore di questo concetto; ciò che importa è determinarlo, se vogliamo intendere bene la storia intima di Leopardi. Vivere è sentire, amare, sperare. Or questi beni si trovano tanto meno nel reale, quanto maggiore è la capacità di sentire, e la ricchezza della vita interiore.
{{smaller|''Tous les objets lui échappent, précisément parce qu’ ils sont plus petits que sa capacité.''}}
Facile è il godimento agli animi volgari; ma l’uomo, uso a riflettere, «''ce qui est toujours propre des esprits sensibles''», dotato di una vita interiore sovrabbondante che lo spinge sempre verso la vita esteriore, «''ne pouvant jamais être content de soi-même, ni cesser de s’examiner, et se défiant toujours de ses propres forces, il ne sait pas faire ce que font tous les autres''». È la teoria del Genio infelice. Non potendo trovare appagamento nella vita esteriore, si chiude in sé, si nutre di sé, trova nei lavori dell’intelligenza e della immaginazione quella felicità, che il reale non gli può dare.
Sogna e ama i suoi sogni; e non cerca di realizzarli, perché il reale è molto inferiore alle immagini.
{{smaller|''Plusieurs fois j’ai évité pendant quelques jours de rencontrer l’objet qui m’avait chármé dans un songe délicieux. Je savais que ce charme aurait été détruit en s’approchant de la réalité.''}}
La virtù, come tutto ciò che è bello e grande, non è che un’illusione. Ma se questa illusione fosse comune a tutti, se<noinclude>{{PieDiPagina|{{x-smaller|{{Sc|11 — De Sanctis}}, ''Leopardi''.}}||}}</noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Pebbles" />{{RigaIntestazione|162|{{Sc|giacomo leopardi}}|}}</noinclude>tutti fossero sensibili — «''car je ne fais aucune différence de la sensibilité á ce qu’on appelle vertu''» — , non sarebbero piú felici?
''La sociètè ne devrait-elle pas s'appliquer á réaliser les illusions autant qu’ il lui serait possible, puisque le bonheur de l’homme ne peut consister dans ce qui est réel?''
Dunque la virtù è una illusione, tutto ciò che è bello e grande è una illusione, la donna è una illusione. La società ha il torto di cercare nel reale la felicitá, e non gusta che i godimenti ''des âmes vulgaires''. Gli spiriti eletti sono felici, quando possono vivere nelle loro illusioni e delle loro illusioni.
Questi sono i pensieri, questi i sentimenti che ci aiutano a comprendere il ''Bruto'' e la ''Saffo'', e ci spiegano tre altre poesie alla ''Primavera'', ai ''Patriarchi'', alla ''Sua Donna''.<noinclude><references/></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Pebbles" /></noinclude>{{Ct|t=8|v=1|XVIII}}
{{Ct|v=3|w=5px|1822-23</br></br></br>«ALLA PRIMAVERA» E L’«INNO AI PATRIARCHI»}}
Se il ''Bruto'' e la ''Saffo'' furono scritti prima che {{AutoreCitato|Giacomo Leopardi|Leopardi}} andasse a Roma, o dopo, è una ricerca senza importanza. Certo è che furono scritti nel giro di questo tempo e di questi sentimenti. La poesia ''Alla Primavera'' fu scritta probabilmente a Recanati in maggio, nel suo ritorno da Roma, col cuore gelido, in mezzo alla volgarità della sua vita. La primavera ha prodotto sempre un grande effetto sul suo animo. L’infelice passò la sua vita a desiderare, ad attendere ciascuna primavera, sempre con que’ chi sa! che sono un’altra illusione. Avea passato l’inverno benino; la salute era buona, potea studiare, farsi le passeggiate. L’odore della primavera svegliò nel suo cuore certi palpiti insoliti, la memoria della sua giovinezza. Ma furono velleità, ed egli ci ragiona sopra e ci fa dei versi.
Il poeta non ha la forza di trasportarsi in mezzo a quella bella natura, aspirarla, goderla. E non ha neppure la forza di disperarsi, di alzare le grida. Non sente la primavera pur descrivendola e ragionandovi su. Le immagini si spuntano in concetti, in contrasti, in riflessioni. Vuol dire: — Tornata è la primavera, ma non torna la mia giovinezza — . Questo lo pensa, ma non lo sente. E n’esce una forma discorsiva, che i punti interrogativi non valgono a riscaldare. Il poeta se la piglia con la scienza, l’«atra face del vero», che ha distratta ogni vita {{Pt|poe-}}<noinclude><references/></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Pebbles" />{{RigaIntestazione|164|{{Sc|giacomo leopardi}}|}}</noinclude>{{Pt|tica|poetica}} della natura, com’era nei tempi giovani dell’umanità, secondo le favole antiche. Il concetto era stato già espresso nella canzone al {{AutoreCitato|Angelo Mai|Mai}}. Ora è ripigliato e sviluppato, forma anzi il vero contenuto di questa canzone. Tema vecchio della poesia contemporanea, questo lamento della morte delle antiche divinità. {{AutoreCitato|Vincenzo Monti}} se la pigliava coi romantici, come se fossero dessi che avessero abbattuto l’Olimpo. A lui parea che senza mitologia non ci fosse poesia possibile, come se la sostanza della poesia fosse in quelle forme morte, divenute convenzionali. Più dirittamente Leopardi accusa la scienza, vera e sola omicida delle vecchie favole. Monti avea torto, e Leopardi non ha ragione.
La poesia non ha bisogno di nessuna mitologia per esser viva, e la natura continua ad esser viva senza Apollo e senza Diana. I fiori e l’erbe e i boschi non vissero solamente un dì; vivono sempre nel nostro cuore e nella nostra immaginazione. E se talora paiono morti, è una nostra illusione. Ciò che è morto, non è in loro, ma è al di dentro di noi, quando il sentimento diviene ottuso, e non sentiamo più la natura vivente. Quando il poeta scriveva alla graziosa luna, la luna era a lui ben viva, ancorché fosse morta la casta Diana. Certo, l’umanità nella sua giovinezza aveva messo nella natura quella vita che è in noi, e l’aveva animata e umanizzata, popolando di esseri cieli e mari e inferni. Ora che l’umanità è adulta, tutti quegli esseri, figli dell’immaginazione giovanile, sono scomparsi: e non è però la natura men bella e meno interessante. Deplorare dunque la morte di quelle forme, come se ivi fosse la vita della natura e la sostanza della poesia, e pigliarsela con la scienza, non è cosa ragionevole.
Ma la poesia non è filosofia, e la verità poetica è altra cosa che la verità filosofica. La verità poetica è ciò che è creduto vero dal poeta e produce sul suo animo effetti estetici. Leopardi vede nella caduta dell’Olimpo la morte di tutte le illusioni, la fine della giovinezza, il nulla delle umane cose. E questo è assai più che non si richiede per rendere interessante questa poesia. E in verità, se il poeta avesse qui il sentimento vivo e le impressioni profonde, e se l’immaginazione svegliatasi per davvero lo trasferisse tutto in quella vita antica e gliela animasse e gliela {{Pt|co-}}<noinclude><references/></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="4" user="Pebbles" />{{RigaIntestazione||{{Sc|xviii. 1822-23 - «alla primavera»}}|165}}</noinclude>{{Pt|lorisse|colorisse}}, niente mancherebbe all’effetto estetico, e noi ci vivremmo dentro, e sentiremmo quelle impressioni, e avremmo quelle immaginazioni. Ma la primavera non ha destato nel suo animo che alcune velleità di sentimento e d’immaginazione.
C’è ancora del torpore in quella vita interiore, da qualche tempo muta. Il poeta non s’è svegliato bene, ci si sente la sonnolenza della vita quotidiana. Perciò si accosta all’argomento con animo di erudito, e più disposto a ragionare che ad immaginare. Nella sua memoria erudita tornano le candide Ninfe, e gli agresti Pani, e la faretrata Diva, e la ciprigna luce, e Dafne e Filli, e le arcane danze degli Iddii e lo spirar delle foglie. Tornano nella memoria, ma rimangono fuori dell’immaginazione; sì che quella bella natura conscia dell’uomo ci sta innanzi come una storia poco sentita e senza eco. Manca il contrasto con la natura indifferente, mancano le impressioni che quelle immagini fanno sul suo spirito. Il pastore che ode lungo le ripe l’arguto carme di agresti Pani, e vede tremar l’onda, dove occulta si bagna Diana, l’uomo del bosco che sente tra le foglie palpitar Dafne e la mesta Filli, sono immagini estranee al nostro sentire, una storia opaca, senza luce, senza ripercussione. Il motivo poetico è la natura pensosa de’ mortali ed ora obbliviosa. Ma è un prima e un poi staccato, successivo, non compenetrato, sì che l’uno sia di
lume e di rilievo all’altro, come nei celebri versi:
{{Blocco centrato|{{smaller|Roma antica rovina;</br>Tu sí placida sei?...}}}}
{{Noindent|dove si sente più questa natura morta all’uomo che non in questa canzone. E non è a dire che il poeta non ci abbia messo tutto il suo, anzi è questo uno de’ suoi lavori più sudati. Ci si sentono le cancellature e i ritocchi di uno spirito malcontento, ostinato alla lima.}}
Il periodare è talora faticoso e avviluppato, con molta agglomerazione di oggetti e dissuetudine di immagini, che ti arrestano per via; principalmente nella seconda e terza strofa. Cito, fra l’altro, quello «accogliere al petto gl’ispidi tronchi». Fra tanti<noinclude><references/></noinclude>
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="4" user="Pebbles" />{{RigaIntestazione|166|{{Sc|giacomo leopardi}}|}}</noinclude>morti rivive solo Eco, che «insegna al curvo etra» le querele umane, immagine còlta dal vero e felicissima, che sopravvive alla ninfa, e ci produce tutta l’illusione di una vita presente, perché, se la ninfa è ita, è rimasta quella sua apparenza di cosa animata. In una età più giovane Leopardi ai primi effluvii primaverili sentì risorgere in sé certe antiche immagini, e invocò la Natura perché gli rendesse la giovinezza: anche qui prega la vaga Natura che gli renda la «favilla antica». Ma qual differenza nello stato del suo animo! Quella è prosa, una lettera al Giordani; questa è poesia. Pure, lì trovi un profondo sentimento poetico, ci senti il giovane ancora entusiasta, ancora resistente al fato; qui ammiri, ma resti freddo; senti l’uomo della vita quotidiana, già abituato a certe idee e a certi sentimenti.
Spinto lo sguardo nella giovinezza delle nazioni, in quel primo fiore di una immaginazione fresca che umanizza cielo e terra, il poeta si riposa in quelle memorie di lontane età, dove trova la felicità negata ai presenti. Quella contemplazione non produce in lui un perfetto obblio, sì che si tuffi entro e ci viva, assaporando in immaginazione quella felicità che non trova nel reale. Né il contrasto tra quelle prime felici età e il presente vale a trargli dal petto stanco altro che un sospiro appena sensibile. Sicché deboli sono le forze dell’immaginazione e del sentimento, e vi supplisce l’erudizione, lo studio meccanico della forma, la riflessione. Questo è il carattere della canzone alla ''Primavera'' ed anche dell’inno ai ''Patriarchi'', che paiono nati a un parto, sotto la stessa costellazione psichica.
Anzi, in questo inno la forma è anche più severa, più aliena da ogni impressione sentimentale e da ogni moto concitato d’immaginazione. È scritto secondo il modello dell’antico inno greco, puro racconto della vita d’Iddii e d’Eroi. Non c’è luce nel cervello; la faccia è oscura e monotona; non c’è neppure quel sorriso involontario di soddisfazione, che accompagna l’artista nella felice espressione anche di cose triste. Così mi rappresento io la faccia poco animata del poeta, quando scriveva. Ricorrono sempre i dolori presenti nella contemplazione di quella beata età, ma dolori divenuti quotidiani e abituali, che non colpiscono<noinclude><references/></noinclude>
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<noinclude><pagequality level="1" user="Utoutouto" />{{RigaIntestazione|866|''Indice delle frasi''||riga=sì}}</noinclude>{{Colonna}}
{{Pg|241|Non minor virtus est tueri et perficere rem inventa.... quam reperire. 746.}}
{{Pg|446|Non mi tolgano la gloria di morir povero. 1318.}}
{{Pg|517|Non multa, sed multum. 1534.}}
{{Pg|102|Non nobis solum nati sumus. 354.}}
{{Pg|448|Non, non: est, est. 1323.}}
{{Pg|36|Non olet. 135.}}
{{Pg|296|Non omnia possumus omnes. 932.}}
{{Pg|536|Non omnibus dormio. 1598.}}
{{Pg|50|Non omnis moriar. 188.}}
{{Pg|736|Non parce que, mais quoique. 2057.}}
{{Pg|498|Non parto, non resto. 1477.}}
{{Pg|625|Non passeranno. 1837.}}
{{Pg|704|Non plus ultra. 1922.}}
{{Pg|435|Non possidentem multa vocaveris <nowiki>|</nowiki> Recte beatum. 1289.}}
{{Pg|715|Non posso, non devo, non voglio. 1976.}}
{{Pg|715|Non possumus. 1977.}}
{{Pg|156|Non potes successorem tuum occidere. 515.}}
Non praevalebunt. 1300.
Non quod intrat in os, coinquinat hominem. 17 12.}}
Non ragioniam di lor, ma guarda e passa. 1949.}}
Non reliquetur hic lapis super lapidem qui destruatur. 2006.
Non rempublicam suam esse, sed se reipublicse. 1 350.
Non restar pietra sopra pietra. 2006.
Non saprei.... non li ho contati. 1710.
Non saremo abili, ma sopratutto vogliamo essere onesti. 675.
Non scese, no, precipitò di sella. 2042.
Non serve, Anselm, degh on quattrin per un. 136.
Non siamo nati soltanto per noi. 354.
Non si commetta al mar chi teme il vento. 1327.
Non si passa! 1 83 7 .
Non son poi di quei babbioni | Che si fanno infinocchiar. 2049.
Non so se il riso o la pietà prevale. 1972.
Non sum propheta, et non sum filius prophetae. 453.
Non tali auxilio, nee defensoribus istis | Tempus eget. 172.
Non tibi sed Petro, cui successor es, parem. 286.
Non ut edam vivo, sed ut vivam edo. 1767.
Non v’accorgete voi, che noi siam vermi | Nati a formar l’angelica
farfalla. 736.
Non v’è animale più invidioso del letterato. 809.
Non veder non sentir m’è glll ventura. 251.
Non videbis annus Petti. 1304.
Non vi è più nessuna legge internazionali’. 1X87.
Non vitae sed scholae discimus. 1542.
Non vogliamo encomi! (Non voglamo ingoimi). 1856.
Non volo mortem impii | Sed ut convertatur et vivat. 1077.
Non vos elegistis me, sed ego elegi vos. 1303.<noinclude></noinclude>
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Piccola morale/Parte prima
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{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>PARTE PRIMA. — OSSERVAZIONI GENERALI.<section end="sottotitolo"/>
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== Indice ==
* {{testo|/I. Le opinioni}}
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* {{testo|/IV. La credenza e la credulità}}
* {{testo|/V. La memoria}}
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* {{testo|/VII. Dritto e rovescio}}
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{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>PARTE PRIMA. — OSSERVAZIONI GENERALI.<section end="sottotitolo"/>
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== Indice ==
* {{testo|/I. Le opinioni}}
* {{testo|/II. La certezza}}
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<noinclude><pagequality level="4" user="Treshor" />{{RigaIntestazione||{{Sc|capitolo xxviii}}|137}}</noinclude>
Noi abbiamo Gasparone, che sconta oggi ancora (1870) nelle prigioni di Civita Castellana il tradimento del Papa. — I Francesi contano Cartouche; e gl’Inglesi Robin Wood. — Gli ultimi ed i più atroci li avemmo in questi ultimi tempi, come i Crocco, i La Gala, i Fuoco.
Nei tempi di cui scriviamo (1860) l’individualità brigantesca più famosa era Talarico il Calabrese, temuto in tutta l’Italia meridionale, e che percorreva da padrone, ora solo ed ora accompagnato da bande. — Noi già lo conoscemmo in Palermo incaricato d’assassinare il Capo dei Mille, ed ora lo ritroviamo nella cittadella di Messina, ricevendo istruzione per un colpo di mano.
Il brigantaggio, figlio dell’ignoranza e della miseria, fu fomentato dai preti, dai Borboni e dal capo di tutta questa ciurma, il Buonaparte. — Caduti gli ultimi, e regolati i primi, non vi sarà più brigantaggio in Italia.
Annegato nel sangue che fece versare a torrenti il Buonaparte, nel nulla il Borbone, e Roma resa all’Italia, non vi sarà altro motivo di brigantaggio, se non che le depredazioni del Governo Italiano, che avranno fine siccome ogni altra malvagità.
Devo ripetere qui pure: che educati all’onestà, all’amore del loro paese, codesti robusti contadini, dei quali i preti fanno dei briganti, i di cui delitti inorridiscono il mondo, potrebbero riuscire dei militi stupendi, essendo essi dotati di forza, agilità e coraggio insuperabili. Serva d’esempio il seguente fatto di Talarico.<noinclude></noinclude>
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="4" user="Treshor" />{{RigaIntestazione|138|{{Sc|i mille}}}}</noinclude>
In una casipola di montagna nelle Calabrie, le truppe borboniche erano pervenute ad assediarlo con una forza imponente e rinchiuderlo in un cerchio di ferro. — Talarico, avvisato dall’amante sua abitatrice di quella casa, del suo pericolo, per prima disposizione si accese il sigaro, poi passando ad una finestra opposta alla porta di casa, sparò sei colpi di revolver, ed immediatamente fasciando colla veste il braccio sinistro, e mettendo la daga alla destra, volse indietro, slanciossi fuori della porta caricando col ferro chiunque si presentava, si aprì strada, e uscì a salvamento senza una sola ferita.
Tale era l’uomo a cui il generale C. dava incarico di catturare Marzia.
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I Mille/Capitolo XXVIII
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Treshor
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Porto il SAL a SAL 100%
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{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>Capitolo XXVIII. Talarico<section end="sottotitolo"/>
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Wikisource:Bar/Archivio/2022.07
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Alex brollo
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/* Più gelato... ehm, eis per tutti! */ Risposta
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text/x-wiki
{{Bar}}
== Results of Wiki Loves Folklore 2022 is out! ==
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[[File:Wiki Loves Folklore Logo.svg|right|150px|frameless]]
Hi, Greetings
The winners for '''[[c:Commons:Wiki Loves Folklore 2022|Wiki Loves Folklore 2022]]''' is announced!
We are happy to share with you winning images for this year's edition. This year saw over 8,584 images represented on commons in over 92 countries. Kindly see images '''[[:c:Commons:Wiki Loves Folklore 2022/Winners|here]]'''
Our profound gratitude to all the people who participated and organized local contests and photo walks for this project.
We hope to have you contribute to the campaign next year.
'''Thank you,'''
'''Wiki Loves Folklore International Team'''
--[[User:MediaWiki message delivery|MediaWiki message delivery]] ([[User talk:MediaWiki message delivery|disc.]]) 18:12, 4 lug 2022 (CEST)
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== Notizie tecniche: 2022-27 ==
<section begin="technews-2022-W27"/><div class="plainlinks">
Ultimo '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|bollettino tecnico]]''' della comunità tecnica di Wikimedia. Per favore informa gli altri utenti di queste modifiche. Non tutte le modifiche produrranno effetti per te. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/27|Traduzioni]] disponibili.
'''Modifiche di questa settimana'''
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] La [[mw:MediaWiki 1.39/wmf.19|nuova versione]] di MediaWiki sarà sulle wiki di prova e MediaWiki.org dal giorno {{#time:j xg|2022-07-05|it}}. Sarà disponibile sulle wiki non-Wikipedia e alcune Wikipedia dal giorno {{#time:j xg|2022-07-06|it}} e sulle altre wiki dal giorno {{#time:j xg|2022-07-07|it}} ([[mw:MediaWiki 1.39/Roadmap|calendario]]).
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] A causa di un cambio di database, due gruppi di wiki saranno in modalità di sola lettura per qualche minuto intorno alle 07:00 UTC rispettivamente il {{#time:j xg|2022-07-05|it}} ([https://noc.wikimedia.org/conf/highlight.php?file=dblists/s6.dblist primo gruppo]) e il {{#time:j xg|2022-07-07|it}} ([https://noc.wikimedia.org/conf/highlight.php?file=dblists/s4.dblist secondo gruppo]).
* La funzione beta [[mw:Special:MyLanguage/Help:DiscussionTools|Strumenti di discussione]] sarà aggiornata nel corso di luglio. Le discussioni appariranno in modo diverso. Visualizza in anteprima [[mw:Special:MyLanguage/Talk pages project/Usability/Prototype|alcuni dei cambiamenti proposti]].
* [[File:Octicons-tools.svg|15px|link=|alt=| Elemento avanzato]] La variabile di configurazione JavaScript <bdi lang="zxx" dir="ltr"><code>proofreadpage_source_href</code></bdi> sarà rimossa da <bdi lang="zxx" dir="ltr"><code>[[mw:Special:MyLanguage/Manual:Interface/JavaScript#mw.config|mw.config]]</code></bdi> e sostituita con la variabile <bdi lang="zxx" dir="ltr"><code>prpSourceIndexPage</code></bdi>. Questo cambiamento interessa solo le pagine nel namespace principale di Wikisource. [https://phabricator.wikimedia.org/T309490]
'''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' preparata dai [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|redattori Tech News]] e pubblicata da [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribuisci]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/27|Traduci]] • [[m:Tech|Chiedi aiuto]] • [[m:Talk:Tech/News|Commenta]] • [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Sottoscrivi o cancella la sottoscrizione]].''
</div><section end="technews-2022-W27"/>
21:32, 4 lug 2022 (CEST)
<!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=23466250 -->
== parametro sulla rilettura del mese (I Mille) ==
E se il sottotitolo al capitolo [[Pagina:Garibaldi_-_I_Mille.djvu/69]] lo impostassimo così
{{Ct|f=100%|v=2|L=7px|ITALIA. }}
cioè con larghezza 7 pixel non sarebbe maggiormente fedele?
o è una cosa assolutamente superflua ed inutile?
[[User:Accolturato|Accolturato]] ([[User talk:Accolturato|disc.]]) 17:10, 5 lug 2022 (CEST)
: @[[User:Accolturato|Accolturato]] No, non è assolutamwente inutile. Se è possibile su itwikisource il tentativo è quello di riprodurre fedelmente la formattazione, con l'unico limite del buon senso, e in questo caso non mi sembra che il limite sia superato. Piuttosto, a voler essere MOLTO pignoli, nota che l'originale non ha una spaziatura aumentata prima dell'ultimo carattere, il punto. Si può rimediare, ma forse si oltrepassa il limite.... ;-)
{{Ct|f=100%|v=2|{{type|l=7px|ITALI}}A. }}
In rari casi è un trucco che ho usato (non per la spaziatura di un punto, ma per modificare la formattazione di singole parole all'interno du un testo dentro il tl!Ct) ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 06:22, 7 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] ti ringrazio, come sempre prontissimo e gentilissimo. [[User:Accolturato|Accolturato]] ([[User talk:Accolturato|disc.]]) 12:37, 7 lug 2022 (CEST)
== [[Oreste (Euripide - Romagnoli)/Frammento musicale dell'Oreste]] ==
Salve a tutti. Mi servirebbe una mano (forse più d'una) per trascrivere il testo in oggetto, che ha diverse cose che non riesco a sistemare.
#Prima cosa sono gli spartiti: ce ne sono diversi, sia apparentemente semplici ([[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/274|p 271]], [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/272|p 267]]) che un po' più complessi causa allineamenti ([[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/278|p 275]]) e anche con testo in verticale ([[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/267|p 264]], [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/268|265]], [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/269|266]]).
#A pagina [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/266|263]] e [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/267|264]] ci sono delle tabelle (spartiti antichi) con problemi di allineamento tra righe diverse (in più, con testo greco) che non sono sicuro di come affrontare.
#A pagina [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/274|271]] e [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/276|273]] ci sono due tabelle/immagini che non so interpretare con precisione e quindi non sono sicuro come trascrivere.
#Per di più, la seconda si trova in cima ad una pagina, in mezzo ad un paragrafo: come si agisce in questi casi?
#In [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/269|questa pagina]] c'è una nota di cui non sono riuscito ad individuare la posizione nel testo.
#Nella nota in [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/272|questa pagina]] c'è un simbolo che potrebbe essere un Π girato di 90°: c'è un modo di scriverlo senza ricorrere ad un'immagine?
#A pagina [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/277|274]] e [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/271|268]] c'è del testo greco piuttosto lungo per trascrivere il quale servirebbe qualcuno che conosca il greco.
Riusciamo a lavorarci insieme? [[User:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] ([[User talk:Dr Zimbu|disc.]]) 17:09, 7 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] Orpo... un bell'intrico di sfide. Forse posso fare qualcosa per gli allineamenti verticali, ma per gli spartiti occorre la manina di qualcuno che conosca l'estensione score e Lilypond. Per le pagine con testo verticale, direi che prima si deve ottenere lo spartito, poi si può tentare di aggiungere il testo verticale.
:Per il problema 5 direi di appiccicare la nota al secondo testo verticale, sopra il segno x a cui si riferisce la nota.
:In generale, si potrebbe considerare l'ipotesi di risolvere vari casi ''utilizzando semplicemente delle immagini''.... non è elegantissimo, ma la adotterei almeno come soluzione provvisoria. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 00:07, 8 lug 2022 (CEST)
::Ciao {{Ping|Dr Zimbu}}. Testo complesso... Dico la mia seguendo il tuo elenco:
<ol>
<li> Come dice {{Ping|Alex brollo}}, si sta sperimentando la resa degli spartiti con Lilypond. Se la comunità è d'accordo, propongo di creare una categoria del tipo [[:Categoria:Testo greco da controllare]] in modo da tenere traccia di queste pagine;</li>
<li> Qui serve qualche esperto di tabelle: non dovrebbe essere molto complesso, fra me e Alex, dovremmo riuscire a risolvere il problema ;-)</li>
<li> La tabella in se per se non è complicata: l'unica perplessità che ho riguarda le note scritte a cavallo delle linee verticali in fondo alla tabella. Provo a studiare la resa.</li>
<li value=7> ti consiglio di inserire la categoria [[:Categoria:Testo greco da controllare]], monitorata periodicamente dai nostri esperti di greco ;-)</li>
</ol> --[[User:Paperoastro|Paperoastro]] ([[User talk:Paperoastro|disc.]]) 15:53, 8 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] Pagine 274 e 276 grossolanamente sistemate, con grande sudore (rinnovo la raccomandazione, finito l'esercizio, di inserire un semplice ritaglio dell'immagine della pagina e bon; ma l'esercizio è stato comunque utile).
:Invece, segnalo che è stato creato {{tl|Spartito da controllare}}, del tutto analogo a {{tl|Greco da controllare}}, alimenta la categoria [[:Categoria:Spartito da controllare]]. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 10:36, 10 lug 2022 (CEST)
::Grazie mille (ho fatto solo una piccola modifica a pagina 274)--[[User:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] ([[User talk:Dr Zimbu|disc.]]) 11:56, 10 lug 2022 (CEST)
:::@[[Utente:Dr Zimbu|Dr Zimbu]], rieccomi presente! Per il greco darò una bella passata e almeno quello lo risolverò rapidamente...
:::Per gli spartiti musicali è invece un'altra questione: dopo anni di attesa l'estensione è arrivata, ma lo studio dell'estensione è improbo: mi arrabatterò tra copincollaggi di esempi già svolti e pagine di manuale, ma la sfida è per me enorme. La notazione musicale greca antica con le lettere inclinate è presente [https://unicode-table.com/en/blocks/ancient-greek-musical-notation/ in una nicchia nascosta dei vari piani di Unicode], ora devo capire come inserirla. Ci provo ma un po' alla volta e con calma. - '''[[Utente:OrbiliusMagister|<span style="color:orange;">ε</span><span style="color:blue;">Δ</span>]][[Discussioni utente:OrbiliusMagister|<span style="color:brown;">ω</span>]]''' 10:04, 18 lug 2022 (CEST)
== Tip per i testi teatrali ==
Una delle più vecchie convenzioni di itwikisource è la formattazione dei testi teatrali, con l'uso del markup punto e virgola iniziale per i personaggi e dei due punti per le battute. Risale al periodo precedente il proofreading, e non sembrava più compatibile con il nuovo stile di trascrizione, che tenta di riprodurre la formattazione della fonte.
La genialata della introduzione delle sottopagine styles.css delle pagine Indice permette di ripescare questa onorata convenzione ma di ''adattarla alla formattazione della fonte'', con un risultato ''semplice'' anche se non ''facile''. E' in corso una sperimentazione su [[Indice:D'Annunzio - La figlia di Iorio.djvu]], dopo Match and Split del testo ns0 originale, inserito nel 2010. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 23:30, 7 lug 2022 (CEST)
== Sono aperte le registrazioni alla itWikiCon 2022! ==
[[File:ItWikiCon_Verbania_2022_candidacy_logo.svg|thumb|250px|Il logo di itWikiCon Verbania 2022]]
Ciao a tutti. <br />
Da venerdì 30 settembre a domenica 2 ottobre 2022, avrà luogo la itWikiCon. <br />
Dopo pause e pandemie varie l'evento sarà di nuovo in presenza e si svolgerà a [[Verbania]].
La registrazione si può fare a '''[https://2022.itwikicon.org/ questo link]'''.
Wikimedia Italia e Wikimedia CH hanno costituito un fondo per l'erogazione di borse di partecipazione per sostenere i costi di partecipazione all'evento. La richiesta di una borsa viene fatta tramite il modulo di registrazione.
Per chi richiede una borsa di partecipazione il termine ultimo per completare la registrazione è il 30 agosto, per chi non richiede una borsa il termine è invece il 18 settembre.
Il programma, ancora in costruzione, è disponibile su meta: [[:meta:ItWikiCon/2022/Programma|ItWikiCon/2022/Programma]]<br/>
Per qualsiasi domanda potete scrivere qui, oppure sulla pagina di discussione su meta.
Grazie a tutti e vi aspettiamo numerosi e pieni di idee e curiosità!
Gli organizzatori <br />
[[User:Civvì]], [[User:Yiyi]], [[User:CristianNX]], [[User:Superchilum]], [[User:FrangeCe]], [[User:Valerio Bozzolan]], [[User:Hitrandil]] [[User:Civvì|Civvì]] ([[User talk:Civvì|disc.]]) 21:27, 10 lug 2022 (CEST)
:Mi sono registrato e parteciperò. - '''[[Utente:OrbiliusMagister|<span style="color:orange;">ε</span><span style="color:blue;">Δ</span>]][[Discussioni utente:OrbiliusMagister|<span style="color:brown;">ω</span>]]''' 06:56, 21 lug 2022 (CEST)
== Notizie tecniche: 2022-28 ==
<section begin="technews-2022-W28"/><div class="plainlinks">
Ultimo '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|bollettino tecnico]]''' della comunità tecnica di Wikimedia. Per favore informa gli altri utenti di queste modifiche. Non tutte le modifiche produrranno effetti per te. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/28|Traduzioni]] disponibili.
'''Modifiche recenti'''
* L'[[mw:Special:MyLanguage/Reading/Web/Desktop Improvements|aspetto Vector 2022]] mostra ora il titolo delle pagine sopra le linguette "Discussione", "Leggi", "Modifica", "Cronologia", "Altro" e simili. Leggi [[mw:Special:MyLanguage/Reading/Web/Desktop Improvements/Updates#Page title/tabs switch|maggiori informazioni]]. [https://phabricator.wikimedia.org/T303549]
* [[File:Octicons-tools.svg|15px|link=|alt=|Elemento avanzato]] È ora possibile visualizzare la maggior parte delle impostazioni di configurazione di un wiki e confrontarle con quelle di un altro wiki configurato diversamente. Ad esempio, è possibile visualizzare sia le [https://noc.wikimedia.org/wiki.php?wiki=jawiktionary impostazioni del Wikizionario giapponese] sia le [https://noc.wikimedia.org/wiki.php?wiki=eswiki&compare=eowiki differenze di configurazione fra la Wikipedia spagnola e quella in esperanto]. Le varie comunità locali possono [[m:Special:MyLanguage/Requesting_wiki_configuration_changes|discutere e proporre cambiamenti]] alle impostazioni del proprio wiki. I dettagli di ciascuna impostazione possono essere trovati [[mw:Special:Search|con una ricerca su MediaWiki.org]]. [https://phabricator.wikimedia.org/T308932]
*La funzione IP Info del team Anti-Harassment Tools [[m:Special:MyLanguage/IP Editing: Privacy Enhancement and Abuse Mitigation/IP Info feature#May|è diventata di recente]] una [[Special:Preferences#mw-prefsection-betafeatures|funzione beta su tutti i wiki]]. Gli utenti che combattono il vandalismo la possono usare per accedere a informazioni relative agli indirizzi IP. Leggi [[m:Special:MyLanguage/IP Editing: Privacy Enhancement and Abuse Mitigation/IP Info feature#April|maggiori informazioni sulle modalità di utilizzo dello strumento]] e lascia un commento cliccando sul link presente all'interno dello strumento stesso.
'''Modifiche di questa settimana'''
* Non ci saranno nuove versioni di MediaWiki questa settimana.
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] Il {{#time:j xg|2022-07-12|it}} alle 07:00 UTC [https://noc.wikimedia.org/conf/highlight.php?file=dblists/s3.dblist alcuni wiki] saranno in modalità di sola lettura per alcuni minuti a causa di un cambio di database.
'''Modifiche future'''
* La funzione beta [[mw:Special:MyLanguage/Help:DiscussionTools|Strumenti di discussione]] sarà aggiornata nel corso di luglio. Le discussioni appariranno in modo diverso. Visualizza in anteprima [[mw:Special:MyLanguage/Talk pages project/Usability/Prototype|alcuni dei cambiamenti proposti]].
'''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' preparata dai [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|redattori Tech News]] e pubblicata da [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribuisci]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/28|Traduci]] • [[m:Tech|Chiedi aiuto]] • [[m:Talk:Tech/News|Commenta]] • [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Sottoscrivi o cancella la sottoscrizione]].''
</div><section end="technews-2022-W28"/>
21:24, 11 lug 2022 (CEST)
<!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=23502519 -->
== Proponi delle dichiarazioni per la bussola elettorale del 2022 ==
<section begin="announcement-content" />
:''[[m:Special:MyLanguage/Wikimedia Foundation elections/2022/Announcement/Propose statements for the 2022 Election Compass| Puoi trovare questo messaggio tradotto in altre lingue su Meta-wiki.]]''
:''<div class="plainlinks">[[m:Special:MyLanguage/Wikimedia Foundation elections/2022/Announcement/Propose statements for the 2022 Election Compass|{{int:interlanguage-link-mul}}]] • [https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Special:Translate&group=page-{{urlencode:Wikimedia Foundation elections/2022/Announcement/Propose statements for the 2022 Election Compass}}&language=&action=page&filter= {{int:please-translate}}]</div>''
Ciao a tutti,
I volontari sono [[m:Special:MyLanguage/Wikimedia_Foundation_elections/2022/Community_Voting/Election_Compass|invitati a proporre delle dichiarazioni da utilizzare nella bussola elettorale]] per le [[m:Special:MyLanguage/Wikimedia Foundation elections/2022|elezioni del Board of Trustees del 2022]].
Una bussola elettorale è uno strumento nato per aiutare gli elettori a selezionare quei candidati che meglio si conformano alle loro convinzioni e opinioni. I membri della comunità proporranno delle dichiarazioni a cui i candidati risponderanno utilizzando una scala Lickert (d'accordo/neutrale/in disaccordo). Le risposte dei candidati a queste dichiarazioni verranno caricate nella bussola elettorale. Gli elettori utilizzeranno lo strumento inserendo le proprie risposte alle dichiarazioni (d'accordo/neutrale/in disaccordo). I risultati mostreranno quei candidati che meglio si allineano alle convinzioni e ai punti di vista dell'elettore.
{| class="wikitable mw-collapsible mw-collapsed"
|-
! colspan=3 | Ecco il calendario della bussola elettorale
|-
|
'''8 - 20 luglio''': I volontari propongono le dichiarazioni per la bussola elettorale
'''21 - 22 luglio''': Il Comitato elettorale rivede le dichiarazioni, assicurandosi che siano chiare, e rimuovendo quelle fuori tema
'''23 luglio - 1º agosto''': I volontari votano le dichiarazioni
'''2 - 4 agosto''': Il Comitato elettorale sceglie le 15 dichiarazioni più votate
'''5 - 12 agosto''': I candidati danno il proprio parere sulle dichiarazioni
'''15 agosto''': La bussola elettorale viene aperta all'utilizzo degli elettori al fine di aiutarli nella scelta del voto
|}
Il Comitato elettorale sceglierà le 15 dichiarazioni più votate all'inizio di agosto. Il Comitato elettorale supervisionerà l'intero processo, supportato dal team Movement Strategy and Governance. MSG si assicurerà che le domande siano chiare, che non vi siano duplicati, refusi, o qualsiasi altro problema.
Cordiali saluti,
Movement Strategy and Governance
''Questo messaggio è stato inviato per conto della Task Force per la selezione del Board e del Comitato Elettorale''<br /><section end="announcement-content" /> [[User:Superpes15|Superpes15]] ([[User talk:Superpes15|disc.]]) 10:25, 13 lug 2022 (CEST)
:Sono umiliato.... mi sento anziano e asociale. :-( [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 15:42, 14 lug 2022 (CEST)
{{ping|Alex brollo}} Come ti capisco ... [[User:Lagrande|Lagrande]] ([[User talk:Lagrande|disc.]]) 13:24, 15 lug 2022 (CEST)
== Piano nazionale di digitalizzazione del Ministero della Cultura ==
Non so se è già stato segnalato da altre parti, segnalo che una settimana fa è stato ufficialmente pubblicato il Piano Nazionale di Digitalizzazione (PND) del Ministero della Cultura
[https://digitallibrary.cultura.gov.it/notizie/il-pnd-e-ufficialmente-on-line/ qui]. Questo PND ha lo scopo di "promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026." Più precisamente [https://partecipa.gov.it/uploads/decidim/attachment/file/68/M1C3_1.1.1_ReportFinale_Piano_nazionale_di_digitalizzazione_del_patrimonio_culturale.pdf qua] viene scritto che alla consultazione legata a questo PND hanno partecipato anche "volontari di Wikipedia e progetti Wikimedia".
Non so quanto voi ritenete che questo PND possa essere rilevante per le attività di Wikisource... [[User:Myron Aub|Myron Aub]] ([[User talk:Myron Aub|disc.]]) 19:30, 15 lug 2022 (CEST)
== [[Poesie (Campanella, 1915)]] ==
'''Riletta!''' ma.... c'è dentro un testo latino: [[Ecloga in principis Galliarum Delphini admirandam nativitatem]], a cui ho attribuito uno stravagante SAL 0%, nonostante non sia malaccio e sia visualizzata e esportabile. Se trovo il coraggio, cercherò di portare a level 3 le pagine da cui il testo è ricavato, questo: [[:la:Ecloga in principis Galliarum Delphini admirandam nativitatem]]. Vi risparmio la descrizione di cosa c'è dietro questa stranezza... è un progetto ormai datato, ne parlavamo un paio di anni fa. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 09:58, 16 lug 2022 (CEST)
: sistemate le cose, adesso la pagina (nonostante le complicazioni) è SAL 75%. --[[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 06:50, 17 lug 2022 (CEST)
:: {{ping|Candalua}} Via bot, il testo è stato allineato con quello sorgente di la.wikisource, compreso il SAL ma... il risultato è un messaggio un po' buffo: "Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. Il testo è stato caricato automaticamente da la.wikisource.org. '''Si prega di non modificare questa pagina! Tu puoi farlo'''." Esempio in [[Pagina:Campanella, Tommaso – Poesie, 1915 – BEIC 1777758.djvu/201|questa pagina]]. --[[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 09:43, 17 lug 2022 (CEST)
:::[[User:Alex brollo|Alex brollo]]: ho fatto in modo che il messaggio dell'allineatore sovrascriva l'altro. [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 11:46, 21 lug 2022 (CEST)
== Notizie tecniche: 2022-29 ==
<section begin="technews-2022-W29"/><div class="plainlinks">
Ultimo '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|bollettino tecnico]]''' della comunità tecnica di Wikimedia. Per favore informa gli altri utenti di queste modifiche. Non tutte le modifiche produrranno effetti per te. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/29|Traduzioni]] disponibili.
'''Problemi'''
* Dalla settimana scorsa non appare più il link a [[mw:Special:MyLanguage/Extension:NearbyPages|Speciale:NelleVicinanze]] sulla versione mobile. Sarà ripristinato nel corso di questa settimana. [https://phabricator.wikimedia.org/T312864]
'''Modifiche di questa settimana'''
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] La [[mw:MediaWiki 1.39/wmf.21|nuova versione]] di MediaWiki sarà sulle wiki di prova e MediaWiki.org dal giorno {{#time:j xg|2022-07-19|it}}. Sarà disponibile sulle wiki non-Wikipedia e alcune Wikipedia dal giorno {{#time:j xg|2022-07-20|it}} e sulle altre wiki dal giorno {{#time:j xg|2022-07-21|it}} ([[mw:MediaWiki 1.39/Roadmap|calendario]]).
'''Modifiche future'''
* Il [[mw:Technical_decision_making/Forum|Technical Decision Forum]] è in cerca di [[mw:Technical_decision_making/Community_representation|rappresentanti della comunità]]. Scrivi su wiki o invia una mail a <span class="mw-content-ltr" lang="en" dir="ltr">TDFSupport@wikimedia.org</span> entro il 12 agosto per candidarti.
'''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' preparate dai [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|redattori Tech News]] e pubblicate dai [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribuisci]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/29|Traduci]] • [[m:Tech|Ottieni aiuto]] • [[m:Talk:Tech/News|Dai la tua opinione]] • [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Iscriviti o disiscriviti]].''
</div><section end="technews-2022-W29"/>
00:59, 19 lug 2022 (CEST)
<!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=23517957 -->
== Opere e edizioni: problemi wikidata ==
@[[Utente:Candalua|Candalua]] Dopo una gentile spintarella di Edo, ho ripreso un po' in mano la terribile questione della gestione opere-edizioni su wikidata. Al momento l'unico mio contributo è la creazione di [[Aiuto:Namespace Opera]], un semplice redirect a [[Wikisource:Opera-Edizione]]. Così ho scoperto/riscoperto i due template {{tl|Edizione}} e {{tl|Sottopagina}}. Un magnifico sistema funzionante... ma... al momento la nostra "centrate dati" locale è la pagina Indice, mentre nella base dati wikidata è la pagina principale ns0. Il che mi preoccupa, perchè nel caso che la pagina Indice rimandi a più pagine principali ns0, le cose si sconfinferano.
tutto andrebbe al suo posto se Indice venisse rivalutato su wikidata, diventando pagina sitelink. Ma non ho idea se questa soluzione sia praticabile, sensata, condivisibile. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 11:52, 20 lug 2022 (CEST)
:Infatti pensandoci meglio c'è subito un intoppo.... in ns0 è estremamente probabile che il testo sia riferibile a uno specifico autore, in nsIndice non è detto, ci sono numerosi casi di antologie, e nei meccanismi di nsIndice al momento non c'è modo di attribuire brani diversi ai rispettivi autori. @[[utente:Candalua|candalua]]: sono rimasto piacevolmente sorpreso per il fatto che i parametri base di {{tl|Sottopagina}} sono identici a quelli di {{tl|IncludiIntestazione}}, perfetto! Potrevve però capitare di sentire la mancanza del parametro opzionale autore, raramente è utile. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 12:06, 21 lug 2022 (CEST)
== Più gelato... ehm, eis per tutti! ==
Cari amici,
desidero publicizzare il fatto che il percorso iniziato a metà maggio per diffondere ''eis'' (edit-in-sequence) in tutte le wikisource è in fase di avanzamento sempre più serio: alla pagina [[phab:T308098#8008230|⚓ T308098 Integrate edit-in-sequence inside ProofreadPage]] la timeline, e alla pagina [[mw:Extension:Proofread_Page/Edit-in-Sequence|Extension:Proofread Page/Edit-in-Sequence - MediaWiki]] la discussione tra gli sviluppatori.
Penso sia motivo di orgoglio per @[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] e per la comunità italiana vedere che le grandi idee di Alex cominciano a essere recepite! '''[[Utente:OrbiliusMagister|<span style="color:orange;">ε</span><span style="color:blue;">Δ</span>]][[Discussioni utente:OrbiliusMagister|<span style="color:brown;">ω</span>]]''' 11:11, 21 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:OrbiliusMagister|OrbiliusMagister]] Altrochè. :-) Grazie anche a voi, che avete a lungo avuto la pazienza di sperimentare! [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 11:58, 21 lug 2022 (CEST)
::uau! (scusate la mia assenza, mi sono impelagato in un progetto esterno che mi assorbirà per almeno un anno...) --[[User:.mau.|.mau.]] ([[User talk:.mau.|disc.]]) 22:07, 22 lug 2022 (CEST)
:::È da anni che uso eis e finalmente vedo che è apprezzato come si deve. Ma non ci voleva tutto questo tempo per capirlo! Sarebbe ora che le realizzazioni di Alex (non c'è solo eis) trovassero la giusta strada per implementazione di default! Quanto a me, sono impegnato a recuperare una pesante operazione al cuore e soprattutto sono crollato "con la testa", mi è rimasta poca voglia di lavorare, passo il tempo a leggere e mi è scoppiata un'afasia per cui devo cercare nel cranio le parole più semplici. Se riappaio sarà fra molto e non è detto che sia una cosa valida. Buona estate. [[User:Silvio Gallio|Silvio Gallio]] ([[User talk:Silvio Gallio|disc.]]) 11:27, 23 lug 2022 (CEST)
::::@[[Utente:Silvio Gallio|Silvio Gallio]] Giusto te volevo ringraziare particolarmente, per i tuoi suggerimenti.... ma non sono mica riuscito a implementarli tutti (qualcuno però sì). Rimettiti bene e presto, che sentiamo la tua mancanza. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 00:40, 24 lug 2022 (CEST)
0ofo32bc9c9cjvp2bsp0xkkjruj8lik
3011092
3011091
2022-07-23T22:45:44Z
Alex brollo
1615
/* Più gelato... ehm, eis per tutti! */
wikitext
text/x-wiki
{{Bar}}
== Results of Wiki Loves Folklore 2022 is out! ==
<div lang="en" dir="ltr" class="mw-content-ltr">
{{int:please-translate}}
[[File:Wiki Loves Folklore Logo.svg|right|150px|frameless]]
Hi, Greetings
The winners for '''[[c:Commons:Wiki Loves Folklore 2022|Wiki Loves Folklore 2022]]''' is announced!
We are happy to share with you winning images for this year's edition. This year saw over 8,584 images represented on commons in over 92 countries. Kindly see images '''[[:c:Commons:Wiki Loves Folklore 2022/Winners|here]]'''
Our profound gratitude to all the people who participated and organized local contests and photo walks for this project.
We hope to have you contribute to the campaign next year.
'''Thank you,'''
'''Wiki Loves Folklore International Team'''
--[[User:MediaWiki message delivery|MediaWiki message delivery]] ([[User talk:MediaWiki message delivery|disc.]]) 18:12, 4 lug 2022 (CEST)
</div>
<!-- Messaggio inviato da User:Tiven2240@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Distribution_list/Non-Technical_Village_Pumps_distribution_list&oldid=23454230 -->
== Notizie tecniche: 2022-27 ==
<section begin="technews-2022-W27"/><div class="plainlinks">
Ultimo '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|bollettino tecnico]]''' della comunità tecnica di Wikimedia. Per favore informa gli altri utenti di queste modifiche. Non tutte le modifiche produrranno effetti per te. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/27|Traduzioni]] disponibili.
'''Modifiche di questa settimana'''
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] La [[mw:MediaWiki 1.39/wmf.19|nuova versione]] di MediaWiki sarà sulle wiki di prova e MediaWiki.org dal giorno {{#time:j xg|2022-07-05|it}}. Sarà disponibile sulle wiki non-Wikipedia e alcune Wikipedia dal giorno {{#time:j xg|2022-07-06|it}} e sulle altre wiki dal giorno {{#time:j xg|2022-07-07|it}} ([[mw:MediaWiki 1.39/Roadmap|calendario]]).
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] A causa di un cambio di database, due gruppi di wiki saranno in modalità di sola lettura per qualche minuto intorno alle 07:00 UTC rispettivamente il {{#time:j xg|2022-07-05|it}} ([https://noc.wikimedia.org/conf/highlight.php?file=dblists/s6.dblist primo gruppo]) e il {{#time:j xg|2022-07-07|it}} ([https://noc.wikimedia.org/conf/highlight.php?file=dblists/s4.dblist secondo gruppo]).
* La funzione beta [[mw:Special:MyLanguage/Help:DiscussionTools|Strumenti di discussione]] sarà aggiornata nel corso di luglio. Le discussioni appariranno in modo diverso. Visualizza in anteprima [[mw:Special:MyLanguage/Talk pages project/Usability/Prototype|alcuni dei cambiamenti proposti]].
* [[File:Octicons-tools.svg|15px|link=|alt=| Elemento avanzato]] La variabile di configurazione JavaScript <bdi lang="zxx" dir="ltr"><code>proofreadpage_source_href</code></bdi> sarà rimossa da <bdi lang="zxx" dir="ltr"><code>[[mw:Special:MyLanguage/Manual:Interface/JavaScript#mw.config|mw.config]]</code></bdi> e sostituita con la variabile <bdi lang="zxx" dir="ltr"><code>prpSourceIndexPage</code></bdi>. Questo cambiamento interessa solo le pagine nel namespace principale di Wikisource. [https://phabricator.wikimedia.org/T309490]
'''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' preparata dai [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|redattori Tech News]] e pubblicata da [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribuisci]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/27|Traduci]] • [[m:Tech|Chiedi aiuto]] • [[m:Talk:Tech/News|Commenta]] • [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Sottoscrivi o cancella la sottoscrizione]].''
</div><section end="technews-2022-W27"/>
21:32, 4 lug 2022 (CEST)
<!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=23466250 -->
== parametro sulla rilettura del mese (I Mille) ==
E se il sottotitolo al capitolo [[Pagina:Garibaldi_-_I_Mille.djvu/69]] lo impostassimo così
{{Ct|f=100%|v=2|L=7px|ITALIA. }}
cioè con larghezza 7 pixel non sarebbe maggiormente fedele?
o è una cosa assolutamente superflua ed inutile?
[[User:Accolturato|Accolturato]] ([[User talk:Accolturato|disc.]]) 17:10, 5 lug 2022 (CEST)
: @[[User:Accolturato|Accolturato]] No, non è assolutamwente inutile. Se è possibile su itwikisource il tentativo è quello di riprodurre fedelmente la formattazione, con l'unico limite del buon senso, e in questo caso non mi sembra che il limite sia superato. Piuttosto, a voler essere MOLTO pignoli, nota che l'originale non ha una spaziatura aumentata prima dell'ultimo carattere, il punto. Si può rimediare, ma forse si oltrepassa il limite.... ;-)
{{Ct|f=100%|v=2|{{type|l=7px|ITALI}}A. }}
In rari casi è un trucco che ho usato (non per la spaziatura di un punto, ma per modificare la formattazione di singole parole all'interno du un testo dentro il tl!Ct) ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 06:22, 7 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] ti ringrazio, come sempre prontissimo e gentilissimo. [[User:Accolturato|Accolturato]] ([[User talk:Accolturato|disc.]]) 12:37, 7 lug 2022 (CEST)
== [[Oreste (Euripide - Romagnoli)/Frammento musicale dell'Oreste]] ==
Salve a tutti. Mi servirebbe una mano (forse più d'una) per trascrivere il testo in oggetto, che ha diverse cose che non riesco a sistemare.
#Prima cosa sono gli spartiti: ce ne sono diversi, sia apparentemente semplici ([[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/274|p 271]], [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/272|p 267]]) che un po' più complessi causa allineamenti ([[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/278|p 275]]) e anche con testo in verticale ([[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/267|p 264]], [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/268|265]], [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/269|266]]).
#A pagina [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/266|263]] e [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/267|264]] ci sono delle tabelle (spartiti antichi) con problemi di allineamento tra righe diverse (in più, con testo greco) che non sono sicuro di come affrontare.
#A pagina [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/274|271]] e [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/276|273]] ci sono due tabelle/immagini che non so interpretare con precisione e quindi non sono sicuro come trascrivere.
#Per di più, la seconda si trova in cima ad una pagina, in mezzo ad un paragrafo: come si agisce in questi casi?
#In [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/269|questa pagina]] c'è una nota di cui non sono riuscito ad individuare la posizione nel testo.
#Nella nota in [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/272|questa pagina]] c'è un simbolo che potrebbe essere un Π girato di 90°: c'è un modo di scriverlo senza ricorrere ad un'immagine?
#A pagina [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/277|274]] e [[Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/271|268]] c'è del testo greco piuttosto lungo per trascrivere il quale servirebbe qualcuno che conosca il greco.
Riusciamo a lavorarci insieme? [[User:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] ([[User talk:Dr Zimbu|disc.]]) 17:09, 7 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] Orpo... un bell'intrico di sfide. Forse posso fare qualcosa per gli allineamenti verticali, ma per gli spartiti occorre la manina di qualcuno che conosca l'estensione score e Lilypond. Per le pagine con testo verticale, direi che prima si deve ottenere lo spartito, poi si può tentare di aggiungere il testo verticale.
:Per il problema 5 direi di appiccicare la nota al secondo testo verticale, sopra il segno x a cui si riferisce la nota.
:In generale, si potrebbe considerare l'ipotesi di risolvere vari casi ''utilizzando semplicemente delle immagini''.... non è elegantissimo, ma la adotterei almeno come soluzione provvisoria. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 00:07, 8 lug 2022 (CEST)
::Ciao {{Ping|Dr Zimbu}}. Testo complesso... Dico la mia seguendo il tuo elenco:
<ol>
<li> Come dice {{Ping|Alex brollo}}, si sta sperimentando la resa degli spartiti con Lilypond. Se la comunità è d'accordo, propongo di creare una categoria del tipo [[:Categoria:Testo greco da controllare]] in modo da tenere traccia di queste pagine;</li>
<li> Qui serve qualche esperto di tabelle: non dovrebbe essere molto complesso, fra me e Alex, dovremmo riuscire a risolvere il problema ;-)</li>
<li> La tabella in se per se non è complicata: l'unica perplessità che ho riguarda le note scritte a cavallo delle linee verticali in fondo alla tabella. Provo a studiare la resa.</li>
<li value=7> ti consiglio di inserire la categoria [[:Categoria:Testo greco da controllare]], monitorata periodicamente dai nostri esperti di greco ;-)</li>
</ol> --[[User:Paperoastro|Paperoastro]] ([[User talk:Paperoastro|disc.]]) 15:53, 8 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] Pagine 274 e 276 grossolanamente sistemate, con grande sudore (rinnovo la raccomandazione, finito l'esercizio, di inserire un semplice ritaglio dell'immagine della pagina e bon; ma l'esercizio è stato comunque utile).
:Invece, segnalo che è stato creato {{tl|Spartito da controllare}}, del tutto analogo a {{tl|Greco da controllare}}, alimenta la categoria [[:Categoria:Spartito da controllare]]. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 10:36, 10 lug 2022 (CEST)
::Grazie mille (ho fatto solo una piccola modifica a pagina 274)--[[User:Dr Zimbu|Dr Zimbu]] ([[User talk:Dr Zimbu|disc.]]) 11:56, 10 lug 2022 (CEST)
:::@[[Utente:Dr Zimbu|Dr Zimbu]], rieccomi presente! Per il greco darò una bella passata e almeno quello lo risolverò rapidamente...
:::Per gli spartiti musicali è invece un'altra questione: dopo anni di attesa l'estensione è arrivata, ma lo studio dell'estensione è improbo: mi arrabatterò tra copincollaggi di esempi già svolti e pagine di manuale, ma la sfida è per me enorme. La notazione musicale greca antica con le lettere inclinate è presente [https://unicode-table.com/en/blocks/ancient-greek-musical-notation/ in una nicchia nascosta dei vari piani di Unicode], ora devo capire come inserirla. Ci provo ma un po' alla volta e con calma. - '''[[Utente:OrbiliusMagister|<span style="color:orange;">ε</span><span style="color:blue;">Δ</span>]][[Discussioni utente:OrbiliusMagister|<span style="color:brown;">ω</span>]]''' 10:04, 18 lug 2022 (CEST)
== Tip per i testi teatrali ==
Una delle più vecchie convenzioni di itwikisource è la formattazione dei testi teatrali, con l'uso del markup punto e virgola iniziale per i personaggi e dei due punti per le battute. Risale al periodo precedente il proofreading, e non sembrava più compatibile con il nuovo stile di trascrizione, che tenta di riprodurre la formattazione della fonte.
La genialata della introduzione delle sottopagine styles.css delle pagine Indice permette di ripescare questa onorata convenzione ma di ''adattarla alla formattazione della fonte'', con un risultato ''semplice'' anche se non ''facile''. E' in corso una sperimentazione su [[Indice:D'Annunzio - La figlia di Iorio.djvu]], dopo Match and Split del testo ns0 originale, inserito nel 2010. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 23:30, 7 lug 2022 (CEST)
== Sono aperte le registrazioni alla itWikiCon 2022! ==
[[File:ItWikiCon_Verbania_2022_candidacy_logo.svg|thumb|250px|Il logo di itWikiCon Verbania 2022]]
Ciao a tutti. <br />
Da venerdì 30 settembre a domenica 2 ottobre 2022, avrà luogo la itWikiCon. <br />
Dopo pause e pandemie varie l'evento sarà di nuovo in presenza e si svolgerà a [[Verbania]].
La registrazione si può fare a '''[https://2022.itwikicon.org/ questo link]'''.
Wikimedia Italia e Wikimedia CH hanno costituito un fondo per l'erogazione di borse di partecipazione per sostenere i costi di partecipazione all'evento. La richiesta di una borsa viene fatta tramite il modulo di registrazione.
Per chi richiede una borsa di partecipazione il termine ultimo per completare la registrazione è il 30 agosto, per chi non richiede una borsa il termine è invece il 18 settembre.
Il programma, ancora in costruzione, è disponibile su meta: [[:meta:ItWikiCon/2022/Programma|ItWikiCon/2022/Programma]]<br/>
Per qualsiasi domanda potete scrivere qui, oppure sulla pagina di discussione su meta.
Grazie a tutti e vi aspettiamo numerosi e pieni di idee e curiosità!
Gli organizzatori <br />
[[User:Civvì]], [[User:Yiyi]], [[User:CristianNX]], [[User:Superchilum]], [[User:FrangeCe]], [[User:Valerio Bozzolan]], [[User:Hitrandil]] [[User:Civvì|Civvì]] ([[User talk:Civvì|disc.]]) 21:27, 10 lug 2022 (CEST)
:Mi sono registrato e parteciperò. - '''[[Utente:OrbiliusMagister|<span style="color:orange;">ε</span><span style="color:blue;">Δ</span>]][[Discussioni utente:OrbiliusMagister|<span style="color:brown;">ω</span>]]''' 06:56, 21 lug 2022 (CEST)
== Notizie tecniche: 2022-28 ==
<section begin="technews-2022-W28"/><div class="plainlinks">
Ultimo '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|bollettino tecnico]]''' della comunità tecnica di Wikimedia. Per favore informa gli altri utenti di queste modifiche. Non tutte le modifiche produrranno effetti per te. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/28|Traduzioni]] disponibili.
'''Modifiche recenti'''
* L'[[mw:Special:MyLanguage/Reading/Web/Desktop Improvements|aspetto Vector 2022]] mostra ora il titolo delle pagine sopra le linguette "Discussione", "Leggi", "Modifica", "Cronologia", "Altro" e simili. Leggi [[mw:Special:MyLanguage/Reading/Web/Desktop Improvements/Updates#Page title/tabs switch|maggiori informazioni]]. [https://phabricator.wikimedia.org/T303549]
* [[File:Octicons-tools.svg|15px|link=|alt=|Elemento avanzato]] È ora possibile visualizzare la maggior parte delle impostazioni di configurazione di un wiki e confrontarle con quelle di un altro wiki configurato diversamente. Ad esempio, è possibile visualizzare sia le [https://noc.wikimedia.org/wiki.php?wiki=jawiktionary impostazioni del Wikizionario giapponese] sia le [https://noc.wikimedia.org/wiki.php?wiki=eswiki&compare=eowiki differenze di configurazione fra la Wikipedia spagnola e quella in esperanto]. Le varie comunità locali possono [[m:Special:MyLanguage/Requesting_wiki_configuration_changes|discutere e proporre cambiamenti]] alle impostazioni del proprio wiki. I dettagli di ciascuna impostazione possono essere trovati [[mw:Special:Search|con una ricerca su MediaWiki.org]]. [https://phabricator.wikimedia.org/T308932]
*La funzione IP Info del team Anti-Harassment Tools [[m:Special:MyLanguage/IP Editing: Privacy Enhancement and Abuse Mitigation/IP Info feature#May|è diventata di recente]] una [[Special:Preferences#mw-prefsection-betafeatures|funzione beta su tutti i wiki]]. Gli utenti che combattono il vandalismo la possono usare per accedere a informazioni relative agli indirizzi IP. Leggi [[m:Special:MyLanguage/IP Editing: Privacy Enhancement and Abuse Mitigation/IP Info feature#April|maggiori informazioni sulle modalità di utilizzo dello strumento]] e lascia un commento cliccando sul link presente all'interno dello strumento stesso.
'''Modifiche di questa settimana'''
* Non ci saranno nuove versioni di MediaWiki questa settimana.
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] Il {{#time:j xg|2022-07-12|it}} alle 07:00 UTC [https://noc.wikimedia.org/conf/highlight.php?file=dblists/s3.dblist alcuni wiki] saranno in modalità di sola lettura per alcuni minuti a causa di un cambio di database.
'''Modifiche future'''
* La funzione beta [[mw:Special:MyLanguage/Help:DiscussionTools|Strumenti di discussione]] sarà aggiornata nel corso di luglio. Le discussioni appariranno in modo diverso. Visualizza in anteprima [[mw:Special:MyLanguage/Talk pages project/Usability/Prototype|alcuni dei cambiamenti proposti]].
'''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' preparata dai [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|redattori Tech News]] e pubblicata da [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribuisci]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/28|Traduci]] • [[m:Tech|Chiedi aiuto]] • [[m:Talk:Tech/News|Commenta]] • [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Sottoscrivi o cancella la sottoscrizione]].''
</div><section end="technews-2022-W28"/>
21:24, 11 lug 2022 (CEST)
<!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=23502519 -->
== Proponi delle dichiarazioni per la bussola elettorale del 2022 ==
<section begin="announcement-content" />
:''[[m:Special:MyLanguage/Wikimedia Foundation elections/2022/Announcement/Propose statements for the 2022 Election Compass| Puoi trovare questo messaggio tradotto in altre lingue su Meta-wiki.]]''
:''<div class="plainlinks">[[m:Special:MyLanguage/Wikimedia Foundation elections/2022/Announcement/Propose statements for the 2022 Election Compass|{{int:interlanguage-link-mul}}]] • [https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Special:Translate&group=page-{{urlencode:Wikimedia Foundation elections/2022/Announcement/Propose statements for the 2022 Election Compass}}&language=&action=page&filter= {{int:please-translate}}]</div>''
Ciao a tutti,
I volontari sono [[m:Special:MyLanguage/Wikimedia_Foundation_elections/2022/Community_Voting/Election_Compass|invitati a proporre delle dichiarazioni da utilizzare nella bussola elettorale]] per le [[m:Special:MyLanguage/Wikimedia Foundation elections/2022|elezioni del Board of Trustees del 2022]].
Una bussola elettorale è uno strumento nato per aiutare gli elettori a selezionare quei candidati che meglio si conformano alle loro convinzioni e opinioni. I membri della comunità proporranno delle dichiarazioni a cui i candidati risponderanno utilizzando una scala Lickert (d'accordo/neutrale/in disaccordo). Le risposte dei candidati a queste dichiarazioni verranno caricate nella bussola elettorale. Gli elettori utilizzeranno lo strumento inserendo le proprie risposte alle dichiarazioni (d'accordo/neutrale/in disaccordo). I risultati mostreranno quei candidati che meglio si allineano alle convinzioni e ai punti di vista dell'elettore.
{| class="wikitable mw-collapsible mw-collapsed"
|-
! colspan=3 | Ecco il calendario della bussola elettorale
|-
|
'''8 - 20 luglio''': I volontari propongono le dichiarazioni per la bussola elettorale
'''21 - 22 luglio''': Il Comitato elettorale rivede le dichiarazioni, assicurandosi che siano chiare, e rimuovendo quelle fuori tema
'''23 luglio - 1º agosto''': I volontari votano le dichiarazioni
'''2 - 4 agosto''': Il Comitato elettorale sceglie le 15 dichiarazioni più votate
'''5 - 12 agosto''': I candidati danno il proprio parere sulle dichiarazioni
'''15 agosto''': La bussola elettorale viene aperta all'utilizzo degli elettori al fine di aiutarli nella scelta del voto
|}
Il Comitato elettorale sceglierà le 15 dichiarazioni più votate all'inizio di agosto. Il Comitato elettorale supervisionerà l'intero processo, supportato dal team Movement Strategy and Governance. MSG si assicurerà che le domande siano chiare, che non vi siano duplicati, refusi, o qualsiasi altro problema.
Cordiali saluti,
Movement Strategy and Governance
''Questo messaggio è stato inviato per conto della Task Force per la selezione del Board e del Comitato Elettorale''<br /><section end="announcement-content" /> [[User:Superpes15|Superpes15]] ([[User talk:Superpes15|disc.]]) 10:25, 13 lug 2022 (CEST)
:Sono umiliato.... mi sento anziano e asociale. :-( [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 15:42, 14 lug 2022 (CEST)
{{ping|Alex brollo}} Come ti capisco ... [[User:Lagrande|Lagrande]] ([[User talk:Lagrande|disc.]]) 13:24, 15 lug 2022 (CEST)
== Piano nazionale di digitalizzazione del Ministero della Cultura ==
Non so se è già stato segnalato da altre parti, segnalo che una settimana fa è stato ufficialmente pubblicato il Piano Nazionale di Digitalizzazione (PND) del Ministero della Cultura
[https://digitallibrary.cultura.gov.it/notizie/il-pnd-e-ufficialmente-on-line/ qui]. Questo PND ha lo scopo di "promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026." Più precisamente [https://partecipa.gov.it/uploads/decidim/attachment/file/68/M1C3_1.1.1_ReportFinale_Piano_nazionale_di_digitalizzazione_del_patrimonio_culturale.pdf qua] viene scritto che alla consultazione legata a questo PND hanno partecipato anche "volontari di Wikipedia e progetti Wikimedia".
Non so quanto voi ritenete che questo PND possa essere rilevante per le attività di Wikisource... [[User:Myron Aub|Myron Aub]] ([[User talk:Myron Aub|disc.]]) 19:30, 15 lug 2022 (CEST)
== [[Poesie (Campanella, 1915)]] ==
'''Riletta!''' ma.... c'è dentro un testo latino: [[Ecloga in principis Galliarum Delphini admirandam nativitatem]], a cui ho attribuito uno stravagante SAL 0%, nonostante non sia malaccio e sia visualizzata e esportabile. Se trovo il coraggio, cercherò di portare a level 3 le pagine da cui il testo è ricavato, questo: [[:la:Ecloga in principis Galliarum Delphini admirandam nativitatem]]. Vi risparmio la descrizione di cosa c'è dietro questa stranezza... è un progetto ormai datato, ne parlavamo un paio di anni fa. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 09:58, 16 lug 2022 (CEST)
: sistemate le cose, adesso la pagina (nonostante le complicazioni) è SAL 75%. --[[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 06:50, 17 lug 2022 (CEST)
:: {{ping|Candalua}} Via bot, il testo è stato allineato con quello sorgente di la.wikisource, compreso il SAL ma... il risultato è un messaggio un po' buffo: "Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. Il testo è stato caricato automaticamente da la.wikisource.org. '''Si prega di non modificare questa pagina! Tu puoi farlo'''." Esempio in [[Pagina:Campanella, Tommaso – Poesie, 1915 – BEIC 1777758.djvu/201|questa pagina]]. --[[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 09:43, 17 lug 2022 (CEST)
:::[[User:Alex brollo|Alex brollo]]: ho fatto in modo che il messaggio dell'allineatore sovrascriva l'altro. [[User:Candalua|Can da Lua]] ([[User talk:Candalua|disc.]]) 11:46, 21 lug 2022 (CEST)
== Notizie tecniche: 2022-29 ==
<section begin="technews-2022-W29"/><div class="plainlinks">
Ultimo '''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|bollettino tecnico]]''' della comunità tecnica di Wikimedia. Per favore informa gli altri utenti di queste modifiche. Non tutte le modifiche produrranno effetti per te. [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/29|Traduzioni]] disponibili.
'''Problemi'''
* Dalla settimana scorsa non appare più il link a [[mw:Special:MyLanguage/Extension:NearbyPages|Speciale:NelleVicinanze]] sulla versione mobile. Sarà ripristinato nel corso di questa settimana. [https://phabricator.wikimedia.org/T312864]
'''Modifiche di questa settimana'''
* [[File:Octicons-sync.svg|12px|link=|alt=|Elemento ricorrente]] La [[mw:MediaWiki 1.39/wmf.21|nuova versione]] di MediaWiki sarà sulle wiki di prova e MediaWiki.org dal giorno {{#time:j xg|2022-07-19|it}}. Sarà disponibile sulle wiki non-Wikipedia e alcune Wikipedia dal giorno {{#time:j xg|2022-07-20|it}} e sulle altre wiki dal giorno {{#time:j xg|2022-07-21|it}} ([[mw:MediaWiki 1.39/Roadmap|calendario]]).
'''Modifiche future'''
* Il [[mw:Technical_decision_making/Forum|Technical Decision Forum]] è in cerca di [[mw:Technical_decision_making/Community_representation|rappresentanti della comunità]]. Scrivi su wiki o invia una mail a <span class="mw-content-ltr" lang="en" dir="ltr">TDFSupport@wikimedia.org</span> entro il 12 agosto per candidarti.
'''''[[m:Special:MyLanguage/Tech/News|Tech news]]''' preparate dai [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/Writers|redattori Tech News]] e pubblicate dai [[m:Special:MyLanguage/User:MediaWiki message delivery|bot]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News#contribute|Contribuisci]] • [[m:Special:MyLanguage/Tech/News/2022/29|Traduci]] • [[m:Tech|Ottieni aiuto]] • [[m:Talk:Tech/News|Dai la tua opinione]] • [[m:Global message delivery/Targets/Tech ambassadors|Iscriviti o disiscriviti]].''
</div><section end="technews-2022-W29"/>
00:59, 19 lug 2022 (CEST)
<!-- Messaggio inviato da User:Quiddity (WMF)@metawiki usando l'elenco su https://meta.wikimedia.org/w/index.php?title=Global_message_delivery/Targets/Tech_ambassadors&oldid=23517957 -->
== Opere e edizioni: problemi wikidata ==
@[[Utente:Candalua|Candalua]] Dopo una gentile spintarella di Edo, ho ripreso un po' in mano la terribile questione della gestione opere-edizioni su wikidata. Al momento l'unico mio contributo è la creazione di [[Aiuto:Namespace Opera]], un semplice redirect a [[Wikisource:Opera-Edizione]]. Così ho scoperto/riscoperto i due template {{tl|Edizione}} e {{tl|Sottopagina}}. Un magnifico sistema funzionante... ma... al momento la nostra "centrate dati" locale è la pagina Indice, mentre nella base dati wikidata è la pagina principale ns0. Il che mi preoccupa, perchè nel caso che la pagina Indice rimandi a più pagine principali ns0, le cose si sconfinferano.
tutto andrebbe al suo posto se Indice venisse rivalutato su wikidata, diventando pagina sitelink. Ma non ho idea se questa soluzione sia praticabile, sensata, condivisibile. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 11:52, 20 lug 2022 (CEST)
:Infatti pensandoci meglio c'è subito un intoppo.... in ns0 è estremamente probabile che il testo sia riferibile a uno specifico autore, in nsIndice non è detto, ci sono numerosi casi di antologie, e nei meccanismi di nsIndice al momento non c'è modo di attribuire brani diversi ai rispettivi autori. @[[utente:Candalua|candalua]]: sono rimasto piacevolmente sorpreso per il fatto che i parametri base di {{tl|Sottopagina}} sono identici a quelli di {{tl|IncludiIntestazione}}, perfetto! Potrevve però capitare di sentire la mancanza del parametro opzionale autore, raramente è utile. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 12:06, 21 lug 2022 (CEST)
== Più gelato... ehm, eis per tutti! ==
Cari amici,
desidero publicizzare il fatto che il percorso iniziato a metà maggio per diffondere ''eis'' (edit-in-sequence) in tutte le wikisource è in fase di avanzamento sempre più serio: alla pagina [[phab:T308098#8008230|⚓ T308098 Integrate edit-in-sequence inside ProofreadPage]] la timeline, e alla pagina [[mw:Extension:Proofread_Page/Edit-in-Sequence|Extension:Proofread Page/Edit-in-Sequence - MediaWiki]] la discussione tra gli sviluppatori.
Penso sia motivo di orgoglio per @[[Utente:Alex brollo|Alex brollo]] e per la comunità italiana vedere che le grandi idee di Alex cominciano a essere recepite! '''[[Utente:OrbiliusMagister|<span style="color:orange;">ε</span><span style="color:blue;">Δ</span>]][[Discussioni utente:OrbiliusMagister|<span style="color:brown;">ω</span>]]''' 11:11, 21 lug 2022 (CEST)
:@[[Utente:OrbiliusMagister|OrbiliusMagister]] Altrochè. :-) Grazie anche a voi, che avete a lungo avuto la pazienza di sperimentare! [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 11:58, 21 lug 2022 (CEST)
::uau! (scusate la mia assenza, mi sono impelagato in un progetto esterno che mi assorbirà per almeno un anno...) --[[User:.mau.|.mau.]] ([[User talk:.mau.|disc.]]) 22:07, 22 lug 2022 (CEST)
:::È da anni che uso eis e finalmente vedo che è apprezzato come si deve. Ma non ci voleva tutto questo tempo per capirlo! Sarebbe ora che le realizzazioni di Alex (non c'è solo eis) trovassero la giusta strada per implementazione di default! Quanto a me, sono impegnato a recuperare una pesante operazione al cuore e soprattutto sono crollato "con la testa", mi è rimasta poca voglia di lavorare, passo il tempo a leggere e mi è scoppiata un'afasia per cui devo cercare nel cranio le parole più semplici. Se riappaio sarà fra molto e non è detto che sia una cosa valida. Buona estate. [[User:Silvio Gallio|Silvio Gallio]] ([[User talk:Silvio Gallio|disc.]]) 11:27, 23 lug 2022 (CEST)
::::@[[Utente:Silvio Gallio|Silvio Gallio]] Giusto te volevo ringraziare particolarmente, per i tuoi suggerimenti.... ma non sono mica riuscito a implementarli tutti (qualcuno però sì). Rimettiti bene e presto, che sentiamo la tua mancanza.
:::: PS: sembra che ci sia una relazione fra ferrovie e l'enorme incendio sul Carso... questione di ceppi frenanti. Ma probabilmente la cosa non ti è sfuggita. [[User:Alex brollo|Alex brollo]] ([[User talk:Alex brollo|disc.]]). 00:40, 24 lug 2022 (CEST)
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Alexis Jazz
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text/x-wiki
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Cinnamologus
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<noinclude><pagequality level="3" user="Cinnamologus" />{{RigaIntestazione|232|{{Sc|dalle «satire»}}||riga=si}}</noinclude>
{{ct|f=110%|t=2|v=1|L=1px|{{Sc|Satira Quinta}}.<ref>Questa satira fu cominciata il 15 novembre 1795, e terminata il 1° dicembre.</ref>}}
{{ct|f=110%|v=2|L=1px|'''Le Leggi.'''}}
<poem>
:«Le Leggi son; ma chi pon mano ad esse?»<ref>1. {{AutoreCitato|Dante Alighieri|{{Sc|Dante}}}}, {{Wl|Q605018|''Purg.''}}, XVI 97.</ref>
Cosí esclamava il mio divin Poeta;<ref>2. {{Wl|Q106410776|Altrove}}, rivolgendosi a {{AutoreCitato|Dante Alighieri|Dante}}, l’A. lo chiama ''Signor d’ogni uom che carmi scriva''.</ref>
{{R|3}} Ed io ’l ripeto con sue voci stesse.
:Ma un po’ di giunta a quel sovran Pianeta
Farò, se ho tanto polso,<ref>5. '''Se ho tanto polso,''' se son sufficiente a sí grande opera.</ref> comentando;
{{R|6}} Io, trista coda di sí gran Cometa.
:Le Leggi (egregio nome venerando)
Parmi sien quelle, a cui libero senno
{{R|9}} Di pochi o d’uno dié ’l sovran comando.<ref>7-9. Leggi son dunque per l’A. quelle che, liberamente emanate dal monarca o da pochi, sono state accolte dall’universale come supreme regolatrici.</ref>
:Leggi son, quando a niuno obbedir denno:<ref>10. Quando, cioè, esse veramente sieno uguali per tutti.</ref>
L’altre cui stampa ''Onnivolere''<ref>11. '''Onnivolere,''' autorità arbitraria e sconfinata.</ref> insano,
{{R|12}} Che al volere dei piú non fa pur cenno,<ref>12. '''Non fa pur cenno,''' espressione foggiata sulla dantesca ({{Wl|Q605018|''Purg.''}}, VI, 141):
::Fecero al viver bene un picciol cenno.</ref>
:Son di Leggi un sinonimo profano
Che dei regnanti giace sotto a’ piedi;
{{R|15}} E ad esse, sol per nuocer, si pon mano.
:Della Chiosa e del Testo in un mi vedi
Sbrigato: or supplirò, Lettor, col mio,<ref>16-17. '''Il testo,''' la definizione, è contenuta ne’ versi 7-9, la chiosa, la '''nota,''' nei versi 10-15.</ref>
{{R|18}} Se d’udïenza alquanto mi concedi.
:Silogizzando con severo brio
Vengo ad espor le non-giustizie<ref>20. '''Non-giustizia''' pare a me, od è, piú efficace che ingiustizia.</ref> tante,
{{R|21}} Per cui paghiam del servir nostro il fio.
:Chi può tutto, vuol tutto: indi alle sante
Eque leggi dell’uomo primitive
{{R|24}} L’util proprio privato ei manda innante.<ref>24. '''Manda innante,''' prepone.</ref>
:Le costui leggi adunque in sangue scrive
La Ingiustizia, che ascosa in bianco velo<ref>{{Ec|25|25-26}}. '''Le costui leggi,''' le leggi dell’onnivolente. — '''In bianco velo,''' per simulare il candore.</ref>
{{R|27}} Le virtú vere tacita proscrive.
</poem><noinclude><br clear="all" />
<references/></noinclude>
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OrbiliusMagister
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<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|36||}}</noinclude>sì grande malagevolezza, che forse potrebbe sembrare a principio. Primieramente non sono poi tanto rari i casi ne’ quali possiamo con un po’ di bravura, come a dire, spostarci del nostro sito, e far sì che in virtù dell’accortezza del nostro intelletto ci si mostri nel luogo del dritto quello che era rovescio. Oltre a questo, dritto e rovescio sono sempre, come s’è detto sin dalle prime, uno cagione dell’altro, e nella loro stessa discrepanza si fanno scambievolmente da interpreti, chi voglia e sappia interrogarli a dovere. Una valente ricamatrice sa dedurre da una selva di fili bizzarramente accozzati la qualità del ricamo che si spiega nella parte opposta. Ma qui taluno mi avverte avervi ordimenti, come dicesi, a due dritti, e forse questo taluno mi chiede se avvenga lo stesso anche nelle cose morali di cui parliamo. Quanto a me, nulla saprei conoscere che fosse peggiore di ciò; e ricordo solamente l’adagio volgare, che dice uomo da due faccie, a chi vuol dire alcun che di sommamente spregevole e nefando. Oltre che, una di queste due facce la è sempre posticcia, e chi ha buon occhio se ne accorge; e quando anche abbia udito la risposta artifiziale, se ne sta in attenzione della vera, o paragona colla finta risposta il verace silenzio, e ne trae le sue conchiusioni.
Accade bensì alcuna volta che taluno sia per guisa organato da natura, o tanto in esso abbia l’arte potuto, che ivi apparisca la faccia ove do-<noinclude><references/></noinclude>
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OrbiliusMagister
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|||37}}</noinclude>vrebbe esser la nuca, a somiglianza di que’ dannati, onde scrisse il poeta:
{{Blocco centrato}}<poem>
Che dalle reni era tornato il volto,
E indietro venir li convenia,
Perchè il veder dinanzi era lor tolto.
</poem>{{Fine blocco}}
Sarebbero costoro da porre insieme con quella beata famiglia d’uomini che, come suol dirsi, pensano colle calcagna? Certo che quando ti credi esser da essi guardato hanno gli occhi a tutt’altra parte, e quando credi di passarne inosservato sei loro davanti. E quello che diciamo delle persone può dirsi egualmente delle cose e degli avvenimenti di questo mondo. In forza di questa considerazione egli è da por mente a ben distinguere quale sia il dritto vero, e quale il vero rovescio, chi voglia cansare i danni che possono derivare dal non conoscere un così fatto scollocamento, danni che non sono piccioli nè di numero nè d’intensità. Perchè se altri mi mostra la nuca, gli farò di berretta come fosse la faccia?
Cautela pertanto e finezza di giudizio non poca, prima di prendere alcun partito, e ben esaminare ogni rovescio di tutti que’ dritti che ne si mostrano; rassegnazione e mitezza d’animo, quando il partito sia preso, a tollerare tutti que’ rovesci che non possono mai andare disgiunti dai loro diritti. E prima ancora di entrar in verun esame, e di abbandonarci a veruna speranza, considerare se<noinclude><references/></noinclude>
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OrbiliusMagister
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text/x-wiki
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<poem>
Che dalle reni era tornato il volto,
E indietro venir li convenia,
Perchè il veder dinanzi era lor tolto.
</poem>
Sarebbero costoro da porre insieme con quella beata famiglia d’uomini che, come suol dirsi, pensano colle calcagna? Certo che quando ti credi esser da essi guardato hanno gli occhi a tutt’altra parte, e quando credi di passarne inosservato sei loro davanti. E quello che diciamo delle persone può dirsi egualmente delle cose e degli avvenimenti di questo mondo. In forza di questa considerazione egli è da por mente a ben distinguere quale sia il dritto vero, e quale il vero rovescio, chi voglia cansare i danni che possono derivare dal non conoscere un così fatto scollocamento, danni che non sono piccioli nè di numero nè d’intensità. Perchè se altri mi mostra la nuca, gli farò di berretta come fosse la faccia?
Cautela pertanto e finezza di giudizio non poca, prima di prendere alcun partito, e ben esaminare ogni rovescio di tutti que’ dritti che ne si mostrano; rassegnazione e mitezza d’animo, quando il partito sia preso, a tollerare tutti que’ rovesci che non possono mai andare disgiunti dai loro diritti. E prima ancora di entrar in verun esame, e di abbandonarci a veruna speranza, considerare se<noinclude><references/></noinclude>
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OrbiliusMagister
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|38||}}</noinclude><section begin="s1" />quello che ci sembra dritto sia propriamente tale, o non piuttosto rovescio. Oh quegli felice, a cui le cose e le persone si mostrano pel loro dritto! Più felice chi sa subito conoscere il vero dritto d’ogni cosa e d’ogni persona, e quando anche questo non gli si presenta, è abile a giudicarlo, attenendosi alla regola de’ contrarii, da quel rovescio che gli sta sotto gli occhi!<section end="s1" />
<section begin="s2" />{{Ct|t=1|v=1|VIII.}}
{{Ct|t=1|v=1|LE RELAZIONI.}}
Chi saprebbe ingenuamente affermare di conoscere cosa alcuna per sè stessa? Bisogna rimanere contenti di conoscerla per le sue relazioni. Ciò dovrebbe renderne molto circospetti nelle nostre sentenze. Noi per altro anche in questo siamo soliti di tenere una via affatto opposta alla retta, il nostro più usitato modo di ragionare e il seguente: considerata la cosa in sè stessa, lasciando da banda i casi particolari, prescindendo da questo o da quest’altro. Queste formule di discorso basterebbero esse sole a mostrare con quanta poca buona fede, o per lo meno con quanta inconsideratezza ci facciamo ad esaminare le cose, quelle ancora sulle quali intendiamo proferire giudizio. Noi dovremmo invece studiarci di porre gli oggetti sopra i quali si aggirano le nostre dispute in tutta la compiuta sfera delle loro {{Pt|re-|}}<section end="s2" /><noinclude><references/></noinclude>
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Piccola morale/Parte prima/VII. Dritto e rovescio
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OrbiliusMagister
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Porto il SAL a SAL 75%
wikitext
text/x-wiki
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}<!-- Area dati: non modificare da qui: --><onlyinclude><div style="display:none"><section begin="sottotitolo"/>[[../|Parte prima]] - VII. Dritto e rovescio.<section end="sottotitolo"/>
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Pagina:Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu/261
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Cinnamologus
2379
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="Cinnamologus" />{{RigaIntestazione||{{Sc|di vittorio alfieri}}|233|riga=si}}</noinclude>
<poem>
:Le avvampa in volto, il so, mentito zelo
Del comun pro; ma il lagrimoso effetto
{{R|30}} N’è il comun danno: ond’io son reo, se il celo.
:Por mente vuolsi all’opra e non al detto.
Quai che i Governi sien, ''legizzan''<ref>32. '''Legizzan,''' fan leggi, ma in senso dispregiativo.</ref> tutti:
{{R|33}} Ma nei liberi il Buono ha sol ricetto.
:Viltà, doppiezza, e crudeltà, son frutti
Cui la impudente tirannía germoglia,<ref>35. '''Germoglia''' è qui usato attivamente, ed ha per proprio soggetto ''la impudente tirannia''.</ref>
{{R|36}} Madrigna ai Buoni e piú che madre ai Brutti.<ref>36. '''I Brutti,''' come nella {{Wl|Q102007095|''Sesquiplebe''}}, nel signif. di perversi. L’immagine della madrigna e della madre già ricorre nel son. {{Wl|Q106646542|''L’idioma gentil sonante e puro''}}.</ref>
:Quindi i leggi-passivi audace spoglia
Il Sopra-leggi a suo talento, e ride
{{R|39}} Della impotente omai pubblico doglia.<ref>38-39. '''Il sopra-leggi,''' colui che si mette al di sopra della legge (nella {{Wl|Q3705128|''Tirannide''}}, I, 2° è detto ''l’infrangi-leggi''); — '''i leggi-passivi''' son quelli che ne soffrono gli effetti.</ref>
:Satollo ei poscia, il soprappiú divide
Tra i Satelliti suoi leggi-gridanti<ref>41. '''Leggi-gridanti,''' coloro che predicano agli altri il rispetto alla legge.</ref>
{{R|42}} Contro chi un Cervo od un Fagian gli uccide.
:Animali son questi sacrosanti,
Nati a immolarsi da regnante destra,
{{R|45}} O al piú dai regi sempiterni infanti.<ref>45. '''I regi sempiterni infanti:''' gli infanti erano i secondogeniti della {{Wl|Q2414413|Casa Reale di Spagna}}, che conservavano, anche a cinquant’anni, questa bambinesca denominazione: qui si vuol dire, in generale, i figli dei re.</ref>
:Fera inflessibil legge t’incapestra,<ref>46. '''Incapestra''' val quanto ''impicca'', ed è voce alfieriana.</ref>
Se osasti insano o con piombo o con ferro
{{R|48}} Fare in tai bestie elette empia fenestra:<ref>48. '''Fenestra,''' ferita, apertura.</ref>
:Ma se ad altr’uom, col fello animo sgherro,
Da tergo, a tradimento, hai dato morte,
{{R|51}} Spera: appo i Re fia remissibil erro.<ref>51. '''Erro,''' errore; ma ci sta per la rima.</ref>
:Né il mio dire oltre il ver qui paja forte:
D’Italia parlo, di delitti or madre,
{{R|54}} Cui forza è ch’io giustizia o infamia apporte.<ref>54. È necessario che, mercé i versi miei, l’Italia ripari alle sue colpevoli ingiustizie, o che divengano note a tutto il mondo.</ref>
:Due sono, Itali miei, l’opre leggiadre,<ref>55. '''L’opre leggiadre;''' qui è detto ironicamente, ma l’espressione, senza alcun’ironia, è di {{AutoreCitato|Dante Alighieri|{{Sc|Dante}}}} ({{Wl|Q605018|''Purg.''}}, XI, 61):
::L’antiquo sangue e l’opere leggiadre
::De’ miei maggior...</ref>
Ch’or vi fan noti: timorosa pace,<ref>56. '''Timorosa pace:''' pace non resultante dal reciproco affetto, ma dalla vicendevole paura.</ref>
</poem><noinclude><br clear="all" />
<references/></noinclude>
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Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/368
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OrbiliusMagister
129
/* Pagine SAL 00% */ [[Aiuto:Oggetto automatico|←]] Creata nuova pagina:
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="0" user="OrbiliusMagister" />{{RigaIntestazione|||}}</noinclude><noinclude><references/></noinclude>
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Pagina:Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu/262
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2022-07-23T16:45:28Z
Cinnamologus
2379
/* Trascritta */ Gadget AutoreCitato
proofread-page
text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="Cinnamologus" />{{RigaIntestazione|234|{{Sc|dalle «satire»}}||riga=si}}</noinclude>
<poem>
{{R|57}} E ognor di sangue pur vostre terre adre.<ref>57. '''Adre,''' cupe, molli.</ref>
:Ma il miser uom che assassinato giace,
Dall’assassino io già nol tengo spento,
{{R|60}} Bensí dal vile regnator rapace.
:L’impunità del sozzo tradimento
Qui si dona o si vende a prezzo vile
{{R|63}} Dai rei Pastori dell’Ausonio armento:<ref>63. Coloro che comandavano alle varie parti d’Italia.</ref>
:E sian Re, sian Magnati, o Prete umíle,
Che degl’Itali squarci<ref>65. '''Gl’Itali squarci,''' le varie parti della smembrata Italia.</ref> abbin l’impero,
{{R|66}} Concordan tutti in lasciar far lo stile.<ref>66. Concordano tutti nel lasciar impunito l’assassino.</ref>
:Il portar armi hanno inibito, è vero;
Ma non l’usarle in proditoria guisa:
{{R|69}} Legge morta è piú infamia e danno mero.
:Là spirar veggio atrocemente uccisa
Dal marito la moglie addormentata;
{{R|72}} Eppur salvarsi l’uccisor divisa:<ref>72. '''Divisa,''' pensa, provvede.</ref>
:E asilo trova, e di pietà malnata
Sotto l’ali ei s’appiatta, e piange e paga,
{{R|75}} Finché appien l’empia<ref>75. '''Empia''' sí, sacrilega in questo caso la Legge (''Temi''), perché non colpisce chi paga, e chi sa provvedere, compiuto il delitto, a mettersi in luogo ove non possa essere preso. Contro tali privilegi aveva levato, nel 1764, la sua autorevole voce il {{AutoreCitato|Cesare Beccaria|{{Sc|Beccaria}}}}, nel cap. XXI del libro {{Wl|Q2755269|''Dei delitti e delle pene''}}: «Dentro ai confini di un paese», sono le sue parole, «non deve esservi alcun luogo indipendente dalle leggi: la forza di esse seguir deve ogni cittadino, come l’ombra segue il suo corpo. L’impunità e l’asilo non differiscono che di piú e meno; e come l’impressione della pena consiste piú nella sicurezza d’incontrarla, che nella forza di essa, gli asili invitano piú ai delitti, di quello che le pene non ne allontanano. Moltiplicare gli asili è il formare tante piccole sovranità; perché dove non sono leggi che comandano, ivi possono formarsene delle nuove ed opposte alle comuni, e però uno spirito opposto a quello del corpo intero della società». E si ricordino anche, intorno agli asili, le parole del {{AutoreCitato|Alessandro Manzoni|{{Sc|Manzoni}}}} al cap. I dei {{Wl|Q28491|P. S.}}</ref> Temi egli ha placata.
:Qui veggo (io raccapriccio) infame piaga
Farsi dal figlio nel paterno cuore;
{{R|78}} Empietà, d’ogni empiezza e orror presaga.<ref>78. Non mi sembra veramente che tale mostruoso delitto sia solo ''presagio'' d’ogni empiezza e d’ogni orrore, ma che ne sia la terribile prova, la inconfutabile testimonianza.</ref>
:Ma il percussor forse percusso<ref>79. '''Percusso,''' colpito, punito.</ref> ei muore?
No: mentecatto è il misero omicida...
{{R|81}} Ricco, aggiungi: e l’Italia abbia il su’ onore.<ref>81. '''L’Italia abbia il su’ onore,''' abbia ciò che le spetta, ciò che ha voluto.</ref>
:Vendetta invan qui contro l’oro grida:
Prezzo ha ’l sangue<ref>83. '''Il sangue,''' i delitti.</ref> fra noi: può l’uom con l’oro
{{R|84}} Matto esser finto, e vero parricida.
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<references/></noinclude>
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Cinnamologus
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<noinclude><pagequality level="3" user="Cinnamologus" />{{RigaIntestazione||{{Sc|di vittorio alfieri}}|235|riga=si}}</noinclude>
<poem>
:Matto è davver chi aspetta omai ristoro
D’alcun suo danno in cosí rei governi,
{{R|87}} Che quanto han piú misfatti han piú tesoro.<ref>87. Che si arricchiscono, facendo sborsar denari a chi ha commesso delitti.</ref>
:Ma, chi fia che l’aspetti? agli odj eterni
Con sangue e stragi Nemesi soccorre;
{{R|90}} E il tuo tradir sul tradir d’altri imperni.<ref>88-90. '''L’aspetti,''' s’intende, ''il ristoro'', nominato piú sopra, al v. 85. E il significato, profondo e vero, di tutta la terzina è il seg.: poiché la legge non ti soccorre, punendo essa colui che ti ha offeso, avviene che la dea della vendetta attizzi eterno odio fra chi ti ha recato ingiuria e te, e che, tradito da chi dovrebbe aiutarti, tu divenga traditore alla tua volta. La Nemesi dicevasi da taluni figlia di Giove e della Necessità, da altri dell’Oceano e della Notte, ed aveva un tempio a Ramno.</ref>
:Ai pugnali i pugnali contrapporre
Lascian gli empi Re Veneti,<ref>92. '''Gli empi Re Veneti,''' i capi della aristocratica repubblica veneta, piú superbi e potenti dei Re.</ref> con arte,
{{R|93}} Per meglio a sé il lor gregge sottoporre.
:L’assïoma «Ben domina chi parte»,<ref>94. È l’antico aforisma: {{Wl|Q68951|divide et impera}}. — '''Parte,''' divide, separa.</ref>
D’ogni assoluto e imbello regno base,
{{R|96}} Quivi è piú sacro che le Sacre Carte.<ref>96. '''Le Sacre Carte,''' il {{Wl|Q34274|Vangelo}}.</ref>
:Quivi ogni cuor sanguinolenta invase
La prepotente Codardía, che svena
{{R|99}} Quei ch’han le ciglia, men di audacia rase.<ref>99. '''Rase,''' prive; cosi {{AutoreCitato|Dante Alighieri|{{Sc|Dante}}}} ({{Wl|Q4509219|''Inf.''}}, VIII, 118 seg.):
:::... le ciglia avea rase
::D’ogni baldanza...</ref>
:Vili impuniti Signorotti han piena
Di scherani lor Corte, e uccider fanno
{{R|102}} Chi sott’essi non curva e testa e schiena.
:E battiture anco tra lor si danno,
Ma oblique<ref>104. '''Oblique,''' a tradimento. Scrive il {{AutoreCitato|Pompeo Gherardo Molmenti|{{Sc|Molmenti}}}}, a proposito del punto d’onore e dei duelli a Venezia nel secolo {{Sc|xviii}} (''La storia di V. nella vita privata dalle origini alla caduta della Repubblica'', Torino, Roux e Favale, 1880, 424) che «il timore e la servilità stranamente si avvicendavano alla spavalderia e alla arroganza, e [che] la scienza cavalleresca era degenerata in una scienza da casuisti», e ne reca gli esempi.</ref> ognora, né in persona mai;
{{R|105}} Che l’armi a faccia a faccia oprar non sanno.
:Almo rimedio a sí selvaggi guai,
Vien poscia in senatoria maestà
{{R|108}} Luce spiccata dagli Adriaci rai:
:Sgrammaticando, è detto il Podestà
Costui, ch’io Podestessa<ref>109-10. '''Podestà... Podestessa,''' ricorda le ''Achive e non Achei'' dell’{{Wl|Q8275|Iliade}}. Durante il dominio della Repubblica veneta su Brescia, la governavano due patrizi, che venivano scambiati ogni sedici mesi; uno d’essi chiamavasi ''podestà'', l’altro ''capitano'' e con, termine piú generico, ''rappresentanti''.</ref> direi meglio:
{{R|111}} Poiché i delitti ei mai cessar non fa.
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<references/></noinclude>
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Piaz1606
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<noinclude><pagequality level="3" user="Piaz1606" />{{RigaIntestazione||{{Sc|annotazioni}}|323}}</noinclude>si rannoda storicamente con alcun legame alle idee orientali, sebbene non si possa negare che molte idee orientali non siensi frammiste alle sue da’ nuovi eraclitei, pel commercio dei Greci dell’Asia cogli orientali.
VI. ''Ogni cosa consistere pel fuoco ec. ec''. — „Eraclito ha in comune co’ filosofi ionici la ricerca del principio fisico di tutti i fenomeni, di un principio che penetra tutti i fenomeni del mondo, come loro unità eternalmente vita. Fece consistere il fine della sapienza a conoscere questo principio, risultalo difficile al pari che indispensabile: Non v’ha che una cosa sola obbietto della sapienza, che vuole, e tuttavia non vuole essere nomata, è il nome di Giove;'' e: ''La sapienza non è altro che l’interpretazione del modo con cui l’universo è governato.'' Ora siccome Eraclito chiama fuoco questo primo principio di tutte le cose, non v’ha del pari sin qui gran diversità fra questa dottrina e le precedenti, consistendo la differenza piuttosto nell’espressione che nel fondo di quella; non avendo i precedenti filosofi conosciuto che una forza viva che tutti i fenomeni produce del mondo, e che è in tutto, la qual cosa trovasi anche in Eraclito, il quale insegna che l’''universalità delle cose non è nè l’opera d’un dio, nè quella di un uomo, ma ch’ella è stata, ch’ella è e ch’ella sarà in eterno il fuoco vivente, accendentesi e spegnentesi con misura, e che tutto si converte in fuoco, e che il fuoco si trasforma in tutto ec''. Anzi notisi che ei non pone differenza tra il fuoco e la forza della vita, o l’anima; che per conseguenza non prende la fiamma pel fuoco, poich’essa è l’eccedente del fuoco; ma che e’ crede quella un vapore secco e caldo, per conseguenza un fluido puro e caldo, comparabile ad una sorte d’aria, e che in fine il principio di tutte le cose è per lui l’oggetto di ogni saggezza, il pensiero razionale che presiede allo sviluppo universale delle cose. Un altro punto invece della sua dottrina {{Pt|distin-|}}<noinclude></noinclude>
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Piaz1606
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<noinclude><pagequality level="3" user="Piaz1606" />{{RigaIntestazione|324|{{Sc|annotazioni}}|}}</noinclude>{{Pt|gue|distingue}} Eraclito dai precedenti filosofi ionici. Questi tendevano a trovare il principio dei fenomeni e delle forze particolari della natura, di cui supponevano l’esistenza reale, assoluta; quello, per converso, senza brigarsi di questa supposizione, non cercava che di cogliere l’idea della forza vitale la più elevata, e la più perfetta che si riveli in tutti i fenomeni. Ei facciasi dunque l’idea di un ente illuminato, vivente di una vita completa, assoluta, dotato di una forza invincibile, d’una forza che sovra tutto si manifesta sormontando ogni ostacolo, ogni idea che può ad essa opporsi. Nulla naturalmente non può resistere alla forza vitale assoluta; essa è dunque il solo vero, il solo permanente per sempre; ma, come forza vitale assoluta, essa non può essere impastoiata nella sua attività, sebbene nulla di ciò ch’essa forma non resti, e tutto sia in uno stato di nascimento costante. Di modo che la vita eternale del fuoco assorbe, nel pensiero di Eraclito, tutto ciò che dura ne’ fenomeni particolari e in ogni cosa individua. Per lui, come dicevano gli antichi, tutto è, e non è, poichè difatti ogni cosa apparisce, ma disparisce ben tosto; tutto per lui è in movimento; non riposo, non istato di tranquillità. — La ragione perchè Eraclito, rappresentandosi il principio primitivo di ogni fenomeno sotto una forma sensibile, credette trovarlo nel fuoco, si spiega assai di leggieri per la mobilità del fuoco; mobilità ch’è per lui la vita pura istessa, la vita e il movimento assoluto in sè. Ora egli è da considerarsi che noi non troviamo in Eraclito alcuna ragione tendente a provare che il fuoco è il vero principio delle cose; mentre gli altri Ionici cercavano accuratamente di stabilire la loro dottrina toccante l’elemento primo. Lo che puossi spiegare dicendo, che l’elemento particolare l’occupa meno che l’idea fondamentale che tutto riposa su di un ente vivo, perfetto. Non è del pari inverisimile ch’ei concepisse il fuoco ente<noinclude></noinclude>
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Piaz1606
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<noinclude><pagequality level="3" user="Piaz1606" />{{RigaIntestazione||{{Sc|annotazioni}}|325}}</noinclude>primitivo, in quanto principio di tutti i fenomeni, differente al tutto dall’elemento che noi appelliamo fuoco, poichè il fuoco, quale il conosciam noi, non è già più che un fenomeno. E qui è da osservarsi che la maniera con cui Eraclito parla dell’ente primitivo non è che simbolica, e che egli avea, più degli altri Ionici, conoscenza di questo linguaggio figurato. Il quale del resto s’accorda assai coll’altre qualità del suo stile pieno di immagini. — Nell’idea della vita è l’idea del cangiamento, concepito in generale, dagli antichi, sotto la formo del molo. La vita generale è adunque un movimento eterno, e tende per conseguenza, come ogni movimento, verso uno scopo; questo scopo doveva esso stesso del pari presentarsi a noi nel corso dello sviluppo della vita come un punto di transizione ad un altro scopo più lontano. Eraclito dunque supponeva nel fuoco vivente un desiderio, in virtù del quale esso prende una forma determinata di esistenza, senza per altro vederla serbare costantemente, cioè a dire un desiderio semplice di vivere o di passare da una forma ad un’altra; poichè non si concepisce un verace fine di sviluppamento pel fuoco eternamente vivo; la qual cosa Eraclito faceva intendere allorchè, rigettando ogni fine dell’esistenza cosmica, e’ diceva, con un’espressione ardita: ''Giove si diverte quando forma il mondo ec''.“ — ''Ritter''.
''Ogni cosa piena d’anime e di dèmoni''. — Secondo il suo punto di vista generale, tutto nella natura parvegli vivo o animato e divino. Quindi il motto: ''Entra, chè gli dei sono del pari qui''.
''Non si rinverrebbero i confini dell’anima ec''. — Pel nostro filosofo la vita generale si riflette nell’anima sintanto che l’anima non se ne separa, ma si penetra al contrario della ragione universale, la ripete e la figura, per così dire, al di dentro di sè, quando i sensi sono aperti. Quindi, secondo il<noinclude></noinclude>
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Piaz1606
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<noinclude><pagequality level="3" user="Piaz1606" />{{RigaIntestazione|326|{{Sc|annotazioni}}|}}</noinclude>Ritter, aveva dritto di affermare che l’anima ben potrebbe sfuggire a chiunque la cercherebbe, prendendo anche tutte le vie, tant’è difficile da penetrarsi, e ch’egli erasi dato per fine della sua vita di cercare sè stesso in sè, come si esprime al paragrafo IV.
''Il fuoco,'' dice, ''essere un elemento ec''. — {{Greco da controllare}}. Vedi i soliti traduttori e commentatori, e lo Schleiermacher nella nota dell’Huebnero a questo passo.
''Il mondo''. . . ''dopo certe rivoluzioni''. . . ''abbruciarsi''. — „Secondo Eraclito il fuoco significava il moto il più rapido, e la vita la più perfetta, ma l’azione di discendere verso la terra, era un movimento più lento e una vita meno perfetta; quindi è naturale ch’ei non concepisse la trasformazione del fuoco in elemento d’altra sorta, cioè in grado differente di esistenza, che come un’operazione transitoria, che non serve in qualche modo che a tenere la vita in uno stato di scorrimento progressivo; e dovesse opporre alla povertà della vita, sotto le forme materiali e terrestri, uno sviluppo elevatissimo, che fosse come il termine detto sviluppo cosmico, al quale tutto aspira. E questo scopo non poteva essere, secondo le lue idee sull’eccellenza del fuoco, che la conversione di tutte le cose in fuoco; il che non era che un ritorno al principio della loro esistenza, della loro forza, della loro vita. — Pure l’accendimento ({{Greco da controllare}}) universale non dee essere considerato come l’ultimo termine di ogni nascimenlo, perciocchè sarebbevi, pel fatto, un termine al flusso eterno delle cose, ma solo come un punto di transizione alla formazione di un nuovo mondo. Eraclito lo indica apertamente, e sembra circoscriverne i periodi ec.“ — ''Ritter.''
''La mutazione una via di su e giù ec''. — „Pare, dice Ritter, che Eraclito nulla abbia deciso sul modo con cui il cangiamento della vita si opera nel mondo. — Il passaggio di una forma ad un’altra ora ci fa consistere semplicemente<noinclude></noinclude>
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Piaz1606
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text/x-wiki
<noinclude><pagequality level="3" user="Piaz1606" />{{RigaIntestazione||{{Sc|annotazioni}}|327}}</noinclude>nella combustione o nell’estinzione, cangiamento ch'egli riferisce ad oggetti che non ci paiono suscettivi di convertirsi in fuoco, o in materia infiammata, ora ei li contrassegna come il passaggio della morte alla vita e della vita alla morte. L’evaporazione trasparente od opaca occupa una gran parte nelle sue fisiche spiegazioni, come trasformazione in fuoco e in umidità; egli presenta in fine ogni specie di trasformazione come una via ascendente o discendente, che devono percorrere i fenomeni. Questa spiegazione sembra la preferita da lui. — Osservisi, conchiude il Ritter, che in senso suo non hassi ad intendere per via ascendente o discendente un semplice movimento nello spazio, ma un cangiamento nella natura dei fenomeni; poichè la via ascendente è per lui la trasformazione in fuoco, mentre la via discendente è la trasformazione del fuoco in elemento d’altra specie.“
{{Centrato|CAPO II.}}
{{Centrato|{{Sc|Senofane}}.}}
II. ''Senofane non fu discepolo di nessuno.'' — „La forma e il fondo della filosofia di Senofane sono semplici e degni al tutto dei primordj della scienza. Il perchè Aristotele ci presenta l’origine della sua filosofia come dovizia al pio movimento della sua anima. Egli innalzava gli occhi verso il cielo, o diceva che l’uno è dio. Testimonio della sua pietà è la forza colla quale combatte il politeismo. — Il suo sistema appoggiavasi all’idea di dio, ente onnipossente, e alla negazione di qualunque contingenza. — Senofane trovava tutto fondato su di un’unica forza, per cui tutto convergesse verso l’unità, da esso appellata dio; unità del resto che comprendeva il cielo, o il mondo. Siccome ei non poteva ammettere due iddii, così non poteva ammettere un<noinclude></noinclude>
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